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Autore: gleebrittanastories    12/11/2014    5 recensioni
Argentina-1979
Dal testo: "Avete presente nei film, quando il protagonista va a sbattere contro una donna bellissima che puntualmente ha seimila cose in mano che si spargono nei cinque metri circostanti? E, nel mentre raccolgono il tutto, hanno il tempo di parlare e di innamorarsi e tutto sembra così facile e bello e destinato ad essere facile e bello per sempre? Beh, per me e Santana non è stato neanche lontanamente così. Nella nostra storia d'amore non c'è stato tempo per l'amore anche se è quello che ci ha fatto andare avanti."
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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/ Hey,
eccomi all'inizio di un nuovo viaggio. Ho in mente una ff del genere da molto tempo e finalmente sono riuscita a tirare fuori qualcosa. Finora non ho scritto nulla di impegnativo mentre con questa mi ci voglio proprio mettere. Ho scelto un contesto storico abbastanza recente come avrete letto nell'introduzione sul quale mi sono documentata perchè tutto quello che scrivo sia coerente. Naturalmente al centro di tutto c'è la Brittana, comunque non voglio anticiparvi altro. Sarei davvero contenta se decideste di lasciare due parole, ci tengo molto a sapere cosa ne pensate. Segnalatemi eventuali errori/incongruenze, questo vale anche per i prossimi capitoli. Grazie per l'attenzione e (spero) buona lettura! /
 

PREFAZIONE

Qual è il posto più strano in cui vi siate mai svegliati? Il migliore? Il peggiore? Sono ottime domande con cui iniziare una conversazione, o almeno io lo farei. Volete mettere con le solite frasi di circostanza che incanalano le conversazioni in tunnel di seria ordinarietà? Beh, sappiate che se volete fare colpo con me non dovrete mai essere banali. Sono infatti fermamente convinta che la banalità faccia male alla salute. Ma forse io non faccio testo, tutti mi dicono che sono un po' strana. Meglio strana che noiosa, così mi ha sempre detto mia madre accompagnando la frase con una carezza quando i bambini mi prendevano in giro. Comunque se volete posso rispondere prima io.

Il posto più strano in cui io mi sia mai svegliata è senza dubbio il tetto di una casa. Ho avuto altri risvegli non programmati ma quello è stato senz'altro il più assurdo. Ero all'ultimo anno di liceo e non mi sarei persa una di quelle feste per nulla al mondo. Quella in questione era a casa di Blaine, se lo conoscete saprete bene come vanno a finire le cose quando organizza lui. Per me erano finite su uno scomodo tetto quasi completamente nuda. Per fortuna nessuno mi aveva vista in quelle condizioni, quando ero riuscita a scendere erano quasi tutti tornati a casa sorreggendosi a vicenda e i pochi rimasti avrebbero dormito ancora per un bel po'. Certe esperienze non hanno prezzo, credetemi. Il liceo è stato forse il periodo della mia vita dove ho finalmente ho trovato il mio posto nel mondo, o almeno lo credevo fino a che è successo quel che è successo. Ero sempre quella un po' strana ma avevo trovato persone disposte a volermi bene e che mi apprezzavano veramente per quella che ero, ed erano persone fantastiche. Blaine compreso.

Tornando ai risvegli, non ce n'è uno migliore perchè tutti quelli con Santana al mio fianco sono stati i migliori. Santana Lopez, l'amore della mia vita. Prima di farvi filmini mentali sdolcinati su noi due sappiate che non è stato facile. Avete presente nei film, quando il protagonista va a sbattere contro una donna bellissima che puntualmente ha seimila cose in mano che si spargono nei cinque metri circostanti? E, nel mentre raccolgono il tutto, hanno il tempo di parlare e di innamorarsi e tutto sembra così facile e bello e destinato ad essere facile e bello per sempre? Beh, per me e Santana non è stato neanche lontanamente così. Nella nostra storia d'amore non c'è stato tempo per l'amore anche se è quello che ci ha fatto andare avanti. Detto ciò, se siete ancora interessati, vi voglio raccontare tutto e inizierò dal risveglio peggiore, quello che mi ha cambiato la vita per sempre.

