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Autore: Principessa Purosangue    10/11/2014    6 recensioni
La vita di Cloud e Tifa trascorre serena nei sobborghi di Edge ma il biondo, come d'abitudine, brilla per la sua assenza, assenza che lei è costretta a colmare prima ancora che verso tutti, verso se stessa. Ma che cosa nasconde Cloud? E perché quei fiori la perseguitano ovunque? Di chi è l'ombra nascosta dietro la finestra del 7th Heaven? Chi o cosa non gli permette di essere felici? Basata sulle note della canzone "The other woman" di Lana Del Rey, questa storia racconta la triste realtà di Tifa Lockhart, Cloud Strife e l'altra donna.
Genere: Angst, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Reno, Tifa Lockheart
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII, Advent Children
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Rivisitazione del 2018: scrissi questa fan fiction nel lontano 2014 e da allora molte cose sono cambiate. Rileggendo questa storia ho trovato degli orrori che non potevo ignorare, tanto più in quanto sono la prima a sostenere che la scrittura sia il miglior biglietto da visita che si possa offrire di sé stessi. I forti sentimenti che animarono la stesura di questo testo sono ben diversi da quelli che oggi, quattro anni dopo, ne animano la “rivisitazione” e per questo motivo anche chi ha già letto questa fan fiction in passato si troverà piacevolmente sorpreso dai cambiamenti che ho effettuato: la trama e le dinamiche sono rimaste le stesse, tuttavia i sentimenti, l’esplorazione dei personaggi e infine la conclusione stessa sono stati rivisitati con la volontà di porre una fine degna per tutti i personaggi e soprattutto per questa storia, la mia storia, che infondo l’ha sempre meritata. Senza ulteriori indugi, ecco a voi The other woman, revisited.

 

Note dell’autore del 2014: Salve a tutti!

Innanzitutto vi ringrazio in anticipo per aver aperto questa fan fiction: sono lieta di aver attirato la vostra attenzione perciò davvero mina-san, doumo arigatou gozaimasu! ^o^ No, non studio giapponese e sì, sono convinta di averlo scritto male malissimo, trolololol! Questa è la prima fan fiction di Final Fantasy VII che scrivo, sono fanatica di questa saga sin dalla tenera età di cinque anni e considero FF VII, VIII e IX i migliori in assoluto. Ho deciso di basare questa storia sulle note della canzone “The other woman” di Lana del Rey: l’ispirazione è venuta sin dal primo momento che l’ho ascoltata, è come se questa canzone fosse stata appositamente composta per venir poi adattata alla (triste) realtà della splendida Tifa Lockhart. Come deduco avrete già capito, amo il personaggio di Tifa Lockhart: è il mio spirito animale, l’adoro in tutto e per tutto, motivo per il quale credo che ogni pairing in cui lei sia presente sia splendido a priori. Sono una CloTi shipper fortemente e canonicamente (sorry not sorry Clerith fans) convinta ma negli ultimi anni ho avuto modo di allargare i miei orizzonti e credo che Tifa formi una coppia altrettanto bella con Genesis, Sephiroth, Reno ed Axel. Non riesco ad avere un pairing preferito, per me lei è troppo perfetta! Tuttavia credo che questa sia una cosa positiva perché vuol dire che posso leggere tutte le fan fiction di questo mondo, buashuahaha! Ciò per dirvi che non odio Cloud, anzi, ne sono stata follemente innamorata; oggigiorno però le mie prospettive sono cambiate e preferisco personaggi con caratteri più forti e decisi come Reno, Genesis e Sephiroth. Col cuore in mano invece vi dico, non sopporto Aerith, unico personaggio di FF VII che detesto per davvero. Ci tengo tuttavia a precisare che la mia avversione nei confronti della castana non nasce dal fatto che io sia un CloTi shipper bensì è la sua stessa contraddittoria evoluzione ad averla resa un personaggio per me insopportabile – oltre al fatto che nelle fight l’ho sempre trovata abbastanza inutile. In soldoni: è colpa della Square perché dipinge sempre un Aerith un po’ diversa e ciò mi crea non pochi problemi, inoltre nessuna delle sfumature proposte dalla Square incontra la mia approvazione e conseguentemente, la Ancient finisce per piacermi sempre meno.

Attenzione: importante prima di proseguire la lettura! Non amo discostarmi dalla storia originale tuttavia, per ovvie ragioni, ho dovuto cambiare certi avvenimenti che è necessario voi conosciate per una migliore comprensione: Aerith e Zack non sono mai morti e, in seguito ad essere riusciti a salvare Gaia dalla minaccia di Holy, vissero tutti felici e contenti finché i tre remnants di Sephiroth lo riportarono in vita ed è in quest’ultima battaglia che Zack perde la vita. Cloud poi è riuscito – per l’ennesima volta, yohoo!, a sconfiggere Sephiroth e tutto il resto è proseguito come si è visto nel film. Per evitare ulteriori complicazioni ho preferito ambientare questa storia nello spazio temporale che separa Advent Children e Dirge of Cerberus, precedendola a quest’ultimo per concentrarmi sulla loro quotidianità. Ho cercato di mantenere tutti i personaggi il più IC possibile tuttavia vi chiedo lo sforzo di comprendere lo scenario nel quale si svolgerà la storia, vi chiedo anche lo sforzo di immaginarli sotto una luce nella quale non li abbiamo mai visti prima. Pur mantenendo la loro integrità caratteriale ho dovuto adattarli ad un contesto “quotidiano” e credo ne sia valsa la pena. Nel momento in cui leggerete certe parole o vedrete determinate azioni che possono non sembrare completamente IC, ricordate che (in teoria) questi personaggi sono sempre e comunque degli esseri umani e per tanto non sono perfetti ma sono esattamente come noi – solo più fighi e resistenti ai colpi, lol. Senza ulteriori e noiosi preamboli vi lascio alla lettura della storia; spero di cuore troverete uno o due minuti per lasciare anche una piccolissima recensione (mi farebbe piacerissimo! ^w^), anche le critiche costruttive sono accettate se scritte con la giusta educazione. (: Grazie a tutti dell’attenzione e buona lettura! ^.-

 

 

 

 

 

 

The other woman

 

 

 

 

 

 

The other woman finds time to manicure her nails

Un bar da gestire, una casa da mantenere, due bambini e l’assenza di un uomo da riempire. Con una vita così indaffarata, Tifa Lockhart di certo non aveva tempo per farsi le unghie o andare dal parrucchiere. La sua vita non era di certo la più semplice ma era sufficiente a renderla felice. Felice perché quel bar era il riflesso del suo duro lavoro e della sua indipendenza, felice perché quella casa era il luogo sicuro a cui fare ritorno, felice perché quei due splendidi bambini erano la sua forza. Quell’uomo, invece… Quell’uomo, il suo uomo, Cloud Strife, era la sua vita stessa: ogni volta che incontrava il suo sguardo si perdeva nell’oceano dei suoi occhi nel quale navigava indietro nel tempo. Navigava lontana verso la sua infanzia, verso i momenti felici, verso quell’indimenticabile notte in cui gli promise che l’avrebbe salvata ed infine verso quella sera in cui, contro ogni previsione, apparve, mantenendo la parola data. Avrebbe voluto gettare l’ancora e terminare lì il viaggio– ma puoi come puoi rimanere ancorata a qualcosa che se ne sta andando? Delle enormi nuvole grigie coprirono quel rassicurante cielo terso mentre veniva violentemente dirottata verso una tempesta. Poi, il vuoto. Tornando repentinamente alla realtà vide Cloud dirigersi verso l’uscita in compagnia dell’amica a cui aveva offerto un passaggio a casa; vedendoli conversare così allegramente, Tifa non poté evitare desirare di essere la ragazza in questione: di essere Aerith Gainsborough. La sua miglior nemica, la sua peggior rivale.

 

 

 

The other woman is perfect where her rival fails

Aerith era il sole: con i suoi occhi smeraldo ammaliava chiunque, con la sua gentilezza guadagnava l’affetto di coloro che posavano gli occhi su di lei, con la sua esile e fragile apparenza rendeva ogni uomo il suo fido cavaliere. Lei e Tifa erano sin da sempre la personificazione di due opposti poiché se Aerith era il sole, Tifa era la luna: i suoi caldi occhi rossi potevano spesso incutere timore, i suoi lunghi capelli cioccolato ricordavano la notte oscura e piena di terrori, la sua fierezza talvolta allontanava chi ne veniva a contatto ed il suo corpo, troppo maturo per una ragazzina, attirava solo libidinose attenzioni. Se Aerith era una maga bianca, Tifa era una maga nera.

 

 

 

And she's never seen with pin curls in her hair anywhere

Seppur all’apparenza casa Strife-Lockhart fosse sempre sembrata il nido d’amore di una splendida famiglia, era stato solo dopo l’avvento dei remnants che Cloud e Tifa erano divenuti ufficialmente una coppia. La Lockhart ricordava ancora con tepore nel cuore quel tenero ed imbarazzante momento in cui Cloud le aveva accennato di sentir il proprio letto scricchiolare più del solito.

“Se non puoi sistemarlo possiamo comprarne uno nuovo, abbiamo dei soldi da parte.” aveva proposto lei.

“Sì, ma… Dobbiamo togliere anche il tuo letto.” le fu impossibile nascondere quel velo di sofferenza che copriva i suoi lucenti occhi rossi. Infondo aveva sempre saputo che era solo questione di tempo prima che Cloud rivendicasse la privacy alla quale era sempre stato abituato.
“V-va bene, non c’è problema. Io posso dormire anche in salotto per ora, non è un prob…”

“No!” l’aveva subito interrotta lui, gli occhi dapprima fissi sui quelli di lei e poi bassi, visibilmente imbarazzato, la mano dietro la nuca alla ricerca del coraggio che per queste cose gli era sempre mancato. “Quello che voglio dire è…” si fece forza e la guardò dritto negli occhi: “Un letto a due piazze è più che sufficiente. Io non mi muovo molto nel sonno quindi non dovrei causarti alcun…” Ma la frase morì fra le dolci labbra di Tifa che quella sera Cloud degustò fino a seccarle.

 

 

 

The other woman enchants her clothes with French perfume

Aveva un disperato bisogno di ferie. L’assenza di Cloud come compagno poteva essere lenita ma come coprire la sua assenza come uomo di casa? Come coprire la sua assenza come figura paterna di Denzel e Marlene? I bambini l’aiutavano in casa e talvolta con il bar ma certe volte era troppo anche per lei. Come se non bastasse, le visite dell’impeccabile Ancient capitavano sempre nei suoi peggiori momenti e, per quanto fosse coscia dell’irragionevolezza e dell’insensatezza del mettersi a confronto, non lo poteva evitare: non reggeva il confronto; ma d’altronde, pensava, come poteva? Lei non era mai stata vista cosparsa di sudore, il suo profumo non era mai sovrastato dall’odore di alcool e fumo, i suoi capelli non erano mai raccolti in una disordinata coda. Aerith sorrideva serena, rilassata mentre Tifa sorrideva esausta: erano una l’antitesi dell’altra. D’altro canto, la vita di Aerith Gainsborough era una vita tranquilla, completamente dedita a sé stessa ed al suo negozio di fiori e talvolta alle opere di volontariato che svolgeva per riempire i suoi tediosi pomeriggi, nulla in confronto alla vita frenetica di Tifa.

“Come fai a trovare il tempo per tutto? A me la giornata vola via solo dedicandomi alle mie piante!” la Lockhart allora le aveva sorriso gentilmente, ignara dell’oscuro segreto che la fioraia nascondeva.

