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Autore: hiromi_chan    09/11/2014    4 recensioni
Piano... piano... piano.
Chiudi gli occhi, così. Non è niente. Il dolore poi passa. In silenzio, in punta di piedi, discreto...
Kieren scivola via.

Human!AU
[Questa storia è arrivata seconda al contest “Tempo di... tag! Second edition” indetto da Ili91 sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kieren Walker, Simon Monroe
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nda: Il titolo viene dalla canzone omonima degli Sleeping at last, senza la quale non sarei riuscita a scrivere questa storia. Anche la citazione sotto al titolo riprende una strofa della canzone.

Attenzione! Questa storia partecipa al contest “Tempo di... tag! Second edition” indetto da Ili91 sul forum di EFP.

Il tag con cui ho scelto di partecipare è human!AU, pertanto in questo universo non ci sono zombie e Kieren e Simon sono umani. Spero che la storia possa piacervi comunque e che l'AU non vi impedisca la lettura.

La città in cui è ambientata la storia, come la Roarton del telefilm, è fittizia.

In questa ficiton, inoltre, si affrontano tematiche delicate quali suicidio, depressione e uso di droghe. Penso non siano una novità per i fans di In the Flesh, ma in ogni caso ho tentato di descrivere tutto ciò in modo un po' edulcorato, senza essere troppo diretta. Se con questo scritto urterò la sensibilità di qualcuno, me ne scuso in anticipo.

 




 

Saturn

 

 





>>With shortness of breath you explained the infinite,

how rare and beautiful it is

to even exist

 

 

 



Piano... piano... piano.

Chiudi gli occhi, così. Non è niente. Il dolore poi passa. In silenzio, in punta di piedi, discreto...

Kieren scivola via.

 

Ϟ

 

Non era una piccola città, Saturn Shore. Di ridenti comunità rurali Kieren ne aveva avuto abbastanza per due vite intere, grazie tante.

Saturn Shore era ben collegata ai poli nevralgici del Regno Unito da un efficiente sistema ferroviario. Il centro pullulava di vita; di notte i pub si accendevano come candele, riempiendosi di universitari desiderosi di dimenticare per un po' le loro crisi di nervi. Come nelle migliori tradizioni, scorrevano fiumi e fiumi alcol.

Nessuno conosceva davvero nessuno. Chi voleva poteva perdersi in oceani di punti interrogativi come un'ombra senza volto. Oh, sì, nel complesso era davvero un posto ricco di attrattive per Kieren Walker.

La cosa più importante era che a Saturn Shore c'era il Saint James, l'istituto d'arte migliore della nazione. Kieren in quel momento se ne stava lì, a venti metri dall'ingresso, sperduto nei suoi stivali vecchi e nel cappotto nero.

La valigia pesante gli tirava giù il braccio così da ingobbirlo leggermente di lato, ma lui non riusciva a farle toccare terra. Semplicemente, non poteva.

Si sentiva solo in grado di rimanere a fissare le porte del suo futuro e così fece, per lunghi minuti.

Il Saint James era un bellissimo edificio dalla facciata classica. Gli studenti se ne stavano appollaiati sugli scalini come grossi gatti pigri; alcuni ascoltavano la musica appoggiati alle colonne. Diversi gruppi di ragazzi si muovevano a frotte verso la scuola, altri ancora se ne stavano accampati nel giardino intorno, leggendo o parlando. Anche quelli che sembravano fermi, in qualche modo, si muovevano, mentre lui stava così, incapace di andare avanti.

Inspira. Espira. Inspira. Espira.

Gradualmente le voci si alzarono di tono, parole su parole che si fondevano fino a diventare raffiche di sillabe, suoni fluidi e molli uniti in un unico fischio sordo che risucchiava il fiato di Kieren.

Inspira. Espira. Inspira. Espira...

“Ehi, sta' attento!” lo richiamò qualcuno, andando a sbattere contro il suo gomito.

Kieren sbatté le palpebre. Dopo qualche attonito secondo scrollò la testa e, preso l'ennesimo profondo respiro, se ne andò più in fretta che poté.

 

Ϟ

 

Quattro mura di un ocra sbiadito, un letto squadrato, una scrivania vuota e un armadio dalle ante pesanti di un legno diverso da quello della scrivania; questa era la stanza che Kieren aveva preso in affitto, un'accozzaglia scoordinata di cose anonime.

Gli veniva da ridere se ripensava che la padrona di casa, una donnetta bassa tutta rughe e guance rosee, gli aveva detto senza ironia, “Vedrai, ragazzo, questa camera farà proprio per te.”

Kieren si morse le labbra, poi prese in mano il cellulare, deciso a chiamare il numero che tentava di comporre da mezz'ora. In ogni caso avrebbe dovuto farlo, quindi meglio non pensarci più.

Dopo due squilli gli rispose una voce di donna, una nota ansiosa dietro il sollievo. “Tesoro, stavamo per chiamarti noi! Come stai?”

“Mamma... tutto bene,” disse, sedendosi sul bordo del letto.

“Come va? Com'è il tempo, come... come ti trovi?”

Lui guardò fuori dalla finestra: cielo si era incupito di una sfumatura di grigio poco incoraggiante. “È tutto perfetto,” disse senza sforzarsi troppo.

“Sei andato a visitare la scuola? Scommetto che è la prima cosa che hai fatto appena arrivato.”

“Sì,” disse, annuendo. Una mezza verità.

A quel punto dall'altro capo della linea provenne una serie di proteste e suoni soffocati, intramezzati da qualche espressione colorita di troppo.

Alla fine, la più piccola di casa Walker vinse la battaglia contro la madre. “Ascolta, Kier, vedi di smetterla di fare la testa di cazzo,” disse senza preamboli Jem non appena si appropriò del telefono. “Mamma e papà sono stati tesi tutto il giorno aspettando tue notizie, papà non si è quasi mosso dalla poltrona – no, mamma, fammici parlare. Voglio che tu... voglio che mi assicuri che starai bene. Starai bene?”

