Fanfic su artisti musicali > Green Day
Ricorda la storia  |       
Autore: Midnight the mad    05/11/2014    1 recensioni
"Kurt scoprì di chiamarsi Kurt quando aveva quattordici anni, e decise di chiamarsi St. Jimmy più o meno nello stesso periodo. Tutta colpa di un diario.
E di una sigaretta."
"Alzò gli occhi al cielo, sibilando una bestemmia. Qualcuno dietro di lui rise. Si girò e vide una ragazza che lo osservava divertita. Lei sollevò un sopracciglio e canticchiò: - Look down, look down, Sweet Jesus doesn't care... -
Lui sbuffò. - E allora cosa dovrei fare? -
La ragazza alzò le spalle. - Beh, diventa tu Gesù, così almeno puoi risolverti tutti i problemi che vuoi. -"
"- Syd? -
- Già. Syd. Problemi? -
- No, è che tipo, sei... "incastrata" a fare Syd. Che lo sai già che alla fine morirai da drogata pazza e chissà cos'altro. Io fossi in te me lo darei un futuro, almeno con il nome. Concediti il beneficio del dubbio. -
- Tu sei la prima a non darti un futuro con il tuo nome. -
Lei scrollò le spalle. - Non ho mai avuto così tanta voglia di avere un futuro. Tu invece non vuoi altro. Quindi almeno datti una possibilità. -
- Sì, ma non voglio sperare troppo, capisci cosa intendo? Che poi se va male resto delusa. -
- E allora chiamati Whatsername. -"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa non è la storia di American Idiot. Questa è la storia di qualcuno che quell'album l'ha ascoltato. Questo è l'album che accompagna una storia, una storia diversa.
Questo è... il mio American Idiot.
 
AMERICAN IDIOT
(Un liceo qualsiasi in una città qualsiasi
in un 1 agosto di un anno qualsiasi)
 
Quando l’impresa di pulizie quella mattina entrò per l’ultima giornata di lavoro dopo la fine degli esami di Maturità, quello che videro fu sufficientemente sconvolgente.
Qualsiasi superficie possibile era stata completamente ricoperta di parole, compresi i soffitti, i muri e i pavimenti. Scritte a pennarello nero indelebile.
Da un esame più attento si rivelarono tutte uguali, poche frasi che si ripetevano all’infinito:
 
Welcome to a new kind of tension
all across the alienation.
Everything isn’t meant to be ok.
 