 

 

 

The other woman keeps fresh cut flowers in each room

La casa di Aerith era cosparsa di fiori il cui invitante profumo accoglieva i visitatori ancora prima di entrare, la sua piccola ma accogliente dimora ricordava i cottage in cui alloggiavano le principesse delle fiabe che spesso Tifa leggeva a Marlene. D’altronde Aerith stessa sembrava essere una principessa uscita da un racconto fiabesco e venuta al mondo per allietare la vita degli abitanti di Edge. Una realtà opposta a quella di Tifa il cui bar era perennemente impregnato dell’odore di fumo e alcool e la cui casa, per quanto cercasse di mantenere in ordine, non era altro che un’umile piccola dimora nei sobborghi della città.

 

 

 

There are never toys that's scattered everywhere

Per quanto maturi potessero essere, Marlene e Denzel rimanevano pur sempre dei bambini. Bambini che avevano il diritto di giocare, di divertirsi e disordinare ogni cosa con la forza distruttiva di un uragano. Come poteva Tifa negare loro le gioie dell’infanzia? Certo, entrambi i bambini sapevano che spettava loro riordinare il disordine da loro creato, tuttavia talvolta poteva capitare di inciampare nei loro giocattoli o nei loro quaderni.

“Cloud, perché non guardi mai dove metti i piedi?” gli chiedeva ridacchiando. Il biondo solitamente si limitava a sbuffare ma un giorno optò per rispondere:

“Dimentico sempre che in questa casa ci sono giocattoli assassini ovunque.” Un familiare frastuono esplose nelle orecchie di Tifa, destandola e ponendola in guardia per la prima volta in tanti anni. Fra le tante bambole che Marlene amava, quelle di porcellana erano senz’altro le sue preferite. La Lockhart aveva intimato più volte la bambina a fare attenzione poiché tutto ciò che quelle bambole avevano in bellezza, lo avevano doppiamente in delicatezza ma Marlene, come ogni bambina, aveva ignorato l’ammonimento finché un giorno il SUV in miniatura di Denzel travolse una delle suddette bambole la quale volò giù per le scale: la caduta produsse un trambusto così forte che persino Cloud, appena rientrato, sentì dal garage. Quello stesso frastuono ora proveniva dal suo cuore. Quando la ragazza aveva preso in mano ciò che era rimasto della bambola per verificarne lo stato, si rese conto che la porcellana si era rotta dentro: non rimaneva altro che gettarla e comprarne una nuova. Ma mentre Marlene avrebbe un giorno potuto amare un’altra bambola come aveva amato questa, così Tifa non avrebbe potuto fare col suo cuore. E sebbene il suo cuore non fosse ancora infranto ma solo scheggiato, ben presto la porcellana si sarebbe rotta dentro.

E non sarebbe bastato tutto l’amore del mondo.

 

 

 

And when her old man comes to call

“In questa casa?” gli aveva domandato cercando di velare il tremolio della sua voce. “Parli come se avessi due case a cui fare ritorno.” Cloud s’irrigidì ma scosse il capo.

“No, no…” si chinò a raccogliere la piccola Fenrir sulla quale era inciampato “Sai che spesso dormo negli hotel, è per quello.” aggiunse subito dopo appoggiando il giocattolo sul tavolo “Ora devo fare una telefonata per una consegna.”

“Ma sei appena tornato!” contestò lei, vedendolo uscire dalla porta del 7th Heaven.

“Sì, lo so ma…” aprì la porta ed iniziò a comporre sul cellulare un numero che evidentemente conosceva a memoria. Peccato che Cloud non avesse ancora nemmeno imparato il suo stesso numero a memoria “Questa consegna è veramente urgente.”

 

 

 

He finds her waiting like a lonesome queen

La morte di Zack aveva lasciato una ferita profonda nei loro cuori, in particolare in quello di Cloud e Aerith. Spesso Tifa si era chiesta come riuscisse Aerith a continuare a vivere in quella casa che aveva appena iniziato a condividere col neo marito, come potesse continuare a dormire in quel letto che li aveva visti protagonisti della loro prima notte di amore, come potesse continuare a mangiare da sola in quella tavola che un giorno era stata testimone dei loro piani per il futuro. Zack se n’era andato prima di compiere uno dei suoi più grandi sogni: diventare padre; in realtà, per la fioraia fu un sollievo che se ne fosse andato prima di conoscere la tragica notizia: ella era infatti sterile. Non sarebbe mai stata in grado di poter soddisfare la richiesta più grande del suo amato e, in un certo senso, il fatto l’aiutò a superare più facilmente la perdita del suo primo amore giacché era consapevole che non sarebbe stata in grado di renderlo completamente felice. Tale situazione aveva posto Tifa in allerta: Cloud non aveva mai parlato di avere dei figli, tuttavia non si era mai nemmeno preoccupato di utilizzare delle precauzioni né mai aveva chiesto a lei di farlo. Al momento non era il suo primo pensiero, occuparsi di Marlene e Denzel era già una grande responsabilità, ciò nonostante l’idea di divenire madre era sempre stato un suo grande desiderio.

“Cloud…” una notte, distesa al suo fianco, gli aveva domandato “Cosa accadrebbe se rimanessi incinta?” contrariamente a ciò che aveva immaginato, il giovane rimase calmo, non s’irrigidì ma non mostrò nemmeno alcuna emozione.

“Dovrei lavorare il doppio.” aveva semplicemente risposto. Tifa annuì e appoggiandosi sul suo petto nudo, sospirò: non era quella la risposta che si aspettava. Certamente non c’era una risposta giusta, tuttavia… Poteva davvero essere così indifferente dinnanzi ad un tema tanto delicato? Quando si era aperta con Aerith, sfogando con l’amica i suoi più grandi dubbi e timori, questa le aveva semplicemente sorriso: “A causa dell’infanzia che ha avuto forse non vuole diventare papà.”

“L’ho pensato anch’io.” convenne Tifa “Ma se così fosse non mi avrebbe mai proposto di portare in casa Marlene e Denzel, noi siamo come una famiglia.”

“Siete come una famiglia.” sottolineò la Ancient “Come, capisci? Non c’è un vero legame di sangue fra di voi quindi sa che esiste una responsabilità ma sa anche che è una responsabilità che non si protrarrà in eterno. Un figlio invece è per sempre, come una moglie.” Le parole della fioraia, seppur velate dal suo gentil tono, ebbero lo stesso effetto di un coltello in pieno petto. Tifa pensò che l’amica volesse semplicemente essere sincera, che non fosse sua intenzione ferirla. Forse, inconsciamente, le sue parole erano dettate dall’infelicità che le provocava la solitudine perché, in tutta la sua grazia e perfezione, Aerith era divenuta ormai una persona sola. Era una bellissima regina solitaria, rinchiusa fra le quattro pareti del suo castello, intrappolata nei ricordi di un passato che non sarebbe mai più tornato. Probabilmente era per quello che nell’ultimo periodo spesso partiva verso mete sconosciute dalle quali tornava rinvigorita, con nuova forza, con nuovo calore da emanare.

E con uno strano odore di metallo.

 

 

 

‘Cause to be by her side

Le consegne di Cloud diventavano sempre più urgenti, le mete sempre più distanti, i tempi sempre più prolungati. Spesso tornava per un paio di giorni per poi scomparire per una settimana o molto più. Tifa lo tempestava di chiamate, preoccupata, ma per quanto insistesse il biondo non rispondeva mai e le rare volte in cui lo faceva, andava di fretta. Una mattina, facendo il bucato, notò un foglietto pendere dalla tasca di un paio di pantaloni del compagno. Inizialmente pensò si trattasse dell'etichetta ma guardandolo da vicino notò che si trattava invece di una nota. Decisa a metterla sul comodino di Cloud, la prese fra le mani ma cadde a terra, aprendosi e mostrando il suo contenuto.

“Smith

Gongaga Village

Urgente: 08/06/2014”

E la porcellana, già scheggiata, si bucò.

Corse giù dalle scale scendendo più gradini alla volta, le mani ormai gelide, segno che la sua pressione stava rapidamente calando. Senza nemmeno preoccuparsi di chiudere la porta corse verso la casa dell’unica persona che aveva considerato come una sorella. “Aerith! Ci sei? Aprimi per favore! Aerith!” urlò disperata e bussando ripetutamente alla porta, tentando di aprirla in vano. “Aerith!”

“Signorina Lockhart?” la mora si voltò e riconobbe la signora come una delle clienti abituali della castana. “Sta cercando la fioraia?”

“S-sì! Voi l’avete per caso vista? È una questione della massima urgenza!”

“Mi dispiace cara ma qualunque cosa sia temo dovrà attendere... Vedi, la tua amica è partita due giorni fa per Gongaga Village e ha detto che non sarebbe tornata prima di una o due settimane.”

La porcellana si ruppe dentro.

 

 

 

It's such a change from old routine

Non seppe nemmeno come tornò a casa, semplicemente tornò. Si sedette ai piedi del letto, il biglietto fra le mani mentre l’immagine dell’ultima notte che aveva trascorso con Cloud si progettava nella sua mente come un ricordo indelebile.

“Devo fare una consegna urgente a Gongaga Village, parto domani.” la aveva informata il compagno coprendo i loro esausti corpi nudi con il piumino. Sospirò: era stata una stupida ad aver creduto che il biondo sarebbe potuto rimanere più a lungo del solito. Da un po’ di tempo ormai Cloud aveva un nuovo cliente, un tale signor Smith con cui lei, diversamente dal solito, non aveva mai trattato al telefono giacché l’uomo in questione aveva avuto il numero di Cloud tramite passaparola. Smith gli chiedeva di svolgere delle consegne nei luoghi più remoti del mondo; d’altronde non si potevano lamentare, la paga era buona anche se andando avanti Tifa si era resa conto non valesse l’assenza di Cloud.

“Ci sarà mai una volta in cui tornerai per restare almeno una settimana?” gli chiese disegnando dei cerchi immaginari sul suo petto.

“Ci servono i soldi.”

“Lo so ma… Manchi in casa. Manchi a Marlene e a Denzel. E manchi anche a me.” Cloud passò le dita fra i suoi lunghi capelli cioccolato e, chiudendo gli occhi, la strinse a sé.

“Finirà presto vedrai.”

Allora era il 31 maggio: Tifa lo ricordava bene perché quello stesso giorno i bambini li avevano invitati alla recita di fine anno ed il giorno seguente Cloud era partito alle prime luci dell’alba, lasciando dietro di sé una Tifa in preda alla nausea, la stessa nausea che provava ora ai piedi del loro letto sporco di tradimento. Con la vista annebbiata dalle lacrime la mora guardò il calendario sulla parete, confermando per l’ennesima volta i suoi calcoli: erano passati due giorni dalla partenza di Cloud e Aerith ma forse si trattava una mera coincidenza, forse era tutto frutto della sua immaginazione. Incapace di trattenere i singhiozzi, riusciva a chiedersi solo perché. Negli ultimi tempi Cloud tornava a casa più stanco di prima, la sua voce aveva iniziato ad assumere un tono annoiato, quasi come se tornare alla routine lo turbasse profondamente. Era forse la loro monotonia ad averlo spinto a commettere il massimo tradimento? Forse era più semplice entrare nel fiabesco mondo della sua fioraia e divenire il suo cavaliere. E Aerith… Come aveva potuto fare una cosa del genere? Aveva perso l’amore della sua vita ed insieme ad esso colei che per tanti anni aveva considerato come una sorella. Aerith più di ogni altro conosceva le sue debolezze, le sue angosce, le sue paure più grandi e la sola idea che le avesse utilizzate contro di lei… Ma ora tornava tutto: ogni singolo dettaglio, ogni frase di troppo, ogni incomprensione, ogni volta che Cloud usciva per una commissione in città e tornava tardi perché ‘c’era traffico’ oppure perché ‘la fila era infinita’ o ancora perché ‘c’è stato un incidente’. Ogni viaggio, ogni telefonata segreta, l’eccessiva curiosità della Ancient riguardo a Cloud e la loro vita coniugale, tutte quelle coincidenze ora divenivano pezzi di un unico puzzle che furiosamente si riunivano, formando un quadro che la giovane non avrebbe mai voluto vedere. L’immaginò insieme, nascosti in una qualche camera di albergo di una lontana città, intenti a comportarsi come una coppietta di innamorati. La sola idea che avessero intimato, che lui l’avesse sfiorata come sfiorava lei, che l’avesse baciata con la stessa famelicità con la quale s’impossessava delle sue labbra, che le sussurrasse quelle stesse cose che la facevano impazzire, che la rendesse sua con la stessa dolcezza mentre lei urlava il suo nome… La scena provocò in Tifa una nuova ondata di nausea. L’immagine di Cloud divenire un tutt’uno con la sua amante senza usare alcun tipo di protezione, violando completamente la frontiera di un altro corpo... Corse in bagno e rigettò il cuore e l’anima stessa, schifata all’idea di sapere che colui che aveva sempre considerato un uomo giusto e corretto fosse lo stesso che era stato così sporco da andare a letto con un’altra donna e con quello stesso corpo tornare a casa e fare l’amore con lei. Devastata da troppe emozioni, non sentì il campanello suonare e si accorse di non essere più sola solo quando sentì delle mani stringerle le spalle.

