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Autore: Stars Trail    12/11/2014    5 recensioni
Quando quella lettera arriva a casa loro, c’è un silenzio denso come fango a pesare sopra le loro teste. Mentre Daichi la scarta, Sugawara sa benissimo che, da qualche parte prima della fine della giornata uno dei due crollerà - Daichi, probabilmente - e che l’altro dovrà stare lì a fare da spalla e far finta che non faccia male.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Daichi Sawamura, Koushi Sugawara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Odu promptò: DaiSuga; uno dei due deve trasferirsi all'estero per lavoro. La distanza è insopportabile, almeno finché l'altro non lo raggiunge.

Quando quella lettera arriva a casa loro, c’è un silenzio denso come fango a pesare sopra le loro teste. Mentre Daichi la scarta, Sugawara sa benissimo che, da qualche parte prima della fine della giornata uno dei due crollerà - Daichi, probabilmente - e che l’altro dovrà stare lì a fare da spalla e far finta che non faccia male.
Non è una brutta notizia, quella che contiene la lettera. Il postino ha messo la busta nelle mani di Daichi con un sorriso che quasi gli sfiorava le orecchie, congratulandosi con lui prima ancora che l’altro sapesse che cosa contenesse. A Daichi è bastato leggere il mittente per sapere cosa fosse. E adesso lui è imbambolato davanti al foglio, e Suga lo guarda e sorride come si sorride a chi ti ha appena rovesciato addosso un catino carico di odio.
“Allora? Dove ti spediscono?” dice, rompendo il silenzio. Daichi ci mette un po’ di tempo a sollevare lo sguardo e cercare i suoi occhi. La sua bocca si piega in un sorriso che pare una presa in giro per entrambi.
“Bangkok,” risponde, e due parole sono sufficienti a intaccare il cuore di Suga e cominciare a smantellarlo pezzo per pezzo. “Tra cinque giorni.”
È strano, vedere gli occhi di Daichi velati di lacrime che entrambi sanno benissimo non scenderanno. Suga fa qualche passo in avanti, quello che gli basta a raggiungere il suo ragazzo, a sfilargli la lettera dalle dita per poggiarla sul tavolo, prima di avvolgere Daichu tra le sue braccia.
“Congratulazioni,” bisbiglia, cercando di trattenere il nodo che ha in gola dal sciogliersi. Affonda una mano tra i capelli e bacia la fronte di Daichi. Il mi dispiace che arriva flebile alle sue orecchie gli spezza definitivamente il cuore.

Il modo in cui fanno l’amore, quella sera, potrebbe essere definito con un’unica parola, che Suga odia ma che non può fare a meno di associare costantemente alla sensazione nauseabonda che gli rimescola lo stomaco, al cuore che batte contro la cassa toracica come se volesse scappare e alle sue mani che stringono le spalle di Daichi come se non ci fosse null’altro di degno per cui vivere.
Disperazione.
Pensa che non è la fine del mondo. Pensa che ci saranno altre occasioni per sentire le mani di Daichi scivolare sul suo petto e accarezzargli i fianchi, pensa che ci saranno mille altri momenti, nella loro vita, in cui Suga potrà stringere il suo viso tra le mani e sentire il sapore della bocca di Daichi contro la sua. Pensa che la mancanza del suo corpo caldo potrà sopportarla, in un modo o nell’altro, che al bisogno sostituirà l’attesa, che ripiegherà su se stesso per colmare le proprie necessità.
Pensa che non ce la farà, a stare senza Daichi per così tanto tempo. Apre le gambe per lasciare all’altro modo di incastrarsi su di lui, e la frizione del suo corpo contro l’erezione che fa fatica a diventare piena gli scuote ancora lo stomaco, e gonfia il nodo alla gola che non ne vuole sapere di sciogliersi. Le labbra di Daichi sono calde contro il suo viso, un bacio su quello stupido neo, un bacio sulle sue labbra, e giù a scendere fino al collo. Si ferma, lo sente respirare il suo odore. Nessuno dei due ha voglia di andare fino in fondo, eppure è l’unica notte che possono concedersi prima di chissà quanto tempo - potrebbero essere pochi mesi, così come un anno, così come per tutta la vita. Daichi dondola contro di lui, il bacino che ondeggia sopra il suo, e Suga non riesce a fare altro che cercare la sua testa e abbracciarla nel tentativo di tenerlo intrappolato lì per sempre.
“Koushi,” mormora Daichi, e il suo nome si spalma contro il suo petto e vibra nella sua cassa toracica. “Koushi, va tutto bene,” continua, e a Suga sembra quasi che abbia riflettuto sulle parole da dire, e che quelle pronunciate non rispecchino quelle che invece ha ancora in testa. Lui lo bacia dove può, tra i capelli appena umidi e la fronte scoperta, ma non risponde, semplicemente perché se aprisse bocca scoppierebbe a piangere come un bambino, e lui non è un bambino, lui è una colonna, lui è la forza.
Disfa l’abbraccio per far continuare a Daichi il persorso di baci umidi sul suo corpo - è così triste, che si fermi sul suo cuore, perché è l’unico muscolo che non può controllare, è l’unica parte di lui che al momento mostra la sincerità di un desiderio che Suga non vuole provare. Vorrebbe sussurrarglielo tra i capelli, di non andarsene, di restare con lui, ma ormai la testa di Daichi è troppo lontana.
“Ti amo,” si limita a dire, ed è la prima volta in tutta la sua vita, che quelle parole non sanno d’amore, ma di addio.

