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Autore: marguerite_murcielago    09/11/2014    0 recensioni
Giro del mondo.
Grecia_Lui avvicinò le labbra e mi sussurrò all’orecchio: – S'agapó̱ , Athi̱ná mou.
Impressi a fuoco quelle parole che non conoscevo, e che tradussi più tardi, insieme alla guida. Ti amo, mia Atena. In seguito, lui negò di averle pronunciate, e non seppe tradurle.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Grecia

 

Era un giovane sensibile, basso e scuro. Avevo udito che la sua famiglia era in realtà originaria del bacino mediterraneo, e in effetti Oswald – che era in realtà una persona riservata e contegnosa – si trasfigurava solo quando s’aveva da studiare la storia antica. I suoi occhi, solitamente così remissivi, si accendevano di nuova luce; tutta la sua persona si protendeva verso il professore, la sua fronte si increspava come un mare burrascoso.
Oso pensare che lo sforzo di comprendere ciò che veniva svelato durante quelle lezioni fosse di gran lunga superiore a quello che potevano fare gli studenti più incerti.
Quel cambiamento era talmente radicale da essere evidente non solo a me, ma a parecchi altri studenti.
Oswald l’Ilota, come lo chiamavano alcuni tra i più crudeli, per denigrarlo due volte: la prima, per l’assonanza con il termine idiota, e la seconda, per strattonarlo – nella mente – e ridurlo nella polvere come un povero schiavo. Suppongo che rispetto a lui si sentissero Spartiati, uomini duri e temprati.
Io stentavo a unirmi ai loro giochi. Per me, Oswald possedeva un fascino ineffabile, ed era alquanto seducente nel suo fervore. Ciò nonostante, mai avrei osato fare il primo passo con lui: temevo che per il suo retaggio, così diverso dal mio, fosse disdicevole essere scelto da una donna.
Mi rassegnai quindi a convivere con lui in maniera discreta, sfruttando le relazioni dinamiche e variabili dell’università per avvicinarlo. Mi ritiravo, quindi, e aspettavo con trepidazione il giorno in cui Oswald si sarebbe accorto di me.
Un giorno, alla fine di una lezione, sostai sulla soglia per guardarlo: era riverso sul banco, molto pallido; reggeva ancora la matita nella mano destra, con la sinistra si sosteneva la fronte. L’avevo visto prendere appunti con un impeto quasi furioso, con una foga che non si limitava alla riproduzione, quanto alla creazione.
Lo studiai a lungo, persa nell’ammirazione dei suoi lineamenti – oh, i nostri compagni non volevano comprendere la realtà della sua bellezza, fine e intensa. Solleticava la mia immaginazione, nutrita di fotografie e letture, con sogni del Mediterraneo, di quel mare antico e bello. Nella chioma sottile di Oswald avrei potuto trovare tracce di sole e misteri passati?
Quando mi resi conto che la mia presenza non era passata inosservata, arrossii furiosamente e abbandonai l’aula di corsa.

 

Fu lui stesso ad avvicinarmi, durante una pausa, a prendermi per mano e a condurmi un poco in disparte. Con voce sognante, mentre andava a chiudere la mia mano tra le sue, mi disse: – Sei bella come Atena. Non mi vergogno di dirti che laddove tu passi, l’aria trema come la corda di una cetra. Più di ogni altra cosa, desidero che i tuoi begli occhi grigi si posino su di me.
Parlò con gentilezza estrema, e io sentivo ardere il viso, eppure continuai a fissarlo, per instillargli il goffo potere del mio sguardo. Dalla trama delle sue parole usciva, in grandi sbuffi, il profumo del mare.

 

Il dì in cui il professore ci propose di partire alla volta dell’Egeo, allungai alla cieca la mano, per conoscere i sentimenti di Oswald. Lui rispose alla mia stretta, ma non tardai a sentire le sue dita ricoprirsi di sudore e un piccolo verso di orrore uscire dalle sue labbra.
– Che ti prende? – gli chiesi più tardi, scostandogli una ciocca bruna dalla fronte aggrottata. Lui non volle che sciogliessimo la stretta, e in quella vicinanza si confidò, per la prima volta. Udii una storia incredibile uscire dalle sue labbra tremule.

