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Autore: Glitch_    13/11/2014    11 recensioni
[Sterek Maleficent!AU]
C’è Derek che per vendicare la sua famiglia e proteggere quel che resta della sua terra chiede aiuto a Madre Luna per diventare uno stregone oltre che un lupo, e poi c’è Stiles, coinvolto nei piani di Derek di riflesso.
Derek adesso vorrebbe solo poter riformulare il suo maleficio, o che il vero amore esistesse davvero…
Genere: Commedia, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Kate Argent, Malia Hale, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Terza Parte




La magia aveva reso molto più forti i sensi di Derek, tanto da farlo riuscire a fiutare e sentire sempre quando nei pressi della muraglia della Brughiera c’era qualcuno di sconosciuto, o che non potesse essere collegato al solito andirivieni dei soldati di Kate. Fu per questo che percepì subito una strana presenza lì vicino e andò a vedere con Malia chi fosse.

Nascosto dietro dei cespugli fitti, Derek inarcò un sopracciglio scettico quanto sorpreso quando vide che si trattava di una ragazza bionda e molto giovane.

Aveva con sé un cavallo nero, anche se al momento non era in sella, e sembrava impegnata nello sciogliere con fatica i lacci che chiudevano un grosso sacco di tela. Indossava dei vestiti semplici fatti però di tessuto indubbiamente pregiato, aveva i capelli molto curati e profumava di buono: nel suo odore non c’era alcuna traccia che svelasse il suo lavoro o le sue origini – niente odore di terra come per i contadini, o sapone e cucina come per le lavandaie e le sguattere – sembrava ben nutrita e cresciuta, come se non avesse mai fatto alcun lavoro di fatica in vita sua, come una nobile.

Nonostante tutto, però, era sudata e affannata come se stesse scappando da qualcuno o qualcosa, e si guardava intorno circospetta e all’erta. Derek la vide nascondersi dietro un paio di alberi, e poi sentì il fruscio di vestiti tolti e buttati a terra; quando la ragazza tornò allo scoperto, indossava degli abiti maschili meno profumati e curati ma molto più pratici, e stava infilando con gesti goffi i vestiti di prima nel sacco. Poi tirò su naso, recuperò una piccola vanga assicurata alla sella del cavallo e iniziò a scavare una fossa, non prima però di togliersi dal collo una collana con un sigillo reale, per nasconderlo in un piccolo borsello di pelle legato alla cintura dei pantaloni.

Una principessa, quindi. Doveva essere di un regno vicino a quello di Kate.

La ragazza si soffiò via dal viso una ciocca di capelli, e sbuffando procedette a scavare in modo maldestro ma con cocciutaggine. Sembrava molto determinata.

Il cavallo nero sbuffò; lei gli rivolse un’occhiataccia.

«Non cominciare, Danielle!» sbottò la principessa. «Non guardarmi così, smettila di giudicarmi! Non tornerò al castello! Ho compiuto sedici anni ed è un mio diritto fare della mia vita quello che voglio, tanto più che non sarò di certo io la prossima a salire sul trono!»

Il cavallo nitrì la propria disapprovazione, ma lei proseguì il suo operato: Derek intuì che per qualche ragione doveva essere in fuga dalla sua stessa famiglia, e che avesse pensato di travestirsi e di seppellire le prove per nascondersi meglio.

Al fianco di Derek, Malia si accigliò. «Ma quel cavallo è come me? Può prendere delle sembianze umane?» chiese con un sussurro.

Derek aggrottò la fronte e fissò meglio l’animale. «No» decretò deciso. «È un cavallo e basta». Scrollò la testa. «Questa ragazza è proprio come Stiles, parla con gli animali come lui…» e si fermò dal continuare a parlare, colto all’improvviso da un’idea. «Malia, vai a cercare Stiles e poi vieni a dirmi dove si trova» le ordinò secco, trasformandola subito in falco.

La principessa sussultò quando sentì che nelle vicinanze c’era stato un forte fruscio, ma quando vide il rapace innalzarsi in volo intuì che l’origine del rumore fosse stata colpa sua, e si rilassò portandosi una mano sul cuore. Infine, terminò il lavoro, osservò una mappa mormorando fra sé e sé che direzione seguire e rimontò in sella.