Nessuno capì mai chi fosse stato, né perché.
O meglio, qualcuno lo sapeva eccome, ma decisamente non avrebbe mai aperto bocca.
-
Che le sigarette non fossero granché era una delle cose che Kurt sapeva con più certezza. Aveva fumato solo una volta nella sua vita, il giorno prima di compiere quindici anni. Una sola sigaretta, finita fino al filtro. E poi basta. Dopotutto bisognava sempre provare, ma fumare di per sé non aveva una grande utilità. Non serviva a sballasi e faceva male; traducendo, era autolesionista. E Kurt non era autolesionista. Una potenziale suicida sì, ma autolesionista no. Perché morire un po’ alla volta? Morire tutto insieme sembrava decisamente più divertente.
Per questo, mentre se ne stava alla fermata dell’autobus con un cretino che le sfumacchiava in faccia, il suo umore non era dei migliori. Erano già passati due mesi dalla sua ultima trovata, a scuola. La notte dopo la fine degli esami aveva reclutato più gente possibile e aveva letteralmente ricoperto la scuola di scritte, per due motivi: il primo, che così sarebbe stata decisamente più interessante; il secondo, che così avrebbe potuto sbattere in faccia a tutti – sia ai professori che agli alunni appena diplomati – dove stavano andando a finire quelli appena usciti da quella scuola tanto odiata. In un nuovo tipo di nervosismo, di paura, di problemi, in un mondo di disoccupazione che continuava tranquillamente a crescere in una nazione stupida e superata in cui doveva sembrare per forza che andasse tutto bene.
“Beh, in realtà non è proprio così. Ok significa 0 Killed, zero morti. Ma i feriti?”
Comunque, Kurt sapeva che nessuno avrebbe capito. Né i professori, né quelli che l’avevano aiutata convinti di stare commettendo un semplice atto di vandalismo. Ma a Kurt non importava che le persone capissero. Forse neanche lo voleva. Le piacevano i misteri e le piaceva sapere di essere l’unica a capire mentre gli altri impazzivano provandoci.
L’autobus arrivò e lei salì, infilandosi le mani in tasca. Mentre il mezzo si muoveva tra le vie, molto più affollate di quelle dove aveva vissuto fino a poco tempo prima, si ritrovò a guardarsi intorno. Quella città piovigginosa e troppo grande non aveva assolutamente nulla di neanche apparentemente familiare. Era solo una città, con gente da città che camminava per le strade e troppe storie nascoste negli angoli con nessuno ad ascoltarle. A parte lei. Anche se non era venuta lì per ascoltare storie, almeno in teoria.
Tirò fuori uno spinello e se lo accese. Se l’avessero buttata fuori dal pullman o arrestata, beh, se ne sarebbe fatta una ragione. Non era la prima volta che rischiava di finire nei guai, ma dopotutto non c’era niente da perdere. “Vivere con tranquillità nella vita significa semplicemente convincersi che niente è così importante da non poter rischiare di perderlo.”, era la cosa che amava dirsi. E, in effetti, riusciva a seguire quella linea di pensiero. Beh, tranne che per una cosa in particolare.
“Nessuno è perfetto.” si giustificò, e tirò una boccata. La donna accanto a lei fece una smorfia e si spostò, ma non fece commenti né chiamò qualcuno. A quanto pareva la gente lì ci aveva fatto l’abitudine, oppure preferiva farsi i fatti suoi. Meglio così. Kurt odiava quelli che non si facevano i fatti loro, sebbene lei, i propri, non se li facesse mai. Non si era mai considerata una persona coerente.
Quando arrivò alla sua fermata aveva già la testa sufficientemente annebbiata. Fece un mezzo sorriso e guardò l’edificio davanti a sé. Un’altra immersione nello schifo prima di emergere e riuscire finalmente a vedere quello che restava del mondo. Sorrise di nuovo.
Ed entrò.
-
Don’t wanna be an American Idiot,
don’t want a nation under the new mania!
And can you hear the sound of hysteria?
The subliminal mind fuck America.
 
Syd spiaccicò una mano sul pulsante della sveglia con un mezzo ringhio. Aveva messo quella canzone come sveglia sperando che alzarsi fosse più piacevole. Il risultato? Ovviamente non era servito a nulla.
- Tesooooroooo... – cinguettò sua madre. – E’ ora di alzarsi! –
- Ho capito! – sbuffò lei, tirandosi su e rassegnandosi ad aprire gli occhi. Erano le quattro del mattino. E in quel momento sarebbe stata a dormire tranquilla nel suo nuovo appartamento in affitto a 200 km da lì se solo i suoi genitori non avessero organizzato una festa di addio la sera prima.
Syd odiava le feste di addio. Le odiava con tutta l’anima. Doveva andare, sarebbe andata. Piangerci sopra non sarebbe servito a nulla.
Entrò nel bagno e si infilò i vestiti che si era preparata. Il resto era tutto in valigia, ormai, oppure era già stato spedito nell’appartamento che aveva preso in affitto.
Si lavò i denti e si passò una linea di eye-liner sulle palpebre. Si guardò allo specchio e decise di raccogliere i rasta in una coda. I suoi genitori avevano rotto le scatole per mesi per via di quei capelli, ma Syd li aveva ignorati. Ho quasi vent’anni, cazzo., aveva risposto, sentendosi patetica perché sapeva benissimo che vent’anni non erano e non significavano niente, ma a quanto pareva quella era l’unica lingua che i suoi genitori capissero. Sono adulta, lasciatemi in pace.
Quando arrivò il momento di mettersi in macchina Syd si ritrovò a sospirare. Avrebbe voluto guidare lei, da sola, ma l’auto non era sua e i suoi genitori avevano insistito per accompagnarla, così si infilò le cuffie nelle orecchie e si lasciò cadere sul sedile del passeggero insieme a un libro da leggere. Dopo poco iniziò a piovere. Gocce sottili, graffianti, che scivolavano sul vetro dell’auto creando scie argentee alla luce dei lampioni. Intanto, nelle sue orecchie si susseguivano le canzoni. Syd sapeva che si stava addormentando. Sonnecchiava, con brevi sprazzi di note e parole che riuscivano a farsi strada nel groviglio che era la sua testa.
 