Davanti al lungo serpente che porta ai controlli pre-imbarco, Suga si sente come se il pavimento d’improvviso non si trovasse più sotto i suoi piedi. Aggrapparsi a Daichi gli viene spontaneo, sciogliersi tra le sue braccia gli sembra l’unica cosa da fare - è così scorretto, mostrarsi tanto debole di fronte alla persona che ama, ma non ha davvero idea di cos’altro possa fare, in quel momento. Daichi poggia le labbra sulla sua fronte, respira a pieni polmoni, e Suga sa che in quel respiro c’è un carico di parole che l’altro non può dire, o non ci sarebbe più nessuno a fargli da spalla. È Suga a sussurrare mi dispiace, questa volta, e ogni singola lettera punge la sua lingua come un ago sporco di veleno.

Bangkok non è così lontana. In aereo sono cinque ore e mezza o poco meno. Daichi vive nel passato, per qualche ora, ed è una fortuna perché così Suga non deve preoccuparsi di disturbarlo nel cuore della notte prima di andare a dormire. A volte, andare avanti senza pensare alla sua assenza è facile: ci sono i momenti in cui Suga sorride pensando che in fondo si tratta del loro futuro, ci sono momenti in cui il suo tempo è così pieno che non ha davvero un momento per essere triste. Asahi e Tanaka lo invitano costantemente a casa di uno o dell’altro per una cena a base di schifezze e troppo alcool, Hinata e Tobio lo chiamano per fare una partita di pallavolo nel weekend con la loro vecchia squadra del liceo, Kiyoko lo porta al cinema quando nessuno degli altri è libero per poterlo salvare dalla sua solitudine. Ma Suga non può sempre contare sull’aiuto degli altri, e ci sono volte in cui non può contare nemmeno sull’aiuto di se stesso.

“Sei sicuro di stare bene?”
Suga fissa il calendario davanti ai suoi occhi senza davvero guardarlo, mentre stringe più forte il cellulare e annuisce. Gli angoli della bocca gli si sollevano ormai in automatico - non può fingere di stare bene se non sorride, perché ha imparato che senza il movimento dei muscoli facciali la voce sembrerà sempre triste e vuota - più o meno come si sente lui in quel momento.
“Si, Daichi. Sto bene, va tutto bene. È stata solo una giornata stancante, sai come sono fatti i ragazzi… tu stai bene?”
“C’è talmente tanto tempo da fare che anche se volessi star male non potrei permettermelo.” Daichi ride, oltre la cornetta, e per Suga è un toccasana e una stretta al cuore allo stesso tempo. “Mi pensi, ogni tanto?” continua poi, e Suga si morde un labbro - sorridi, sorridi - e poi risponde.
“In ogni momento della giornata.”

