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Autore: historiae    09/11/2014    3 recensioni
Cosa fareste se un giorno scopriste che la vostra vita è stata solo frutto della vostra mente?
Gwendolen è una diciassettenne molto particolare. Vive in un famiglia lugubre, e piuttosto asociale.
Trasferitasi a Scarborough, una tetra cittadina inglese, la sua vita cambierá completamente. Farà anche la conoscenza di un ragazzo che si rivelerà essere il suo completo opposto. Presto scoprirá però che non sará stato un incontro casuale. Nascerà un profondo legame tra i due che li terrà uniti fino al momento in cui la ragazza si renderà conto di ciò che realmente è sempre stata.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Fu una notte di luna piena, che Gwendolen Hades giunse a Scarborough, una cittadina del North Yorkshire, in Inghilterra.

I suoi genitori avevano da tempo comprato una nuova casa e finalmente era arrivato il momento di stabilirvisi. Ne avevano parlato assai bene, dicendo che sarebbe stata la casa perfetta.
Era situata in cima al paese, isolata dalle altre, grande e maestosa, preceduta da un massiccio cancello di ferro dall'aria quasi minacciosa, come se il suo scopo fosse stato quello di tenere a distanza gli ospiti indesiderati. Degli sprazzi di muratura con l'intonaco scrostato davano l'idea che fosse una casa antica, ormai in rovina. L'interno era spettacolare: una rampa di scale che dava sulla porta d'ingresso conduceva al secondo piano, dove stavano le camere da letto; c'era poi un'accogliente sala da pranzo e un elegante soggiorno. Non era molto illuminata, poiché le pareti erano tappezzate di scuro. Le finestre erano alte, e se vi si guardava attraverso si poteva scorgere il punto esatto in cui il mare lasciava spazio al cielo. A Gwendolen la casa era piaciuta subito, e non solo: era rimasta affascinata da quel piccolo paesino sperduto in cui si diceva non spuntasse mai il sole.

 

 

 

 

 



***
 

 

 

 

 

 


La ragazza si incamminò di buon'ora verso la scuola. Come suo solito si era vestita di nero e aveva portato con se la sua piccola cartella. Gwendolen, o, come la chiamavano i suoi genitori, Gwen, era sempre stata una brava studentessa e aveva voti eccellenti in tutte le materie.

Amava leggere, studiare e più di ogni altra cosa disegnare sul suo personale e privatissimo blocco di schizzi che portava sempre con se.

Frequentare la quarta classe non sarebbe stata certo una passeggiata, così come diceva ogni anno quando il primo giorno di scuola si avvicinava. Ovvio, la classe era sempre quella, ma alcuni compagni sarebbero cambiati. Nemmeno quel giorno pensò che avrebbe rivolto la parola a qualcuno di essi, e men che meno che si sarebbe fatta dei nuovi amici, perchè era sempre stata molto riservata e non ne aveva mai avuti.
Non era nemmeno mai stata fidanzata e oltretutto non si vedeva per niente carina. In realtà lo specchio diceva tutt'altro: Gwen era di costituzione molto magra ma non eccessivamente. Aveva grandi occhi neri, profondi e penetranti come lame, che quando osservavano parevano scrutare come i falchi. I capelli, corti ma non troppo, anch'essi neri come il carbone, creavano un netto contrasto con la sua carnagione cerea.

Gwen parlava poco, e alcune volte era completamente inespressiva, tanto da assomigliare ad una bambola di porcellana.
Non era una ragazza che si definiva più bella, più brutta o più o meno intelligente degli altri. Alcune volte si sentiva semplicemente un po' diversa.


Era una mattina di metà settembre e stranamente faceva un gran freddo. Il cielo era di un color grigio cupo, come spesso accade in Inghilterra, ed era completamente coperto: in giornata avrebbe certamente piovuto.
Arrivata davanti al cancello della scuola Gwen trovò poche persone e si confuse tra il gruppo aspettando di poter entrare.
Notò che tutti indossavano l'uniforme scolastica: una divisa semplice, con colori spenti: bianco, nero, grigio.
Nelle scuole inglesi era d'obbligo, indossare l'uniforme, ma spesso e volentieri Gwen non dava importanza a questa regola. Non aveva alcuna intenzione di modificare il suo modo di vestire, poichè era unico nel suo genere: neanche una volta aveva indossato un colore che andasse oltre la gradazione del nero.

