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Autore: K u r a m a    08/11/2014    0 recensioni
E' necessario aver letto "When Falls the night".
La storia parla di Shade, di alcuni frammenti della sua vita che nella long non sono stati approfonditi.
Quella era la giornata di un bambino qualunque, una Domenica passata in famiglia tra il calore e il riso, tra gli scherzi, il solletico e i pasticci in cucina.
Era una giornata di primavera, la città come sempre era tinta dalle sue innumerevoli luci, tutto era rumore, la quiete non esisteva.
Il suono dei pneumatici sull'asfalto, il suono lontano delle sirene che sottostavano alla legge dell'effetto Doppler, il rumore dei piatti che sbattevano negli appartamenti accanto e la melodia triste del sax che veniva suonato nell'edificio di fronte.
Tutto era normale, perfetto per quel bambino biondo di otto anni che sedeva a tavola e mangiava le sue patatine fritte intinte nel ketchup piccante, sporcandosi la bocca che gli veniva puntualmente ripulita da sua madre, mentre suo padre mangiava tranquillo e annuiva al concitato racconto di suo figlio che stava riassumendo tutta la sua piccola giornata.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Shonen-ai
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sangue che non muore, amore che va anche oltre la morte.'
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Sangue, sangue sui vesti, sulla pelle; sangue sul cuore.

 

Era una sera come tante altre, una giornata passata nelle illusioni che un bambino vive inconsapevole, che trascorreva sorridendo, scaldato dalle braccia della madre che lo abbracciava ogni qual volta voleva le coccole, baciato sul capo dal padre che gli sorrideva felice infondendogli calore e sicurezza.

Quella era la giornata di un bambino qualunque, una Domenica passata in famiglia tra il calore e il riso, tra gli scherzi, il solletico e i pasticci in cucina.

Era una giornata di primavera, la città come sempre era tinta dalle sue innumerevoli luci, tutto era rumore, la quiete non esisteva.

Il suono dei pneumatici sull'asfalto, il suono lontano delle sirene che sottostavano alla legge dell'effetto Doppler, il rumore dei piatti che sbattevano negli appartamenti accanto e la melodia triste del sax che veniva suonato nell'edificio di fronte.

Tutto era normale, perfetto per quel bambino biondo di otto anni che sedeva a tavola e mangiava le sue patatine fritte intinte nel ketchup piccante, sporcandosi la bocca che gli veniva puntualmente ripulita da sua madre, mentre suo padre mangiava tranquillo e annuiva al concitato racconto di suo figlio che stava riassumendo tutta la sua piccola giornata.

Guardata dall'esterno quella scena era simile a quella di un quadro: il bambino che rideva, gli occhi verdi brillanti, la bocca sporca, la madre protesa verso di lui, un tovagliolo in mano, gli occhi socchiusi e il sorriso dolce, i capelli a caschetto biondi che ormai non soleva più tingere di nero e che aveva lasciato crescere un poco, abbandonando il taglio a caschetto. Il padre stava, invece, seduto a capotavola, le mani intrecciate e posate sotto il mento, mentre gli occhi blu erano rivolti uno al bambino e l'altro alla moglie con un sorriso dovuto a quella tenera scena intima e familiare.

Era proprio come una tela ad olio, fatta di pennellate veloci, rapide ed impressioniste, ma attente e calcolate come quelle di Raffaello e i colori di Tiziano.

Era un dipinto incantevole, che trasmetteva calore, serenità, una vita che avrebbe fatto invidia a tutti, poiché sembrava quasi inafferrabile, infinita e bellissima; intoccabile perfino dal destino, ma esso era sempre dietro le porte, nessuna eccezione.

Di solito soleva trasformarsi in un ragno, entrare di casa in casa, appropriandosi di un angolo nascosto della stanza più luminosa e di giorno in giorno osservava la sua sorella vita scorrere e lui, da fratello birbante quale era, si divertiva assai spesso a farle scherzi, aiutando la cugina morte nei suoi malvagi intenti, mentre il loro padre, il tempo, semplicemente continuava a camminare con quel suo cappello a bombetta nero, il suo abito elegante e antico, nella mano destra il bastone che soleva far ticchettare lungo la strada.

A volte la vita riusciva a non incappare nei tranelli del fratello, ma altre volte quel ragno tesseva le fila così bene da non potergli sfuggire mai e tra le mura di quell'appartamento ne aveva tessuta una fatta d'argento.

Ci aveva messo anni e tanta cura, l'aveva costruita con una dovizia mai avuta. Voleva palesarsi con grande stile e da tempo gustava il gusto della vittoria mentre la notte si calava dal suo modesto e celato angolino e zampettava di stanza in stanza ad osservare gli abitanti di quella piccola casa che erano del tutto ignari della sua presenza, ma quel giorno, quella Domenica, era finalmente venuta e tutto stava per iniziare.

Lui era finalmente pronto a bussare.

-Shade è ora di andare a dormire.- disse amorevole Lucy, spegnendo la televisione che il bambino stava guardando, interrompendo a metà così la storia del re leone, proprio nel punto in cui stavano cantando la canzone preferita del bambino: il cerchio della vita.