“Tifa!” la voce preoccupata di Yuffie le fece aprire piano gli occhi “Oh, Gaia! Che cosa ti è successo?!”

“N-Non… Non è niente…” rispose a fatica e abbozzando un sorriso. Tifa adorava l’amica ma in quello specifico momento desiderava unicamente stare da sola: voleva piangere via tutto il dolore e pensare all’avvenire. Sentì però un nuovo conato di vomito farsi strada e si tappò istantaneamente la bocca, cercando di calmarsi.

“Non è niente?! Tifa sei pallida! Dobbiamo andare da un dottore e anche subito!” la piccola ninja si diresse all’entrata del bagno e, senza staccarle gli occhi di dosso, urlò i nomi di due Turk ben conosciuti da Tifa. “Argh, ma dov’è Cloud quando c’è bisogno di lui?! Per fortuna che siamo arrivati noi, altrimenti…”

“Reno e Rude? Cosa…?”

“Ci siamo incontrati per caso fuori dal locale… Ma lasciamo i dettagli a quando starai meglio!” spiegò Yuffie mentre Reno prendeva in braccio la Lockhart; ironico come lo stesso iperattivo ragazzo che un giorno avesse cercato di ucciderla ora la tenesse stretta fra le braccia come un gioiello prezioso. Se avesse potuto vedere la scena, la piccola Marlene l’avrebbe indubbiamente descritta come il romantico e glorioso momento in cui il principe porta in salvo la sua amata principessa verso un lieto fine.
Ma Reno non era un principe, era un Turk.

E Tifa non era una principessa, era una guerriera.

E non c’era niente da salvare.

 

 

 

But

“Probabilmente è qualcosa che ho mangiato ieri. D’altronde che altro può essere?”

“Non saprei… Una forma evoluta di geostigma? Potrebbe essere! Dopotutto tu vivi con Denzel, che ne sai se magari…” le folli idee di Yuffie vennero interrotte dall’arrivo del medico che sorrise alle giovani.

“Signorina Lockhart.” la mora si sedette all’istante, desiderosa di sentire un semplice ‘Può tornare a casa, era solo una forte indigestione’.

“Dottore non ci tenga sulle spine, per favore parli!” s’intromise Yuffie, cercando nell’espressione del medico un qualche segno che rivelasse la gravità delle condizioni dell’amica.

“Non è nulla di grave.” le ragazze sospirarono, felici nell’udir tali parole. “Tuttavia d’ora in avanti le sono proibiti stress di alcun tipo, sia fisici sia psicologici. So che lei si occupa da sola del 7th Heaven.” la giovane annuì, non comprendendo il perché di una simile richiesta. “Non potrà più stare sveglia fino a certe ore della notte, dovrà cercare di riposarsi il più possibile e…”

“Dottore, aspetti!” lo interruppe, convinta ora più che mai di non riuscire a seguirlo. “Mi ha detto che non è grave, allora perché tutte queste restrizioni?”

Sorrise: “Congratulazioni signorina Lockhart: aspetta un bambino.”

Qualcosa da salvare, dopotutto, c’era.

 

 

 

The other woman will always cry herself to sleep

Incinta. Dopo tanti anni di convivenza nei quali non aveva mai nemmeno affrontato la paura di una gravidanza, Tifa Lockhart, nel peggior momento della sua vita, scopriva di essere incinta. Incinta! Si rese conto solo allora che per quanto lo avesse sempre desiderato, non era ancora pronta. Come avrebbe potuto affrontare la responsabilità di un figlio da sola? Chi si sarebbe occupato del 7th Heaven? Chi si sarebbe preso cura della casa e dei bambini? Ma soprattutto, chi l’avrebbe detto a Cloud? Se prima aveva avuto dei dubbi sul fatto che non volesse figli, ora che aveva scoperto la sua doppia vita era certa non li desiderasse affatto. Quella stessa ragazza che un giorno ebbe il coraggio di affrontare Sephiroth, ora si sentiva intimorita dall’avvenire come non lo era mai stata. Sfiorò piano il ventre e delle calde lacrime ne rigarono il viso. Si chiese se il destino si stesse prendendo gioco di lei, se tutto ciò non fosse altro che un incubo dal quale si sarebbe presto destata. Desiderava quel bambino che cresceva nel suo ventre con tutta sé stessa ma quella non era la situazione giusta, non era quella la vita che voleva per la sua piccola creatura. Maledisse Cloud e Aerith per aver rovinato tutto, inveì contro Zack per averli abbandonati ma nulla la fece sentire meglio, niente allietava il dolore che sentiva nel profondo del suo petto. Ciò che più la faceva sentire colpevole era il desiderio sfrenato di tenere quel bambino nonostante tutto ciò che era avvenuto. Per quanto sbagliato e ossessivo potesse suonare, lei voleva un figlio da Cloud: non c’era nessun altro uomo dal quale avrebbe desiderato avere un figlio se non da Cloud Strife. E più lo realizzava, più si sentiva un mostro e domandava perdono alla creatura che portava in grembo per il suo inaccettabile egoismo. Indipendentemente da ciò che sarebbe successo fra lei e Cloud, a dispetto di ciò che lui avrebbe potuto dire, lei era ormai era decisa a tenere quel figlio che tanto a lungo aveva desiderato. “Basta piangere.” si asciugò le lacrime decisa ad affrontare le difficoltà con l’energia, la determinazione e la speranza che l’avevano sempre caratterizzata “Adesso basta fare la brava mogliettina.”

Quando una settimana dopo Cloud tornò a casa, la solita voce gentile di Tifa che gli dava il benvenuto venne sostituita da una voce ben più profonda e per lui irritante: “Yo, Chocobo-head!” nell’udire il saluto, Tifa guardò in direzione dell’entrata e si limitò a un piccolo cenno del capo per poi riporre la sua attenzione su Reno al quale indicò il tavolo a cui era destinata la grossa caraffa di birra sul bancone. Il biondino, domandandosi per quale strana ragione la compagna si stesse facendo aiutare da quel teppistello, si avvicinò ai due Turk.

“Tifa?”

“Chiuderò fra qualche ora, tu sei vuoi mettiti a tuo agio.” gli rispose rapidamente “Immagino ti sarà mancato il tuo letto.” aggiunse ironica, guadandolo dritto negli occhi. Per un momento quei suoi così perfetti occhi cielo si annebbiarono e poté chiaramente intravedere in essi la sorpresa e la disperazione in un misto di emozioni che combattevano tra loro una battaglia senza vincitori. Ma non era ancora il momento. Con uno dei suoi soliti calidi sorrisi la mora dissolse ogni timore di Cloud: “Bentornato a casa.” aggiunse, assicurandosi che quest’ultimo non sospettasse nulla. Qualche ora più tardi il biondino scese e vide Reno e Rude avviarsi all’uscita. “Rude, Reno!” li chiamò la Lockhart prima di raggiungerli “Vi ringrazio.” Il più giovane dei due sfoggiò il suo sorriso da rubacuori e, prendendo la mano della mora, ne baciò il dorso. Una bestia feroce ringhiò dentro Cloud, il quale per la prima volta sentì una strana morsa sul petto: senza rendersene conto aveva digrignato i denti e stretto i pugni in una mossa ferrea. Tifa ritrasse la mano e scosse la testa ridendo mentre Rude si portò una mano sulla fronte, esasperato e imbarazzato dalle esplicite avance del collega. Il rosso si limitò a fare spallucce ma prima di andarsene si voltò verso Cloud con il suo singolare ghigno.

“Ciao, Chocobo-head!” anticipando la mossa del padrone di casa, il Turk uscì velocemente dal locale e la bottiglia di plastico a lui indirizzata colpì la porta.

“Cloud!” il rimprovero di Tifa venne parzialmente coperto dalla risata di Reno che si faceva sempre più distante.

“Perché sono venuti?” l’espressione estremamente seria e severa di Cloud infastidì la giovane che tuttavia optò per non perdere le staffe.

“Mi hanno aiutato con la gestione del bar nell’ultima settimana.” notando vicino alle scale un disegno di Marlene, superò il compagno e lo raccolse: era intitolato ‘La mia famiglia’ e vedeva rappresentati tutti gli integranti di casa Strife-Lockhart ma a differenza di Cloud e Denzel, Marlene e lei non si tenevano per mano giacché quest’ultima aveva fra le braccia un bambino. Cercando di trattenere le lacrime, la mora inspirò.

“Non hai mai avuto bisogno di aiuto.” commentò il biondo, distogliendola dai suoi pensieri. “Se hai bisogno poss…”

“Tu non ci sei mai, Cloud.” ribatté sedendosi sugli scalini, il disegno di Marlene ancora fra le mani. “E di certo non potevo farti venire di corsa da Gongaga Village, avevi una consegna urgente se non ricordo male.” Proprio come ogni volta che si sentiva messo con le spalle al muro, il ragazzo distolse lo sguardo e rimase in silenzio.

“Sono pericolosi.” sentendo la sua risata, Cloud aggrottò le sopracciglia.

“Credimi, sono molto più innocui di quanto tu non creda. Inoltre non mi farebbero mai del male, non per ora almeno.”

“Non per ora?” Tifa si morse il labbro e si chiese se quello fosse il momento giusto. Non era così che l’aveva immaginato, non era così che avrebbe voluto che fosse. Nei suoi sogni lei gli dava la notizia a piccole dosi: aggiungendo un piccolo piattino in più a tavola, mettendo la calza di un neonato fra le sue, facendogli trovare per caso un ciuccio dentro la sua tazza preferita ed infine facendogli trovare sulla Fenrir un mini casco ed una piccola giacca di pelle abbinati ai suoi. Ma tutto ciò non sarebbe mai accaduto. Non l’avrebbe mai sentito chiedere per chi fosse il piattino in più, non le avrebbe mai domandato se per caso la lavatrice stesse avendo dei problemi, non avrebbe mai visto la buffa espressione che avrebbe assunto nel vedere un ciuccio e non l’avrebbe mai visto prendere fra le mani la giacchina e il caschetto domandando spiegazioni con voce tremante. Sospirando, Tifa si alzò ma rimase sulle scale, sovrastando di poco in altezza il compagno ora a qualche metro da lei.

