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Autore: Dedde_Jester    08/11/2014    2 recensioni
«Sam».
«Mi dispiace» mormora, ancora frastornato. Si lascia cadere sul letto, la mano che macchia di sangue le coperte e i suoi vestiti, e Gabriel soffia, irritato.
«Sei un idiota». Gli prende la mano aprendogli le dita a forza e osserva la ferita. «Un maledetto idiota. Adesso se n’è andato?».
«Chi?».
«L'uomo delle pizze. Chi, secondo te?» sbuffa. «Lucifer. Se n’è andato?».

*
|Sabriel| |Hallucifer| |Accenni di Samifer|
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gabriel, Lucifero, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Settima stagione
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N.d.A.  Okay, prendete il Sam della settima stagione, lasciato a fare i conti da solo con i ricordi dell'inferno, le allucinazioni e Lucifer. Dean e Bobby sono occupati a sventare la nuova fine del mondo, Cas si finge etero e sposato qualche stato più in là, e Sam è solo. Ora prendete Gabriel, che spunta fuori da chissà dove e inizia a seguire e aiutare Sam con i casi, e lentamente inizia a guadagnarsi la sua fiducia.
Ora immaginate la Sabriel più adorabile che potete, e sì, sta accadendo davvero, magari non hanno ancora fatto la chiacchierata del "io ti amo, tu mi ami, che aspettiamo a metterci insieme?", ma ehi, è pur sempre un inizio. Ecco. Questo è l'antefatto che non avevo assolutamente voglia di scrivere perché sarebbe uscita fuori una storia chilometrica. E questo è, uhm, il finale. Ci vediamo alla fine :)


 
A broken hallelujah
 
It’s a cold and it’s a broken hallelujah

Lucifer spunta da dietro la spalla di Gabriel, sorridendo.

«Davvero adorabile» bisbiglia all’orecchio del fratello, e Gabriel non può né vederlo né sentirlo, ma Sam sì.
Il suo sguardo viene calamitato sull’angelo, orripilato, nonostante cerchi davvero di ignorarlo - ma non può, perché Dio, sta giocherellando con una Lama Angelica ad un soffio da Gabriel e Sam non può abbassare la guardia. Se distogliesse l’attenzione da Lucifer accadrebbe qualcosa di terribile, quindi non interrompe il contatto visivo neanche per un attimo, neanche quando Lucifer –notando che finalmente ha catturato la sua attenzione- si sporge un po’ più verso di lui con un sorriso entusiasta e la Lama maledettamente vicina al volto di Gabriel.

Da qualche parte lui lo chiama. Sam lascia scivolare distrattamente la mano sulla sua e cerca di convincersi che Lucifer non può fargli realmente del male. È solo un’allucinazione, un prodotto della sua mente.
Gabriel è reale. Le persone reali non possono venir ferite dagli incubi, è proprio per questo che si chiamano incubi. Quando ci si risveglia tornano strisciando sotto il letto e non sono altro che ombre.
Le ombre non possono farti del male. Lucifer non può realmente ferire Gabriel.
Sam cerca di concentrarsi su questo, e preme le dita sulla ferita ormai cicatrizzata sulla mano.

«Ne sei sicuro?» lascia cadere con noncuranza Lucifer, inarcando le sopracciglia.

Si alza in piedi e inizia a passeggiare per la stanza, l’attenzione completamente rivolta alla Lama con cui sta giocherellando. La lancia in aria e la riprende, la fa roteare tra le dita, si punge i polpastrelli o semplicemente se la rigira tra la mani come se nascondesse i più reconditi segreti dell’umanità.

«Perché se fossi in te non lo sarei così tanto. Insomma, ti ho lasciato giocare con il mio fratellino fino ad adesso -non dire che non sono stato buono-, ma adesso basta. Potrei ingelosirmi se dedicassi più attenzione a lui che a me, sai? Mi annoio da solo». Lucifer ora esibisce un’espressione infantilmente imbronciata, ma quello che lampeggia nei suoi occhi mentre parla è puro fastidio.
Sam può leggere nel suo sguardo il desiderio di ferire, di fare del male.

Preme con più forza sulla ferita e quella pizzica, ma l’immagine di Lucifer non è mai stata tanto nitida.

