Grecia
Era
un giovane sensibile, basso e scuro. Avevo udito che la sua famiglia
era in
realtà originaria del bacino mediterraneo, e in effetti
Oswald – che era in
realtà una persona riservata e contegnosa – si
trasfigurava solo quando s’aveva
da studiare la storia antica. I suoi occhi, solitamente così
remissivi, si
accendevano di nuova luce; tutta la sua persona si protendeva verso il
professore, la sua fronte si increspava come un mare burrascoso.
Oso
pensare che lo sforzo di comprendere ciò che veniva svelato
durante quelle
lezioni fosse di gran lunga superiore a quello che potevano fare gli
studenti
più incerti.
Quel
cambiamento era talmente radicale da essere evidente non solo a me, ma
a
parecchi altri studenti.
Oswald
l’Ilota, come lo
chiamavano alcuni
tra i più crudeli, per denigrarlo due volte: la prima, per
l’assonanza con il
termine idiota, e la seconda, per
strattonarlo – nella mente – e ridurlo nella
polvere come un povero schiavo.
Suppongo che rispetto a lui si sentissero Spartiati, uomini duri e
temprati.
Io
stentavo a unirmi ai loro giochi. Per me, Oswald possedeva un fascino
ineffabile,
ed era alquanto seducente nel suo fervore. Ciò nonostante,
mai avrei osato fare
il primo passo con lui: temevo che per il suo retaggio, così
diverso dal mio, fosse
disdicevole essere scelto da una
donna.
Mi
rassegnai quindi a convivere con lui in maniera discreta, sfruttando le
relazioni dinamiche e variabili dell’università
per avvicinarlo. Mi ritiravo,
quindi, e aspettavo con trepidazione il giorno in cui Oswald si sarebbe
accorto
di me.
Un
giorno, alla fine di una lezione, sostai sulla soglia per guardarlo:
era
riverso sul banco, molto pallido; reggeva ancora la matita nella mano
destra,
con la sinistra si sosteneva la fronte. L’avevo visto
prendere appunti con un
impeto quasi furioso, con una foga che non si limitava alla
riproduzione,
quanto alla creazione.
Lo
studiai a lungo, persa nell’ammirazione dei suoi lineamenti
– oh, i nostri
compagni non volevano comprendere la realtà della sua
bellezza, fine e intensa.
Solleticava la mia immaginazione, nutrita di fotografie e letture, con
sogni
del Mediterraneo, di quel mare antico e bello. Nella chioma sottile di
Oswald
avrei potuto trovare tracce di sole e misteri passati?
Quando
mi resi conto che la mia presenza non era passata inosservata, arrossii
furiosamente e abbandonai l’aula di corsa.
Fu
lui stesso ad avvicinarmi, durante una pausa, a prendermi per mano e a
condurmi
un poco in disparte. Con voce sognante, mentre andava a chiudere la mia
mano
tra le sue, mi disse: – Sei bella come Atena. Non mi vergogno
di dirti che
laddove tu passi, l’aria trema come la corda di una cetra.
Più di ogni altra
cosa, desidero che i tuoi begli occhi grigi si posino su di me.
Parlò
con gentilezza estrema, e io sentivo ardere il viso, eppure continuai a
fissarlo, per instillargli il goffo potere del mio sguardo. Dalla trama
delle
sue parole usciva, in grandi sbuffi, il profumo del mare.
Il
dì in cui il professore ci propose di partire alla volta
dell’Egeo, allungai alla
cieca la mano, per conoscere i sentimenti di Oswald. Lui rispose alla
mia
stretta, ma non tardai a sentire le sue dita ricoprirsi di sudore e un
piccolo
verso di orrore uscire dalle sue labbra.
–
Che ti prende? – gli chiesi più tardi,
scostandogli una ciocca bruna dalla
fronte aggrottata. Lui non volle che sciogliessimo la stretta, e in
quella
vicinanza si confidò, per la prima volta. Udii una storia
incredibile uscire
dalle sue labbra tremule.
–
Sognai, anni fa, di camminare in un tempio abbandonato. Le mie mani
erano
scure, indossavo abiti da esploratore. In questo tempio lanciai un
grido e una
voce mi rispose. Non conoscevo la sua lingua, ma sentivo di conoscere
colui che
parlava. Sogni di questo genere mi tormentarono da allora. Scelsi di
studiare
le cose dell’antichità, nella speranza di
risolvere il rompicapo.