La piega preoccupata nel suo tono non era più nascosta dietro una spessa cortina di maleducazione e questo, per assurdo, rendeva le cose ancora più difficili.

Kieren si strizzò il ponte del naso, sentendosi più spossato che mai. “Sì, Jem. Te lo prometto... starò bene.”

 

Ϟ

 

Il primo giorno di lezione non andò poi tanto male. Neanche il secondo, né il terzo, né il quarto e, in questo modo, una settimana passò senza che qualcosa cambiasse. Kieren si era sforzato in tutti i modi di raggranellare un briciolo di interesse per seguire i corsi, l'aveva fatto davvero.

Si era sentito in collera con se stesso più del solito perché si supponeva che quello fosse il suo sogno. Non era ciò che aveva sempre desiderato, diventare un vero artista? Gli era stata data la possibilità di studiare la materia che più lo appassionava al mondo, ma allora perché al mattino non chiedeva altro che restarsene avvolto nel bozzolo delle coperte?

Le sue giornate avevano finito in qualche modo per invertirsi. Quando c'era il sole Kieren era sveglio solo sulla carta mentre quando faceva buio si sentiva rinvigorito. Si impegnava per ignorare testardamente che, in realtà, dipingendo nel cuore della notte sottraesse ore al sonno.

Ma il pennello non ne voleva sapere di staccarsi dalla tela, e allora erano tutti sguardi accusatori di tempera che lo fissavano, giudicandolo (perché, Kieren, perché?). Erano gabbie strette, prigioni per persone piccole piccole che dovevano abbassare la testa e piegare la schiena per poterci entrare.

Tutto ciò sarebbe stato avvilente e sicuramente preoccupante, se solo Kieren non ci fosse stato abituato.

“È come prima,” disse una sera alla stanza vuota, il pennello che indugiava appena sulla mascella squadrata del ragazzo nel ritratto.

Era rassicurante, per un certo verso, perdersi in quel modo. C'era un potere subdolo e appagante nel decidere coscientemente di tagliare i contatti con la realtà.

 

Ϟ

 

Il professore di Prospettiva era un uomo metodico. Le sue giacche erano sempre inamidate e si stirava perfino le cravatte. Interrogava gli studenti in modo funzionale, estraendo dal cassetto una piccola clessidra per dare loro esattamente un minuto di tempo per rispondere a ogni domanda.

“Così da stimolare i riflessi del cervello,” diceva.

La clessidra era riuscita a catturare fin troppo l'attenzione di Kieren, poiché lui si scopriva spesso intento a fissare quella anziché ascoltare la spiegazione o, peggio, la domanda che gli veniva posta.

A ipnotizzarlo era la sabbia all'interno che passava per la strettoia. Kieren trovava assolutamente affascinante come fosse possibile accumularne una grande quantità granello dopo granello, se solo si lasciava fare al tempo.

C'era il anche fatto che vedere la sabbia scivolare pian piano verso il basso fosse come assistere alla conclusione di un viaggio. Sessanta secondi e qualcosa finiva.

“Sa qual è il punto della clessidra, signor Walker?” gli disse il professore il giorno in cui lui rimase imbambolato durante un'interrogazione lampo. Lo prese da parte al termine dell'ora quando usciva dall'aula, un sorriso che si apriva in mezzo alla sua barba corta e grigia, e disse proprio così: “Sa qual è il punto della clessidra?”

Kieren si chiese se dopotutto non fosse un svitato, ma si tenne quel pensiero per sé e scosse la testa, lentamente.

“Allora veda di scoprirlo.”

 

Ϟ

 

Venne a sapere del promontorio quando i suoi compagni lo invitarono a bere qualcosa un sabato sera. Lui rifiutò educatamente e poi rimase seduto in mezzo a loro, perché a quel punto sarebbe stato ancora più strano alzarsi e andare via. Così li sentì parlare di quanto il promontorio fosse un soggetto delizioso per qualche schizzo.

Era un posto impressionante, dissero, conosciuto da pochi e sempre deserto. Sulla cima c'era una casa abbandonata di tufo bianco con il tetto marrone. Pareva che una volta ci abitasse una ragazza, tragicamente morta in mare qualche anno prima.

“Era una tipa strana, vi dico,” mormorò Elisa, piercing al naso e strati di matita nera intorno agli occhi. “Anche sua nonna lo era prima che morisse. Una svitata, intendo. Le conoscevo solo di vista, ma so che hanno vissuto sempre a Saturn Shore. Una famiglia sfortunata, ecco cos'erano. Perfino la casa porta sfortuna, per questo nessuno l'ha ancora ricomprata. È vero!”

Ovviamente, Kieren era andato a dare un'occhiata.

Il promontorio distava una trentina di minuti a piedi dalla città. Solo mezz'ora e ci si poteva lasciare alle spalle pub e fiumi di birra. Bastava così poco perché l'esercito anonimo del centro abitato diventasse un ricordo lontano.

Chi arrivava alla costa si trovava davanti quella piccola altura come un graffio nella tela d'autore che hai pagato milioni di sterline. Kieren amò quel luogo al primo istante, perché nella sua semplicità era tutto da scoprire.

La casa della ragazza affogata era davvero come l'avevano descritta: una macchiolina bianca in cima alla cresta. Kieren si avventurò fin lì, indugiando appena con gli occhi sulle finestre ormai sudice e opache.

A cinque metri dalla porta di legno si apriva il basso strapiombo. Da lì partiva anche una lunga fila di scalini grezzi e dall'aspetto poco sicuro. Erano intagliati nella roccia, quasi invisibili se non ci si faceva attenzione. Kieren aveva sceso i gradini, aggrappandosi a qualunque sporgenza trovasse; quindi aveva scoperto che portavano a un minuscolo fazzoletto di sabbia accessibile solo da quel punto, che si allargava in un imbuto di mare dimenticato dai più.