 

 

CAPITOLO I

Sono morta? E' stato un sogno? Sto pensando quindi teoricamente dovrei essere viva. Ma in fondo che ne so io di com'è essere morti. Ma i morti non provano dolore e quello che provavo io era decisamente dolore ed era ovunque. Non riuscivo a muovermi, anzi, ad essere precisi non sentivo il mio corpo come se di me fosse rimasta solo la testa. Non sento il mio corpo ma mi fa male tutto, come è possibile? Non ero mai stata così male in tutta la mia vita. Ormai avevo capito di essere viva ma la prospettiva di morire non mi sembrava neanche tanto malvagia. Era faticoso anche solo restare abbastanza cosciente per pensare. Rimasi per un po' immobile a contemplare le mie condizioni fisiche ad occhi chiusi. Arrivai alla conclusione che dovevo avere tutti gli arti mutilati oppure, prospettiva non molto migliore, una paralisi totale. Dovevo essere viva per miracolo perchè stavo cominciando a ricordare gli avvenimenti del giorno precedente e se quello che ricordavo era davvero accaduto non sarei dovuta essere viva. E ora dove sono? La superficie dove ero sdraiata doveva essere un letto, per quanto scomodo. Piano piano cominciavo a percepire le varie parti del mio corpo e il dolore si fece più reale. Dovevo reagire o avrei perso conoscenza, di nuovo. Di muovermi non se ne parlava così decisi di iniziare aprendo gli occhi. Un'operazione così semplice mi costò molta fatica per nulla, ero nel buio più totale. Mossi gli occhi e il collo leggermente a destra e poi a sinistra ma non riuscii a distinguere nulla. Ottimo. Sbuffai e ributtai il collo dolente all'indietro e finamente notai qualcosa. Nel muro dietro la testiera del letto c'era una finestrella, o meglio un'apertura posta abbastanza in alto. Era talmente piccola che dalla mia posizione non vedevo fuori ma solo un flebile bagliore. Ma dove diamine sono? Chi mi ha portato qui? Stavo cercando inutilmente di spremermi il cervello per ricordare qualcosa in più quando sentii dei passi leggeri.

"Ehi!" cercai di attirare l'attenzione di chiunque stesse passando, anche se non mi uscii dalla bocca che un debole sussurro. Fortunatamente la persona in questione doveva avermi sentito, oppure era già intenzionata a venire da me.

"Ti sei svegliata finalmente! Come ti senti?" Era una voce dolce, di una donna probabilmente giovane. La luce però non accennò ad accendersi e non potei vederla in faccia.

"Sono stata meglio, mi fa male tutto" cercai di non dirlo con non troppa autocommiserazione ma la fatica con cui pronunciai quella frase parlò da sè.

"Sei stata molto fortunata, credimi. Sono contenta che tu ti sia svegliata, a dire la verità non ci speravamo molto" Speravamo? Tu e chi altri? Ma prima che le potessi chiedere qualsiasi spiegazione la ragazza riprese a parlare "Non sprecare energie parlando. Non ho antidolorifici da darti perciò è meglio se provi a non pensarci e dormi un po', domani mattina vedremo come stai"

Avevo così tante domande ma capii che aveva ragione e non me lo feci ripetere due volte.

"Io sono Tina comunque" disse per poi allontanarsi con lo stesso passo leggero con cui era arrivata e fui di nuovo sola. Dormire non sarebbe stato facile, la stanchezza c'era ma il mio cervello era iperattivo formulando ipotesi per poi scartarle. Avrei voluto richiamare Tina e supplicarla di spiegarmi dove fossi e come ci fossi arrivata ma mi arresi all'idea che la mia voce non avrebbe chaimato proprio nessuno. Frustrata cercai di chiudere gli occhi e di non pensare a nulla fino a che caddi nel sonno. Subito prima però, negli ultimi attimi di dormiveglia, ebbi un flashback. O meglio rividi un'immagine, per la precisione uno sguardo perforante che mi scrutava preoccupato. Doveva essere lo sguardo del mio salvatore.