Non
potevo immaginare che cosa sarebbe accaduto! Vi sono parole che mi sono
familiari, poesie che completo prima del professore, quasi le
conoscessi a
memoria. E non le pronuncio nella nostra lingua, ma
nell’idioma antico... e
quel giorno in cui mi guardasti a lungo e con tanta tenerezza, ero
sconvolto
dalle sensazioni che mi avevano preso nel vedere, tra le copie proposte
dal
professore, un oggetto funebre... un pezzo di coccio, nulla
più: ma fu come se
lo avessi avuto tra le mani fino a quell’istante. Fissai la
fotografia,
spaesato, con la sensazione che quell’oggetto mi fosse appena
stato strappato.
E
ora sento che mi si sta conducendo verso il centro oscuro di queste
sensazioni.
So che con questo viaggio scoprirò... sarà la
fine della vita che ho condotto
finora. Accadrà, ne sono certo.
Avrei
potuto, in tutta sincerità, nonostante tutto
l’amore, la fiducia, l’abbandono
con cui mi diedi a lui, credere e fidarmi di ciò che mi
aveva raccontato?
Ricordo
che, durante quel viaggio, la trasfigurazione di Oswald fu totale e
inattesa. Durante
il giorno, vestito sobriamente, ci distanziava sui sentieri di
montagna,
apparentemente indifferente al caldo rovente che ci faceva boccheggiare
e alla
ghiaia che accecava con il suo biancore.
Sul
suo viso si alternavano l’entusiasmo dello studioso e, specie
quando rimanevamo
soli, un’angoscia tormentosa. Allora il suo vigore svaniva e
lui si sedeva sull’erba
secca, lamentando vertigini e nausea.
Di
sera, le mie compagne di stanza mi facevano il favore di andare
altrove, per
lasciarci in intimità. Scoprii il nuovo corpo di Oswald:
asciugato ma, allo
stesso tempo, rinvigorito dall’aria e dal sole, con i capelli
schiariti, la
pelle calda. Pareva quasi – ero influenzata anche io
dall’atmosfera – che
qualche dio avesse infuso la vita nella statua che era prima.
Alla
mattina, mi prendeva in disparte per dirmi cosa aveva sognato. Diceva
di
prevedere cosa avremmo fatto quel giorno, si vantava di conoscere le
strade e
così faceva, ma sempre più spesso doveva tornare
sui suoi passi, mortalmente
pallido. Si rifiutava, però, di tornare in albergo.
–
Oggi vedremo una tomba... – mi disse la quarta mattina,
rivolgendo lo sguardo
alla superficie del mare. Quel giorno anticipò la guida e
poi ci litigò. Disse che
avremmo dovuto prendere un sentiero molto esile che conduceva nella
macchia,
quasi impraticabile. Alla fine fui io a corrergli accanto e a chiedere
alla
guida di provare, perché era molto turbato.
Oswald
mi prese per mano e mi costrinse a tenere il suo passo; in poco tempo,
distanziammo la comitiva. Lui mi parlava in fretta, inframmezzando alla
nostra
lingua parole a me oscure, ma che ricordavano, almeno nel suono, il
greco che
studiavamo.
–
Eccoci – disse alla fine, lasciandomi andare.
Io
vidi solo un cumulo di pietre rovesciate. Oswald tremava.
La
guida e il professore, che ci avevano raggiunti, ci superarono con un
grido di
stupore. Sentii che avrei dovuto ricordare quel momento,
perché sarebbe stato
importante. Fissai per sempre il luccichio lontano del mare, la luce
che
ondeggiava morbida tra le foglie, il sapore dell’aria e,
soprattutto, Oswald.
Il
suo viso non mi era mai parso tanto sfuggente, i lineamenti quasi
indefiniti.
Lui
avvicinò le labbra e mi sussurrò
all’orecchio: – S'agapó̱
, Athi̱ná
mou.
Impressi
a fuoco quelle parole che non conoscevo, e che tradussi più
tardi, insieme alla
guida. Ti amo, mia Atena. In
seguito,
lui negò di averle pronunciate, e non seppe tradurle.
In
quell’attimo, i due uomini scostarono due pietre, rivelando
un’apertura di due
piedi di lato. Ci avvicinammo tutti, incuriositi. Vidi, grazie alla
luce che
filtrava tra le pietre, pezzi di coccio, altra pietra e, con mia grande
meraviglia, qualcosa di lucente, nel punto a noi più
lontano.
Oswald
barcollò in avanti, mortalmente pallido, guardò
nell’apertura.
Si
rialzò, gridò: – È
la mia tomba! È la mia
tomba!
E
cadde sul terreno sassoso.
Note dell'autore:
Oggi
si parla di reincarnazione.
Oswald è inglese (mezzosangue) e il resto si comprende.
Spero.