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Autore: __Mary__06    12/11/2014    2 recensioni
E finalmente trovava il coraggio di riprendere le sue colpe tra le mani, quelle mani che avevano premuto il grilletto troppe volte. I tacchi della donna creavano un suono simile ad un orologio, un orologio che aspettava la fine della sua carriera da assassino. I capelli biondi ondeggiavano lasciando un'aroma di erbe selvatiche. La verità era venuta a galla: era finita.
«Raccontami...»
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-Tratto dal capitolo due-
«E pensando al mio futuro, riposi la letterina nella scatola lasciandola cadere dolcemente sopra tante altre. Dovevano essere state almeno cinquanta, una per ogni volta che sentivo la mancanza di mia madre più degli altri momenti. »

-Tratto dal capitolo quattro-
«Volevo che crescessi forte e senza cuore perché chi ha un cuore, prima o poi, se lo ritrova a pezzi.»
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chianti, Gin, Korn, Vermouth, Vodka | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Anche quando in casa il posto è più invivibile 
e piangi e non lo sai che cosa vuoi 
credi c'è una forza in noi amore mio 
più forte dello scintillio
di questo mondo pazzo e inutile 
è più forte di una morte incomprensibile 
e di questa nostalgia che non ci lascia mai.
-La forza della vita- Paolo Vallesi
 
“Cara mamma,
quando avevo cinque anni ricordo che mi dicesti una cosa del tipo ‘Rispetta gli altri e loro rispetteranno te.” . Io non ho mai dubitato delle tue parole, ma qualcosa non quadra nella mia vita di tutti i giorni. Io rispetto i miei compagni, ma loro mi odiano. Cosa ho di sbagliato? Tu che sai tutto e che mi sguardi da lassù potresti darmi spiegazioni, per favore? “

 
La mia manina era imprigionata nella sua. Non mi lasciava andare, era ostinata a vigilare su di me. Finalmente la campanella suonò e fui libero di correre verso l’entrata come gli altri bambini.
 
In classe mi sedetti subito al mio banco puntualmente in fondo all’aula e sistemai lo zaino sulla sedia. Gli altri bambini mi evitavano come tutti i giorni senza che io sapessi il motivo. Io avevo provato a chiederlo, ma nessuno mi aveva mai risposto, nemmeno la maestra. Pensavo che anche la maestra ce l’avesse a morte con me. E io che potevo fare se non starmene buono senza “infastidire” gli altri con la mia presenza non gradita? Era anche questa un’occasione per rispettare gli altri.
La signorina Koshira entrò in aula e tutti si misero a sedere.
“Buongiorno bambini. Come vi avevo già detto avantieri oggi c’è la verifica di storia.”
La maestra passò tra i banchi distribuendo le schede e posandole delicatamente sui banchi e sorridendo; arrivata a me con un colpo sbatté quel foglio sul mio banco e non si scomodò di rivolgermi un misero sguardo.
Fa niente: c’ero abituato.
Avevo studiato molto il giorno prima e mi sentivo molto sicuro di me. Impugnai la matita temperata a dovere e completai la fotocopia in breve tempo. Riconsegnai la mia verifica alla maestra che la prese bruscamente fra le sue mani, quelle mani apparentemente dolci.
 
Nell’intervallo uscimmo tutti fuori per consumare la merenda in compagnia. Mi sedetti di spalle al muretto della scuola e addentai il mio panino. Pensavo. E se fossi malato? No. E se avessero sparso false voci su di me? Improbabile. E se…neanche.
Tra i miei dubbi non mi accorsi che quell’idiota di Kei si era avvicinato. Mi stampò uno schiaffo sul braccio destro e mi schernì ad alta voce.
 A quei tempi non avrei mai immaginato che Kei sarebbe diventato quello che è ora.
Il braccio mi faceva male, ma cercai di non darlo a vedere. La mia condizione sociale era già critica e, mettersi a piagnucolare, avrebbe solo peggiorato la situazione. Il segno della manaccia di Kei pulsava atrocemente sul mio braccino esile. Le lacrime facevano capolino dai miei occhi, ma riuscii a trattenere tutto dentro di me, come sempre.
 
Le ore successive passarono come sempre: solitudine. E suonò la campanella dell’uscita. Quell’orribile donna mi aspettava fuori per tornare lì, in quel posto che avrei dovuto etichettare come ‘casa’ , ma non era così per me.
A casa dovresti sentirti al sicuro, libro, amato, circondato dalla famiglia. Casa è dove sei cresciuto, dove c’è parte della tua anima. Lì invece non c’era niente di mio: era tutto suo.
 
Puntuale come la morte, Nobu mi venne a prendere e, trascinandomi per la strada martirizzando i miei polsi, mi portò alla ‘casa’. Scendemmo quelle scale umide e buie verso il seminterrato, ovvero il nostro ‘appartamento’. Entrammo nella stanza principale dove dei lumini permettevano sì e no di distinguere le figure.
Dei suoi amici la stavano aspettando attorno ad un tavolo con bottiglie di liquori.
“Nobu, finalmente qui…con il moccioso.” disse un uomo sui trent’anni vantando il suo bicchierone di liquore.
“Scusatemi, ma stare con il nanetto mi costa ore preziose.”
“Dovremmo già cominciare ad addestrarlo a dovere. Sai…il suo futuro mestiere.” affermasti tu, che a quei tempi avevi poco più di venti anni.
“Ci sto pensando. Aspettiamo che il signor Aoki sia fuori gioco e poi si provvederà.”
“E avresti intenzione di cosa?” domandò una donna con una bambina piccola tra le braccia.
“Lo sapete: è la mia specialità. E tu cosa vorresti fare con la piccola Hisoka? Anche lei dovrà prima o poi fare pratica. Sbaglio o sarà il nostro cecchino?”
“Sì, Hisoka è destinata a questo.”
“Benissimo” concluse Nobu.
Io avevo ascoltato per filo e per segno le loro parole, i loro piani, capivo qualcosa. Non sapevo cosa fosse un cecchino e neanche quale poteva essere la specialità di Nobu. Io avrei dovuto essere addestrato per un mestiere che non mi era ben chiaro. Avevo capito che aveva a che fare con loro, però.
“Moccioso, vai nella sua stanza e non seccarci con la tua presenza. Dobbiamo parlare di cose da grandi.” E così Nobu mi cacciò dalla camera.
 
Entrai nel mio sottoscala, presi carta e penna e tirai giù qualche parolina.

“Cara mamma,
dove sei? Papà non c’è quasi mai e quando c’è si dedica solo ed esclusivamente a Nobu. Nobu non mi piace: mi tratta da straccio e ho paura che stia per fare del male a papà. E quando anche papino non ci sarà più, che ne sarà di me?”

 
Sarei diventato anch’io come quel demone di donna. Non è vero?
  
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