 

Il secondo risveglio in quella stanzetta fu lievemente migliore. Finalmente potei vedere l'ambiente circostante. Doveva essere una bella giornata perchè dalla finestrella entrava molta luce, ero quasi di buon umore. Questo finchè non mi ricordai che mi doleva ogni singola parte del mio corpo e che non avevo idea di dove fossi. Presi coraggio e provai a sedermi ma una fitta alla gamba destra seguita da una alla spalla sinistra mi scoraggiarono.

"Forse è meglio se non ti muovi" era una voce maschile, alzai lo sguardo e vidi un ragazzo piu o meno della mia età che mi guardava appoggiato allo stipite della porta.

Io non risposi e ributtai la testa sul letto. Lui allora si avvicinò e mi scrutò, io feci lo stesso e mi meravigliò il fatto che fosse bianco come me.

"Io sono Sam" mi disse sorridendomi, aveva una faccia affidabile. Era molto bello, se non fosse stato per quelle labbra troppo piene. Erano davvero enormi e mi dovetti sforzare per non ridergli in faccia.

"Non sembri esattamente argentino" osservai.

"Infatti non lo sono, la mia famiglia si è trasferita qui molte generazioni fa dagli Stati Uniti. Comunque sia potrei dire lo stesso di te" ma prima che potei dargli spiegazioni o chiedergli qulalcosa aggiunse "Vado a chiamare Tina, credo che ti debba cambiare le bende. Comunque è un piacere averti con noi" e con un ultimo sorriso scomparve. Noi? Perchè nessuno si degna di dirmi dove sono capitata? Nonostante questi interrogativi, decisi di fidarmi di quelle persone. Probabilmente mi avevano salvato la vita e mi stavano curando senza chiedermi nulla in cambio. Poi mi venne in mente che Sam aveva parlato di bende, effettivamente non mi ero ancora guardata. Sollevai il collo e vidi il mio corpo irriconoscibile, quasi completamente ricoperto da macchie più o meno rossastre. In alcuni punti avevo delle bende sporche di sangue e la gamba destra immobilizzata, doveva essere rotta. Anche la spalla sinistra era fasciata e dal dolore che mi provocava doveva essere slogata.

Ero occupata a fare la conta dei danni quando, silenziosa come sempre, arrivò Tina. Ero immersa nei miei pensieri fissando il muro come se mi mostrasse qualcosa. In realtà il muro non lo vedevo, le uniche immagini che il mio cervello mi mostrava in quel momento erano gli ultimi istanti là fuori. Il viso spaventato di Blaine, la breccia nel muro, la corsa disperata in quello che era rimasto di un edificio.

Lo stesso si poteva dire delle orecchie, probabilmente non avrei sentito arrivare Tina neanche se si fosse avvicinata urlando. Anche loro sembravano essere tornate indietro nel tempo, le urla disperate, le sventagliate di proiettili, tutti rumori che comunque avevo percepito attutiti. Funziona così l'angoscia, attutisce, isola. 

Anche il tatto mi stava giocando brutti scherzi, non sentivo il lenzuolo ruvido su cui le mie mani erano appoggiate. Stavo correndo più veloce possibile, l'aria tra i capelli, il peso della borsa sulla spalla che mi rallentava e il terreno sconnesso che aumentava le probabilità di farmi cadere rovinosamente, soprattutto una volta entrata tra quelle rovine dove i calcinacci ostacolavano le mie gambe. Poi un corridoio, una trave sulla sinistra che non avevo fatto in tempo ad evitare e che mi aveva lacerato la carne della gamba. Le lacrime mi erano arrivate immediatamente agli occhi, offuscando il labirinto di corridoi in cui mi ero introdotta, ma l'istinto di sopravvivenza mi aveva obbligato ad avanzare. Era stato in quel momento che mi ero chiesta dove fosse Blaine, da quanto la mia mano avesse smesso di stringere la sua.  