...They’re leavin’ it up at the Hotel California,
what a nice surprise, what a nice surprise
bring your alibis...
 
Un pensiero scivolò tra la musica. “E poi che succede?”
 
...We’re just two lost souls swimming in a fish bowl
year after year...
 
Già, chissà come sarebbe andata. C’era una strada, con un grande punto interrogativo alla fine.
 
...then I crashed into a wall,
then I felt to pieces on the floor;
now you’re sick to death...
 
Osservò i suoi genitori. Chissà se senza di loro se la sarebbe cavata o sarebbe andata in pezzi contro un muro. Forse, dopotutto, il gusto stava anche in quel dubbio.
Lentamente il sonno passò e arrivò la noia. Syd sbadigliò e si tolse le cuffie dalle orecchie prendendo il libro, Novecento di Alessandro Baricco. L’aveva comprato a una bancarella dell’usato perché lo svendevano a un euro e cinquanta. Non l’aveva mai sentito nominare, ma la ispirava abbastanza, quindi l’aveva comprato. Lo aprì alla prima pagina. E, alla seconda, un brivido le scese giù per la spina dorsale.
Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto.
Lanciò un’occhiata fuori dal finestrino. Syd. Il nome che si era data perché le piaceva, perché a differenza del suo aveva una storia e un senso. Lei non ce l’aveva, una storia, e neanche un senso, quindi aveva preso quelli di qualcun altro. Non che fossero una storia e un senso felici, però. E questo lo sapevano anche i Pink Floyd quando avevano dedicato una canzone al vero Syd.
 
Now there’s a look in your eyes,
seems like black holes in the sky...
-
Quando la sveglia suonò, Andrea sbadigliò rumorosamente e si tirò su, le palpebre pesanti. Cercò di fare un rapido programma di quello che avrebbe dovuto fare da lì ai successivi venti minuti prima di spegnere di nuovo il cervello e, una volta fatto, si infilò sotto la doccia.
Una volta uscito tornò in camera e si diresse verso l’armadio.
E poi suonò il campanello.
Sbuffando si strinse l’asciugamano in vita e si diresse verso la porta di ingresso. E, quando la aprì, restò di sasso.
Davanti a lui c’erano un uomo e una donna tra i cinquanta e i sessanta, e dietro di loro c’era una ragazza con i rasta castano scuro legati in una coda e l’aria annoiata, con una valigia in mano. Anche loro tre sembrarono stupirsi. Si fissarono.
- Ehm... questo non è l’appartamento di Andrea De Rossi? – domandò la donna, dopo qualche secondo di imbarazzo.
- Sì, sono io. – rispose lui.
La donna e l’uomo si guardarono. – Cavolo. – disse lei. – Mi sa che abbiamo... – Si voltò verso la ragazza. – Andrea, ma tu non avevi detto che era una ragazza? –
In quel momento Andrea – lui – si rese conto dell’equivoco. In effetti lui aveva pensato di condividere l’appartamento con un ragazzo. Andrea era un nome da maschio, no?
- Andrea è un nome da femmina! – rispose Andrea – lei.
- Veramente no. – rispose lui.
- In America sì. – fece la ragazza. Poi guardò quelli che probabilmente erano i suoi genitori. – Beh, chi se ne frega. Ciao mamma, ciao papà. –
I due la fissarono come se l’avessero appena vista sgozzare un gatto. – Chi se ne frega? – ripeté la donna. – Non puoi stare in un appartamento con un ragazzo. –
- E perché no? Cazzo, mamma, guardalo. E’ uno studente. Cosa vuoi che faccia? E poi almeno così non dovrò andare in giro per i locali nel caso mi venga voglia di scopare. Ciao. – ripeté, ed entrò sbattendo loro la porta in faccia.
Andrea – lui – la fissò. – Ehm. – disse.
- Che c’è? Vuoi che me ne vada? – rispose lei, alzando gli occhi al cielo. – Povero verginello del cazzo. –
Il ragazzo la fissò. – Hai recentemente vinto Miss Gentilezza, vero? – sbuffò. – Comunque non c’è problema se rimani. Mi serve qualcuno con cui dividere l’affitto. –
Lei lo squadrò da capo a piedi, poi annuì. – Allora ok. Comunque, io sono Syd. –
- Ma tua madre non ti ha chiamata... –
- Io. Sono. Syd. – ripeté lei, scandendo le parole e porgendogli la mano.
Lui la guardò. Certo che questa era strana forte. – Andrea. – si presentò, stringendogliela, anche se era inutile.
- Bene. Dov’è camera mia? –
Andrea le indicò una porta. La ragazza si avviò e il pavimento di vecchio parquet scricchiolò sotto i suoi piedi.
Syd alzò gli occhi al cielo. – Casa dolce casa. –
-
Syd mollò valigia, libro e borsa sul pavimento della sua stanza. Era piccola, ma tutto sommato non era male. La sua roba era già tutta lì, infilata in degli scatoloni. Lei non perse tempo a cambiarsi nonostante con quel caldo umido avesse sudato dall’inizio alla fine del viaggio e si gettò sul letto, che cigolò sotto il suo peso.
Ok. Non era andata esattamente come si aspettava, visto che non aveva trovato la coinquilina ordinata che si aspettava e la foto che c’era su internet dell’appartamento doveva risalire a almeno una ventina d’anni prima, ma ok. Non era poi troppo male.
Il ragazzo, Andrea, doveva avere più o meno la sua età. Capelli neri, magro come un chiodo, tre o quattro piercing sparsi in giro per la faccia e un tatuaggio che partiva dal fianco destro che rappresentava dei rovi che gli si attorcigliavano addosso. Non era poi troppo male neppure lui, almeno a impatto, anche se quello che aveva detto ai suoi a proposito del sesso era stato solo per toglierseli di torno. Questa era la sua nuova vita e loro non c’entravano, accidenti. Non che non volesse bene ai suoi genitori o che loro non ne volessero a lei, però... però si sentiva come se avesse sprecato i primi vent’anni della sua vita in qualcosa che non le interessava davvero, in mezzo a gente con cui non si sentiva a suo agio e in una città che conosceva come le sue tasche. Lei invece voleva sorprese. Voleva novità. Voleva... qualcosa che la svegliasse dal torpore in cui si sentiva incastrata, voleva sentirsi... viva. E invece la sua vita fino ad ora era stata l’esatto opposto.
 