Derek la seguiva in silenzio e attenzione da un bel pezzo, quando Malia tornò in volo da lui, riferendogli che Stiles non era alla casetta e in che punto della foresta si trovasse.

Derek stese la bocca in un piccolo ghigno furbo, fissò il cavallo e schioccò le dita: l’animale s’impennò nitrendo terrorizzato da qualcosa di invisibile, e nonostante le urla di protesta della principessa partì al galoppo a velocità spaventosa, in direzione di Stiles.

Malia fissò Derek, per nulla convinta o colpita dalle sue azioni. «Se hai in mente di fare quello che penso io, ti avverto che secondo me non è un buon piano».

Derek non le rispose, prese il suo aspetto da lupo e trasformò lei in coyote, e partirono al trotto all’inseguimento della principessa.

Il cavallo cominciò a rallentare solo in prossimità del punto in cui si trovava Stiles: il ragazzo era accucciato a terra di fronte alla tana di una volpe, a cui stava parlando per convincerla a uscire fuori e farsi accarezzare.

Stiles si pietrificò e sbarrò gli occhi, quando il cavallo si fermò di colpo davanti a lui, nitrendo forte di fronte alla sua faccia.

«Ma che ti è preso, Danielle?!» gridò la principessa, sbuffando e tirando le briglie per convincere il cavallo ad allontanarsi da Stiles – ancora impietrito. «Sc-cusatemi!» balbettò arrossendo. «Di solito mi ascolta sempre, ma questa volta è partita al galoppo come spaventata da qualcosa e… State bene?»

Stiles deglutì a stento, e boccheggiando si mise in piedi con impaccio. «Sì… tutto a posto» si scrollò della terra dalle ginocchia con delle manate. «Voi? Cioè, lei? Cioè» si corresse, confuso, «non lei il cavallo, lei-lei voi-voi… io…» gesticolò e si puntò un dito contro il petto, insicuro. «Io Stiles» si presentò goffo.

Lei sorrise imbarazzata abbassando lo sguardo. «Mi chiamo Heather» si mordicchiò un labbro. «E non mi piacciono le formalità. Sono troppo da nobili, non trovi?» e arricciò il naso ostentando disgusto, probabilmente per coprire meglio la propria identità.

Stiles si passò la mano fra i capelli. «Non saprei… non ho mai visto un nobile in vita mia. Cioè da piccolo non mi sono mai avvicinato al castello e…» divagò.

«Davvero?» si meravigliò Heather, e scese da cavallo. «Quindi vivi fuori da un regno?» ipotizzò.

Assentì. «Abito qui nella foresta».

«Oh» sospirò ammirata. «Deve essere bello, vero? Di certo avrai visto un sacco di cose strane e meravigliose, qui intorno!»

Stiles sbuffò una risata, anche se provò a trattenersi – Derek pensò che fosse perché di sicuro di cose strane e meravigliose ne aveva viste pure più che abbastanza, ma nella Brughiera. «Beh, a esser sinceri qui la vita è un po’ noiosa, e gli animali non mi danno mai retta e…»

«Anche tu parli con gli animali?» lo interruppe lei, sorpresa ed eccitata. «Io lo faccio sempre!» ma poi si strinse nelle spalle, intimidita, come se stesse ricordando che mostrare interesse per una cosa simile era qualcosa che le brave signorine non dovevano fare. «Voglio dire, so che gli adulti dicono che non è un gesto che mostra grandi lumi, ma…»

«Scherzi?!» sbottò Stiles, inarcando le sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli. «Gli animali ci capiscono! Cioè, da come scappano quando mi vedono non si direbbe» farneticò gesticolando, «o forse sì, forse scappano proprio perché mi capiscono e quindi…» tirò su col naso. «Ma non è questo il punto» tagliò corto; lei lo fissò sorridendo e mordicchiandosi un labbro.

Stiles trasse un respiro profondo e tornò a parlare facendo ciondolare le braccia lungo i fianchi; era in profondo imbarazzo, ma anche incuriosito. «Che ci fai qui nella foresta?»

«Sono in cammino verso il regno della regina Kate» gli rispose, andando a dare una sistemata alla sella, ma sembrò che più altro volesse tenere le mani impegnate di proposito, per non mostrare ulteriormente il proprio imbarazzo e la propria agitazione.

Stiles inarcò un sopracciglio. «Come mai?»