Lui ghigna. «Non questa volta, Sammy.  Questa volta non ho alcuna intenzione di andarmene, voglio che tu mi ascolti per davvero» dice con forza, agitando la Lama in direzione di Gabriel, che ne frattempo continua a chiamarlo e a parlare e sembra preoccupato, ma lo sguardo di Sam scivola in silenzio sulla Lama e lui trattiene inconsciamente il respiro quando il filo si avvicina troppo all’angelo. Il ghigno di Lucifer si allarga. «Sai, si dice che i sentimenti alberghino nel cuore. Niente di più sbagliato, perché la scienza ha dimostrato che ogni emozione e sensazione e impulso nasce nel cervello. È tutto lì, Sammy, io sono lì. Posso vedere tutto ciò che provi e cielo, è davvero un casino, eh? Sei ingarbugliato. Spezzato. Stare qui dentro fa venire il mal di testa persino a me» Lucifer ride, gettando il capo all’indietro. Poi sembra pensarci su, incrociando le braccia al petto: «In effetti immagino sia colpa mia. Ti ho ridotto proprio male, uhm? Ma anche Michael non è stato carino nei tuoi confronti e diciamocelo, in fondo ci siamo divertiti nella Gabbia. Abbiamo trascorso assieme dei momenti fantastici, non è vero, Sammy?».

Gli batte giovialmente una mano sulla spalla, poi si volta di scatto facendolo sobbalzare e indica Gabriel. «Ma ora nella tua vita c’è un altro angelo. Ho visto cosa pensi di lui, cosa provi, ho osservato in silenzio tutto il tempo mentre iniziavi a fidarti. Ma ora ti pongo una domanda: tutto questo è reale? Lui è reale?».
Si stringe allegro nelle spalle, osservandolo con la coda dell’occhio.

Sam ha la nausea. Allontana Gabriel –continua a chiamarlo, perché continua a chiamarlo, lui sta bene, sta solo cercando di evitare che Lucifer gli faccia del male perché nel suo mondo i mostri sotto al letto esistono e non aspettano altro che un segno da parte del diavolo per scivolare attorno alle sue caviglie e farlo annegare nelle tenebre-, e Sam non vuole, non vuole ascoltare. Afferra il coltello sul comodino.

«Non puoi accoltellare un incubo, Sam» ride Lucifer acciambellandosi sul letto. «Perché è questo che sono io, non è vero? Non esisto. Sono irreale. Ma lui, lui esiste? Magari potresti provare ad accoltellare lui per controllare. La verità è che ti sei fidato di un’illusione, Sam. Ci sono così tanti modi per farti soffrire, potrei semplicemente ucciderlo davanti ai tuoi occhi ma niente sarebbe paragonabile all’orrore della verità. E nel profondo sai che ho ragione, che Gabriel è morto e l’ho ucciso io, e quando riuscirai a farmi sparire lui scomparirà con me».

Sam preme il coltello sul suo palmo. La carne brucia, il sangue cola, e Sam preme più a fondo.
Lucifer inizia ad apparire ad intermittenza, mentre Gabriel ringhia qualcosa. Riesce a strappargli il coltello dalle mani e lo sguardo che Sam scorge nei suoi occhi, Dio, non può farcela. Non vuole che Gabriel lo odi.
Non potrebbe sopportarlo. Quindi chiude gli occhi e preme con forza il pollice sulla ferita aperta, e fa male, ma lo fa sentire maledettamente bene. Il dolore lo mantiene lucido e con un risata sommessa Lucifer scompare. Ecco, così va meglio, molto meglio. Riapre gli occhi.

La testa gli ronza fastidiosamente e Sam fa qualche fatica a riportare il suo sguardo su Gabriel, che scopre essere di fronte a lui con un’espressione indescrivibile. Un misto amplificato di frustrazione, dolore e rabbia. Odio.
Sam lo fissa, il ronzio ancora persistente nelle sue orecchie e la sensazione che nulla sia al suo posto, fino a quando la voce dell’angelo non lo raggiunge faticosamente attraverso gli strati di apatia.
Sta dicendo qualcosa. Sam si sforza di concentrarsi e capisce che sta solo ripetendo il suo nome.

«Sam».
«Mi dispiace» mormora, ancora frastornato. Si lascia cadere sul letto, la mano che macchia di sangue le coperte e i suoi vestiti, e Gabriel soffia, irritato.
«Sei un idiota». Gli prende la mano aprendogli le dita a forza e osserva la ferita. «Un maledetto idiota. Adesso se n’è andato?».
«Chi?».
«L'uomo delle pizze. Chi, secondo te?» sbuffa. «Lucifer. Se n’è andato?».

Sam annuisce, troppo stanco per articolare una risposta coerente. Si limita ad osservare Gabriel che gli sfiora la fronte con due dita e fa scomparire il fastidioso pulsare alla mano, il modo in cui si muove, lo sguardo arrabbiato e serio in cui può quasi vedere il riverbero della sua Grazia.