Come gli stivali toccarono il suolo pressato e scuro, lui decise che quello sarebbe diventato il suo posto.

La striscia di spiaggia nascosta tra le rocce divenne il luogo in cui trovava riparo quando le cose si facevano un po' troppo insostenibili e il fiato gli mancava nei polmoni. Ci andava dopo lezione e spesso ci tornava di notte armato di torcia, anche se era comunque troppo buio per non essere una mossa almeno un po' stupida.

Eppure lì si sentiva a casa molto più che all'interno della stanzetta in città.

Forse perché gli ricordava la sua grotta, la loro grotta, e anche questa non era affatto una cosa intelligente.

Ciononostante, niente poteva diminuire l'amore che Kieren provava nel sentire il vento sferzare e fischiare tra le insenature dei muri di roccia. Gli piaceva anche osservare la luna che annegava nel proprio riflesso tremolante nell'acqua.

Era un luogo freddo permeato da un forte odore di salsedine, umido sia prima che dopo il tramonto.

Molte volte, seduto sulla sabbia semi bagnata, Kieren si abbandonava a sé stesso, permettendosi di pensare a Rick.

Rick che se n'era andato portandosi via il suo cuore e ogni goccia di passione e motivazione, lasciandolo con un senso di colpa leggermente scontato e con due cicatrici sbilenche sui polsi – molto meno banali del senso di colpa, quelle.

Era perfino pericoloso, starsene al promontorio quando saliva la marea.

 

Ϟ

 

“Dyer, si chiamava. Amy Dyer. La vedevo andarsene in giro con quelle ridicole gonne vintage che si procurava nei mercatini dell'usato o tra i vestiti del centro di carità. Sì, ti dico, scambiava i suoi abiti nuovi con quelli lì, quelli dei poveri. Davvero eccentrica. Perché volevi sapere il suo nome, comunque?”

 

Ϟ

 

Le lapidi, le croci, i monumenti funebri, le cappelline: ogni elemento sembrava messo a caso in quella confusione di stili e iconografia cristiana. Ironicamente, il cimitero di Saturn Shore ricordava a Kieren la sua stanza in città. Era silenzioso e il percorso di ghiaia che scricchiolava sotto le scarpe sapeva di familiarità e malinconia.

Le facciate di alcune cappelle seguivano l'estetica classicheggiante mediterranea; ingrigite dal tempo, si stagliavano contro il cielo plumbeo. Gli alberi alti si incurvavano abbracciando tutto il cimitero, proteggendolo dal tiepido sole.

“Amy Dyer,” lesse a mezza voce Kieren, avvicinandosi a una piccola lapide bassa. Rispetto alla vistosità di certe altre tombe, aveva un aspetto dimesso, ma più naturale.

“La conoscevi?”

Kieren si voltò in direzione di quella voce oscura e strascicata che l'aveva colto di sorpresa. A parlare era stato un uomo giovane, anch'esso oscuro e strascicato nei colori e nel portamento.

“No,” disse Kieren, le braccia che oscillavano involontariamente. “Vado spesso alla casa dei Dyer sul promontorio. Ho saputo che... insomma... non so cosa volessi fare. Volevo solo... vederla, suppongo.”

L'altro gli scoccò un'occhiata, come valutando se ciò che aveva detto fosse una scusa o solo il risultato di una pessima abilità dialettica. “Come mai vai lì?” disse alla fine. Poi adocchiò il blocco che Kieren teneva strizzato sotto braccio. “Oh. Un artista. Ok. Voi artisti pensate che tutto vi sia permesso. Il mondo è vostro. Ok.”

Kieren non capì se lo stesse prendendo in giro o rimproverando. In ogni caso, nessuna delle due opzioni era particolarmente piacevole.

L'uomo continuava a squadrarlo con aperta curiosità e allora lui fece per andarsene, indicando dietro di sé con un gesto goffo ma inconfondibile.

“Simon Monroe,” disse lo sconosciuto, la decisione di chi ha valutato bene cosa fare ed è sicuro della sua scelta.

“Cosa?”

“È il mio nome. Sono un suo amico. Di Amy,” aggiunse, ammiccando verso la lapide.

Sono un suo amico.

“Kieren Walker,” disse automaticamente lui.

Nessuno dei due tese la mano; Simon aveva assicurato le proprie in un intreccio di dita, mentre quelle di Kieren erano ancorate al blocco da disegno. Nel complesso, in quel momento formavano un quadretto piuttosto ridicolo.

“Puoi farle omaggio, già che ci sei,” propose Simon. Sembrava assolutamente sincero, stavolta, e quello era il peggio che potesse capitare, perché Kieren non sapeva esattamente come si facesse omaggio a un morto.

“Non me la sento, grazie.”

Grazie? Bel colpo. Fantastico, Kieren.

“Puoi tornare a trovarla,” replicò in fretta Simon. “Io ci vengo tutti i giorni. Ad Amy farebbe sicuramente piacere.”

“È morta,” pensò Kieren. E poi: “Questo tipo è strano. Per caso ci sta provando con me... e lo sta facendo qui?”

 

Il pomeriggio dopo tornò al cimitero di Saturn Shore portando un giglio.

Il pomeriggio dopo ancora, scelse una margherita.

 

Ϟ

 

Ogni volta Kieren lasciava un fiore diverso sulla tomba di Amy Dyer e, quando non lo faceva, ne disegnava uno per poi appoggiare il foglio accanto alla lapide.

Simon gli parlava così tanto di Amy il bellissimo genio che, dopo qualche tempo, a Kieren pareva di averla conosciuta davvero. Simon gli aveva raccontato che Amy era malata di leucemia e che tutti, lei per prima, si aspettavano sarebbe stata quella, la sua fine.

“Invece un giorno ha sceso le scale che portavano alla spiaggia e poi non è tornata più,” aveva detto.