Questo gonfiò le guance e poi scese dal divano per correre dal padre che aveva appena finito di farsi il bagno e infilarsi il pigiama.

-Papà! Papà!- lo chiamò aggrappandosi ai pantaloni di flanella -La mamma è cattiva!- esordì.

L'uomo dai capelli rossi e corti guardò la moglie interrogativo e questa sbuffò alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa.

-E che avrebbe fatto per essere cattiva?- chiese paziente, passando la mano grande e confortevole tra quei morbidi e ondulati capelli biondi che rimembravano i capelli di un angelo.

-Non ha finito di far cantare il cerchio della vita!- si lamentò -A me e a Golia piace.-.

-Golia?- chiese il padre prendendolo in braccio -Il tuo amico immaginario?- chiese divertito, pensando quando anche lui da bambino ne aveva avuto uno.

Shade scosse la testa energeticamente. -No, Golia è una fata! Anche se le piace mordere.- storcette il naso.

A quell'affermazione il silenzio calò nella stanza, greve.

-Ed è qui ora?- chiese la madre avvicinandosi con urgenza al bambino. I suoi occhi blu come il mare profondo che brillavano di pura preoccupazione.

Il piccolo Shade scosse la testa e poi sbadigliò. -E' andata via poco fa, ha detto che era stanca.- disse, accoccolandosi tra le braccia calde del rosso, posando il capo su quella spalla dura, larga e piacevolmente confortante.

Lucy sorrise nervosa, mentre con l'uomo si scambiavano uno sguardo di intesa.

-Andiamo a dormire ora Shade, sei stanco e domani è una giornata impegnativa.- disse con voce profonda questo, portandolo nella sua camera e poggiandolo sul materasso, tra le coperte fredde, ma che ben presto si sarebbero scaldate.

-Vuoi che ti legga una favola?- chiese Lucy, cercando di tenere a bada il battito impazzito del suo cuore e le lacrime che volevano scendere, ma il piccolo bambino si era ormai addormentato con una strana e profonda maligna risata nelle orecchie che gli arrivò come un molesto eco.

I due adulti gli sussurrarono la buona notte e dopo aver baciato il suo capo e accarezzato i suoi capelli, silenziosi se ne erano andati lasciandolo a riposare tranquillo, mentre i loro animi erano inquieti.

-Non è al sicuro qui, Jack.- sussurrò la donna, una volta che ebbe richiuso la porta.

Il rosso la strinse dolcemente, facendo posare ella contro il suo petto. La strinse forte, come se non vi fosse più un domani, come se avesse uno strano presentimento all'interno del suo cuore che gli stava urlando qualcosa di terribile.

-E' speciale, devi solo accettarlo.- la coccolò l'uomo, posando il mento tra quei capelli biondi, ma meno soffici di quelli di Shade che ignaro di ogni cosa stava dormendo beato.

-Non è solo questo... quelle creature.- singhiozzò piano e Jack iniziò a cullarla. Sapeva cosa la preoccupava e allo stesso tempo anche lui era in ansia anche se quel bambino non era il suo figlio biologico.

Era vero, non condividevano lo stesso sangue, gli stessi geni; Shade non avrebbe mai preso i suoi tratti, ma... era suo figlio e tanto bastava.

Lo aveva cresciuto, gli aveva voluto bene come se fosse suo e mai niente avrebbe cambiato questa verità; che gli fosse umano, angelo, demone, vampiro o qualsiasi altra cosa. Shade era prole sua e di Lucy, la donna che amava da anni, che aveva corteggiato e che aveva conquistato con fatica.

-Andrà tutto bene. E' un bambino in gamba.- tentò di tranquillizzarla, costringendola a guardarla, prendendole il mento con l'indice e il pollice, sorridendole coraggioso, cercando di infonderle sicurezza.

-Dov'è la mia Lucy?- chiese Jack, baciandole gli zigomi e asciugandole le lacrime -Dov'è quella donna fiera che ama le avventure e che non proverebbe paura nemmeno di fronte a un toro inferocito?-

Lei sorrise appena e si alzò sulle punte per posare un casto bacio sulle morbide e calde labbra del marito.

-Non lo so, quando si tratta di Shade mi sento inutile ed inerme.- sussurrò, tornando a poggiarsi contro quell'ampio petto che ormai era la sua casa, il suo più grande rifugio in cui sapeva avrebbe sempre trovato conforto.

-Forse dovrei tentare di contattarlo, forse Michele potrebbe aiutarlo.- provò, ma a tale prospettiva Jack la prese in braccio sorprendendola.

-E' nostro figlio, lui non c'entra più nulla.- disse serio, mentre la portava in soggiorno, sul divano bianco a forma di L.

-Sono sicura che ci sia un motivo dietro la sua scomparsa. Non se ne sarebbe mai andato altrimenti, lo conosco.- a quel commento il marito si ingelosì un poco e la adagiò sul letto sovrastandola.

