Storie originali > Comico
Ricorda la storia  |      
Autore: balakov    24/10/2008    2 recensioni
Questo "racconto" (non so se si può definire così...) è pura FOLLIA! Trattasi di un META-racconto, dove l'autore (l'encomiabile sottoscritto) gioca con la propria ispirazione, creando sul momento una storia sconclusionata. Qual è il senso di tutto? L'ispirazione è data tanto dalle cose più semplici e quotidiane quanto dalle cose più fantasiose: sta di fatto che c'è sempre un'inevitabile conclusione. Ogni personaggio (così come ogni autore) è comunque vittima del proprio DESTINO. Nessuno di noi può sfuggire al fato. Cavoli nostri allora!
Genere: Demenziale, Comico, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Allora vediamo… potrei cominciare dal titolo. Sì, dal titolo: “RACCONTO”. Niente male…beh, un po’ banale magari, però…però che schifo! Dai, posso fare meglio! Ho deciso: il titolo sarà

“RACCONTO NEL RACCONTO”

Puro “metateatro”. Che trovata! Ora devo però incominciare la trattazione. Servono idee fresche, nuove, che colpiscano il bersaglio al primo lancio. Allora procediamo per esclusione: non la solita storia d’Amore, che ce ne sono troppe in giro; neanche la Guerra, dopotutto ci saranno pure cose migliori da trattare, no?! Perché no: una breve descrizione. Dopotutto non c’è niente di più trasgressivo di un uomo. Intendo nel senso buono. Cioè, si parla tanto di causa-effetto, di mode, di violenza e di nudi, ma sullo sfondo di tutto ciò? Cosa c’è? L’uomo. Lui sta lì, zitto zitto, sornione come un’acqua cheta (e sappiamo poi che fine fanno le acque chete…) e poi, al momento giusto…zac! E giù a parlare delle solite cose che combina e che smuove. Ma alla fin fine è lui il regista di tutto, il deus ex machina. E allora perché trascurarlo? Ora, dopo questa decisa presa di posizione (che mi costerà senz’altro aspre critiche), serve una trama accattivante. Quest’uomo potrebbe essere un ladro… No, troppo scontato. E poi magari tirerò fuori la solita storia dei sensi di colpa e… ma va! Magari, allora, un supereroe. Però siamo in Italia, forse non è il caso. I nostri supereroi si sono estinti da più di un secolo. Beh, resta solo l’impiegato. Ma sì, un misero impiegatuccio con uno stipendio da fame. Aspetta un attimo: quest’uomo ricorda il grasso  ed impacciato protagonista di una nota serie di film! Ripiegherò allora su un impiegato magrolino, che prende un salario standard. OK, anche questa è fatta. Quindi un impiegato banale, anonimo…antipatico, sì. Proprio antipatico. Perfettino, educato, leccapiedi con il capo…un autentico rompiscatole insomma. Così “un giorno questo impiegatuccio perfettino, recandosi al lavoro, si accorse che aveva una scarpa slacciata”. Sarà stato anche perfettino, ma un errore del genere, cribbio, non lo si può tollerare in alcun modo. “Quindi, deluso da se stesso (con una vaga voglia di prendersi a schiaffi) si inchinò per la strada, lungo il marciapiede (e sì, perché al lavoro ci andava a piedi), e con un’innata maestria sistemò ben bene quell’orrore.” Ora ci andrebbe bene un mocciosetto in bici che gli taglia la strada, e passando con una ruota sopra la pozzanghera innanzi all’impiegatuccio, sporca di schizzi i pantaloni di quest’ultimo. E invece no, voglio essere autolesionista. All’impiegatuccio non succede proprio un bel niente. “Si rialza, riaggiustandosi gli occhiali sul naso, si scruta attorno, e riprende la sua camminata. Al lavoro l’impiegatuccio ci andava molto volentieri. Era tutta la sua vita. Non aveva né figli né moglie (brutto com’era chi se lo pigliava?!), e quindi la sua scrivania rappresentava, assieme a tutti quei fogli che la ricoprivano, il suo habitat naturale”. E magari faceva anche dei sogni erotici su qualche bella collega, eh?! No, questo no. Sul capo forse…ma no! Non lo voglio stereotipizzare ancor più. Mi accontento di quello che ho fin’ora scritto. Allora, torniamo a noi: “l’impiegatuccio si trovava proprio a suo agio nella nebbia della sua città. Data la forte miopia. Respirava a pieni polmoni quell’aria putrida che lo aveva accompagnato fin dalla nascita e…” aspetta: ma sto parlando della mia città natale, per caso? No, assolutamente; la mia città non si tocca. E poi non vorrei mai essere concittadino di quello lì. “Così, l’impiegatuccio milanese (e vai!) tirava avanti con parsimonia (braccino corto, eh?) e precauzione. Dopotutto oggigiorno non ci si può fidare più di nessuno. Viveva con la madre, in un appartamentino di 60 mq con vista sull’aeroporto. Niente male. Lui si accontentava di poco: il giornale tutte le mattine, un po’ di tempo libero da dedicare alla costruzione dei modellini di velieri seicenteschi (o settecenteschi, fate voi) e le caramelle all’orzo. Dico: non toccategli le caramelle all’orzo a quello lì! Altrimenti vi sbrana. Ma quella mattina, l’impiegatuccio, non portava con sé alcuna caramella e questo, in aggiunta alla scarpa slacciata, rappresentava un pesante handicap. Iniziò a dubitare di se stesso: < Ma cosa mi sta succedendo? > si chiese, < Non mi riconosco più! > E così, tormentato da mille dubbi, si dirigeva verso quel grigio, squallido palazzo che era l’azienda dove lavorava. All’improvviso una scintilla nella mente di quel misero uomo arse l’intero pacchetto ricordi di una vita. Un fulmine a ciel sereno, l’eterno nel finito, e nella testa di quell’omino scoppiò un putiferio. Sentiva lontano una voce (stile coro delle sirene per Ulisse) che lo invitava a trasgredire, a fuggire da quel mondo fatuo che aveva messo in piedi. E la tentazione fu tale da fargli professare a squarciagola < Io - sono - libero !!! > E così fu: niente più vestitini pallidi e rigidi sempre stirati alla perfezione, niente più nebbia e gas di scarico, niente più carezze soffocatici da parte della madre, e soprattutto niente più caramelle all’orzo. L’impiegatuccio era cambiato: aveva buttato al vento il suo flemmatico passato e si apprestava a vivere una nuova, vera vita. Era rinato.
Chissà dove, però. Infatti, tra un pensiero e l’altro, un grido di libertà ed uno sguardo acceso, non si era reso conto che il semaforo per l’attraversamento dei pedoni era rosso. Rosso come il sangue di una vita, a terra. Una vita come tante altre.
Bel lavoro! Bravo Balakov. Ora però spegni la luce, che è ora di dormire.

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Comico / Vai alla pagina dell'autore: balakov