Simon aveva qualcosa di magnetico, nella sua persona. Doveva essere così, altrimenti Kieren non avrebbe saputo spiegarsi perché continuasse a tornare al cimitero, in primo luogo.

Gli aveva raccontato di essersi laureato in filosofia, ma era stato molto abile nell'evitare anche il più piccolo riferimento a cosa facesse adesso.

Kieren era convinto che non si occupasse di un bel niente. Semplicemente, se ne stava lì, sprecando ore e ore dei suoi pomeriggi in compagnia di ragazzi sconosciuti per filosofeggiare sugli argomenti più disparati – perché sapeva parlare, Simon Monroe, oh, sì.

Qualche volta faceva molte pause e si esprimeva a monosillabi, come quando si erano incontrati; tuttavia, succedeva raramente. Era chiaro che si impegnasse molto affinché ciò non accadesse. In realtà era dotato di un ottimo vocabolario che non si risparmiava di sfoggiare quando discuteva con passione. In quelle occasioni si dimostrava molto sicuro di sé, sebbene le tesi che sosteneva fossero, a volte, francamente ridicole.

“Secondo me nemmeno tu ci credi alle stronzate che dici,” gli disse un giorno Kieren. “Però sei un ottimo venditore, lo riconosco.”

Col tempo, Simon si rivelò ottimo un po' in tutto.

Non chiedeva mai chi fossero i soggetti dei suoi schizzi e di questo Kieren gli era implicitamente grato.

Studiava i fogli con attenzione, dedicando a ciascuno molti minuti di scrutinio silenzioso. A volte qualcosa cambiava nel suo viso, una ruga si attenuava o l'arco delle sopracciglia si addolciva, e così erano in due a portare avanti lunghe osservazioni: Simon che guardava i disegni di Kieren, Kieren che tracciava con il pensiero i lineamenti di Simon.

La chiusura della sua figura aveva una certa eleganza, aveva notato. La apprezzava perché aveva l'occhio allenato di un artista... in parte.

Nonostante tutto ciò, Simon era un uomo che non si sarebbe potuto definire un'ottima compagnia. C'era qualcosa di schivo, nella sua persona, mischiato a un carisma un po' spaventoso che avrebbe potuto aprirgli molte porte, se usato nel modo giusto.

Erano parecchie le cose di cui non parlava. Sapeva essere velenoso tanto quanto sapeva perseguire con testarda tenacia le sue tesi un po' strambe su come andava il mondo.

Eppure ora era diventato amico di Kieren.

Ricapitolando, Kieren trascorreva le giornate con una ragazza morta e un uomo più grande che incontrava al cimitero. Sembrava una barzelletta un po' macabra nella sua ironia.

Ormai dedicava più tempo a Simon e Amy che alle sue gite al promontorio. Sorprendentemente, non ne sentiva la mancanza.

 

Ϟ

 

Il professore voltò la clessidra con un movimentano secco del polso.

La sabbia prese a scorrere alla rovescia.

 

Ϟ

 

Simon aveva gli occhi blu. Kieren non l'aveva notato subito perché erano di un punto di blu molto scuro, uno di quelli che possono passare per un'innocua tonalità di nero e che invece, alla fine, ti stupiscono con dei graffi più chiari nel pozzo buio dell'iride.

I sorrisi di Simon, come le cose davvero belle, erano rari e inaspettatamente fragili. Forse temeva che, se avesse tirato troppo in su gli angoli della bocca, tutto il suo volto non avrebbe retto alla tensione e si sarebbe frantumato in mille pezzi. Così i sorrisi rimanevano là, storti a metà, vulnerabili e perfetti.

Più lo conosceva e più si rendeva conto che, a sorpresa, i suoi modi di fare, i modi di fare veri e non quelli impostati da oratore, erano buffi e imbarazzanti. Era una persona che sapeva farsi rispettare con uno sguardo, ma allo stesso tempo se ne andava in giro navigando in cappotti sformati e orrendi maglioni spelacchiati. Kieren si chiedeva se non si trattasse di tutto un elaborato sforzo per nascondere se stesso. Se era quella la verità, be', Simon stava fallendo spettacolarmente, perché era proprio dura ignorarlo, sotto ogni possibile fronte.

 

“Cosa disegni oggi, Kieren?”

“Uhm... te.”

 

Ϟ

 

Un giorno Kieren disegnò Amy Dyer. Non poteva essere davvero lei, ovviamente, ma nessuno gli impediva di fissare su carta l'idea che di lei si era fatto.

Uno schizzo a carboncino in quindici minuti; una cosa piuttosto veloce, ma non scialba. Una ragazza con un fiore nei capelli e gli occhi luminosi spalancati sul mondo.

“C'è così tanto di lei in questo ritratto,” mormorò con reverenza Simon quando Kieren glielo mostrò di fronte alla lapide. Fece per prenderlo, ma all'ultimo momento ritirò la mano. Passò le dita sopra al viso di Amy senza toccarlo davvero, piano. “È incredibile. Sei incredibile, Kieren. Il modo in cui tu vedi veramente, il modo in cui percepisci... Sei così brillante e nemmeno te ne rendi conto,” sussurrò quasi a sé stesso.

“No,” disse solo Kieren, scuotendo la testa.

Non credeva alle parole di Simon, non perché pensasse che fossero vuote o pronunciate per il raggiungimento di qualche tornaconto. No, era solo che non si era mai sentito speciale, quindi come poteva pensarlo qualcun altro?

Non credeva alle parole di Simon perché se le ripeteva in testa suonavano spaventose e troppo grandi.

L'idea sortì in lui uno strano effetto; improvvisamente si ritrovò agitato. Era bravo a mascherare le sue debolezze, lo era sempre stato, quindi era convinto che Simon non avrebbe notato altro che le sue sopracciglia corrucciate. Ma dentro tutto si muoveva.