 

– Sognai, anni fa, di camminare in un tempio abbandonato. Le mie mani erano scure, indossavo abiti da esploratore. In questo tempio lanciai un grido e una voce mi rispose. Non conoscevo la sua lingua, ma sentivo di conoscere colui che parlava. Sogni di questo genere mi tormentarono da allora. Scelsi di studiare le cose dell’antichità, nella speranza di risolvere il rompicapo.
Non potevo immaginare che cosa sarebbe accaduto! Vi sono parole che mi sono familiari, poesie che completo prima del professore, quasi le conoscessi a memoria. E non le pronuncio nella nostra lingua, ma nell’idioma antico... e quel giorno in cui mi guardasti a lungo e con tanta tenerezza, ero sconvolto dalle sensazioni che mi avevano preso nel vedere, tra le copie proposte dal professore, un oggetto funebre... un pezzo di coccio, nulla più: ma fu come se lo avessi avuto tra le mani fino a quell’istante. Fissai la fotografia, spaesato, con la sensazione che quell’oggetto mi fosse appena stato strappato.
E ora sento che mi si sta conducendo verso il centro oscuro di queste sensazioni. So che con questo viaggio scoprirò... sarà la fine della vita che ho condotto finora. Accadrà, ne sono certo.

 

Avrei potuto, in tutta sincerità, nonostante tutto l’amore, la fiducia, l’abbandono con cui mi diedi a lui, credere e fidarmi di ciò che mi aveva raccontato?

 

Ricordo che, durante quel viaggio, la trasfigurazione di Oswald fu totale e inattesa. Durante il giorno, vestito sobriamente, ci distanziava sui sentieri di montagna, apparentemente indifferente al caldo rovente che ci faceva boccheggiare e alla ghiaia che accecava con il suo biancore.
Sul suo viso si alternavano l’entusiasmo dello studioso e, specie quando rimanevamo soli, un’angoscia tormentosa. Allora il suo vigore svaniva e lui si sedeva sull’erba secca, lamentando vertigini e nausea.
Di sera, le mie compagne di stanza mi facevano il favore di andare altrove, per lasciarci in intimità. Scoprii il nuovo corpo di Oswald: asciugato ma, allo stesso tempo, rinvigorito dall’aria e dal sole, con i capelli schiariti, la pelle calda. Pareva quasi – ero influenzata anche io dall’atmosfera – che qualche dio avesse infuso la vita nella statua che era prima.
Alla mattina, mi prendeva in disparte per dirmi cosa aveva sognato. Diceva di prevedere cosa avremmo fatto quel giorno, si vantava di conoscere le strade e così faceva, ma sempre più spesso doveva tornare sui suoi passi, mortalmente pallido. Si rifiutava, però, di tornare in albergo.
– Oggi vedremo una tomba... – mi disse la quarta mattina, rivolgendo lo sguardo alla superficie del mare. Quel giorno anticipò la guida e poi ci litigò. Disse che avremmo dovuto prendere un sentiero molto esile che conduceva nella macchia, quasi impraticabile. Alla fine fui io a corrergli accanto e a chiedere alla guida di provare, perché era molto turbato.
Oswald mi prese per mano e mi costrinse a tenere il suo passo; in poco tempo, distanziammo la comitiva. Lui mi parlava in fretta, inframmezzando alla nostra lingua parole a me oscure, ma che ricordavano, almeno nel suono, il greco che studiavamo.
– Eccoci – disse alla fine, lasciandomi andare.

 

Io vidi solo un cumulo di pietre rovesciate. Oswald tremava.

 

La guida e il professore, che ci avevano raggiunti, ci superarono con un grido di stupore. Sentii che avrei dovuto ricordare quel momento, perché sarebbe stato importante. Fissai per sempre il luccichio lontano del mare, la luce che ondeggiava morbida tra le foglie, il sapore dell’aria e, soprattutto, Oswald.
Il suo viso non mi era mai parso tanto sfuggente, i lineamenti quasi indefiniti.
Lui avvicinò le labbra e mi sussurrò all’orecchio: – S'agapó
̱ , Athi̱ná mou.
Impressi a fuoco quelle parole che non conoscevo, e che tradussi più tardi, insieme alla guida. Ti amo, mia Atena. In seguito, lui negò di averle pronunciate, e non seppe tradurle.

 

In quell’attimo, i due uomini scostarono due pietre, rivelando un’apertura di due piedi di lato. Ci avvicinammo tutti, incuriositi. Vidi, grazie alla luce che filtrava tra le pietre, pezzi di coccio, altra pietra e, con mia grande meraviglia, qualcosa di lucente, nel punto a noi più lontano.
Oswald barcollò in avanti, mortalmente pallido, guardò nell’apertura.
Si rialzò, gridò: – È la mia tomba! È la mia tomba!
E cadde sul terreno sassoso.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'autore:
Oggi si parla di reincarnazione. Oswald è inglese (mezzosangue) e il resto si comprende. Spero.

   
 
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