-Beh, ora sei mia. Smettila di pensarci.- soffiò guardandola con quegli occhi color del cioccolato che erano seri e pieni di gelosia.

Lucy ridacchiò, intrecciando le sue braccia dietro il collo di lui. La tensione era come se si fosse completamente sciolta, andata via come se non fosse mai esistita.

-Sei geloso Jack?- chiese bonaria.

Lui le morse appena il collo.

-Ovviamente.- disse poi al suo orecchio.

Si sarebbero baciati in quel momento se le finestre non si fossero aperte a causa di un'improvvisa folata di vento, avrebbero fatto l'amore se le fiamme non avessero preso a divampare dal nulla, sarebbero rimasti tutta la notte a coccolarsi se quel demone dai lunghi capelli rossi, le ali simili a quelle di un drago a cui le estremità vi erano degli acuminati denti, non fosse entrato irruento nella loro abitazione richiamato dal destino, che da ragno si era trasformato in serpente.

I due adulti scattarono in piedi, stringendosi l'un l'altro; guardando con paura il nuovo venuto i cui occhi erano di un brillante argenteo, che grazie al fuoco sembravano rossi come il sangue.

La sua pelle era scura, sul volto aveva innumerevoli cicatrici, il suo corpo era muscoloso, tonico, quasi come se lo avesse gonfiato.

-Datemi il bambino e vivrete.- disse solo, mentre impugnava saldamente quella lunga spada che era madida di sangue freddo e incrostato.

Jack spostò la moglie dietro la sua schiena, guardò con il coraggio che non aveva il mostro.

-Porta via da qui Shade.- ordinò a Lucy in un sussurrò.

-Cosa?- chiese lei nel panico -No... tu? Non se ne parla!- disse testarda. Sapeva che non era il momento, sapeva che l'altro aveva ragione, ma non avrebbe sopportato la consapevolezza di ciò che sarebbe palesemente successo.

Non poteva sopportare di perdere per l'ennesima volta la persona che amava.

-Va!- disse duro il rosso -va.- ripeté con più dolcezza.

A quel punto, fece l'unica cosa che poteva fare: Jack si lanciò contro quell'uomo, conscio che sarebbe morto, che quelli sarebbero stati i suoi ultimi momenti di vita.

Piangendo Lucy si volse per poter raggiungere la stanza di Shade, ma ancora prima di poterlo fare sentì il singulto strozzato del marito e non poté che non voltarsi.

Quello fu un errore.

I suoi occhi blu, già pieni di lacrime mai avrebbero voluto vedere quella scena: il demone, che freddamente aveva infilzato da parte a parte il corpo dell'uomo, che era spirato, mentre il suo sangue copioso fuoriusciva dalla ferita, mentre quel mostro di freddezza si era proteso e aveva iniziato a cibarsi di quell'umano che per lui non era altro che cibo, fonte si sostentamento.

Urlò Lucy, portandosi le mani davanti alla bocca, indietreggiando tremante, mentre la stanza si faceva più calda e il fuoco divorava ogni cosa.

-Mamma?- chiese in un pigolio Shade che si era svegliato e impaurito voleva solo raggiungere i suoi genitori.

Lei si volte verso il bambino, il suo bambino; l'unica cosa che le era rimasta.

-Scappa.- disse flebile.

-Mamma?- ripeté il biondo avvicinandosi, mentre guardava con paura il fuoco che iniziò a farlo tossire.

-Scappa Shade!- disse Lucy alzandosi tremante, poiché caduta a terra.

Doveva salvarlo, doveva salvare almeno lui!

Il demone sentendo quel nome ghignò, lanciando tra le fiamme il corpo esanime e sfigurato di Jack.

Sporco di sangue camminò incurante delle fiamme, che si spostarono senza nemmeno sfiorarlo.

-Consegnamelo.- ordinò.

Lucy abbracciò il piccolo.

-Vivi.- gli sussurrò nell'orecchio, mentre con il suo stesso corpo proteggeva suo figlio da quella spada acuminata, morendo per amore; morendo come ogni madre avrebbe fatto per il proprio figlio, pregandogli di vivere, mentre il suo stesso sangue andava a sporcare il bambino che non capì.

-M... mamma?- tentennò, mentre questa tra un sorriso e le lacrime spirava.

Il demone rise sadico, feroce, mentre scostava il corpo della madre ormai privo di anima da lui.

Lo avrebbe ucciso, lo avrebbe dissanguato e anche lui sarebbe morto se in quel momento una violenta luce non fosse entrata, se non lo avesse protetto e portato via, ferendo a morte quel demone.

Ma Shade non vide nulla, poiché il buio delle tenebre lo aveva accolto prima; svenendo. Nelle orecchie la risata del destino.
 

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Di questa storia ho pronti solo i primi due capitoli, ma credo che infondo siano anche i più importanti.
Vedrò di scrivere il più in fretta possibile i restanti due o tre.
Il raiting è arancione, ma sinceramente non so se abbassarlo a giallo ( xD )

 

   
 
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