“Amy diceva che il solo fatto di esistere è meraviglioso,” disse Simon con una deferenza che certa gente usa solo quando prega. “Sono contenta che tu esista, mi ha detto una volta. Penso che l'avrebbe detto anche a te.”

Lui non seppe cosa rispondere, quindi rimase zitto. Di colpo gli pareva di sentirsi incredibilmente scomodo. Si alzò, ripulendosi in fretta i pantaloni dalla terra umida che ci era rimasta appiccicata.

“Anche io,” disse Simon, rimettendosi in piedi a sua volta. I suoi occhi erano fissi sulla lapide di Amy, eppure si accorse dell'espressione interrogativa di Kieren. Si voltò e disse, come se fosse la cosa più naturale del mondo:

“Anche io sono contento che tu esista.”

Oh.

 

Ϟ

 

Kieren fece il tragitto fissandosi la punta degli stivali, la lingua stretta tra i denti e un problema molto difficile da risolvere. Arrivato a casa, si buttò a peso morto su letto, fissando con confusione la ventola appesa al soffitto.

Si portò una mano sul petto, a sinistra, e sentì che il cuore batteva lì dentro, che scalpitava con forza, furiosamente.

Abbassò le palpebre e per la prima volta pensò davvero a Simon, a come avrebbe voluto averlo con lui sopra al plaid ispido, a riempire il vuoto di quella stanzetta striminzita. Dio, ogni nervo e osso del suo corpo ora sembrava troppo scoperto e gridava affinché Simon lo stringesse a sé. Voleva farsi accarezzare i capelli, sentirci passare in mezzo le sue dita e...

“Merda.”

 

Ϟ

 

La sua spalla andò a premere leggermente contro il braccio Simon. Chiunque altro avrebbe potuto considerarlo un gesto accidentale ma, per qualche assurdo motivo, Kieren sentiva che lui avrebbe capito che non lo era affatto. “Io, te, cimitero... fa molto romanzo gotico, non ti pare?” disse.

Simon annuì, tormentandosi le dita nascoste sotto le maniche troppo lunghe. “Ok. Ok. Allora vogliamo passare a un Caffè? Conosco un posto... ehm... carino...”

Kieren si scoprì a ridere silenziosamente.

Si alzò dalla panchina gelata stirandosi le braccia. “Passeggiamo un po' e basta,” suggerì, salvando Simon dall'evidente difficoltà della situazione.

 

Ϟ

 

“Terra chiama Kieren! Come vanno le cose lassù, fratellone?”

Kieren sorrise. “Su Saturno c'è acqua.”

 

Prima di uscire si controllò velocemente allo specchio. Pensando a Simon che lo stava aspettando davanti a quel famoso Caffè di cui gli aveva parlato, si passò più volte le dita tra le ciocche biondo fragola e poi chiuse la porta dietro di sé.

 

Ϟ

 

Gli attacchi d'ansia erano diminuiti in modo drastico. Kieren ora trovava le lezioni stimolanti anziché vagamente interessanti, telefonava a casa una volta al giorno e lo sguardo di Rick non sembrava perforargli la schiena quando si addormentava dando le spalle al suo ritratto.

In realtà non era tutto perfetto. Ovviamente ancora gli capitava di sentirsi soffocare tanto da doversi precipitare fuori dall'aula; anche se la sua routine non prevedeva più orari invertiti, molte notti venivano trascorse ad occhi aperti, i pensieri e le accuse e le voci che gli ronzavano in testa senza dargli tregua.

Però andava meglio.

Certo, anche se preferiva non pensarci, non si aspettava davvero che le cose avrebbero potuto continuare in quel modo a lungo. Quella consapevolezza e il suo buon senso non resero comunque migliore la rottura dell'idillio.

 

Ϟ

 

Kieren stava disegnando un'orchidea per Amy, le gambe incrociate sopra alla panchina che distava qualche metro dalle lapidi. L'umidità aveva superato il sottile ostacolo della stoffa dei pantaloni e gli stivali premuti sotto i polpacci gli facevano male. Però c'era Simon accanto a lui e un timido raggio di sole faceva capolino da dietro una nuvola.

“Ma che cosa ci fai qui, Kieren?”

Simon guardava il cielo, l'espressione un po' severa e un po' sperduta.

Kieren non tentò nemmeno di dire qualcosa come “sto disegnando” o “sono venuto a trovare Amy”. La matita scivolò dalle sue dita, una tenue riga nera tagliò in due i petali del fiore di carta.

“Non mi piace che una persona come te sia in fuga così. Da che cosa stai scappando?”

Kieren abbassò lo sguardo. Erano così tante le cose da cui stava scappando che avrebbe fatto prima a dirgli quelle che non lo stavano inseguendo. Tuttavia, invece che articolare quel pensiero, disse:

“Com'è una persona come me?”

Simon allora lo guardò, gli occhi si allargarono per la sorpresa come per dire “ancora non lo sai?”.

No. Dimmi com'è uno come me.

Lui non rispose a quella domanda. Magari credeva che non fosse necessario, di sicuro era un idiota come Kieren, se non di più. “Fino a poco tempo fa anche io ero in fuga da me stesso e non ci tengo affatto a tornare indietro,” disse, le parole che vibravano su corde basse. “Ho corso così a lungo per evitare la mia stessa ombra che alla fine non sapevo più nemmeno dove mi trovavo.”

“E come ne sei uscito?” chiese Kieren, perché aveva disperatamente bisogno di quella risposta e perché gli si era stretto il cuore al pensiero che Simon avesse vissuto qualcosa di simile.

“Dio,” rispose lui.

Oh, no. No, no, no.

Kieren strizzò con forza le palpebre, le ciglia che si incollavano alla pelle sotto agli occhi. Quel discorso gli era stato fatto talmente tante volte dalle persone più disparate dopo... dopo ciò che aveva passato, che aveva finito per ottenere il risultato opposto a quello sperato.

“Non sei credente,” dedusse Simon dalla sua reazione.