Welcome to a new kind of tension
all across the alienation...
Everything isn’t meant to be ok.
 
“Già, non deve andare tutto bene per forza. Posso anche andare a sbattere contro quel fottuto muro se ne vale la pena.”
-
L’università era piena di gente. Kurt si guardò intorno. Si era infilata le cuffie nelle orecchie, e adesso le sembrava di camminare restando fuori dal mondo, quasi in una bolla che la separava dalle persone. Adorava farlo, forse era per questo che si stava distruggendo i timpani.
 
Television dreams of tomorrow;
we’re not the ones who’re meant to follow;
for there’s enough to argue.
 
Tutta quella gente, guidata lì da sogni preimpostati. Oppure era solo che tutto era già stato detto, fatto e pensato. Niente era davvero originale. Questo l’aveva pensato lei, e prima l’aveva pensato Kurt Cobain, e prima chissà chi altro, tutti scoprendo solo dopo di non essere stato il primo a inventarselo. Una semplice prova di quella stessa frase. “Dicono che i sogni sono tutti gratis, ma son quasi tutti quanti usati.” pensò. “Però questi sono davvero i loro sogni? Davvero una cosa è un sogno se te lo infilano a forza in testa?”
 
Well, maybe I’m the faggot America;
I’m not a part of the redneck agenda.
Now everybody do the propaganda
and sing along to the age of paranoia.
 
Lei, in un certo senso, si sentiva abbastanza fuori da quella storia.
“E’ solo che accetto di non avere un futuro.”
Sorrise amaramente. Già. Anche se in realtà le dava un po’ fastidio che “avere un brutto futuro” fosse sinonimo di “non avere un futuro”.
Ma ormai era stanca di trovare spiegazioni.
Entrò nell’aula. Un attimo prima di togliersi le cuffie chiuse gli occhi.
 
Don’t want to be an America idiot;
one nation controlled by the media.
Information age of hysteria,
it’s calling out to idiot America.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Green Day / Vai alla pagina dell'autore: Midnight the mad