Non feci in tempo a ripercorrere il resto della scena perché in quel momento il volto di Tina irruppe nel mio campo visivo interrompendo il contatto con i ricordi proiettati nel muro. 

"Ehi" esordì la ragazza. 

Io le risposi sorridendo, mentre tornavo al presente. 

"Come va?" 

"Meglio direi" 

"La spalla è slogata, la gamba è rotta ma per fortuna è una frattura composta" 

L'avevo immaginato, assimilai le informazioni riguardanti la mia situazione cercando di non pensare troppo a quanto tempo sarebbe stato necessario per guarire completamente. 

"Dove sono?" non riuscii a trattenere oltre la mia curiosità. 

"Arriverà il momento delle spiegazioni, Brittany. Per ora pensa solo a guarire" rispose la ragazza asiatica mentre era ancora intenta a passare in rassegna il mio corpo. 

"Questo taglio è proprio brutto" borbottò poi tra sé e sé quando arrivò alla gamba sinistra. La trave. 

Rimanemmo in silenzio per il resto del tempo, avrei dovuto fare in modo che il tempo delle spiegazioni arrivasse il prima possibile. 

 

I giorni dopo furono simili. Aprivo gli occhi nel primo mattino quando la luce entrava direttamente dalla finestra sopra di me attraversando l'entrata della camera e colpendo il muro del corridoio. Un muro che una volta doveva essere stato bianco. Ogni mattina rimanevo in contemplazione del soffitto ripensando a tutto quello che mi era successo, soprattutto a cosa mi fosse passato per la mente quando avevo deciso di andare lì. In realtà lo sapevo ma non potevo fare a meno di torturarmi ripetendomi che qualunque cosa fosse successa a Blaine sarebbe stata solo colpa mia. Perché l'ho portato qui? Ogni mattina, dopo un po' si presentava Tina con le bende pulite e un sorriso dolce. Si informava brevemente delle mie condizioni troncando ogni altro accenno di conversazione. Lo stesso faceva Sam quando mi portava da mangiare. Perché tutto questo mistero? Potevano rispondere almeno ad un paio di domande. Forse volevano affrontare l'argomento con calma, forse avevano troppe spiegazioni da darmi, forse non me l'avrebbero mai date. Dopo che Tina mi aveva cambiato le fasciature e Sam mi aveva portato una sorta di colazione-pranzo mi lasciavano di nuovo sola. Il dolore non era passato ma ormai non è che ci avessi fatto l'abitudine ma quasi. Dopo un po' mi riaddormentavo, stremata, senza aver fatto nulla quando la luce ormai non entrava più dalla finestra. 

 

Quel giorno, appena mi svegliai, capii subito che fosse arrivato il momento. Il momento di alzarmi, di esplorare, di chiedere. Era arrivato il momento delle spiegazioni. Avevo aperto gli occhi e per la prima volta da non seppi dire quanto tempo mi sentii relativamente in forma. Le bruciature e le ferite meno profonde avevano lasciato spazio a piccole cicatrici, quelle più profonde erano ben fasciate e non bruciavano quasi più. Dalla finestrella non entrava molta luce, doveva esserci brutto tempo. Mi misi seduta da sola sopportando la piccola fitta alla spalla e aspettai. 

Tina arrivò dopo qualche minuto. Era in condizioni pietose, quasi ridicola. Quel sorriso in contrasto con gli abiti sporchi e distrutti. 

"Oddio, cosa hai fatto?" le chiesi subito, divertita ma preoccupata. 