“Cloud…” cominciò “Io… In questi giorni ho scoperto una cosa. Una cosa che in realtà c’è da tempo ma di cui sono venuta a conoscenza solo una settimana fa.” I loro occhi si incontrarono e, per la prima volta dopo tanto tempo, si guardarono: l’azzurro di lui e il rosso di lei s’intrecciarono in una silenziosa danza di ricordi. Rivissero la loro prima notte insieme, la prima notte di entrambi; rivissero le battaglie, la gioia e il dolore, l’arrivo di Marlene e Denzel; rivissero la prima consegna della Strife Delivery, la notte in cui lui le aveva regalato l’anello di Fenrir; rivissero la nostalgia di casa, l’agonia che aveva provocato in loro la malattia di Denzel ed infine rivissero poi quella pace che li aveva avvolti quando, sconfitto Sephiroth, riuscirono nuovamente a salvare il mondo, insieme. Insieme come sempre. Insieme da tutta la vita. E per un momento il cuore fragile e lacerato di Tifa, cedette: forse lo poteva perdonare, forse potevano ricominciare. Ma sì, perché no? Forse dovevano lasciare quella città e partire lontano, cambiare vita, cambiare tutto! E chissà, forse l’arrivo di questo bambino voleva significare proprio un nuovo inizio. Forse, forse...

Ma potrei mai dimenticare?

In quello stesso istante gli occhi di Cloud, così profondi e caldi, titubarono: la tagliò fuori, non voleva che continuasse a scrutare dentro di lui. La risposta però per lei era chiara: no, non avrebbe mai potuto dimenticare. Ancora una volta si era persa in quegli occhi che l’avevano trascinata via dal mondo e, giunta al momento culmine, l’avevano dirottata verso un oceano in tempesta, facendo affondare insieme a lei anche le sue ultime speranze. Non avrebbe interferito: avrebbe lasciato al tempo la piega che gli eventi avrebbero inevitabilmente preso. “Cloud, io…” lo guardò nuovamente negli occhi cercando in lui un segno, una qualsiasi cosa, una qualsiasi forma di redenzione. Ma vi trovò il nulla: non il minimo rimorso, non il minimo senso di colpa. “Sono incinta.”

Nascosta dietro la finestra del 7th Heaven, una giovane dalle iridi verdi si lasciò scivolare a terra, incapace di trattenere le lacrime che copiose ne macchiavano il vestito rosa.

 

 

 

The other woman will never have his love to keep

Cloud reagì nell’unico modo che non aveva immaginato: baciandola. La baciò con tutta la passione che scorreva fra le sue vene, corpo contro corpo, anima contro anima.

“Avevo paura.” le confessò, riprendendo fiato “Avevo paura che una simile responsabilità diventasse un peso.” abbassò lo sguardo e imbarazzato guardò intensamente il ventre della compagna “Invece capisco finalmente perché Zack volesse così disperatamente diventare padre.” Appoggiò una mano sul suo ventre mentre con l’altra ne cinse la vita, gli occhi fissi su quelli rossi di lei. E Tifa si odiava, si odiava profondamente. Divisa fra il desiderio di urlargli in faccia la verità e quello di baciarlo con tutto l’amore che poteva donare, si domandò se sarebbe mai stata capace di smettere di amarlo. Sarebbe mai riuscita a guardarlo negli occhi e non provare nulla? Aveva commesso qualcosa di imperdonabile... Allora perché continuava ad amarlo? Che cuore masochista pensò, incontrando negli occhi del suo amato quell’oceano che tanto amava e al contempo tanto temeva.

“Tanto tu non ci sarai mai, sei troppo occupato con le tue consegne.” quelle parole uscirono secche e velenose, appuntite e affilate come dei coltelli che colpivano il cuore di Cloud lentamente e profondamente uno ad uno.

“È il mio lavoro.” sentendo l’arrivo di un forte mal di testa, Tifa si mise una mano sulla fronte. Cloud non era un esperto di gravidanze ma era certo che sottoporre a stress psicologico una donna in dolce attesa fosse tanto grave quanto esporla ad uno stress fisico. Toccandola con estrema delicatezza la fece sedere e le tolse la mano dal viso, invitandola a guardarlo. Incontrando gli occhi intrisi di dolore e rassegnazione della donna che gli aveva dedicato la sua vita intera, per la prima volta da quanto aveva iniziato la sua doppia vita Cloud comprese la gravità dei suoi atti. Che cosa ho fatto?, si chiese. Che cosa ti ho fatto Tifa?

“Tifa, io...” per un momento pensò di raccontarle tutto, di chiederle perdono, di ricominciare. Di andarsene via lontani, di lasciare tutto e tutti. Questo bambino era un segno, era un nuovo inizio.

Eppure...

I mesi seguenti sarebbero stati di certo i più difficili, come difficile sarebbe stato riconquistare la sua fiducia ma era certo che prima o poi, Tifa sarebbe riuscita a perdonarlo. Ciò che li univa era troppo forte: attraversava il tempo, le distanze, le circostanze, le difficoltà. Era un amore epico: costellato da perdite e sangue ma capace di resistere anche alle minacce più spietate.

Eppure...

Un giorno avrebbero sicuramente riso del passato, avrebbero raccontato ai nipotini delle loro gesta e lui avrebbe narrato di come la loro splendida nonna, la donna più bella del mondo, la principessa guerriera, colei che personificava la speranza stessa, continuasse a conquistarlo ogni giorno con un nuovo sorriso, con quello sguardo pieno d’amore che rivolgeva solo a lui, con la sua stessa esistenza. Sì, potevano ricominciare. Doveva solo parlare, guadagnarsi il suo perdono e poi Aerith sarebbe stata solo un ricordo.

Eppure...

Eppure sapeva bene che Aerith non sarebbe mai stata solo un ricordo. Sarebbe stata un’ombra: l’avrebbe perseguitato, silenziosa, nascosta là dove nessuno la potesse vedere e a notte fonda, quando Tifa si fosse addormentata sicura fra le sue braccia, si sarebbe presentata nei suoi incubi per ricordargli tutti i suoi peccati ed infine, un giorno non poi così lontano, lo avrebbe raggiunto in una qualche sperduta località del mondo per mera coincidenza, esattamente come era avvenuto la prima volta e lontani dagli occhi indiscreti di amici e vicini, avrebbero peccato, concedendosi ai piaceri della carne. E solo in quel momento Cloud realizzò una devastante quanto sorprendente verità: non l’amava. Cloud non amava Aerith. Ciò che lo univa a lei non era l’amore: era il suo ego, era il ricordo di un passato, era qualcosa non avrebbe mai potuto avere. Ma non era amore. Era quello strappo alla routine che rendeva trasgressiva la sua monotonia, l’idea di un’amante segreta faceva scattare in lui un’adrenalina che aveva provato solo nelle migliori battaglie. Guardando la sua Tifa infranta come una bambola di porcellana, capì di non essere diverso da quel mostro che aveva combattuto tanto a lungo. Cloud amava Tifa. Ma non era abbastanza uomo da cancellare Aerith dalla sua vita.

“Non posso lasciare le consegne, sono il mio lavoro. Però…” accarezzò piano il volto di Tifa, quel volto per lui così perfetto e a cui segretamente pensava mentre soddisfaceva i suoi bisogni fisici con l’altra donna. “Mi dedicherò solo a quelle ben remunerate e non mi allontanerò più per tanto tempo.”

“Non fare promesse che non puoi mantenere.”

“No, Tifa...” tornò nuovamente a toccarne il ventre, lo sguardo fisso su di lei. “Io voglio davvero avere questo bambino. E lo voglio avere solo con te.” aggiunse piano, enfatizzando le ultime parole.

Aerith sarebbe sempre stato il suo fantasma. Ma Tifa sarebbe stata sempre il suo unico, eterno e vero amore della vita.

 

 

 

And as the years go by

A dispetto di ciò che aveva inizialmente creduto, Cloud mantenne la parola data: trascorreva molto più tempo a casa e quando effettuava delle consegne non si allontanava per più di due o tre giorni. La notizia si sparse veloce per tutta Edge ed in seguito nei territori circostanti, giungendo fino alle terre più remote, provocando un senso comune di resa nella maggior parte degli uomini che avevano sperato di poter avere una chance con la splendida barista. Presto gli amici li andarono a trovare per congratularsi e fra di loro Aerith apparve con vaso di fiori più grande di lei e con un sorriso più dolce del miele: “Che possa la vostra casa illuminarsi di tutti i colori dell’arcobaleno grazie all’arrivo della creatura.” Tifa sorrise, destando la bestia che dentro di lei reclamava il sangue della castana ma era consapevole della stupida scelta che aveva preso: aveva deciso di rimanere al fianco di Cloud il tempo necessario per dimenticarlo giacché era conscia del fatto che separarsi in quel momento sarebbe stato del tutto inutile. Sapeva bene che si trattava di una bomba ad orologeria e che l’esplosione sarebbe stata devastante ma di certo non avrebbe sopportato un simile dolore a vita solo per dare un padre a suo figlio. Così le sorrise gentile e, osservando quelle rose prossime ad appassire, ringraziò l’amica.

Nove mesi dopo, dopo 10 lunghissime ore di travaglio, Tifa diede alla luce due splendide creaturine dal colore degli occhi ancora sconosciuti. Cloud, al quale era stato concesso di partecipare al parto, stringeva ora fra le braccia una meravigliosa bambina dai folti capelli scuri mentre la compagna cullava un silenzioso bambino dagli spigolosi capelli biondo cenere. Il neo papà non riusciva a staccare gli occhi dalla figlia della quale sembrava già chiara la personalità: muoveva con tale foga i braccini che per un momento gli sembrò di vedere le mosse di Tifa in piena battaglia. Si avvicinò alla compagna e vide il piccolo dormire tranquillo: dei due sarebbe stata lei la combina guai.

“Non abbiamo mai pensato ai nomi.”

“Hai qualche idea?” domandò lei sorridendo dinnanzi al bellissimo quadro che si trovava dinnanzi: non avrebbe mai pensato che un uomo potesse diventare affascinante con un neonato fra le braccia.

“Zack.” la risposta fu immediata e fortemente emotiva. “È solo un’idea...” Tifa guardò il figlio e ripeté il nome dell’amico che non li aveva mai abbandonati e fu allora che il piccolo si mosse ed aprì lentamente gli occhi, mostrandone finalmente il colore.

“Sì! Ha preso il mio colore!” esultò la mora, riempendo di baci il neonato. “Guarda Cloud, ha gli occhi rossi! Ma un rosso brillante, acceso... Non credevo fosse possibile in natura una simile meraviglia.” Il biondo si chinò sul figlio: gli occhi di Tifa erano un rosso più denso, un rosso sangue che gli donavano calma e lo cullavano verso un mondo pieno d’amore; gli occhi del figlio invece erano di un rosso acceso, un rosso corallo così intenso da iniettargli una forte dose di adrenalina nel sangue.

“A quanto pare le piace essere il centro dell’attenzione!” commentò Tifa sentendo la figlia emettere dei versetti e muoversi fra le braccia del padre. “Zack va bene. Mi piace. E lui ne sarebbe felice.” Cloud fece per rispondere ma la neonata si fece nuovamente sentire, attirando l’attenzione di entrambi. La ragazza, ancora visibilmente stanca, rise, immaginando già tutti i futuri guai che quella meraviglia le avrebbe fatto passare. Guardandoli insieme, Tifa non poté che sentire un forte calore nel cuore irradiarsi lungo tutto il corpo, facendola sentire felice come non si sentiva da molto ormai. Si chiese se le cose non potessero migliorare, se davvero fosse tutto finito per loro, se fosse così folle l’idea di ricominciare. Si chiese se...

Poco distante da Cloud, i pensieri della mora vennero interrotti dalla vista di qualcosa che inizialmente non seppe identificare. Spostando leggermente il capo, notò nell’angolo della stanza un vaso contenente dei fiori gialli che conosceva fin troppo bene ma la rabbia e il dolore che avrebbero ben presto inondato il suo cuore svanirono nel momento in cui spostò lo sguardo sulla figlia.

