Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Val Nas    08/11/2014    2 recensioni
Questa storia partecipa al contest 'My favorite songs' di Elisaherm sul forum di EFP".
"Era notte fonda e il Re dei Sette Regni giaceva tra lenzuola candide e membra sudate.
La donna che lo aveva soddisfatto e saziato intrecciava le gambe alle sue e il respiro profondo di lei lo aveva portato sulla soglia di un sogno bellissimo, spezzato dall’inquietudine che lo pervadeva sempre durante le ore più buie della notte.
L’alba prometteva una lunga giornata afosa e appiccicosa su Approdo del Re, roventi ore che il Re avrebbe trascorso a trascinarsi svogliatamente da un dovere all’altro, sudando sotto i suoi ricchi abiti intessuti d’oro.
Per Robert Baratheon, primo del suo nome, la giornata che si profilava all’orizzonte come un sentiero già tracciato ai suoi piedi non era un giorno da Re, ma solo altro tempo perso, un tormento continuo da trascorrere cercando di soffocare il bisogno di detestare il Trono di Spade, perché nemmeno un regno valeva la perdita di colei che lui aveva amato."
Genere: Drammatico, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lyanna Stark, Robert Baratheon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Flowers for a Ghost
 

Era notte fonda e il Re dei Sette Regni giaceva tra lenzuola candide e membra sudate.
La donna che lo aveva soddisfatto e saziato intrecciava le gambe alle sue e il respiro profondo di lei lo aveva portato sulla soglia di un sogno bellissimo, spezzato dall’inquietudine che lo pervadeva sempre durante le ore più buie della notte.
L’alba prometteva una lunga giornata afosa e appiccicosa su Approdo del Re, roventi ore che il Re avrebbe trascorso a trascinarsi svogliatamente da un dovere all’altro, sudando sotto i suoi ricchi abiti intessuti d’oro.
Per Robert Baratheon, primo del suo nome, la giornata che si profilava all’orizzonte come un sentiero già tracciato ai suoi piedi non era un giorno da Re, ma solo altro tempo perso, un tormento continuo da trascorrere cercando di soffocare il bisogno di detestare il Trono di Spade, perché nemmeno un regno valeva la perdita di colei che lui aveva amato.
La ragazza che aveva giaciuto con lui era giovane, forse non più di quindici anni e gli teneva un braccio sottile attorno ai fianchi. Cosa ci faceva nel suo letto?
«Vattene» le ordinò bruscamente, «vattene via».
La scosse bruscamente ma lei non si svegliò e mormorando qualcosa d’incomprensibile continuò a dormire, consumando pesantemente quel sonno che a lui era stato portato via.
Il Re si sollevò dal materasso poggiando le spalle nerborute contro i morbidi cuscini di piume, cacciando via il braccio della servetta attorno alla sua vita muscolosa e segnata dalle cicatrici che si era procurato in battaglia, traslucide alla luce morente delle fiaccole affisse alle pareti.
La sua Regina, una splendida donna con i capelli color dell’oro finemente lavorato, dormiva nei suoi alloggi privati. Era la donna più bella di tutti i Sette Regni, dicevano.
Tuttavia non era verso di lei che si sentiva in colpa. Non era la sua assenza ad annientare la sua volontà di vivere.
Il vuoto stava di nuovo avanzando verso di lui, come la marea che si solleva all’improvviso alla luce della luna piena. Di giorno, la marea restava bassa e lui riusciva a controllarla.
Mentre fingeva di amare la corona che reggeva sul capo, di essere devoto al suo Regno e alla sua donna, tutto era più facile. Le riunioni con il Concilio ristretto, i tornei, i viaggi di rappresentanza, lo distraevano dal pensiero di colei che lui non poteva più stringere tra le sue braccia. Ma di notte, quando i Sette Regni dormivano, il Re tornava a essere solo Robert della casa Baratheon, nient’altro che un uomo privato dell’essenza stessa che aveva dato un valore alla sua vita, un involucro di carne che ospitava un’anima straziata che non aveva più nulla da offrire.
Prese la caraffa di terracotta dal comò di pregiato legno scuro proveniente delle Isole dell’Estate, e si scolò il poco vino rimasto dalla notte precedente. Il liquido vermiglio ruscellò nella sua gola e per la foga sgocciolò sul collo e sul petto, incrostando la fitta peluria scura che lo ricopriva.
