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Autore: PrincessGarnet    11/11/2014    0 recensioni
Questa è la mia prima storia. Vorrei renderla speciale, ma senza deviare dal reale.
Non c'è nulla di più magico e perfetto della descrizione della realtà: fatti, eventi, personaggi, sensazioni, luoghi, profumi, musica e parole. Ogni singolo secondo della nostra vita può cambiarla per sempre: io voglio farvi capire come la mia vita, in diverse occasioni, è cambiata radicalmente, e io con essa.
Spero di riuscire a rendere la lettura leggera, ma al contempo mi prefiggo lo scopo di fornire degli spunti di ragionamento per i miei lettori.
A questo punto, posso dirvi solo una cosa: il viaggio alla scoperta della vita di PrincessGarnet ha inizio.
Genere: Azione, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
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Mi chiamo PrincessGarnet, e questa è la mia storia. Non farò iniziare la storia dalla mia nascita, bensì dal primo avvenimento che ha cambiato in me il modo di vedere il mondo. Avevo solo sette anni, e persi una delle persone anziane a cui tenevo di più: in tutto erano tre. Lei era una zia di secondo grado e si chiamava Maria. Sin da quando ero bambina i miei genitori mi hanno insegnato il rispetto per le persone più anziane di me. Volevo molto bene a zia Maria. Mi ricordo tuttoggi di quando andavo a trovarla con papà e mio fratello a casa sua. Mi piaceva casa sua: aveva un bellissimo orto appena entrati dal cancello, e l'abitazione si sviluppava su due piani. Ricordo solo che si saliva una scalinata in legno per raggiungere l'ingresso, e dell'interno della casa ricordo solo la cucina: un tavolo e cinque sedie su cui ci faceva sempre accomodare mentre ci serviva dei deliziosi biscotti. Era molto brava a cucinare e ha insegnato e tramandato molte ricette a mia madre. Era senza denti la mia zietta, e ogni volta che ci penso mi scappa un sorriso, perché papà, che era suo nipote, mi diceva sempre che la zia aveva perso tutti i denti perché mangiava troppi dolci. Una bambina di neanche sette anni si spaventa per una cosa del genere, ma crescendo ho capito che lo diceva per farmi capire che un eccesso di dolci è pericoloso: si rischiano le carie. Sebbene la casa della zia mi piacesse, ricordo che ogni volta che andavamo a trovarla, la sera non riuscivo a dormire bene. Avevo sempre paura e talvolta avevo degli incubi, sempre uguali, o quasi. Sognavo delle streghe: donne alte, longilinee, con indosso solo una lunga tunica nera e lunghissimi capelli bianchi, candidi, così perfetti da emanare una sorta di luce. Ogni volta lo stesso soggetto, sebbene in luoghi diversi: una volta mi rincorrevano nell'orto di mia zia; la volta dopo erano sotto il mio letto; poi volavano nei corridoi di casa mia nascondendosi ovunque pur di non farsi vedere da me. Ho sempre avuto paura che volessero portarmi via. Ho sempre avuto paura che volessero fare del male a me o alla mia famiglia. Molto spesso la zia veniva a pranzo a casa nostra, soprattutto la domenica. C'è stato un periodo però in cui dopo aver mangiato, o mentre mangiavamo, si sentiva male. Sempre lo stesso iter: arrivava, si chiacchierava tutti insieme, ci si sedeva ad una tavola ben apparecchiata, e zia si sentiva male. Mamma dice che erano ischemie: il cervello andava in stand-by per qualche secondo e non mandava impulsi al resto del corpo. Pochi mesi dopo, zia Maria morì. Avevo sette anni. La cosa devastante è che i suoi figli non dissero nulla, se non che era morta e ci informarono sul giorno del funerale. Mia nonna, che poi era sua sorella, non ha tollerato bene questa situazione, e ancora peggio ha vissuto la seguente. Il giorno del funerale, ci aspettavamo di seguire il carro funebre al cimitero dopo la cerimonia. Io e mio fratello eravamo piccoli, così al termine del funerale papà disse a mamma di riportarci a casa mentre lui sarebbe andato al cimitero con mia nonna. Quando papà e nonna arrivarono in cimitero, aspettarono a lungo sotto la pioggia: non arrivò nessun carro funebre. I figli avevano deciso di far cremare la zia, e mia nonna si arrabbiò così tanto per non essere stata informata da sentirsi male. Mio padre non riuscì mai a perdonare i suoi cugini per averli tenuti all'oscuro di tutto, e tanto meno ci riuscì mia nonna. Da quel giorno, dopo aver espresso liberamente i loro pensieri a quelle persone così vuote, decisero di recidere ogni filo che li legasse a loro, a quel cognome che li raggruppava tutti sotto un'unica discendenza. Così mia zia, che aveva sempre amato i fiori, si ritrovò a passare la sua eternità in una misera scatola, nascosta dietro una lapide in cui non c'era spazio per un vaso che potesse contenere fiori. E pensare che il suo unico desiderio era proprio quello di avere sempre dei fiori freschi sulla sua tomba, una volta passata a miglior vita. Essendo i suoi figli incapaci di realizzare tale desiderio, ci pensarono i miei genitori, approfittando del fatto che il defunto posto sotto di lei aveva un vaso, ma nessuno che lo riempisse di fiori. Avevo sette anni, e più di questo non ricordo di mia zia. So solo che ancora adesso vado a trovarla in cimitero, ad abbeverare i suoi magnifici fiori, e quando mamma non può a cambiarli e metterne di nuovi. Avevo sette anni. Non posso dire di aver pianto al funerale, o dopo: non ricordo di averlo fatto. Ma ricordo perfettamente quello che ho pensato il giorno del suo funerale: «ho perso una delle tre persone più importanti della mia vita».
   
 
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