"Sono appena tornata" rispose tranciando subito l'argomento per poi aggiungere subito dopo "Ti sei seduta da sola! Ti vedo meglio Brittany" 

"Mi voglio alzare" e voglio sapere. 

Tina sembrò sorpresa dalle mie parole, pensai che non mi ritenesse pronta ma poi annuì quasi rassegnata. Forse aveva capito che non mi avrebbe fatto cambiare idea molto facilmente. 

"È quasi ora di pranzo, potresti mangiare con gli altri" mi disse mentre controllava le medicazioni. Io non risposi, ero ovviamente d'accordo. Voglio proprio conoscerli, gli altri. 

"Tu non mangi con noi?" mi resi conto che non si era inclusa nell'azione. 

"Sarà meglio che mi dia una lavata, vi raggiungo dopo" spiegò per poi sparire.  

Non feci in tempo a chiedermi dove diavolo fosse finita che ricomparve con un paio di stampelle probabilmente risalenti alla guerra di secessione. Ma l'importante era che quelle stampelle mi avrebbero ridato un minimo di autonomia. Ne poggiò una al letto e mi passò l'altra dato che solo un braccio era utilizzabile. L'impresa fu più ardua del previsto e fu solo grazie a Tina che mi ritrovai finalmente in piedi. Zoppicai fino all'uscio e uscii nel corridoio rendendomi conto di non sapere dove andare. Tina mi precedette facendomi segno di seguirla e io lo feci, per quanto velocemente mi fosse concesso. Dopo una decina di metri, e varie imprecazioni di dolore nella mia testa, arrivammo a una piccola scaletta che scendeva ripida e Tina la scese lasciandomi lì. Faceva sempre così, scompariva e ricompariva con la soluzione ai miei problemi. E così fece anche quella volta, seguita da Sam. Quest'ultimo prese la stampella e me e ci caricò facilmente trasportandoci fino al piano inferiore. 

"Buon appetito, ci vediamo dopo" sentii dire a Tina da sopra, ormai fuori dalla mia visuale. 

"Ok, ora puoi lasciarmi" dissi gentilmente a Sam che non sembrava per nulla intenzionato a farmi camminare con la mie gambe. Lui acconsentì, dopo aver provato un po' a dissuadermi spiegandomi che non gli costava nulla portarmi, e finalmente mi potei guardare intorno. 

Eravamo in un ampio salone. Anzi, ampio era riduttivo. Forse vasto rende più l'idea. Sulla sinistra c'era un falò, circondato da un paio di persone, con un camino fai da te che proseguiva fino all'angolo del soffitto. Appoggiati alla parete di fronte alcuni mobili, un frigo fatiscente e alcune porte. La luce era interamente artificiale, infatti le uniche fonti erano i neon sul soffitto mentre di finestra non ce n'era neanche una. 

Al centro c'era un enorme tavolo, o meglio, una successione di tavoli affiancati. Erano completamente diversi tra di loro, da quelli eleganti in mogano a quelli pieghevoli da campeggio, e creavano una curiosa accozzaglia. Seduti nei tavoli centrali c'erano alcuni ragazzi giovani, più o meno della mia età. Sam mi aiutò a raggiungere una panca e a sedermici e iniziò le prestazioni. 

"Questa è Brittany" spiegò sorridendo agli altri per poi iniziare una serie di nomi "Puck, Quinn, Kurt, Mercedes" e poi mi disse anche i nomi di un paio di ragazzi argentini che stavano un po' in disparte ma li dimenticai quasi subito. 