È così che deve apparire nella sua forma normale, pensa Sam distrattamente. Autoritario. Severo. Terribilmente incazzato con il mondo intero, solo alto qualche dozzina di metri in più del solito.
Sam si chiede come siano gli angeli realmente, come sia Gabriel oltre quel corpo di carne che un tempo apparteneva a qualcun altro. Sa che è solo un tramite, e che lui potrebbe benissimo presentarsi un giorno con un aspetto totalmente diverso essendo sempre, be’, Gabriel. Eppure è così abituato ad associare l’angelo a quella forma che sarebbe innaturale vederlo in qualche altro tramite, ed è triste che Sam si sia legato a Gabriel senza conoscerne il suo vero aspetto.
Si chiede se lo riconoscerebbe lo stesso. Non ne è così sicuro.

«Un penny per i tuoi pensieri» dice Gabriel, che è rimasto ad osservarlo in silenzio fino a quel momento e Sam sorride, perché come è possibile che sia tutta un’illusione? Questo è Gabriel, e nessun incubo potrà mai convincerlo del contrario.
«Come appari nella tua forma reale?».
Lui sembra pensarci su. «Bellissimo» dice poi con un minuscolo sorriso. «Più del solito, intendo».
Il sorriso si allarga nel solito ghigno, e spazza via quasi tutto il marciume nei suoi occhi. Restano solo alcune pagliuzze di preoccupazione, ma Sam non ci fa caso.

«Sbruffone» lo rimbrotta, poi si alza in piedi e inizia a radunare le sue cose.
«Che fai?».
«Se non ricordo male, avevamo un caso di cui occuparci».
«Se non ricordo male, tu avevi un caso di cui occuparti. Non c’è alcun noi, solo un tu e i tuoi casi noiosi e un io che non li può sopportare».

Sam sbuffa una mezza risata mentre infila il computer e gli appunti nella borsa, poi si volta alzando gli occhi al cielo e apre la bocca per replicare. E si gela.
Lucifer lo osserva con aria vagamente esasperata dal letto. Non dice nulla, si limita a ricambiare lo sguardo in silenzio. Sam si costringe a deglutire. Ha la gola secca. Lo odia.

«Sammy?».
«Non mi chiamare così».
«Stai bene?» insiste Gabriel, gli occhi che sfrecciano inutilmente per la stanza alla ricerca dell’invisibile.
«Sì». La voce gli si spezza.
No.
«Sì, sto bene. Andiamo».
Gabriel inarca le sopracciglia ma non commenta. «Allora, di cosa si tratta? Un fantasma?».
«Sì, direi… direi di sì. Bruciamo le ossa ed è fatta»

«Ma sentitevi, questa conversazione sta diventando patetica» sbuffa Lucifer alzando gli occhi al cielo.
Sam lo ignora. Preme di nascosto sulla cicatrice vecchia, dal momento che Gabriel ha cancellato la ferita alla mano con il suo mojo angelico, e miracolosamente la figura di Lucifer sbiadisce, scomparendo per un attimo e poi tornando come se fosse un canale sintonizzato male.

Sam si volta sollevato verso Gabriel, che è immobile al centro della stanza e appare stranamente triste.
Si osserva le mani e – no. No, non può essere, assolutamente no. L’orrore è talmente grande che Sam si sente come se il mondo gli si fosse spalancato sotto i piedi. Preme con più ferocia sulla cicatrice perché no, Dio ti prego fa che non sia vero, e l’immagine di Gabriel –come una proiezione, un’illusione ottica- ondeggia, scomparendo come Lucifer e poi riapparendo sgranato. Sam ha la gola secca. Vorrebbe vomitare.

«No»
«Sam, io-».
«No. Non è vero. Tu sei reale».
«Ed invece mi sa proprio di no» si intromette giovialmente Lucifer, scrollando le spalle con un’espressione che sembra dire che ci vuoi fare, sono le delusioni della vita.
«Taci» ringhia Sam, avvicinandosi con ampie falcate a Gabriel. Lo prende per le spalle.
«Tu sei reale» ribadisce. Non è molto, ma infonde in quelle tre parole una forza tale che per un attimo anche lui ci crede davvero.
«Gabriel, tu sei reale. Lucifer mente, lo so».
«Questo mi ferisce nel profondo del cuore, Sammy. E pensare che avevo anche cercato di essere carino con te»
«Ho detto taci!»

Gabriel alza lo sguardo su di Sam. È talmente disperato che Sam vorrebbe urlare per la frustrazione.
«Sono un’illusione?» chiede con una sfumatura incredula nella voce.
«No». Sam è nauseato per tutte le volte che lo ha ripetuto, ma non può farne a meno. «No, non lo sei».