“Tifa, i suoi occhi sono...”

“...Viola!” finì lei, entusiasta. Avvicinando i loro capi fecero ombra sugli occhi della bambina la cui tonalità divenne rossa come quella della madre.

“Cambiano a seconda della luce!” constatò Cloud, spostandola verso la luce per confermare la sua teoria. “Ha la bellezza di una piccola dea” aggiunse poi, stuzzicandone il naso con le dita. “D’altronde con una madre del genere non poteva essere altrimenti.” Guardandola negli occhi, ebbe un’illuminazione: “Cosa ne dici di un nome greco? Tipo Era o Venere.” Tifa sgranò gli occhi: non avrebbe mai immaginato che Cloud sarebbe stato un uomo così dedito ai figli eppure eccolo lì, ad amarli, adorarli e adularli, cercando un nome adatto, un nome eroico, un nome che fosse da solo un’introduzione e una promessa.

“Che ne dici di Saigyn (N.d.A. ‘Sai-gin’)? La pronuncia corretta sarebbe Sigyn (N.d.A. ‘See-ghen’) ma io l’ho sempre erroneamente chiamata Saigyn e quando l’ho scoperto ormai mi ero affezionata alla pronuncia sbagliata.”

“Saigyn… E chi era? Non ricordo una simile dea greca.” la moretta rise, divertita.

“Infatti non appartiene alla mitologia greca: è una dea norrena il cui nome significa ‘Amica della vittoria’. È la moglie di Loki, dio dell’inganno. Lei gli rimase sempre fedele, anche dopo che Odino imprigionò il marito. Dopotutto persino un dio prima o poi deve pagare per i propri tradimenti, dico bene?”

“S-sì, presumo di sì anche se...” deglutì, pentito di aver lasciato la frase a metà: si era costretto a rispondere da solo “Allora che senso ha essere un dio? Non dovrebbe esserti concesso tutto?” Tifa ghignò.

“Dei, eroi... Per il semplice fatto di essere tali, se tutto gli fosse concesso, dove tracceremmo la linea del bene e del male? Anche Sephiroth era convinto di essere un eroe, eppure non lo abbiamo combattuto forse?” il biondo si limitò a cullare la figlia, incapace di guardare negli occhi quella donna che gli aveva donato la più immensa felicità e alla quale lui ricambiava con il peggiore dei tradimenti. Fu in quel momento, con la piccola Saigyn fra le braccia e Zack dormiente sul seno della madre, che realizzò la peggiore fra le verità: Tifa non meritava neanche un briciolo del dolore che le stava provocando e lui sarebbe arso all’inferno.

“Mi piace. Credo sia il nome perfetto.” guardando i figli lo colpì una seconda realizzazione: nulla di ciò che aveva fatto– combattere Sephiroth, salvare il mondo, niente, niente si sarebbe mai eguagliato alla sensazione che gli provocava vedere, sentire e stringere i propri figli. I loro figli. Sarebbero stati indissolubilmente legati in eterno: aldilà di ogni cosa, aldilà del tempo, aldilà del bene e del male, ora formavano una famiglia. Famiglia. Non avrebbe mai creduto che lui, Cloud Strife, ne avrebbe avuto una. Dopo tutto ciò che aveva passato credeva di essere diventato un uomo diverso dagli altri, con aspirazioni e sogni lontani dalla sfera della normalità. Ma vedere Tifa imperlata di sudore, il piccolo Zack imbrattato di sangue, sentire fra le proprie braccia il corpicino caldo di Saigyn... Fu allora che si rese conto di non essere nient’altro che un semplice uomo con semplici desideri, semplici sogni e semplici aspirazioni. Più li guardava e più si sentiva invincibile, intoccabile... Completo. Un uomo felice. Si avvicinò a Tifa e, abbassandosi alla sua altezza, appoggiò la propria fronte alla sua, pronto a confessarle il suo più grande segreto, la sua più grande debolezza:

“Ti amo, Tifa Lockhart.”

 

Ma lei non seppe rispondere.

 

I bambini crebbero forti e sani, dimostrando sin da subito la loro indole. Zack rendeva onore all’eroe di cui aveva ereditato il nome: i biondi capelli cenere con gli anni cominciarono a scurirsi, lasciando posto ad una tonalità castana; nonostante il carattere iperattivo aveva creato un forte legame con gli zii Vincent e Reno, quest’ultimo in particolare non perdeva occasione per scombinargli gli appuntiti capelli e consigliargli un taglio più ‘cool’ come il suo. Cloud, nonostante avesse inutilmente provato numerose volte a mettere in cattiva luce il Turk, si accontentava del fatto che il figlioletto fosse orgoglioso del padre e che la sua massima aspirazione fosse diventare come lui. Fisicamente aveva molto al padre tuttavia le smorfie che adottava erano quasi tutte di Tifa, rendendolo il mix perfetto della coppia. Saigyn al contrario era una piccola Tifa: i lunghi capelli cioccolato erano il perfetto riflesso di quelli della madre, solo molto più vivaci giacché mossi e con dei riflessi rossicci; caratterialmente invece aveva molto di entrambi: seppur fosse una bambina estroversa e gentile, non esitava ad essere di poche parole quando si sentiva a disagio o in compagnia di persone a lei non gradite, il che accadeva raramente, per lo più quando andavano a trovare zia Aerith. I gemelli avevano un ottimo rapporto con tutti i loro zii ma se c’era qualcosa che li accomunava era proprio l’antipatia per la zia dalle iridi verdi. Tifa era rimasta piacevolmente sorpresa nello scoprire quel particolare, non si era mai mostrata scortese con la Ancient né tanto meno aveva mai fatto trapelare nulla, tuttavia i suoi figli sembravano provare un’avversione gratuita nei confronti della fioraia. D’altronde negli ultimi anni Aerith era molto cambiata: non aveva perso la sua natura tipicamente allegra e gentile, con la sua esile e fragile apparenza rendeva ancora chiunque la incontrasse il suo fido cavaliere ma non era più capace di riscaldare i cuori e gli animi con la stessa intensità di prima. Aerith non era mai stata il sole, Aerith era un mero girasole e come tale necessitava del calore altrui per poter fiorire e Cloud era servito proprio a dissetare il suo bisogno di amore poiché lei non era capace nemmeno di amare sé stessa. Tifa al contrario era sempre stata la luna: non aveva bisogno di nessuno per brillare poiché brillava di luce propria, una luce talmente calida da illuminare persino le notti prive di stelle. Cloud non serviva a farla sentire viva… Lei era già viva. Ed era l’amore verso sé stessa che le aveva fatto comprendere che l’amore era tutt’altro rispetto alle briciole di cui i due amanti si cibavano reciprocamente. Aerith era ancora un girasole ma era un girasole appassito. Spesso era nervosa, agitata, guardava più volte il calendario con l’affanno di chi attende ansioso l’arrivo di un giorno in particolare. I suoi viaggi, che erano stati lunghi e costanti, ora erano divenuti qualcosa di raro e di fugace. E mentre gli anni non facevano che migliorare l’aspetto di Tifa, rendendola più donna, più sensuale, più femme fatale, su Aerith il tempo sembrava avere un effetto distruttivo: i suoi capelli chiari perdevano lucentezza; gli occhi color smeraldo, appesantiti dallo stress che nessuno sapeva spiegare, iniziavano a presentare delle evidenti occhiaie violacee; la sua corporatura esile e fragile era divenuta più asciutta, chiaro segno di malnutrizione. Spesso Tifa si chiedeva se Cloud non avesse timore di romperla nei loro momenti d’intimità ma la pietosa scena le fece allontanare il pensiero. Scosse la testa e sorrise, contenta delle sue due opere d’arte: due grosse torte a cinque piani, una rosa e l’altra azzurra, occupavano quasi tutto il piano cottura. Oggi Zack e Saigyn Strife compivano cinque anni.

Cinque anni che Tifa e Cloud non facevano l’amore.

 

 

 

The other woman

Durante i primi mesi della gravidanza, si era sentita spesso lei l’altra donna. Era certa che non avrebbe mai smesso di vederla e i suoi costanti, seppur relativamente più brevi viaggi ne erano la prova: non potendo rischiare di perderla tutto d’un tratto, aveva gradualmente ridotto i loro incontri clandestini fino a renderli sporadici. In realtà la fioraia si era convinta che con la nascita dei gemelli avrebbero avuto più tempo per loro, la variabile che non aveva considerato però era che Cloud s’innamorasse perdutamente dei suoi figli. Un giorno Tifa gli avrebbe reclamato di essere l’uomo più spregevole del mondo, l’uomo più codardo e sfrontato che avesse mai conosciuto, ma come padre non avrebbe avuto nulla da dire. Era un padre attento, premuroso, forse troppo severo ma amava profondamente ed egualmente i gemelli seppur fosse molto più protettivo con Saigyn: aveva chiarito sin da subito che ciò era dovuto al fatto che lei fosse una bambina e che quindi correva molti più rischi del fratello, provocando così in Zack un senso d’eroismo pari a quello dello zio di cui gli era stato dato il nome. Saigyn semplicemente sbuffava, esattamente come faceva la madre alla sua età: in più di un’occasione aveva dimostrato di avere le stesse doti marziali di Tifa, tenendo testa al gemello. La vita di Tifa era in apparenza perfetta: Marlene e Denzel frequentavano rispettivamente il secondo e quarto anno delle superiori, erano divenuti due ragazzi responsabili ma soprattutto erano delle persone corrette. Seppur i due non si considerassero fratelli (negli anni avevano sentito nascere fra di loro era un amore ben diverso da quello fraterno) avevano accolto l’arrivo dei gemelli con gioia e avevano assunto più che felici il ruolo di fratelli maggiori; i piccoli Strife erano così profondamente legati ai due al punto che, durante i loro primi anni di vita, Cloud e Tifa dovevano distrarre i figli per permettere a Marlene e Denzel di uscire di casa. In quei primi anni così difficili, i loro amici si erano dimostrati più disponibili che mai: Yuffie trascorreva molto tempo ad Edge, tempo nel quale aiutava la coppia con i gemelli; quando si resero conto però che in realtà la piccola ninja significava una bambina in più in casa, fu inevitabile per loro dover chiedere altro aiuto: Red XIII, Vincent, Rude e Reno diventarono assidui frequentatori del 7th Heaven che negli anni Tifa aveva abbellito. Cloud fu inizialmente contrario alla presenza dei Turk, in particolare alla presenza di Reno, il fatto inoltre che la piccola Saigyn adorasse zio Reno rendeva le cose più difficili, tuttavia la compagna era stata chiara: “O rimane Reno o rimandi certe consegne Cloud, così di semplice.” I gemelli avevano portato non solo in quella casa ma anche fra gli amici una nuova luce che illuminava le loro vite, riempendole di piccole gioie giornaliere. Ma nonostante questa felicità, Cloud aveva cominciato a percepire la terribile distanza che esisteva fra lui e la compagna: condividevano lo stesso letto ma a stento ricordava l’ultima volta che l’aveva stretta, che l’aveva amata, quasi non ricordava più quelle forme che un giorno lo avevano reso folle e sempre desideroso di lei. Aerith soddisfaceva i suoi bisogni fisici, certo... Ma non era la stessa cosa. Gli occhi con cui lo guardava Tifa, quegli occhi così pieni di amore e comprensione, quegli occhi che vedevano solo lui era ciò che l’aveva fatto sempre tornare da lei. C’era un motivo per cui ogni volta che aveva fatto l’amore con Tifa non riusciva a toglierle gli occhi di dosso al punto da imbarazzarla e c’era un motivo per cui con Aerith invece chiudeva gli occhi sebbene lei lo implorasse di guardarla: come avrebbe potuto immaginare che quello fra le sue mani fosse il corpo di Tifa se all’aprire gli occhi si fosse scontrato con il cadaverico pallore della Ancient? Come poteva immaginare il sensuale ed imbarazzato sguardo di Tifa che risvegliava in lui l’istinto predatore se nell’aprire gli occhi avrebbe incontrato gli occhi verdi e cacciatori di Aerith? Ma quello sguardo che lo aveva fatto sentire il maschio alfa era svanito e ora che la sua Tifa era tutto tranne che sua, Cloud si sentiva impazzire. Scendendo le scale che portavano al bar, sentì la voce di Tifa riempire l’aria con la sua risata spontanea. Con la coda dell’occhio notò che non era sola: trovò Reno seduto davanti al bancone reggere sulle gambe i gemelli con cui giocava senza però perdere il filo del discorso con la Lockhart.