Tutti mi salutarono calorosamente ed evidentemente incuriositi. Ma anch'io a curiosità non scherzavo. Aspettammo che fosse servito il pranzo e che anche i cuochi fossero seduti, nel frattempo Puck e Mercedes ripresero la conversazione di politica che dovevo aver interrotto con il mio arrivo. Il cibo mi sembrava più buono che quello dei giorni precedenti, forse solo il fatto di stare a tavola me lo faceva apprezzare di più. Finii il mio piatto in silenzio, ascoltando attentamente il dibattito in atto. Da quello che capivo Mercedes era considerata catastrofista da Puck e Sam, secondo loro infatti il peggio della guerra era passato. Quinn però obbiettò che gli Stati Uniti e la Francia si stessero mobilitando, l'aveva sentito a una radio che era riuscita ad intercettare. L'ambiente era teso, a tavola come fuori, in tutta l'Argentina. 

Quando l'argomento fu esaurito e ognuno ebbe detto la sua, tranne io che mi sentivo ancora un po' fuori luogo, l'attenzione di tutti fu rivolta verso di me. Sam con un cenno del capo mi fece segno di parlare e dopo un momento di esitazione lo feci. 

"Io sono Brittany Pierce, di New York" 

A quella dichiarazione sembrarono tutti piuttosto sorpresi, anche se la maggior parte di loro era chiaramente di origini non argentine come me, capii che volessero conoscere il motivo che mi aveva portata lì. 

"E cosa ci fa qui, Brittany Pierce di New York, nel bel mezzo di una guerra civile a migliaia di chilometri da casa sua?" chiese Kurt per tutti. 

"Sono una reporter. Sono venuta qui insieme al mio collega Blaine perché l'Argentina sta cercando di bloccare le fughe di notizie e al di fuori nessuno sa cosa stia succedendo" spiegai cercando di essere coincisa "A proposito, sapete dov'è Blaine?" chiesi poi speranzosa. 

Tutti scossero la testa dispiaciuti. Non riuscii a trattenere due grosse lacrime che raggiunsero il mento e si unirono. Era tutta colpa mia e ora non potevo fare altro che piangermi addosso e sperare. Mi sentii osservata ma nessuno prese la parola e per alcuni minuti mangiammo in silenzio. 

"Forse ti starai chiedendo dove ti trovi" disse Quinn dopo un po'. Io annuii immediatamente così lei si schiarì la voce e iniziò a raccontare. 

"Tre anni fa circa quelle che erano state sporadiche sparizioni hanno cominciato a diventare sempre più frequenti. La situazione ha cominciato a peggiorare, le persone muoiono o scompaiono senza che nessuno possa farci nulla. Tra i primi desaparecidos politici c'erano i Lopez, in quanto tra i principali esponenti di sinistra. Il dottor Lopez era inoltre il primario dell'ospedale dove ci troviamo ora, o meglio nei sotterranei. I Lopez avevano una figlia molto giovane e determinata che ha dato inizio a tutto questo. Ha cominciato a reclutare giovani disposti a rischiare la propria vita per salvare più persone possibili e ha fatto di questi sotterranei il rifugio dell'organizzazione"  

"Ed eccoci qui" concluse Sam. 

Rimasi un attimo immobile, Quinn raccontava davvero bene e quella storia era davvero interessante. Sentii il bisogno di prendere appunti e l'abitudine mi portò a tastarmi il fianco alla ricerca della borsa. La borsa. 

Il panico mi offuscò la mente, in quella borsa c'era tutto. C'era il materiale di quella settimana e tutti i miei appunti, annotazioni, foto, contatti utili. In quella borsa c'era tutto. 

Gli altri mi stavano guardando confusi dal mio comportamento.  

"Avete mica trovato una borsa? Grande, a tracolla, marrone..." tentai ma tutti scossero la testa dispiaciuti, per la seconda volta quel giorno. 

"Santana aveva una borsa quel giorno! Me lo ricordo perché mi era parso strano, le borse ci rallentano e rallentare ti può costare la vita" provai il desiderio di abbracciare Puck. Quel barlume di speranza mi fece tornare la vecchia Brittany ottimista. 

"È questa Santana che mi ha salvato?" volli sapere e Quinn annuì. 

"Devo ringraziarla e chiederle se ha visto Blaine!" esclamai soddisfatta di avere un obiettivo e una pista da seguire. 

