Allora
vediamo… potrei cominciare dal titolo. Sì, dal
titolo: “RACCONTO”. Niente male…beh, un
po’ banale magari, però…però
che schifo! Dai, posso fare meglio! Ho deciso: il titolo sarà
“RACCONTO
NEL RACCONTO”
Puro
“metateatro”. Che trovata! Ora devo però
incominciare la trattazione. Servono idee fresche, nuove, che
colpiscano il bersaglio al primo lancio. Allora procediamo per
esclusione: non la solita storia d’Amore, che ce ne sono
troppe in giro; neanche la Guerra, dopotutto ci saranno pure cose
migliori da trattare, no?! Perché no: una breve descrizione.
Dopotutto non c’è niente di più
trasgressivo di un uomo. Intendo nel senso buono. Cioè, si
parla tanto di causa-effetto, di mode, di violenza e di nudi, ma sullo
sfondo di tutto ciò? Cosa c’è?
L’uomo. Lui sta lì, zitto zitto, sornione come
un’acqua cheta (e sappiamo poi che fine fanno le acque
chete…) e poi, al momento giusto…zac! E
giù a parlare delle solite cose che combina e che smuove. Ma
alla fin fine è lui il regista di tutto, il deus ex machina.
E allora perché trascurarlo? Ora, dopo questa decisa presa
di posizione (che mi costerà senz’altro aspre
critiche), serve una trama accattivante. Quest’uomo potrebbe
essere un ladro… No, troppo scontato. E poi magari
tirerò fuori la solita storia dei sensi di colpa
e… ma va! Magari, allora, un supereroe. Però
siamo in Italia, forse non è il caso. I nostri supereroi si
sono estinti da più di un secolo. Beh, resta solo
l’impiegato. Ma sì, un misero impiegatuccio con
uno stipendio da fame. Aspetta un attimo: quest’uomo ricorda
il grasso ed impacciato protagonista di una nota serie di
film! Ripiegherò allora su un impiegato magrolino, che
prende un salario standard. OK, anche questa è fatta. Quindi
un impiegato banale, anonimo…antipatico, sì.
Proprio antipatico. Perfettino, educato, leccapiedi con il
capo…un autentico rompiscatole insomma. Così
“un giorno
questo impiegatuccio perfettino, recandosi al lavoro, si accorse che
aveva una scarpa slacciata”. Sarà
stato anche perfettino, ma un errore del genere, cribbio, non lo si
può tollerare in alcun modo. “Quindi, deluso da se stesso (con
una vaga voglia di prendersi a schiaffi) si inchinò per la
strada, lungo il marciapiede (e sì, perché al
lavoro ci andava a piedi), e con un’innata maestria
sistemò ben bene quell’orrore.”
Ora ci andrebbe bene un mocciosetto in bici che gli taglia la strada, e
passando con una ruota sopra la pozzanghera innanzi
all’impiegatuccio, sporca di schizzi i pantaloni di
quest’ultimo. E invece no, voglio essere autolesionista.
All’impiegatuccio non succede proprio un bel niente.
“Si rialza,
riaggiustandosi gli occhiali sul naso, si scruta attorno, e riprende la
sua camminata. Al lavoro l’impiegatuccio ci andava molto
volentieri. Era tutta la sua vita. Non aveva né figli
né moglie (brutto com’era chi se lo pigliava?!), e
quindi la sua scrivania rappresentava, assieme a tutti quei fogli che
la ricoprivano, il suo habitat naturale”. E
magari faceva anche dei sogni erotici su qualche bella collega, eh?!
No, questo no. Sul capo forse…ma no! Non lo voglio
stereotipizzare ancor più. Mi accontento di quello che ho
fin’ora scritto. Allora, torniamo a noi: “l’impiegatuccio si
trovava proprio a suo agio nella nebbia della sua città.
Data la forte miopia. Respirava a pieni polmoni quell’aria
putrida che lo aveva accompagnato fin dalla nascita e…”
aspetta: ma sto parlando della mia città natale, per caso?
No, assolutamente; la mia città non si tocca. E poi non
vorrei mai essere concittadino di quello lì. “Così,
l’impiegatuccio milanese (e vai!) tirava avanti con
parsimonia (braccino corto, eh?) e precauzione. Dopotutto oggigiorno
non ci si può fidare più di nessuno. Viveva con
la madre, in un appartamentino di 60 mq con vista
sull’aeroporto. Niente male. Lui si accontentava di poco: il
giornale tutte le mattine, un po’ di tempo libero da dedicare
alla costruzione dei modellini di velieri seicenteschi (o
settecenteschi, fate voi) e le caramelle all’orzo. Dico: non
toccategli le caramelle all’orzo a quello lì!
Altrimenti vi sbrana. Ma quella mattina, l’impiegatuccio, non
portava con sé alcuna caramella e questo, in aggiunta alla
scarpa slacciata, rappresentava un pesante handicap. Iniziò
a dubitare di se stesso: < Ma cosa mi sta succedendo? >
si chiese, < Non mi riconosco più! > E
così, tormentato da mille dubbi, si dirigeva verso quel
grigio, squallido palazzo che era l’azienda dove lavorava.
All’improvviso una scintilla nella mente di quel misero uomo
arse l’intero pacchetto ricordi di una vita. Un fulmine a
ciel sereno, l’eterno nel finito, e nella testa di
quell’omino scoppiò un putiferio. Sentiva lontano
una voce (stile coro delle sirene per Ulisse) che lo invitava a
trasgredire, a fuggire da quel mondo fatuo che aveva messo in piedi. E
la tentazione fu tale da fargli professare a squarciagola < Io -
sono - libero !!! > E così fu: niente più
vestitini pallidi e rigidi sempre stirati alla perfezione, niente
più nebbia e gas di scarico, niente più carezze
soffocatici da parte della madre, e soprattutto niente più
caramelle all’orzo. L’impiegatuccio era cambiato:
aveva buttato al vento il suo flemmatico passato e si apprestava a
vivere una nuova, vera vita. Era rinato.
Chissà dove, però. Infatti, tra un pensiero e l’altro, un grido di libertà ed uno sguardo acceso, non si era reso conto che il semaforo per l’attraversamento dei pedoni era rosso. Rosso come il sangue di una vita, a terra. Una vita come tante altre.”
Bel lavoro! Bravo Balakov. Ora però spegni la luce, che è ora di dormire.
Chissà dove, però. Infatti, tra un pensiero e l’altro, un grido di libertà ed uno sguardo acceso, non si era reso conto che il semaforo per l’attraversamento dei pedoni era rosso. Rosso come il sangue di una vita, a terra. Una vita come tante altre.”
Bel lavoro! Bravo Balakov. Ora però spegni la luce, che è ora di dormire.