“Hey hottie, sicura di non voler una mano?” le domandò prima di iniziare ad attaccare il collo della piccola Saigyn che scoppiò in una fragorosa risata.

“No sorellina, ti salverò io!” urlò Zack lanciandosi sul Turk che, stando al gioco, enfatizzò con gemito di dolore, divertendo ancora di più i bambini.

“Mi sembra di capire che hai entrambe le mani occupate!” rispose Tifa mentre finiva di asciugare gli ultimi piatti. “Saigyn, Zack... E’ ora di andare a nanna!”

“Ma mamma...”

“Niente ‘ma’! Come pensi di sconfiggere il grande e possente Sephiroth senza un buon e meritato riposo, mio eroe?” il bambino saltò subito giù dalle gambe del Turk; contenta di aver centrato il bersaglio, sorrise: non avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe ritrovata a ringraziare Sephiroth, men che meno per la ragione per la quale lo ringraziava.

“E tu, principessina?” la piccola si avvinghiò a Reno e, adoperando la sua espressione più tenera, rispose: “Io non voglio combattere nessuno, mamma!” i due adulti risero all’unisono, chiedendosi da chi avesse preso un tale spirito.

“Non devi infatti, però se andassi a dormire ora domani avrai la forza necessaria per poter goderti tutta la giornata fino a tardi, no? Ti ricordo che domani ci viene a trovare Yuffie.”

“Zia Yuffie!” esultò la bambina, gli occhi viola pieni di rinnovata luce. “Buonanotte zio Re...”

“Non è tuo zio.” la voce di Cloud, secca e severa, fece saltare la figlia. Tifa squadrò il biondo il quale mantenne lo sguardo fisso su Reno mentre aiutava la piccola a scendere.

“Cloud...”

“Tranqui, Teef! Non mi piace essere chiamato zio, fa’ vecchio e io sono ancora un giovanotto. Perciò solo Reno, capito duo dinamico?” i gemelli annuirono e salutarono il Turk che scombinò i capelli ad entrambi.

“Buonanotte Reno!” dissero all’unisono, correndo in direzione delle scale ed evitando il contatto visivo col padre.

“Adesso saliamo a darvi la buonanotte, voi nel frattempo lavatevi e cambiatevi, d’accordo?” Il rosso rimise la sedia a posto e dirigendosi verso l’uscita, decise di ignorare completamente lo sguardo assassino di Cloud. Quando lo vide prossimo alla porta, Tifa lo chiamò: “Grazie di tutto!” il Turk mostrò il suo solito sorriso da stregatto e, prima di uscire, li salutò con un gesto della mano.

“’Notte hottie! Chocobo-head…” Vide il biondo scattare verso di lui ma prima che potesse raggiungerlo, Reno sbatté la porta e sparì nella notte, lasciando solo l’eco della sua risata.

“Cloud! Si può sapere che ti prende? Pensavo che dopo tanti anni ormai...”

“Non mi fiderò mai!” la interruppe alzando la voce “Hai forse dimenticato che ha provato ad ucciderti una volta?” Tifa rimase incredula. Davvero voleva tirare fuori quella vecchia storia? Era vero, Reno aveva provato ad ucciderla una volta… Ma era stato Cloud ad ucciderla per davvero. E mentre Reno aveva affrontato il lungo cammino della redenzione, Cloud ogni giorno si muniva di nuovi armi con cui continuare ad infierire sul suo cadavere.

“Reno almeno c’è stato nel momento del bisogno. Si è offerto di aiutarmi la settimana in cui scoprì di essere incinta mentre tu eri…”
“Ero a Gongaga Village per un ordine della massima urgenza.” lo disse con una tale tranquillità e sfacciataggine che Tifa si chiese se avesse mai compreso la gravità del suo tradimento o se ci avesse fatto l’abitudine a tal punto da vederlo come una cosa normale.

“Certo che me lo ricordo, eri appena tornato da…”

“Non è questo il punto.” l’interruppe, abbassando lo sguardo e passandosi una mano fra i capelli “C’è qualcosa che non va ultimamente e credo sia dovuta alla troppa presenza di Reno in questa casa.” Tali parole colsero di sorpresa Tifa la quale non volle credere che Cloud stesse davvero pronunciando una simile ingiuria, lavandosi completamente le mani e gettando lei nel fango.

“C-Cos-Cosa stai cercando di dire?”

“Ho visto il modo in cui ti guarda.” pausò un attimo, cercando i suoi grandi occhi rossi. “E ho visto il modo in cui ridi alle sue battutine.”

E quel castello di cristallo di cui a lungo si era presa cura e che negli anni aveva imparato a sorregge sue sole spalle, crollò.

Era tutto finito. Era tutto perso. La fiaba era giunta al suo termine.

“...Per tutto questo tempo ho atteso in silenzio.” iniziò, sigillando i suoi occhi a quelli di Cloud. “Ho atteso a lungo questo momento.”

“Tifa...”

“Non interrompermi!” Non avendola mai sentita così seria in vita sua il biondo annuì, nervoso e per qualche strana ragione anche spaventato. “Cinque anni. Cinque lunghi anni che le cose vanno avanti a stento e tu hai il coraggio di dire che è qualcosa di recente?” vide Cloud abbassare lo sguardo, imbarazzato “E sei pure tanto sfacciato da gettare tutta la colpa su Reno e su di me. Su di me, la madre dei tuoi figli.” si fermò, pensando a tutto ciò che aveva dovuto sopportare negli ultimi cinque anni: tutte quelle visite di Aerith, quegli sguardi, quello sfiorarsi per caso, quegli abbracci davanti ai suoi stessi occhi. Tutti quei viaggi fasulli, le assenze ingiustificate, fingere con entrambi qualcosa che non c’era più e che non sarebbe mai tornato. “Io ti sono sempre stata fedele. Per me esistevi solo tu, i miei occhi non vedevano altro che te.” cercò di calmarsi per mantenere bassa la voce ma non sapeva per quanto avrebbe potuto continuare. “Ti ho dato tutto di me, Cloud. Ti ho dedicato la mia vita, tutta la mia infanzia e tutta la mia gioventù fino ad oggi e insieme a te ho avuto le uniche ragioni che mi hanno spinto ad arrivare fin qui: Zack e Saigyn. Ti ho donato la mia innocenza, insieme a te sono divenuta donna e solo con te ho condiviso il mio letto.” pausò, determinata a trattenere le lacrime che si stavano formando nei suoi occhi “Ma forse è stata colpa mia credere che anche tu potessi amarmi con una simile intensità.”

“Tifa, io...”

“Sta zitto!” sussurrò, incapace di trattenere le lacrime. “Non ti sei mai fatto scrupoli nell’insultare la nostra casa giungendo alle ore più improponibili della notte mentre io ero qui a mordere le ansie e ad annegare nella preoccupazione di cosa potesse esserti accaduto! Sono stata cieca per tanto, tanto tempo. Non mi ero mai resa conto di come le tue labbra avessero un sapore diverso ogni volta che tornavi da una consegna urgente.”

“Cosa stai...”

“Lo sai come ho scoperto di essere incinta, eh? No, certo che non lo sai.” sentì il corpo iniziare a tremare ma questa volta era decisa ad arrivare fino in fondo. “Quel 2 giugno di circa cinque anni fa trovai per puro caso un bigliettino nella tasca di uno dei tuoi pantaloni. E sai cosa c’era scritto?” Cloud impallidì e s’irrigidì, cercando nella sua mente una qualsiasi cosa alla quale potersi aggrappare. La mora iniziò ad avanzare verso di lui lentamente “C’era scritto ‘Smith - Gongaga Village - Urgente: 08/06/2014’, peccato però tu fossi partito con cinque giorni d’anticipo. E sai anche chi era partita per la stessa località in quegli stessi giorni?”

“N-Non è...”

“Aerith Gainsborough.” finì, ringraziando Yuffie per essersi offerta di aiutarla con i gemelli il giorno seguente. Quella notte sarebbe andata a finire male. “Sei lunghi anni nei quali hai avuto la sfacciataggine di divertirti con la vedova del tuo defunto migliore amico e poi pretendevi di tornare a casa e fare l’amore con me. Subito dopo aver fatto sesso con lei, venivi nel cuore della notte e pretendevi di poter ripetere le tue prestazioni qui, senza avere il minimo rispetto per me che ero a casa ad attenderti come la stupida brava mogliettina che nemmeno mi hai mai, mai, mai in tutti questi anni chiesto di diventare!” ormai alterata, pregò che Marlene e Denzel stessero distraendo i bambini poiché non sarebbe stata capace di calmare la bestia per anni dormiente “E adesso tu hai la sfacciataggine di buttarmi tutto addosso e dire che la colpevole di tutto questo sono io?!”

“Tifa, i bambini potrebbero…” era conscia del fatto che i loro figli potessero sentirla tuttavia per troppo tempo si era trattenuta, per troppo tempo aveva ringurgitato quel vomito di parole che ora usciva dalle sue labbra senza chiederle il permesso.

“Hai avuto la sfacciataggine di portarla in casa! Hai portato in casa l’altra donna, la tua amante! Non hai avuto alcun rispetto per me o per i tuoi figli che pretendevi pure lasciare nelle sue cure! Grazie al cielo si sono sempre trovati male con quella serpe! Quella serpe che tu hai abbracciato qui, davanti ai miei occhi! Lei era qui a mangiarti con gli occhi, davanti a me, davanti a tutti! E tu?! Tu sapevi solo dirmi ‘Aerith è sola’, ‘Aerith non è più la stessa’, Aerith di qui, Aerith di là… E tu te la portavi a letto! Ti portavi a letto quell’amica che per me era come una sorella! Come hai potuto, Cloud?! Come?! Come?! Rispondimi, rispondimi!” sopraffatta dalle sue emozioni, iniziò a colpire il petto di Cloud che cercò di trattenerla.

“Tifa, Tifa!”

“Rispondimi maledizione, rispondimi! Dopo sei lunghi anni merito almeno una risposta, non ho sopportato tutto questo invano!” le mani le tremavano dall’ira che troppo a lungo aveva represso ed incapace di contenere oltre quelle lacrime, si lanciò vincere dalle sue emozioni. Ma non avrebbe mai lasciato che lui vincesse su di lei.

“T-T-Tifa, ti prego...” udire Cloud balbettare a quel modo e leggere nei suoi occhi la paura aumentò la rabbia di Tifa, ignara alle unghie conficcate nel palmo delle mani.