Ci sono volte in cui è impossibile, fingere che vada tutto bene, e sono le volte peggiori. Sono quelle in cui Daichi è troppo occupato con il suo lavoro per potergli mandare un messaggio, sono quelli in cui Suga magari si trattiene un minuto di troppo in bagno, e quando torna trova sul cellulare una chiamata persa e un messaggio che recita sempre la stessa cosa - Sono in riunione, cerco di chiamarti appena finisco - e via, ad aspettare ore di fronte a un telefono che non squilla, con una coperta sulle spalle e la voglia di strapparsi gli occhi dal viso perché smettano di lacrimare.
Sono giorni in cui se non esiste per Daichi, Suga non riesce ad esistere per nessun altro. Le suonerie che riempiono il silenzio non sono mai quelle che lui desidera sentire, quelle per cui recupererebbe un briciolo di dignità - odia non essere capace di tirarsi su da solo quasi quanto odia l’incapacità di appoggiarsi agli altri in momenti come quello in cui, se solo potesse, resterebbe nel suo letto a respirare un profumo che ormai non si sente più da troppo tempo, tra le lenzuola.
Si sente stupido. Eppure non può fare a meno di raccogliere le ginocchia al petto e stringerle nell’unico abbraccio che vuole ricevere in quel momento, quello datogli da se stesso. Stringe i denti e cerca conforto nel suo stesso calore, chiedendosi perché debba fare così male.

Bloccato in ufficio. Thongchai ha fatto saltare in aria una fotocopiatrice, ci vuole del genio per fare simili danni. Ti chiamo appena torno a casa.

Mi manchi, Koushi. Mi manca la tua faccia gonfia al mattino, è la cosa che mi manca di più in assoluto. Non il sesso, non baciarti. Mi manca aprire gli occhi e sapere che sei affianco a me. L’ho sempre dato per scontato, più delle altre cose. E adesso che non ci sei la cosa fa male. Svegliarsi è insopportabile. Non trovarti nel letto è insopportabile. Non sentire la tua voce impastata di sonno, non vedere il suo viso contrarsi pigramente quando sorridi. Le cose più impensabili sono quelle che mancano sempre di più. Sapevo mi saresti mancato. Sapevo mi saresti mancato tanto, ma non così tanto da sentire lo stomaco contrarsi ogni volta che penso anche solo al tuo nome. Mi manchi, e non te lo dico a voce perché l’ultima cosa che voglio è sentirti piangere e sapere di esserne la causa.

Ti ho spedito un regalo, alla vecchia maniera. Spero arrivi presto.

Il postino sorride radioso, una settimana dopo il messaggio che lo ha tenuto sulle spine fino a quel momento. Consegna la lettera in mano a Koushi e ammicca, mentre lui guarda il mittente e sente il cuore perdere un battito. Quasi si scorda di salutare il postino, quando rincasa e si appoggia alla porta, troppo curioso di sapere cosa c’è dentro la busta per potersi sedere sul divano. Trema, quando vede cosa c’è dentro. Deve portarsi una mano alla bocca, o il suono dei suoi singhiozzi sarà così forte da spaventare l’intero vicinato.
Sono passati sei mesi, da quando ha visto Daichi per l’ultima volta.
Sono giorni che stanno per finire.

Ho provato a chiamarti, ma non rispondi. Ho controllato il codice di tracciamento della lettera, mi dice che ti è stata consegnata. A me invece hanno consegnato il letto matrimoniale, per cui muoviti ad arrivare, e porta tutto quello che ti è fondamentale, perché non ti lascerò più tornare a casa. Ma nemmeno per sbaglio. Non vedo l’ora che arrivi il fine settimana. Ti verrò a prendere con mille palloncini bianchi e uno striscione imbarazzante. Lo scriverò in giapponese, così nessuno capirà - o almeno lo spero. Ti farò piangere così tanto che ti pentirai di aver sprecato così tante lacrime in mia assenza. Ti amo. Muoviti ad arrivare.

   
 
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