“Dio deve aver guardato dall'altra parte quando il padre di Rick ha deciso che la mia vicinanza avrebbe reso suo figlio un finocchio e l'ha spedito a fare il soldato,” sferzò Kieren. Fu più forte di lui; non riuscì a trattenersi. Forse l'aveva fatto per troppo tempo, forse non avrebbe mai dovuto farlo, ma adesso le cose stavano andando così – adesso era impossibile fermarsi. “Oh, e dov'era Dio quando lui è morto laggiù? Deve essere andato in pausa caffè proprio nel momento in cui Rick è esploso insieme a una mina in Afganistan.”

La gola e gli occhi gli pizzicavano come se pronunciare ad alta voce quelle parole avesse lacerato tendini e nervi. Eppure non era finita; Kieren aveva appena iniziato a sentirsi bruciare.

“Ti incolpi per questo,” disse piano Simon, un lampo di comprensione che passava sulla sua espressione. “Non devi. Non devi. Kieren, i piani del Signore-”

“Per favore, non ci provare nemmeno,” lo interruppe, alzando il palmo. Si sforzò di mantenere la calma; anche se si sentiva vicino a raggiungere il punto di ebollizione, non sarebbe stato giusto prendersela con Simon. “Ascolta, non ho mai frequentato la chiesa con particolare convinzione,” buttò fuori, “non inizierò a farlo adesso solamente perché mi sento solo e ho bisogno d'aiuto.”

Il volto di Simon era una maschera indecifrabile. Ora che il sole si era nascosto del tutto, la sua pelle pallida sembrava quasi grigiastra. “Non c'è niente di male a chiedere aiuto,” disse piano, e la sua voce non era mai stata così delicata.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Kieren si infuriò in modo sproporzionato, ma chi poteva decidere cosa fosse sproporzionato o meno, quando nella sua vita non aveva mai avuto neanche il più piccolo briciolo di regolarità?

Non poteva credere che perfino Simon gli avesse riservato quei discorsi vuoti. Si alzò in piedi con uno scatto nervoso, inspirando, portandosi le mani sulla nuca.

“C'è questo gruppo di cui faccio parte,” disse Simon, e ora si stava accendendo, ora avrebbe iniziato a fare come faceva lui. “Parlare con loro risolverà molti dei tuoi problemi, se glielo permetterai. Ci vorrà tempo, ma non sarai da solo. Ti prenderanno per mano, accompagnandoti passo dopo passo. Ti basterà pensare solamente a stare bene. Vedrai che ti sentirai compreso. Ti capiranno, sapranno cosa è meglio per te. Per me è stato così, anche io adesso...”

Parole che scorrevano giù come miele, rassicuranti e prive di senso insieme; promesse disciolte in fantasie, facevano male perché erano state pronunciate proprio ora, proprio da lui.

Una sorta di rimborso per ciò che aveva perduto...

Come poteva Simon pensare che avrebbe potuto bastargli?

Come puoi farmi questo?

Oh, sì. Avrebbe dovuto immaginarselo. Simon non avrebbe potuto essere tanto carismatico per niente. Tutte quelle chiacchiere impostate sulla salvezza, sulla riflessione, sul dialogo con se stessi... era un altro uomo, quando parlava in quel modo.

E Kieren si sentì tradito.

“Fai parte di una setta di fanatici religiosi?” lo accusò, incredulo.

Simon si mosse appena sulla panchina, pensandoci su. “Detto così non suona molto bene.”

“Ma certo. Perfetto, sul serio,” brontolò il più giovane, prendendo a camminare nervosamente a destra e a sinistra.

A questo punto anche Simon si alzò, senza tuttavia avvicinarglisi.

Kieren doveva farlo ragionare, voleva che lui capisse. Non era possibile che non lo comprendesse. “Simon, a modo nostro siamo tutti piccoli e impotenti e... e spaventati, ma non serve a niente rifugiarsi in credenze di convenienza solo perché abbiamo paura.”

“In questo modo ti stai prendendo gioco dei miei ideali,” gli fece presente lui.

“No!” scattò Kieren, ormai teso come una corda di violino. “Non volevo! È che... cavolo, due anni fa sono stato in mezzo a una situazione di merda e credimi quando ti dico che l'ultima cosa di cui avevo bisogno era un prete che mi promettesse la salvezza della mia anima. Non era il modo giusto-”

“Questo, secondo te, era il modo giusto?” disse Simon.

Lentamente, alzò prima le ampie maniche del suo parka sformato, poi quelle del maglione verde, scoprendo parte del braccio sinistro. Una serie di cicatrici e piccole tumefazioni, come una pioggia di punture d'ago, partiva da quel pezzo di pelle scoperta e si allungava oltre il resto di quella celata. “Ho provato di tutto, dalla A alla Z della tavola periodica degli elementi,” disse, e forse era ironico, ma forse no.

Kieren si sentì frastornato; una campana rimbombava nello spazio vuoto tra la testa e il cuore, tutto tremava. D'istinto, le sue dita corsero a coprirsi il polso e a Simon il gesto non sfuggì.

Allora Kieren, allarmato, realizzò che l'altro doveva averlo sempre saputo; pensò agli sguardi che Simon gli lanciava mentre lui disegnava e le maniche si sollevavano, scoprendo i polsi quel tanto che bastava perché si intravedesse l'estremità delle cicatrici...

Ma certo. Kieren aveva solo scelto di ignorare quella possibilità, in fondo.