“No, no, no! Non osare! Sei stato uomo abbastanza da scoparti un’altra? Allora sii uomo abbastanza da ammetterlo! Non pregarmi di niente, dimmi solo perché?! Perché mi hai fatto questo se io non ho fatto altro che amarti e adorarti da più tempo di quanto io possa ricordare?! Perché?! Perché se ti sono sempre stata vicina?! Io, che pur di non venir mai meno a te sono venuta meno a me stessa! Perché Cloud, perché?! Perché ci hai fatto questo?!” ma come aveva sempre saputo che sarebbe successo, Cloud non seppe rispondere. Rimase immobile, le labbra socchiuse, respirava piano, quasi timoroso che il minimo rumore potesse far nuovamente esplodere la bomba ad orologeria che era diventata la sua compagna. Negare, considerò, era ormai inutile eppure non sapeva cosa rispondere giacché lui stesso si era spesso domandato perché avesse iniziato quella relazione clandestina. Non aveva mai creduto di amarla, non era mai stato un forte desiderio carnale poiché nessun corpo avrebbe mai superato quello così perfettamente scolpito di Tifa, ma c’era in quella clandestinità qualcosa che lo faceva sentire vivo, speciale, che lo faceva sentire un maschio alfa. Era conscio di errare, di commettere qualcosa di imperdonabile. Tifa lo amava, lo adorava, lo venerava e a lui bastava, non aveva bisogno d’altro. Eppure sentirsi amato e desiderato da qualcun altro lo rendeva debole, era come una droga. Dentro di sé, sapeva bene che ciò era dovuto alla sua scarsa autostima e al suo eterno confronto con il migliore amico: Zack era il ragazzo perfetto, quello che tutte amavano, quello che tutti lodavano; Cloud voleva essere come lui ma sapeva di essere la sua antitesi. Si era sempre chiesto come mai una donna come Tifa, la sexy versione femminile dell’amico in questione, non ne fosse minimamente attratta e fosse invece perdutamente innamorata di lui, un buono a nulla timido, introverso ed insicuro. E forse era proprio il fatto che qualcosa che un giorno era stato amato da Zack e che oggi invece desiderava solo lui a renderlo capace di tradire un sentimento così puro e meraviglioso com’era quello di Tifa. E forse, fra tutte, era questa la cosa più difficile: accettare di aver rovinato ciò che di meraviglioso avevano non per amore, non per desiderio ma per mero ego. Per puro, solo e totale egoismo.

 

 

 

Will spend her life alone

“Io… Non la amo, Tifa. Io non amo Aerith, non l’ho mai amata. Io amo te!”

“Non osare! Non osare dire che mi ami dopo tutto quello che mi hai fatto! Non osare!”

“Non ho intenzione di perdere la mia famiglia, Tifa! Mai!” chiarì con un’espressione seria e decisa, comportandosi finalmente come un uomo per la prima volta in sei anni. Tifa non poté evitare di ridere nervosamente.

“L’hai già persa. L’hai persa ancora prima di averla, hai rinunciato alla tua famiglia iniziando e poi continuando la porcheria a cui non hai saputo resistere!”

“Non la vedrò mai più!” per la prima volta dopo tanto tempo, Tifa poté veder riflesso nei suoi occhi qualcosa che la spaventò: la verità. “Smetterò con le consegne, cambierò lavoro e ci trasferiremo via, lontani da qui! Solo noi e i bambini! Ricominciamo da capo. Non devi neanche temere che io non la dimentichi perché non ha mai significato niente per me, non puoi dimenticare qualcosa che non ha importanza! Le dirò che questo è ciò che voglio e non verrà mai più a cercarmi. Faremo come vuoi tu! Tifa, io...” Non riuscì a trattenere la smorfia di sorpresa mista a disgusto che si dipinse sul suo viso sentendo le parole del biondo: scappare, ricominciare, dimenticare. Perché mai avrebbero dovuto lei e i loro figli pagare le colpe di Cloud? Perché mai dovevano gravare su di loro gli errori di un uomo che non era nemmeno capace di capire cosa volesse veramente? Era certa che in un altro momento avrebbe considerato l’idea del compagno ma l’essere diventata madre l’aveva cambiata, era maturata e con lei i suoi sentimenti e le sue priorità: il posto di Cloud, che per anni era stato sacro e intoccabile, era stato rimpiazzato da quelle due creaturine che erano divenute la sua ragione di vita. Il suo cuore, che per tanto tempo era rimasto fermo, ora aveva lentamente ricominciato a battere per qualcun altro, qualcuno che nonostante l’impressione iniziale si era dimostrato sempre attento e premuroso sebbene gli fosse sempre stato chiaro che non avrebbe mai potuto averla. Quello era amore, quello era puro, vero, devastante amore. La capacità di poter donare a qualcun altro la persona amata, essere capace di vederla felice insieme a qualcun altro, sapere di non poterla avere se non nei tuoi sogni ma non badarci perché la felicità di quella persona è un premio che sovrasta il dolore di non averla. Quello era amore. Era l’amore maturo che lei cercava, era l’uomo che poteva completare la perfetta metà della donna che era divenuta. Tifa ora voleva l’uomo che Cloud non sarebbe mai potuto essere.

“No.” rispose, riprendendo il pieno controllo di sé stessa. “No Cloud, non ho intenzione di capovolgere la mia vita e quella dei miei figli solo perché lo dici tu.”

“Ma, Tifa…”

“No, Cloud!” lo interruppe, gli occhi freddi e distanti. Sospirando profondamente si diede la forza che da anni cercava dentro di sé per dire quelle due parole che avrebbero cambiato per sempre il corso degli eventi: “È finita.” sentendosi in pace con sé stessa per la prima volta in cinque anni, Tifa sentì le spalle cederle leggermente: era finalmente libera. Libera come il vento, libera come le onde del male che si scagliano contro gli scogli e prendono la rincorsa solo per tornare più forti e devastanti. “È finita per sempre, Cloud.” Dopo alcuni atti di interminabile silenzio, il biondo accennò solo a scuotere lentamente la testa.

“No! No Tifa, io...”

“Non ti allontanerò dai gemelli.” lo interruppe subito, scacciando il primo timore di quello che a lungo era stato l’amore della sua vita. “Non ho intenzione di metterli contro di te: anche se come compagno di vita ti sei dimostrato una totale delusione, come padre ti sempre dimostrato attento. Quindi se temi che la vostra relazione si possa in qualche modo incrinare, sappi che…”

“Non voglio che crescano con i genitori separati, non è per questo che li abbiamo portati al mondo!”

“Tu non hai diritto ad una sola critica, Cloud! Te ne andrai da questa casa domani stesso! Sono sicura che Aerith non avrà problemi a…”

“Non andrò da lei!” avrebbe voluto non credergli, avrebbe voluto poter sentire nella sua voce quel caratteristico tono basso che prendeva quando mentiva, eppure non riusciva a comprendere cosa avesse in mente il ragazzo dagli occhi cielo. “Non tornerò mai più da lei, non la vedrò mai più Tifa. Non voglio perdere la mia famiglia! Io…”

“Cloud…” cercò di fermarlo, invano.

“Non importa come, io…” si avvicinò alla mora e ne prese le mani che strinse piano “Recupererò la mia famiglia, Tifa.” La mora, ormai stanca e conscia che non ci fosse più nulla da dire, si voltò e salì le scale ma si fermò a metà; c’era un’ultima cosa che voleva dire. Rimanendo di spalle, voltò leggermente il capo e disse a Cloud quelle parole che mai il biondo seppe dimenticare.

 

 

 

Alone

Cloud mantenne la sua promessa: non rivide mai più Aerith. Il giorno stesso in cui il biondo andò via di casa, Tifa decise di svuotarsi dal grande peso che era gravato per anni sulle sue esili spalle. In quel gelido pomeriggio autunnale in cui con la partenza di Cloud si chiudeva il ciclo più doloroso della sua vita, la giovane confessò tutta la verità agli amici. A dispetto di ciò che si aspettavano, la Lockhart non chiese mai loro di chiudere tutti i ponti con il padre dei gemelli bensì chiese loro di agire come meglio credevano giacché Cloud e Aerith avrebbero dovuto combattere una battaglia ben più dura: quella contro i loro stessi demoni. Ognuno di loro reagì diversamente, seppur il risultato fu pressoché simile: i contatti con Cloud si ridussero fortemente; Yuffie, particolarmente indignata, chiuse ogni tipo di amicizia col biondo che alla fine si ritrovò a ricevere solo qualche saltuaria visita di Vincent, visite che all’inizio l’uomo stesso faceva a fatica: lui che più di tutti aveva sofferto per amore, lui che più di tutti sapeva cosa fosse l’amore, non riusciva a concepire le ragioni per le quali Cloud avesse deciso di distruggere la splendida famiglia che aveva per delle semplici avventure. Tifa tuttavia l’aveva convinto a rimanergli a fianco poiché sapeva bene che Vincent sarebbe stato l’unico capace di poter continuare la sua amicizia con il biondo senza dover un giorno giungere alle mani. Diverso fu invece il trattamento che riservarono ad Aerith: sconcertati dalla falsa natura della Ancient, il gruppo le diede le spalle, lasciando la castana in preda all’inguaribile solitudine di cui era diventata vittima. Aveva più volte cercato rifugio in Cloud invano: il ragazzo, ogni qual volta che la guardava negli occhi, vedeva riflessa la peggior parte di sé stesso. L’aveva intimata a non cercarlo ma la ragazza era testarda e, ancora a distanza di cinque anni da quella gelida notte di febbraio, non si era ancora data pace.

Erano passati cinque anni dalla notte in cui la sua vita era così profondamente cambiata. Cloud, rinchiuso nella stanza del suo appartamento in centro città, sedeva come ogni sera ai piedi del letto nella totale oscurità e ricordava tutte quelle volte in cui l’egoismo aveva avuto la meglio sulla non più sua Tifa. Come quella volta in cui ad Edge si sarebbe svolta la fiera delle moto in cui avrebbe avuto l’occasione di sfoggiare il suo più grande gioiello: la sua Fenrir. Per una spiacevole o forse sfortunata coincidenza, a Tifa erano stati regalati da un cliente un paio di coupon per un weekend romanico di cui avrebbero potuto usufruire solo in quello stesso fine settimana. La Lockhart non gli aveva mai chiesto di rinunciare a nulla, semmai era lei che spesso aveva rinunciato a ore di sonno e giornate intere al 7th Heaven per poter fargli compagnia in determinate situazioni. Eppure quella volta, quell’unica volta, gli aveva chiesto di venire con lei.

“Le fiere del moto ci sono tutti gli anni!” aveva provato a convincerlo “Queste occasioni invece capitano una sola volta nella vita!” ma il biondo aveva egoisticamente rifiutato, scuotendo il capo.

“Tifa, quest’anno la fiera si terrà nella nostra città, non posso mancare.” le aveva spiegato senza smettere di lucidare la sua adorata Fenrir. “Inoltre l’anno prossimo potrebbe capitarmi di qualche consegna da fare in quel periodo.”

“Ma Cloud, sono solo moto…” era stato inutile tentare convincerlo: per lui quelle non erano solo moto. Lei invece era solo Tifa. Ricordandosi quel pomeriggio, Cloud si chiese come aveva potuto essere così egoista, così idiota da aver rinunciato a Tifa per delle macchine, per averla barattata con la gloria di essere quello con la moto più bella. Si rendeva conto ora che quei tre giorni non riempivano quel vuoto che aveva lasciato Tifa nel suo cuore, quei tre giorni non erano che un ricordo, un bel ricordo che sarebbe stato destinato a svanire nel tempo. Ma Tifa? Tifa non sarebbe svanita nel tempo. Lei e il suo amore sarebbero rimasti lì fino alla fine, insormontabili ed irremovibili come i suoi occhi su di lei. Ma lui l’aveva barattata per un paio di moto. Tirando un pugno al pavimento, Cloud grugnì di rabbia e si ritrovò ad odiare sé stesso: il tradimento in sé era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso ma in realtà era stato il suo egoismo a distruggere la loro relazione, era stato lui con la sua immaturità ed infantilità a rovinare la loro così perfetta relazione. La colpa era solo sua. E ora era troppo tardi. Gli anni erano stati gentili con Tifa, trasformando quella ragazza in una donna splendente, seducente e vincente. La sua bellezza rimaneva immutata, come se il tempo si fosse fermato quel giorno di dieci anni fa in cui scoprì che sarebbe diventato padre. Sospirò esasperato desiderando fortemente di poter riveder presto i suoi figli. Saigyn e Zack erano l’unica via di fuga dalla sua vita ormai monotona. Tifa si era dimostrata, oltre che un’ottima madre, una donna esemplare: non aveva mai detto né fatto nulla affinché i figli odiassero il loro padre e anche quando i gemelli avevano chiesto di sapere le ragioni per cui i genitori si erano lasciati, la mora si era dimostrata forte abbastanza da raccontare loro la verità.