Quasi nessuno si accorse di lei, ma lei importò ben poco: odiava a morte sentirsi osservata.
Si distrasse guardando altrove. Volse lo sguardo verso gli alberi del cortile della scuola e in lontananza scorse, al di là di essi, le guglie malridotte di una cattedrale. Subito sussultò di meraviglia, ma proprio in quel momento la campanella suonò. A malincuore Gwen distolse lo sguardo e si affrettò a entrare. Raggiunse presto la sua classe e non appena entrò notò subito alcuni dei suoi nuovi compagni osservarla dall'alto in basso, il classico modo di guardare l'ultimo arrivato. Mr Gold, il solito professore di storia, stava dietro la cattedra e scriveva qualcosa alla lavagna. Gwen osservò il suo buffo gilet e il monocolo che portava sull'occhio destro. Era sempre stato un tipo all'antica, e non era cambiato nemmeno di una virgola. Camminando appoggiato al suo solito bastone si affettò a chiudere la porta dell'aula e a cominciare la lezione. Gwen si guardò intorno. Tra gli studenti vide volti noti e alcuni perfettamente sconosciuti. Il suo banco era lo stesso di sempre: penultima fila, ultimo banco accanto alla finestra.

 

Al cambio dell'ora la ragazza uscì in corridoio per rimettere i suoi libri nell'armadietto. Uno di essi le cadde per sbaglio: non era un libro scolastico, ma un libro di narrativa che teneva nascosto nello zaino: nel caso si fosse annoiata avrebbe proseguito la sua lettura.
Fece per raccoglierlo ma qualcuno la precedette. Alzò lo sguardo e si trovò davanti un ragazzo poco più alto di lei con i capelli scuri, gli occhi verdi e un sorriso amichevole. Era uno degli studenti nuovi della sua classe, e probabilmente era venuto a presentasi.

-Ti chiami Gwen, giusto?- le chiese. La ragazza annuì ricambiando il sorriso e sforzandosi di sembrare socievole. Lui le porse gentilmente il suo libro dipo aver lanciato un'occhiata alla copertina. -Oh! Rymer, un grande scrittore.- disse. -Io sono Trent.-
Gwen lo ringraziò. Il ragazzo le rivolse un ultimo sorriso e tornò dai suoi amici. Lei rimase ad osservarlo per un momento. Per un momento ebbe una strana sensazione, un dejavu, un'illuminazione: era convinta di avere già visto quel ragazzo da qualche parte in passato. Forse da piccola? Ma dove, poi? Era stato il primo a rivolgerle la parola e provava quasi simpatia per lui.

Notò poi le due ragazze con le quali stava scambiando qualche parola: erano allegre e vivaci, e se ne andavano in giro mostrando a tutti le loro borsette rosa nuove di zecca. Tutto ciò riportò Gwen ai tempi dell'asilo: le altre bambine erano biondine e carine; lei era una morettina pallida, gracile e sempre vestita di nero, per niente socievole e, come si definiva lei, una sfigatella. Per la prima volta pensò che avrebbe avuto un amico.

La giornata proseguì lentamente. Gwen scriveva poche righe sul quaderno e di tanto in tanto osservava, fuori dalla finestra, gli alberi scrollarsi di dosso le foglie appassite e la nebbia che avvolgeva la città.
Se guardava più in là che poteva riusciva a scorgere una massiccia torre campanaria che si concludeva, sulla cima, con quattro guglie, la stessa che aveva intravisto quella mattina dal cortile della scuola. Se faceva attenzione poteva udire il suono delle campane: era affievolito, ma riuscì a contare i rintocchi. Sedici! Finalmente la giornata era finita.
Erano le quattro del pomeriggio, e siccome non c'era un raggio di sole Gwen non sentì la necessità di tornare immediatamente a casa. Oltretutto era ancora presto, e non aveva nulla di particolarmente importante da fare. Decise così di fare un giro in città.
Aveva intenzione di attraversare l'isolato e di raggiungere la vecchia cattedrale di cui aveva scoperto l'esistenza e che tanto la incuriosiva, quasi la chiamasse a se. Quasi dicesse -Vieni, ti sto aspettando-.
Gwen era sempre stata affascinata dalle cattedrali. Erano luoghi dove avrebbe potuto rimanere per ore, e nemmeno lei sapeva il perchè. Ce n'erano un'infinità anche nella sua vecchia Londra, e naturalmente non ne aveva tralasciata nessuna: St.Mary, St.Gabriel, SouthWark, Westminster Abbey, tutte magnifiche. Ed era proprio per le sue amate cattedrali che si era promessa di tornare a fare visita a Londra il più presto possibile.