“Ehi, è tutto ok,” disse Simon, avanzando di un passo quando lui arretrò. “Va bene. Lo capisco perché ci sono passato. Lasciarsi andare al dolore è molto facile, non è vero? Si prova soddisfazione nello sgretolarsi pezzo a pezzo con le proprie mani. Accarezzi l'idea con il pensiero una volta, quando sei solo nella tua stanza. Poi lo fai ancora quando sei in compagnia, della tua famiglia, magari. Loro non sanno cosa ti passa per la testa, come potrebbero? Ci si sente potenti a decidere di se stessi lasciando fuori gli altri, perché è l'unica cosa che resta quando si perde tutto. E poi un giorno, dopo averlo meditato a lungo, ti svegli e fuori piove e niente è cambiato... allora pensi, 'Ok. Oggi lo faccio'. Così cominci ed è doloroso, però non ti fermi. Lo sai perché? Il segreto è che ogni volta farà sempre meno male, fino a che non sentirai più nulla. Ed è a questo che si vuole arrivare, no? A non sentire più il dolore. Ci si ferisce per non soffrire più.”

Una ventata gelida lambì le reni di Kieren.

Scosse la testa, guardò Simon duramente, le labbra che tremavano per la rabbia, lo sconcerto, la dolorosa confusione. Non sapeva se Simon fosse stato sincero o se lo fosse stato fin troppo, non sapeva se a parlare fosse stato il suo Simon, l'imbranato con i maglioni ridicoli, oppure il Simon fasullo, l'adepto... non sapeva cosa l'avesse ferito di più tra tutto. L'unica certezza che aveva era quanto, in quel momento, si sentisse soffocare.

“Ero sicuro che sarebbe finita così,” disse, sopraffatto da quella nausea che gli stava togliendo il fiato. “Se solo tu fossi... normale, se solo...”

Non riuscì a terminare. Si lasciò alle spalle il viso di Simon, troppo complicato da comprendere nella sua chiusura ermetica, e se ne andò senza guardarsi indietro.

 

Ϟ

 

Camminava a un battito di ciglia dal mettersi a correre, perso in se stesso.

Dopo tanto tempo sentiva premere dentro di sé la voglia di scoppiare a piangere; in ogni fibra del suo corpo, però, era rimasto incollato il ricordo delle ultime volte in cui l'aveva fatto, e questo gli impediva di liberarsi.

I piedi lo condussero verso il promontorio – i piedi e il pensiero del passato. D'improvviso provava il bisogno di rifugiarsi nella grotta (la loro grotta, sua e di Rick), quella dove si erano quasi baciati, quella in cui lui aveva scelto di mollare tutto.

Ripensò a quando, dopo aver perduto Rick e rovinato molte vite, l'unico desiderio che lo aveva mosso era stato quello di sparire, silenziosamente e a modo suo.

Una notte era stato svegliato dalla distinta sensazione di non avere più un posto che gli fosse appartenuto. Era stato come ricevere uno schiaffo.

Allora aveva afferrato il coltellino svizzero, era uscito, si era addentrato nel fitto del bosco e, tra gli ululati del vento simili a quelli che fischiavano adesso, aveva chiuso gli occhi, aspettando.

Ricordava poco di ciò che era successo subito dopo; solo una grande malinconia, un senso di stanchezza, suo padre che lo chiamava, lo sollevava, gli impediva di sbriciolarsi... e poi sua madre che gli piantava i piedi a terra, solidamente, Jem che lo odiava e col tempo lo perdonava; i giorni che scorrevano in una macchia sfocata, la terapia, la dottoressa che diceva che erano passati due anni, che la sua vita doveva andare avanti, che avrebbe fatto bene ad andare a studiare al Saint James, perché i suoi sogni erano importanti.

Ora che era lì, era forse molto diverso?

Kieren imboccò a testa bassa la strada verso la sommità del promontorio. Il vento aveva preso a soffiare con tanta violenza che il blocco da disegno, premuto sotto il suo braccio, minacciava di volare via da un momento all'altro. Guardò di sotto: il mare era agitato. Le onde nere si infrangevano sugli scogli mandando a morire in aria goccioline salate. L'acqua pareva volersi impossessare della spiaggia; le creste bianche di spuma erano le punte d'unghia delle dita che si allungavano, afferrando rabbiosamente lo spazio.

Kieren non si fermò. Continuò a salire, ignorando lo slittare delle suole degli stivali contro la roccia viscida. Arrivò davanti alla casa di tufo, il cuore in gola. Una voragine aveva preso a mangiargli il buon senso, inibendolo con perfida lucidità.

Per un momento pensò a Amy Dyer, affogata nel mare come una barchetta di carta; si chiese se invece non l'avesse fatta finita volontariamente; se, consapevole che avrebbe sofferto per il resto della sua breve vita, non avesse preferito ridursi in polvere e diventare una cosa sola con la sabbia di quel luogo tanto amato.

Individuò l'imbocco degli scalini anche nel buio; ormai ne aveva memorizzato la posizione. Scese, passo dopo passo, sempre più lento, sempre più dentro un sogno. I capelli volavano davanti ai suoi occhi, le braccia si allargavano come in cerca di equilibrio. Fece l'ultimo gradino affondando nella sabbia fradicia e guardò la tempesta che sembrava volersi risucchiare via il mondo. Ammirò la potenza di quel fenomeno, perso in una contemplazione affascinata.

Si sentiva così solo.

Il mare gridava, lo chiamava strepitando, una canzone di sirena orribile e attraente.

Non c'era nulla, lì, per lui. Era così?

Allentò la presa sul blocco; quello cadde subito e fu sventrato senza pietà da una sferzata d'aria. Molti fogli si staccarono e, come falene nella notte, vennero risucchiati dalle onde, vicine e violente.

Ecco che il volto a carboncino di Rick si scioglieva nel sale... i suoi occhi si disfacevano, l'accusa spariva. Forse la pagina sarebbe tornata bianca. Addio, Rick.

“No!” disse Kieren, allungando il braccio in un inutile e disperato tentativo. L'avrebbe lasciato morire di nuovo?

Instabile sulle proprie gambe, fece un passo in avanti, un altro, un altro ancora, fino a che non raggiunse l'esatto punto in cui la sabbia veniva ingoiata dal mare. Un'onda giunse improvvisa a lambirgli le gambe, arrivando fino alle ginocchia. Kieren trattenne il fiato, le palpebre che si abbassavano.