“Forse non mi sono ubriacato abbastanza questa volta.”
Dopo la lunga sorsata lasciò cadere la caraffa sul pavimento. Il suono di cocci infranti echeggiò nel castello addormentato come una valanga, ma nessuno andò in suo soccorso.
Robert si afferrò la testa tra le mani, accucciandosi sul letto come un animale ferito.
Dondolando in preda a una crisi, dalla sua gola uscì un lamento disperato.
“Perché sei scomparsa Lyanna? Te ne sei andata con tutte le tue buone intenzioni e mi hai lasciato. Odio l’uomo che sono diventato, odio te per avermi permesso di amarti in questo modo, odio questa cosa che sono e che non riesco a nominare.”
La vittoria su Rhaegar Targaryen era stata come fiele nelle sue vene, come cenere nella sua bocca.
Quali erano state le ultime parole che le aveva rivolto? Quando le aveva dato un ultimo bacio? Robert non lo ricordava più.
L’ultima visione di Lyanna era stata sul letto di morte. Il volto con i lineamenti decisi degli Stark e gli occhi grigi e profondi spalancati sul vuoto gli erano sembrati estranei.
La sua morte era stata il prezzo da pagare per diventare Re? Gli Dei lo avevano punito?
Robert era sicuro che se lui fosse morto nella Battaglia del Tridente, lei sarebbe ancora viva.
Aveva scambiato un regno con la vita di Lyanna e questo non riusciva a perdonarselo.
“Ho portato i fiori al tuo sepolcro ma gli Stark non hanno vasi per i fiori a Grande Inverno. Chi porterà a me i fiori quando sarà tutto finito Lyanna?”.
I veli del baldacchino sembravano stringersi attorno a lui come una prigione di seta.
Si sottrasse a quella costrizione alzandosi di colpo, mentre barcollava per via del troppo vino.
Faceva freddo nella stanza, un gelo da fargli accapponare la pelle.
Il suo respiro concitato faceva disperdere il fiato in una condensa bianca e nebulosa. Il pavimento finemente decorato della stanza del Re sembrava essersi trasformato di una distesa di ghiaccio solido.
«Il dannato Inverno sta forse arrivando?» domandò alla densa oscurità che avvolgeva ogni cosa attorno a lui.
Mentre indossava braghe di cotone leggero, si accorse con l’ultimo brandello di lucidità rimastogli che non era possibile che l’Inverno fosse arrivato. Non faceva forse caldo fino a pochi attimi prima? Non poteva in alcun modo fare freddo ad Approdo del Re, era piena Estate.
Un refolo di vento gelato penetrò dalle finestre spalancate, facendo vorticare fiocchi di neve sul prezioso tappeto di Myr ai piedi del letto.
Un silenzio improvviso aveva avvolto tutto il castello, come se un incantesimo lo avesse congelato in un sonno di ghiaccio perenne.
Un movimento dolce e sinuoso, smosse il panorama fuori dalla stanza.
Incerto, scettico e barcollante, si affacciò dal terrazzo ricoperto da un sottile strato di brina.
Piccoli fiocchi di neve stavano danzando nell’aria gelata. Sembravano piccole ballerine candide che volteggiavano nella notte come stelle dell’inverno.
I fiocchi di neve svolazzavano, s’inseguivano, vibravano e poi cadevano, soffici come cotone, ricoprendo tutto il giardino privato del Re. I tetti della fortezza rossa, gli alberi, persino le mura sembravano essere caduti sotto un improvviso maleficio invernale.
Un’ombra lunga si mosse tra le altre.
Robert trasalì, mettendo mano alla spada che però non aveva agganciato alla vita.
“Ho perso definitivamente il senno.”
L’ombra si staccò da un albero e avanzò tra la neve, rivelandosi.
Un passo alla volta, la sua figura si stagliò nella gelida aria invernale.
Lunghi capelli corvini incorniciavano un volto dalla carnagione di porcellana, i suoi occhi erano grigi e allungati, una cappa blu scura di velluto la ricopriva dal collo ai piedi.
Tra le mani teneva un mazzo di rose blu.
«Lyanna…».
Lei sollevò il volto su di lui. Quello sguardo bruciava dentro, perforavano il suo cuore.
«Dove sono?» chiese lei.
Robert si prese la testa tra le mani. Lacrime calde iniziarono a colargli sulle guance.
«Robert sei proprio tu» disse la figura bianca, osservando la neve attorno a sé.
Sembrava spaesata, persa in un luogo che non riconosceva.
Era un fantasma? Un’allucinazione?
«Robert».
Le labbra della figura pallida non si erano mosse, ma lui sentì quel richiamo nella sua testa.
Quegli occhi grigi e duri come basalto gli laceravano l’anima.