«Ho sentito dire che la regina sta investendo molto denaro in missioni speciali, per la ricerca di tesori dai poteri misteriosi» gli replicò, con sguardo pieno di eccitazione. «Amerei unirmi a una di queste spedizioni! Mi piacerebbe moltissimo partire alla volta di grandi esplorazioni in cerca di avventure!» e si fermò fissando Stiles, preoccupata. «Pensi che sia un pensiero molto stupido?»

Lui scrollò le spalle. «No, perché mai?» Cercò lo sguardo di Heather con il proprio, e poi assottiglio le labbra come faceva tutte le volte che aveva l’impressione di aver intuito qualcosa. «Qualcuno ti ha detto più volte che è un’idea molto stupida?»

Lei sospirò, in parte sollevata. «Sì! La mia famiglia è contraria, non condivide il modo in cui vorrei impiegare il mio futuro. Tutti vorrebbero che io restassi a casa, ma io ho compiuto sedici anni» sbottò seccata, «non voglio più essere una giovane delicata vergine in pericolo e da salvare!» arricciò il naso. «E non ho neanche bisogno di principi!»

«Neanch’io!» ribatté Stiles, sicuro, ma poi scosse la testa. «Cioè, non che io mi senta una vergine in pericolo, o che abbia in genere bisogno di principi, o… insomma, il punto è che anche la mia famiglia vorrebbe che io restassi sempre qui nella foresta: non vogliono che io vada via o che mi allontani troppo, quindi ti capisco» annuì, e si scambiarono uno sguardo timido e denso di complicità, arrossendo.

«Quanti anni hai?» gli domandò.

«Fra qualche giorno compirò sedici anni» le rispose.

Lei scrollò le spalle. «Beh, allora cosa stai aspettando? A sedici anni tutti diventano liberi di compiere le proprie scelte, potresti anche tu come me andar via di casa. Ne hai il diritto».

Stiles si mordicchiò un labbro, pensoso. «Questa non è una cattiva idea» mormorò fra sé e sé.

«Quindi» sospirò Heather, tornando in sella, «c’è la possibilità che io ti riveda ancora, se deciderai di lasciare la foresta?» gli domandò con le guance rosse e gli occhi brillanti.

«Forse» le rispose sibillino e a sguardo basso, accarezzando il muso di Danielle.

«Arrivederci, allora» gli disse sorridendogli con dolcezza.

«Arrivederci, Heather» la ricambiò, allontanandosi per farle spazio e salutandola agitando una mano fino a quando lei e il suo cavallo non furono più visibili. Poi sospirò, si inginocchiò di nuovo a terra e tornò a chiacchierare con la volpe – che però si ostinò ancora a non dargli retta.

Derek fece dietro front e, evitando di attirare l’attenzione di Stiles, trottò verso la Brughiera, seguito da Malia.

Giunti davanti alla muraglia, ripresero di nuovo le loro sembianze umane; Derek aprì un varco fra i rovi e Malia iniziò a parlargli incrociando le braccia sul petto e fissandolo assottigliando gli occhi.

«Quindi è davvero questo il tuo piano? Fargli trovare il Vero Amore con uno schioccò di dita? Con uno schiocco letterale di dita» si corresse, «considerando come con la tua magia hai spaventato quel cavallo…» commentò, atona ma sprizzando scetticismo e irritazione da ogni poro.

«Heather è una brava ragazza» ribatté Derek esasperato, inoltrandosi fra gli alberi con Malia alle calcagna. «Non le interessano i titoli nobiliari, è intraprendente e prona a prendere rischi, parla con gli animali come lui e sembra che loro due si capiscano a vicenda» riassunse. «Non mi sembra proprio una brutta scelta, e comunque te l’avevo detto che avrei potuto creare degli incontri fortuiti, se ce ne fosse stato bisogno…»

«Si sono parlati solo per pochi attimi!» sottolineò Malia. «Stai davvero cercando di insinuare che il Vero Amore nasce così? Ne so poco sugli umani, lo ammetto, ma non mi sembra proprio che le cose fra di loro vadano così, che sia questo il modo in cui si innamorano».