 

Sa qual è il punto della clessidra, signor Walker?

 

Sono contenta che tu esista.

 

Starai bene?

 

Mamma e papà sono stati tesi tutto il giorno aspettando tue notizie, papà non si è quasi mosso dalla poltrona. Voglio che tu... voglio che mi assicuri che starai bene.

 

Sa qual è il punto della clessidra?

 

Anche io sono contento che tu esista.

 

“Gesù, è gelata,” sobbalzò di colpo Kieren. Arretrò goffamente, incespicando, fino a che non si ritrovò di nuovo all'imbocco delle scale. Appoggiò la schiena alla parete di roccia, scaricandoci tutto il suo peso; dio, gli tremavano le gambe! I denti battevano, il cuore era impazzito, pompava sangue lungo tutti i suoi arti. E lui era vivo.

Che diavolo stava facendo? Alcuni disegni erano andati perduti ma lui era vivo, era terrorizzato ed era questo che glielo provava. Che stava facendo?

“Era gelata,” ripetè a mezza voce, sospirando. Poi tastò il terreno: la sabbia era pregna d'acqua ma era solida. Ci si poteva stare sopra in piedi, non avrebbe ceduto. Si poteva continuare a stare in piedi.

Non si sarebbe lasciato scivolare; certo, sarebbe stata l'opzione più facile, ma poi che ne sarebbe stato delle cose che non erano ancora accadute? Mille possibilità che era sempre stato bravo a tenere nascoste dentro di sé gli ronzavano ora liberamente in testa: i dipinti che avrebbe potuto ancora fare, le promesse verso la sua famiglia che avrebbe potuto mantenere, le notti passate con Simon in un letto che avrebbe potuto avere...

“Kieren!” si sentì chiamare in quel momento.

Alzò la testa e vide un uomo affacciarsi dai gradini intagliati nella pietra. E allora Kieren sentì la pressione salirgli al cervello ed evaporare per il naso, lasciandolo piacevolmente svuotato, e rise. Forse un po' istericamente, ma al diavolo, rise.

“Ki-Kieren,” lo chiamò Simon, caracollando mentre tentava di raggiungerlo.

Lui diede le spalle al mare in tempesta e allargò le braccia davanti a sé, in attesa, il cappuccio della felpa che gli veniva spinto sulla testa dal vento. Nello stesso momento, Simon gli fu addosso – impossibile dire chi si fiondò su chi.

Kieren si allacciò a lui, stringendosi con forza al suo vecchio parka verde. Nascose il viso nell'incavo del suo collo, le narici riempite da un miscuglio di odore salmastro e di sandalo.

Simon gli appoggiò una mano sul capo, protettivo. “È tutto ok. Sono qui. Stai bene? Tutto bene?”

“Sto bene,” disse Kieren. Lo strinse con più vigore per invitarlo a fare altrettanto e la sua proposta venne subito accolta.

Finalmente era tra le braccia di Simon e Simon era tra le sue. Una bolla tiepida contro il mondo freddo... poteva averla davvero. Solo in quel momento si accorse che le goccioline salate che gli ricadevano sulle labbra non provenivano dal mare.

“Quando te ne sei andato ho provato a seguirti, ma eri già sparito,” disse Simon, accarezzandogli le spalle. “Non sapevo dove cercarti... poi mi è venuto in mente questo posto. In realtà speravo che non fossi venuto qui... voglio dire, sei pazzo?”

“Forse,” disse Kieren, sbuffando una risata.

“Mi dispiace per prima. Non volevo farti stare male.”

Kieren scosse la testa quel tanto che gli riuscì, incastrato com'era nel suo abbraccio. Nessuna parola sarebbe mai stata sufficiente per descrivere cosa fosse appena successo, cosa lui avesse capito, quale blocco la loro discussione avesse iniziato a incrinare davvero. “Mi è servito, in un certo senso,” disse.

“E mi dispiace anche di non essere una persona normale,” aggiunse Simon.

La sua onestà fece provare a Kieren una fitta di vergogna. “Non ti preoccupare, non lo sono neanch'io,” disse, aggiungendo come scuse silenziose delle carezze lungo la spina dorsale dell'altro. “La puoi capovolgere, sai,” mormorò dopo un momento di silenzio.

“Cosa?” disse Simon.

“La clessidra. La puoi capovolgere. È questo il punto, credo. Quando pensi che l'ultima particella di pulviscolo stia per passare attraverso la strettoia, proprio quando sei sicuro che da un momento all'altro sarà finita, puoi ricominciare daccapo. Sei tu a scegliere se farlo o no.”

La sabbia è forte. Ci mette molto tempo, ma un poco alla volta ce la fa, granello dopo granello dopo granello. Va avanti.

“Andiamo via,” sussurrò Simon al suo orecchio.

Kieren, scosso da un brivido, si sciolse contro di lui. “Ancora un po',” disse piano.

“Riconosco che sia piuttosto romantico stringersi in una notte tempestosa, ma preferirei starmene al caldo e all'asciutto, adesso,” disse Simon.

Kieren ridacchiò, chiudendo gli occhi.

Non sarebbe stato facile; ci sarebbe voluto molto tempo e le sue cicatrici sarebbero rimaste con lui, bianche contro la pelle chiara, qualche volta gocciolanti dentro al suo cuore. Certe cose le portavi con te per sempre. Però potevi imparare a conviverci, a farlo davvero, riconoscendo il valore di ciò che avresti potuto trovare, oltre di ciò che avevi perduto.

Piano piano... anziché lasciarsi scivolare, avrebbe imparato di nuovo come si stava in piedi.

“Letto. Voglio dire, vieni a casa mia,” disse Kieren. “Vieni da me.”

 

Ϟ

 

“Come va lì sul tuo pianeta, fratellone?”

“Su Saturno c'è acqua. E c'è sabbia. E c'è vita.”





 
   
 
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