Uscita da scuola percorse alcune strade trafficate e notò passanti che camminavano a testa china e poliziotti a cavallo. Non sarebbe stato un problema ritrovare la via di casa, poiché avrebbe semplicemente ripercorso quella strada al contrario.
Ancora pochi passi e si lasciò alle spalle il gruppo di case addossate l'una all'altra, e giunse davanti a quel maestoso edificio.
Sulla gradinata davanti ad esso stavano sedute poche persone, probabilmente studenti in visita, entusiasti delle loro foto appena scattate che avrebbero mostrato agli amici una volta tornati a casa.
La nebbia si era dissolta e la ragazza potè ammirare la cattedrale in tutta la sua magnificenza. Osservò la facciata: un alto arco acuto si stagliava verso l'alto, imponente ed elegante.

Sul tetto c'erano dei corvi, immobili e vigili, quasi dovesse accadere da un momento all'altro qualcosa di inaspettato. Ecco che si alzò il vento, e i pennuti spiccarono il volo formando uno stormo compatto, scomparendo nel bianco di un cielo settembrino ricoperto di nuvole.
Lì fuori faceva freddo. Gwen non resistette a rimanere ferma a guardare. Avanzò di qualche metro, lentamente salì la scalinata tenendo gli occhi fissi sull'alta vetrata che aveva di fronte. Ed ecco, spinse il portone e...

Si sentì piccola piccola.
Le sue narici furono invase da un intenso e delizioso profumo di incenso. Quell'ampia sala, quelle grandi colonne e quegli alti archi parevano proteggerla, avvolgerla in un abbraccio confortante e ospitale. La luce e il calore delle candele creavano una piacevole atmosfera. Il rumore lento dei suoi passi riecheggiava nel silenzio più assoluto. Ebbe di nuovo quella sensazione, come se conoscesse quel luogo da sempre, come se ci fosse già stata.
Anche se per Gwen era diventato del tutto normale visitare cattedrali, visto l'interesse che nutriva per esse, ognuna di queste riusciva sempre a regalarle un momento di estasi. Avendo sempre avuto una prodigiosa immaginazione era convinta che non fossero soltanto semplici costruzioni. Ognuna di quelle colossali e celestiali dimore che parevano avere un'anima propria le ispirava lo stesso pensiero: ''Lei vive, e sa parlare."

Non incontrò nessun altro. Probabilmente era l'ora di chiusura. Il momento perfetto, il posto perfetto.

Il tempo di un ultimo giro e tonò a casa. Ai suoi genitori non piaceva che facesse tardi.

Gwen era figlia unica, ma ciò non le dispiaceva affatto. Sua madre, Victoria Hades, chiamata da tutti Vicky, era una donna attraente e cordiale; il padre, Emil Hades, impresario di pompe funebri, teneva alla figlia più di ogni altra cosa al mondo.

Gwen aveva anche una nonna. Il suo rapporto con quest'ultima, però, aveva preso una brutta piega poco tempo dopo il suo nono compleanno, quando il suo anziano nonno era venuto a mancare.

Ancora poco tempo dopo un suo lontano zio aveva perso la vita in un incidente d'auto.

Agli inizi quella famiglia aveva sempre vissuto felicemente, unita e lontana dalla mala sorte. Ma improvvisamente la loro vita aveva cominciato a cambiare. La vecchia signora non credeva affatto alle coincidenze. Ella, rimasta vedova, aveva incolpato la nipote di quegli sfortunati eventi e aveva continuato a disprezzarla per il resto della sua vita. Gwen aveva sentito dire che la nonna aveva studiato, in giovane età, arti occulte come la magia nera. Probabilmente per questo motivo i genitori della ragazza avevano cominciato a credere che fosse pazza.

Pochi anni dopo la vecchia signora aveva lasciato la casa dove aveva vissuto per ritirarsi in un paesino sulle montagne del nord, e di lei non si era saputo più nulla.


***


Quella mattina, Gwen, all'entrata da scuola si era unita per caso a un gruppo di ragazze della sua stessa classe. Una di queste, Anne, stava parlando da ore del suo fantomatico fidanzato e Gwen lottava contro un desiderio irrefrenabile di soffocarla con le sue stesse mani.
-Il mio ragazzo non mi richiama più, non si fa sentire da settimane. Ho paura che mi tradisca con un'altra...-
-Sarebbe terribile, come potrebbe farti una cosa del genere?- commentava la sua amica.

Improvvisamente a Gwen parve che quella ragazza si rivolgesse a lei quasi a chiederle un parere, ma per qualche secondo la osservò solamente, e quando notò la sua espressione distratta e indifferente se ne uscì con: -Tu non sei una che parla molto, vero?-

Stupita che quella ragazza le avesse fatto proprio quella domanda, Gwen si limitò a rispondere: -Soltanto quando necessario.-

In quello stesso momento udì una voce nota provenire da poco lontano.
Apparteneva a un certo ragazzo di nome Trent, di cui la ragazza, voltandosi, incrociò lo sguardo. Sentì di stare arrossendo, e distolse gli occhi quasi subito.