I miei nuovi amici, però, non sembravano dello stesso parere. Si scambiarono occhiate prudenti e preoccupate facendomi chiedere cosa avessi detto di male. 

"Forse è meglio se ci parla Puck" disse Mercedes rivolta a me ricevendo il consenso degli altri.  

Perché? Non conosce la mia lingua? È superiore, non merito di parlare con lei? Non capivo per quale motivo Puck ci potesse parlare mentre io no. 

"Santana è la figlia dei Lopez di cui ti parlavo. È il capo qui e ha molte responsabilità, troppe per una ragazza della nostra età. Tende ad attribuirsi la colpa delle inevitabili perdite che subiamo, in più dopo tutti questi anni non sa ancora che fine abbiano fatto i suoi genitori così si è sempre più chiusa in se stessa" concluse Quinn, esauriente e coincisa come mai ne avevo conosciuti. Era nata per raccontare. 

"Nella migliore delle ipotesi sono morti" aggiunse Puck facendomi inarcare le sopracciglia. Nella migliore? 

"Meglio morti che torturati" si spiegò lui con tono grave, come improvvisamente consapevole della gravità della situazione. 

"Perché tu puoi parlarle?" chiesi all'argentino dopo un po', incapace di trattenere la curiosità e forse un po' di gelosia. 

"Stiamo insieme" rispose lui, serio. Gli altri a quell'affermazione si scambiarono delle eloquenti occhiate e poi scoppiarono a ridere improvvisamente e sonoramente. Sorrisi anch'io, anche se quella battuta non faceva così ridere. Probabilmente loro condividevano un'informazione a me sconosciuta perché anche l'impeccabile Quinn non riusciva a smettere di ridere. 

Quando tutti si furono ripresi e le lacrime asciugate, Puck ancora compiaciuto per la sua battuta si decise a spiegarmi la situazione. 

"Sono come un fratello per lei. Eravamo vicini di casa e quando, una notte, hanno portato via i suoi genitori ho fatto tutto il possibile per aiutarla. Da quel momento quelle poche volte che si apre lo fa con me, anche se sempre più raramente" l'atmosfera era tornata seria. 

"E pensare che una volta eravamo migliori amiche" aggiunse Quinn, più a se stessa che a noi, con uno sguardo triste. 

In quel momento sentii una mano appoggiata dolcemente sulla spalla destra e mi voltai, era Tina. Si era cambiata e aveva un aspetto decisamente migliore. 

"È meglio non esagerare" mi sussurrò per poi chiedere a Sam se mi portava in camera. In effetti ero davvero stanca ma troppo presa dalle novità per accorgermene. 

Salutai tutti e mi avviai alle scale con Sam che con una della sue forti braccia mi aiutava a stare in piedi. Poi mi prese con entrambe e mi portò senza difficoltà. Rimanemmo in silenzio per un po', finché non mi decisi a fargli la domanda che mi tormentava. 

"Dici che non posso proprio parlare con Santana? Mi ha salvato la vita e poi preferirei farle io quelle domande" ammisi a bassa voce. Lui mi sorrise comprensivo mentre svoltava nella stanzetta. 

"Ne parlerò con Puck, di solito Santana non accetta di parlare con estranei ma chissà" disse posandomi delicatamente sul letto. 

Sentii immediatamente la stanchezza avere il sopravvento ma con la lucidità rimasta riuscii a chiamare Sam. Lui si voltò, entrava una luce strana dalla finestra che illuminava il suo volto in attesa che parlassi. 

"Che giorno è oggi?" 

"Il 16 marzo 1979" rispose divertito per poi farmi un cenno e scomparire. 


/ Mi sono dimenticata di dirvi che il titolo è preso dal testo di "Don't Cry For Me, Argentina", che tra parentesi è cantata da Kurt e Rachel in Glee, e letteralmente significa "non mantenere le tue distanze". Love, Gre_At /

  
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