E poi, improvvisamente, Gabriel si volta verso Lucifer e la precisione con cui incatena il suo sguardo è troppo reale per essere una pura coincidenza. Gabriel lo vede. Può vederlo, ma questo è impossibile.
Lucifer è solo nella sua testa. È solo un incubo.
Lui si stringe nelle spalle. «Che vuoi che ti dica, nessuno è perfetto»
Gabriel torna a fissarsi le mani, poi il fratello maggiore e infine Sam.

«Sono morto» constata.
«Non è vero».
«Sam…». Gli spinge tra le mani qualcosa di freddo. La Lama Angelica. La punta è poggiata contro il suo cuore e Gabriel lo costringe ad affondarla. Sam cerca di opporre resistenza, che diavolo sta facendo, potrebbe ucciderlo!, ma è come se l’arma attraversasse aria.

L’immagine di Gabriel tremola appena come un miraggio. Sam ha la nausea, e Lucifer ride e Dio solo sa se riuscirà mai a dimenticare quella risata sguaiata nella sua testa – Dio solo sa se non si sveglierà per anni nel bel mezzo della notte con un grido incastrato in gola e quella maledetta risata incisa a forza nei suoi ricordi. Gabriel apre la bocca per dire qualcosa – è un attimo, ed è già scomparso.
 

***
«Mi dispiace».

Hanno appena finito di occuparsi di un lupo mannaro, e stanno sgombrando la stanza del motel da armi e appunti per ripartire il prima possibile: un’altra città, un’altra caccia, un’altra stanza, la stessa sensazione di apatia che Sam non riesce a scrollarsi di dosso da quasi due mesi.

«È strano, sai?» prosegue Gabriel. «Sapere di essere morti, di essere un’illusione ottica eppure sentirsi così reali. Roba da mandare in crisi d’identità. Però volevo dirti… sì, insomma, per quel che vale non sapevo di essere morto. Credevo di essere riuscito ad imbrogliare Lucifer con un qualche trucco, di aver solo inscenato quella farsa all’hotel, con le ali bruciate e tutto il resto. Non ho mai avuto intenzione di farti del male».
Sam lo ignora. Sa che le sue allucinazioni sono orchestrate da Lucifer e che a parlare è lui.

Vuole solo giocare con la sua mente, quindi Sam lo ignora e chiude la borsa delle armi, infila gli stralci di giornale in una tasca esterna e si volta per prendere la giacca sul letto cercando di ignorare lo sguardo dell’arcangelo su di sé. Fuori, può sentire Dean mettere in moto l’Impala.

«Anche se sono una proiezione della tua mente, sono ancora io in qualche modo, Sam» aggiunge con una certa urgenza Gabriel e non guardarlo, non guardarlo, non guardarlo. Sta mentendo. Non può essere altrimenti –anche Dean sembrava così reale e se stesso quando gli aveva suggerito di puntarsi una pistola alla tempia, e detto da lui era suonato così giusto e liberatorio che Sam non aveva potuto dire di no; l’avrebbe fatto sul serio se suo fratello –quello vero che di cose giuste e liberatorie non se ne faceva niente, quello che lottava con le unghie e coi denti per scegliere sempre la strada più difficile- non fosse intervenuto.
Sam si era fidato, ed era arrivato al punto di guardare dentro al baratro chiedendosi se saltare o meno; ora non avrebbe ripetuto lo stesso errore.

«Immagino che dire che sto bruciando un sole solo per dirti addio non sia il mio miglior asso nella manica».
Sam soffoca una risata dietro un colpo di tosse –è Lucifer, non Gabriel, Lucifer, e deve tenerlo bene a mente- ma non può fare a meno di replicare: «Da quando guardi Doctor Who?».
Gabriel si apre in un sorriso talmente luminoso da risultare accecante.

«Sapevo che la fantascienza avrebbe smosso il nerd che è in te!». Il suo tono è trionfante e Sam ride piano.
«Questo non cambia il fatto che tu sia un’illusione» aggiunge però poi. «E che questo sia un addio».
«Mi dispiace». Gabriel si alza in piedi di fronte a lui. «Davvero. Non doveva finire così».

Gli sfiora le labbra con le sue in un bacio triste e leggero come il battito d’ali di una farfalla, e Sam fa appena in tempo a realizzare cosa sta accadendo che Gabriel è già scomparso.
Dean, da qualche parte fuori, lo chiama intimandogli di darsi una mossa.                                        
Lui si ritrova a fissare il vuoto dove prima c’era l’arcangelo.

«No» riesce a gracchiare infine, anche se ormai è solo e nessuno può più sentirlo. «No, non doveva finire così».
 

 
  
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