-Che cosa stai guardando, amico?- gli chiese Conrad, il suo migliore amico, divertito, notando la sua espressione imbarazzata.
-Sto ripensando ad una persona che ho incontrato questa mattina in corridoio.- disse lui.

-Chi è?- volle sapere l'altro a tutti i costi.

-Una ragazza.- rispose Trent. -Più ci penso e più sono sicuro di averla già incontrata da qualche parte.-

-D'accordo, ma chi è? Come si chiama?-

-Si chiama Gwendolen. Ma qui tutti la chiamano Gwen.-
-Ti riferisci a quella asociale disturbata che sta nella tua stessa classe?- chiese Justin, il terzo amico, unitosi alla compagnia. -Fossi in te eviterei di parlare con lei. Ascolta il mio consiglio.- Trent non gli diede ascolto.

-Non è carina?- fece, tornando ad osservarla. Stava appoggiata al muro guardandosi attorno, inespressiva. -No, è impossibile che io l'abbia già conosciuta. Se l'avessi incontrata in passato non l'avrei dimenticata. Non ho mai visto una ragazza così prima d'ora. Ha qualcosa di speciale. Io credo di essermi innamorato.-
Trent sperò di non pentirsi di aver rivelato ai suoi amici i suoi sentimenti per Gwen. La campanella lo distrasse dai suoi pensieri.
Al momento di entrare in classe i due si scontrarono accidentalmente sulla soglia. -Scusa- si dissero all'unisono, arrossendo entrambi. I loro compagni, vedendo la scena, cominciarono a deriderli.
-Trent, non sapevo che sapessi rimorchiare così in fretta!-

-E anche Morticia non scherza!- fece uno dei vecchi compagni di Gwen.

Un comportamento pari a quello di un branco di mocciosi.
Un ragazzetto poco più giovane di Gwen, particolarmente sveglio e spiritoso, rideva a crepapelle e gridava: -Mai vista una strega innamorata!-

Gwen lo fulminò con lo sguardo. Il ragazzo smise all'istante di ridere, e la sua espressione divertita divenne in meno di un secondo un'espressione di pura angoscia. Tornò a sedersi, parecchio intimorito dagli occhi della ragazza che lo fissavano senza sosta.
La lezione cominciò.


***


Il giorno dopo accadde qualcosa di strano. Alle famiglie degli studenti arrivò una lettera che comunicava che la scuola era stata chiusa a causa di uno sconvolgente accaduto: a quanto pareva uno studente era precipitato da una finestra ed era morto sul colpo.
Le madri e i padri erano talmente scioccati che minacciarono di non far più mettere piede in quella scuola ai loro figli finchè la polizia non avesse scoperto come si fossero svolti i fatti. I genitori di Gwen non sembravano preoccuparsi di quanto successo, sebbene suo padre fosse stato coinvolto nell'organizzazione del funerale del ragazzo. Inutile dire che per lui organizzare funerali era diventata un'abitudine e, mestamente parlando, quasi un divertimento.
Quella mattina Gwen era rimasta a casa, per niente scossa dalla notizia, oltretutto dopo aver saputo dai suoi genitori che il ragazzo deceduto era lo stesso che l'aveva derisa il giorno prima a scuola. Non che ne fosse felice, ma non era rimasta particolarmente colpita.
Quel giorno si era chiusa nella sua stanza ad osservare dalla finestra le onde del mare, i nuvoloni grigi all'orizzonte e i gabbiani che si posavano sulle vele.
La sua camera era spaziosa ed accogliente, e non aveva niente in più o in meno di quello che può desiderare un'adolescente.

C'era un grande letto ricoperto da un piumino nero decorato in pizzo; un grande armadio dove Gwen teneva tutti i suoi vestiti più belli; sulla parete di fronte al letto c'era un piccolo camino che, a causa del freddo, teneva sempre acceso; qua e là, sui mobili in legno antico, stavano alcune candele profumate, le cui fiammelle illuminavano un poco la stanza avvolta dalla penombra per via del clima fosco di quella mattinata.
C'era solo un'alta finestra a due imposte che all'estremità prendeva la forma di un arco acuminato. Due spesse tende di velluto nero lasciavano passare soltanto uno spiraglio di luce che illuminava i petali di una rosa rossa, immobile in un vaso poggiato sulla scrivania dove solitamente la ragazza sedeva per studiare.
In quel piccolo oscuro paradiso lei si sentiva come una bella principessa nascosta al sicuro nella sua torre. Trascorreva molto tempo nella sua stanza a divorare uno dopo l'altro i suoi libri preferiti, o a scrivere i suoi pensieri sul suo diario. Ora che la scuola era incominciata erano tante, le novità da raccontare.