“Però voglio che sia ben chiara una cosa: vostro padre ha deluso me come donna, ha deluso me come sua compagna ma mai e poi mai mi ha deluso come padre. Cloud ha molti difetti ma come padre è sempre stato perfetto, vi ha amato dal momento stesso in cui ha scoperto della vostra esistenza. Perciò, anche se adesso sapete la verità, vi chiedo di non combattere una guerra che non è la vostra. Vostro padre vi adora, siete tutto per lui, da quando ci siamo lasciati lo siete più che mai. Quindi non giudicatelo e amatelo come lo avete sempre fatto, perché vi assicuro che lui sta già combattendo una guerra contro sé stesso che non so se riuscirà mai a vincere.” Negli ultimi anni aveva più volte provato a riconquistarla, partendo dai suoi piccoli errori, voleva dimostrarle di essere cambiato, di essere era maturato, che ora era davvero pronto a rinunciare a tutto, persino alla sua Fenrir se necessario. Tifa gli sorrideva dolcemente e Cloud si sentiva morire ogni qual volta vedeva quel sorriso a cui un tempo non aveva dato il giusto valore. Si era dato per vinto solo alcuni giorni prima quando, andando a prendere i figli, notò in Tifa qualcosa di strano.

“Ehi…” Com’era cambiata quella casa, quella che un tempo era stata la loro casa. Il bar era stato notevolmente ampliato ed insieme ad esso la casa stessa, ora più spaziosa e completamente divisa dal 7th Heaven, particolare che era stato voluto da qualcuno il cui nome era per lui impronunciabile. “Ci siete solo tu e i gemelli?”

“Marlene e Denzel sono in università! Reno rincaserà più tardi invece.” Reno. Il Turk. Quel Turk che un giorno aveva provato ad ucciderla. Reno. Fra tutti quelli che avrebbe creduto avrebbero potuto conquistare il cuore della bella mora, Reno era l’ultimo soggetto della lista preceduto da Red XIII. Si chiedeva come avesse potuto quel fenomeno da baraccone conquistare non solo lei ma anche i loro figli. La verità era che Reno aveva avuto in un anno il valore che Cloud non aveva trovato in più di cinque anni di relazione, chiedendole la cosa che lei più desiderava: convenire in matrimonio. Tale unione non fu però mai ostacolo per il biondo il quale, ogni qual volta aveva occasione, tentava di risvegliare in Tifa quei sentimenti che non poteva o forse non voleva credere che lei avesse sotterrato per sempre. “La passione di Zack per le moto cresce ogni giorno di più, non fa altro che parlare di motori negli ultimi tempi!” commentò, destandolo dai suoi pensieri “Credo di dover incolpare te di questa sua ossessione!”

“Purché non lasci che le moto prendano il sopravvento sulla sua vita, va bene così.” rispose lui, accennando un sorriso “Non voglio che commetta i miei stessi errori.” la mora annuì e spostando lo sguardo sull’orologio, si alzò di scatto.

“Com’è tardi! Saigyn, Zack, sbrigatevi! Vi ricordo che ho una visita fra 10 minuti e non posso arrivare tardi!”

“Visita? Ti senti male?” le domandò visibilmente preoccupato. Tifa arrossì leggermente e guardando il padre dei suoi figli negli occhi, sospirò.

“Nulla di grave in realtà…” chiarì subito “Non è ancora certo, ma…” Vedendola titubare, la preoccupazione fu chiara negli occhi del biondo che iniziò ad immaginare tutti gli scenari possibili. Tutti tranne uno, forse quello più doloroso, quello che gli avrebbe definitivamente distrutto ogni speranza. La vide sorridere timidamente e non capendo, aggrottò le sopracciglia e per un momento gli sembrò di rivivere una scena già vissuta: “Sono incinta.”

Quelle due parole, quelle stesse parole che circa dieci anni fa avevano provocato in lui un’emozione indescrivibile ora divenivano due colpi in pieno petto, colpi dai quali non sarebbe mai stato capace di riprendersi. Tifa era stata eternamente sua e sua soltanto. Se Reno poteva vantare di essere colui nelle quali braccia cercava rifugio la notte, lui poteva vantare qualcosa di più grande: era il padre dei suoi figli che erano per lei il tesoro più prezioso. Esisteva fra loro un legame indissolubile, un legame che né il tempo né le distanze potevano mai cancellare, nemmeno la morte avrebbe mai potuto allontanarli. Ma ora la sua Tifa stava per creare un nuovo legame, stava tessendo un nuovo filo che la legava a Reno ma questa volta il filo sarebbe stato più forte, indistruttibile, perché loro non sarebbero stati legati solo dall’esistenza di una creatura come lo erano lui e Tifa, ma sarebbero stati legati da qualcosa che per tanto tempo aveva avuto e che ora reclamava: l’amore di Tifa. Amore che vedeva nei suoi occhi rossi e sentiva nella sua voce e persino nei suoi movimenti ogni qual volta veniva nominato il Turk che ne aveva rapito il cuore, cuore che Reno custodiva gelosamente. Grugnì, tirando nuovamente un pugno per terra. Meritava tutto quel dolore, meritava tutta quella desolazione. Li meritava perché aveva ferito l’unica donna che l’aveva mai amato. Lo meritava perché le aveva mentito troppe volte, lo meritava perché lei aveva solo saputo donargli amore mentre lui aveva solo saputo tradire la sua fiducia, riempirla di menzogne e infine l’aveva tradita per davvero, attraversando la barriera di un altro corpo e scoprendo il suo pudore ad altri occhi. Lo meritava perché Tifa per prima non meritava tutta la sofferenza che aveva provato a causa sua. In realtà erano in due a pagare le lacrime e il dolore che a lungo Tifa aveva patito in silenzio: anche Aerith, dall’altro lato della città, trascorreva notti insonni. Era rimasta sola. Lei, che un tempo era stata il centro di Edge stesso, era rimasta sola. Gli rimanevano solo le saltuarie visite dei suoi clienti, clienti che col tempo diminuirono poiché lei per prima fu abbandonata dai suoi tesori più preziosi: i suoi fiori. In seguito all’apertura del vaso di Pandora era diventata incapace di curare tutto quell’arcobaleno di colori che un giorno erano stati i suoi fiori. Distrutta e corrosa dal dolore e dalla disperazione, spesso si dimenticava di dargli le dovute cure ed insieme ai suoi fiori appassivano le sue speranze di poter essere nuovamente felice.

“E tutti questi anni allora?!” aveva reclamato la castana al suo ex-amante colpendo incessantemente la porta, la voce rotta nel pianto “Più di cinque anni insieme, Cloud! Te lo ricordi il primo anno? Passavi più tempo con me che a casa tua! Eri qui solo due o tre volte al mese! Eravamo sempre insieme! Più di cinque anni, Cloud! Più di cinque! Più di cinque anni nei quali se non fossero nati Saigyn e Zack probabilmente… Ah!” un forte colpo alla porta la fece indietreggiare temendo per la sua incolumità.

“Non osare nominare i miei figli!” la voce forte e severa del biondo la fece tremare, troppo spaventata da ciò che sarebbe potuto accadere e sapendo di aver toccato un tasto troppo delicato, Aerith corse in via in lacrime realizzando finalmente ciò che non aveva mai voluto accettare: non era stata lei ad utilizzare Cloud per sentirsi viva. Era stato Cloud ad utilizzare lei per sfamare il suo ego.

Non era valso a niente.

I giorni che Cloud non trascorreva in compagnia dei figli erano giorni vuoti ma ciò che più lo affiggeva era la notte, la sua peggior nemica. Dall’ultima notte che aveva trascorso in quella che un tempo era stata la loro casa, Cloud non era più riuscito ad avere sogni tranquilli e da quando Reno vi si era trasferito, le sue notti erano spesso insonni: l’immagine del Turk che divorava con passione la sua bellissima Tifa, sapere che ogni notte la rendeva sua e ne marcava ogni singolo centimetro di pelle, sapere che ne aveva esplorato tutto il corpo e aveva scoperto tutti quei nei che nemmeno lei sapeva di avere… Urlava dalla rabbia e distruggeva per l’ennesima volta quella sveglia che ormai si era stancato di riparare. Seppur nella sua vita avesse sempre colpevolizzato sé stesso di ogni disgrazia, si trattava sempre di una colpa condivisa: con Shinra, con Hojo, con Sephiroth, mai era stata interamente colpa sua e finché c’era qualcuno da colpevolizzare, la sua coscienza era tranquilla, pronta ad utilizzare uno qualsiasi di quei temi come scudo dei suoi atti. Ma questa volta non c’era nessuno da colpevolizzare, nessuno se non sé stesso e il suo egoismo. Lui, Cloud Strife, che aveva rischiato tutto per salvare Gaia, che aveva messo la sua vita a repentaglio più volte nelle numerose ed estenuanti battaglie contro Shinra e Sephiroth, quello stesso Cloud Strife ora viveva solo ed infelice a causa del suo egoismo. Com’era possibile? Quando aveva perso il controllo di sé stesso? Quando le sue emozioni, i suoi capricci, avevano iniziato ad avere la meglio sul suo cuore? Alzò il capo e vide attraverso la finestra l’enorme e splendente luna, quella luna sotto la quale tanti anni addietro Tifa gli aveva fatto promettere di essere il suo eroe. Allora lui non aveva dato alcuna importanza a tale promessa eppure ora avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare indietro e rimediare, evitare tutti i suoi sbagli e ricominciare da capo. Una volta la stessa Tifa, in seguito al suo ennesimo tentativo di riconquistarla, con un triste sorriso dipinto sul volto gli aveva risposto: “Se Hojo ha potuto creare Sephiroth, forse c’è speranza che tu riesca a costruire una macchina del tempo.” Lo aveva guardato con i suoi occhi rossi pieni di dolore e aveva continuato “Semmai riuscirai a costruire una macchina del tempo, allora ci sarà speranza per noi. Ma fino ad allora, Cloud… Sii libero di vivere come preferisci.”

“Ma l’unica vita che voglio è insieme a te! Insieme a voi!” urlò nella solitudine della sua stanza, digrignando i denti. Era stato un egoista e l’aveva persa per sempre. Lei che l’aveva sempre perdonato, lei che l’aveva sempre amato chiedendo solo amore in cambio, lei che nonostante tutto aveva deciso portare al mondo i suoi figli… Lei ora non c’era più. Ora lei non era più sua e non lo sarebbe mai più stata. Alzandosi e dirigendosi alla finestra per guardare il cielo stellato, ricordò quelle parole che la sua amata Tifa aveva pronunciato cinque anni fa, quelle ultime parole che mai seppe dimenticare:

 

 

 

 

 

 

“Io ti amo. Ma amo anche me stessa.

E fra me e te, sceglierò sempre me stessa.”

 

 

 

 

 

 

Lui era stato egoista.

Ma alla fine fu l’egoismo di lei a renderle la felicità.

   
 
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