«Ti porto sempre dei fiori, delle rose blu» gli disse con semplicità.
Lei sorrise dolcemente, allargando la bocca rosea sulla quale Robert aveva deposto migliaia di baci.
«Tu sei libero, Robert».
«Io non voglio che mi liberi».
Cercò di saltare dal terrazzo per raggiungerla, ma le gambe erano paralizzate, trattenute da un incantesimo indissolubile.
 «Lyanna» la supplicò, «fammi venire da te».
«Questo non è luogo per i vivi. È il regno della morte e da qui non c’è ritorno. Tu non sei morto».
«Lo sono invece».
Allungò le grandi mani callose verso di lei, cercando di protendersi per poterla toccare.
Cercò di memorizzare i lineamenti di quel volto che iniziavano a sfumare nella sua mente.
Così bella, così gelida.
«Non sono niente senza di te, sono solo un fantasma».
Nevicava anche dentro il castello adesso.
Nella stanza e sulla servetta ancora addormentata, nella sala del trono e sulle lame taglienti che componevano il Trono di spade, nei saloni fastosi e superbi, sui grandi lampadari di cristallo su cui migliaia di lumini giacevano raggelati dalla morsa dell’Inverno.
Anche dentro Robert nevicava. Il sangue era divenuto ghiaccio liquefatto, le sue ossa erano divenute pesanti, stanche di vivere e di trascinarsi in una vita senza di lei.
«Portami via con te» la supplicò di nuovo.
«Questi sono fiori per un fantasma» disse allora lei. «Fiori per un fantasma».
Lyanna si chinò, lasciando cadere il mazzo di rose blu nella neve che ora si ammassava in mucchi ordinati attorno a lei.
Erano tumuli, cadaveri ghiacciati giacevano sotto la terra. La tomba davanti alla quale erano state deposte le rose, era quella di Robert.
«Queste rose ti riporteranno da me un giorno».
La forza invisibile che lo teneva inchiodato venne meno. Finalmente libero di muovere le gambe, Robert si lanciò nel vuoto. Ruzzolò nella neve due, tre volte, e quando si alzò incerto e frastornato, Lyanna era ancora lì ad aspettarlo.
I suoi piedi presero il volo, le sue braccia cercarono di stringerla.
La figura effimera tremolò e si dissolse. Tra le sue braccia c’era solo nebbia.
Non poteva toccarla, capì con sgomento.
«Un’ultima volta» implorò con lacrime che si ghiacciavano tra la barba scura.
«Non è forse sotto lo stesso cielo che dormiamo questa notte? Non sono forse le stesse stelle che stiamo guardando? Sarà così anche domani, e anche il giorno dopo, sarà così per l’eternità».
Robert la guardò smarrito. Non capiva il significato di quelle parole.
«Le ultime parole che ci siamo detti» spiegò lei chinando il capo emozionata.
Lui allungò una mano per sfiorare il profilo della sua guancia. Trovò solo aria sotto le dita, non c’era la carne tiepida di Lyanna né le guance sempre accese di purpureo quando lui la toccava.
«Non sarà mai l’ultima volta per noi» disse lei.
Fece un sorriso dolce, triste, che lo colpì dritto al cuore come una freccia avvelenata.
«Addio Robert».
«No, aspetta».
Cercò di trattenerla con brutalità, ma lei si dissolse tra le sue dita lasciando dietro di sé solo l’odore della neve.
Robert cadde in ginocchio tra le tombe dei morti, di fronte al suo tumulo.
Le rose erano abbandonate nella neve. Lacrime di bianco cristallo macchiavano i petali di un blu vellutato.
Quelle rose l’avrebbero condotto da lei.
Il suo ululato straziante si propagò nella fortezza e nella città, riempì le orecchie degli uomini e scosse le stelle più lontane.
Il dolore di Robert fece tremare una stella e un suo frammento si staccò tracciando una scia pallida nella volta celeste.
La stella lo colpì e lui cadde tra la neve.
 

***

Quando si svegliò, stava piangendo.
Nella sua stanza non c’era la neve. L’Estate regnava ancora e il canto dei grilli penetrava dal terrazzo spalancato. L’altro lato del letto era vuoto, la servetta se ne era andata.
Robert s’issò asciugandosi gli occhi con il dorso delle mani. Quando si scoprì la fronte ingombra di ricci disordinati, notò un bagliore fatuo ai piedi del letto.
Raccolse la rosa blu e annusò i petali profumati.
«Lyanna…» sussurrò scosso dai singhiozzi.
Fu certo di udire nella sua mente poche parole, quasi una nenia incomprensibile.
«Non sarà mai l’ultima volta per noi».

***

  
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