"Questa città è sempre avvolta da un alone di mistero. E' piccola, ma ogni giorno c'è qualcosa da scoprire. Poco lontano dalla scuola c'è una bellissima cattedrale, ed è più forte di me, ci passo davanti ogni giorno. E che dire della scuola? Potrebbe essere fantastica, se non fosse per quei pazzi che vi si incontrano. È cominciata da una sola settimana ed è già successa una disgrazia.

Ma pochi giorni fa ho conosciuto un amico. E' simpatico, anche se capisco dal suo modo di atteggiarsi che è molto diverso da me. Finora è stato l'unico a rivolgermi la parola. Forse da questo incontro imparerò qualcosa di buono..."



La scuola riaprì dopo tre giorni. I docenti trovarono gli studenti di quarta classe molto spaventati, e avevano tutte le ragioni di esserlo dopo ciò che era accaduto. Avevano perso uno dei loro compagni dopo una sola settimana di scuola senza sapere il perchè, dato che pochi giorni prima non sembrava avere alcun tipo di problema.

Data l'assidua indifferenza di Gwen gli altri studenti cominciarono a pensare che lei c'entrasse qualcosa con l'accaduto.
Nonostante ciò, Trent continuava a passare del tempo con lei cercando di conquistarla. La sua opinione su di lei non cambiava. Oltretutto la difendeva dalle malelingue poichè sapeva essere innocente.
Quel giorno, all'ora dell'intervallo, mentre tutti uscivano a divertirsi in cortile, Gwen rimase in classe per conto suo. Quella mattina aveva indossato l'uniforme scolastica. Non le piaceva portarla, ma le stava davvero bene.
Osservava dalla finestra un gruppo di ragazzi che chiacchieravano tra loro e di tanto in tanto ridevano di gusto. Non capiva cosa ci fosse al mondo di tanto divertente di cui parlare. Lei non rideva spesso, e non era affatto un tipo divertente.
Tutti i ragazzi della sua età approfittavano delle belle giornate per uscire, andare a divertirsi o al mare. Quasi come i vampiri, lei usciva raramente nelle giornate di sole. Non poteva sopportare quella luce così luminosa.
In estate il mare era di un blu intenso, e la spiaggia inondata di sole brulicava di voci e di colori.
Gwen era stata al mare soltanto poche volte: in inverno, quando la spiaggia era deserta e si udivano soltanto il fragore e il sussurro delle onde di un mare dall'acqua scura, che finalmente poteva far udire la sua voce senza che fosse coperto dalle chiacchiere e dalle grida giocose di bambini scatenati. Gwen, che all'epoca aveva sì e no dieci anni, amava scendere in spiaggia per ascoltarlo: il suo respiro, quasi un lamento.
Soli, lei e il mare.

Improvvisamente qualcuno entrò nell'aula. Gwen distolse lo sguardo dalla finestra e vide Trent immobile sulla soglia, che la sorrise e la salutò.
-Non dovresti essere con i tuoi amici?- gli chiese, tornando ad osservare il cortile, pensierosa. Non ricevette risposta. Il ragazzo le si avvicinò e le chiese se stesse bene.
-Sto bene. Sono solo un pò scossa per quello che è successo.- mentì lei.
-Ti capisco.- disse Trent, comprensivo. -Disgrazie del genere accadono di rado, ma purtroppo accadono.- continuò.
Al ragazzo, che intendeva sollevarle il morale come era solito fare con le persone a lui care, venne una brillante idea.
-Hai programmi per questo pomeriggio?-
Gwen ci pensò un momento. Che cosa avrebbe avuto da fare? Aveva una vita monotona: casa, scuola, scuola, casa. -No- mormorò, spostando lo sguardo sul solito albero spoglio fuori dalla finestra.
-Ti va di fare un giretto?- chiese di nuovo Trent.
Gwen sgranò gli occhi. Era un invito a uscire, e lei non ne aveva mai ricevuto uno.
-Potremmo vedere la città. Sarei felice di accompagnarti.- continuò lui. Non era una cattiva proposta. Trent era così gentile...
-Grazie- disse Gwen. -Direi che va bene.-
-Forte- disse Trent, entusiasta. -Ti va se vengo a prenderti a casa?-
-Sì, certo.- rispose lei.
La campanella suonò.

 

Continua...

  
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