«Esiste l’amore a prima vista» precisò lui, serrando la mascella. «E quei due si sono guardati sorridendo timidi e impacciati per tutto il tempo». Poteva essere stato anche perché Heather era la prima ragazza che Stiles incontrava, e per Heather Stiles era il primo ragazzo che la stesse trattando in maniera normale e spontanea, e che quindi fosse logico che entrambi si sentissero impacciati ma incuriositi allo stesso tempo, ma Derek preferiva concentrarsi di più sul fatto che comunque avevano condiviso un tenero momento di complicità, e per esperienza diretta sapeva che – purtroppo – per far scattare un amore a prima vista bastava veramente poco.

Malia si stizzì. «Non capisco perché ti stai ostinando a…» ma Derek non la fece finire di parlare, si voltò verso di lei, frustato e arrabbiato.

«Non so nemmeno se ciò che ho fatto possa funzionare, ci sto solo sperando, perché per quanto ne so, il Vero Amore non esiste, ricordi?» le disse fra i denti, ma lei non si scompose, anzi continuò a sostenere il suo sguardo. «E questa cosa che c’è fra me e lui? Non basta, perché lui e giovane e fin dall’inizio si è lasciato influenzare dalla mia presenza – sono stato il primo estraneo che ha conosciuto – e per quanto riguarda me non capisco cosa ci possa essere del Vero Amore in un sentimento nato e cresciuto con dei sensi di colpa e nascondendo dei segreti!» sbottò. «Non è niente di abbastanza puro da poter spezzare un maleficio, quindi non provare nemmeno a spingermi ad attaccarmi a questa idea…»

«Però tu vorresti aggrapparti a questa idea» incalzò lei. «E quella principessa non è per caso anche lei la prima ragazza estranea che lui ha incontrato?»

«Ma sono entrambi giovani e hanno dell’innocenza in comune» le replicò, sempre più frustrato. «E questo… questo non ci sta portando a niente. Sto solo perdendo il mio tempo, lasciami solo» concluse, irrigidendo le spalle e la mascella; le voltò le spalle, si trasformò in lupo e corse via, senza voltarsi indietro quando lei lo chiamò più volte.



Non tutti i giorni erano perfetti, alle volte a Derek bastava pochissimo per ricordare la famiglia perduta ed essere investito da malinconia o dolore – oppure entrambe le cose insieme – e ogni volta che succedeva, prendeva le sembianze da lupo e andava ad accucciarsi mogio sopra il Nemeton, proprio come dopo quell’ultima discussione con Malia.

Andava lì anche quando più semplicemente le cose non andavano per niente bene, perché quel posto era "conforto" e "punizione" insieme. Ora che nella clessidra del tempo che restava a Stiles la sabbia della parte alta stava per esaurirsi, a Derek sembrava proprio il caso di cercare conforto nel posto a cui erano legati i ricordi più belli e teneri della sua gioventù, e di punirsi per ricordarsi con masochismo chi era morto lì e perché, cosa aveva fatto e come tutti quelli a cui teneva fossero destinati a morire sempre per colpa sua.

Guaì triste posando il muso sulle zampe anteriori, osservando una farfalla multicolore svolazzare vicino le radici sporgenti del Nemeton per poi andare via, visto che non c’era alcun fiore su cui posarsi. Erano anni che lì intorno non cresceva neanche un filo d’erba. E solo tendendo bene le orecchie si poteva sentire la presenza di cicale o del ronzio di insetti, che si tenevano ancora ben lontani da quel fazzoletto di terra invaso dalla cenere.

Era lì forse da un paio d’ore, quando cominciò a percepire dei rumori: drizzò le orecchie muovendole appena e distinse i passi maldestri di qualcuno che avanzava in maniera per niente discreta. Stiles. Respirò a fondo il suo odore nell’aria e uggiolò, proprio poco prima che il ragazzo si facesse spazio fra l’ultima barriera di cespugli e andasse verso di lui.

«Lo sapevo che ti avrei trovato qui» sospirò Stiles, abbozzando un sorriso e accovacciandosi davanti al Nemeton; allungò una mano e lo grattò dietro le orecchie. «Ehi, che succede? Brutta giornata o hai litigato con qualcuno?»

Derek guaì e per qualche attimo si limitò a strusciare il muso contro la mano di Stiles, poi si alzò e il ragazzo intuì di dovergli fare spazio perché stava per tornare umano.

Ripreso il suo aspetto, Derek si sedette sul ceppo, e Stiles – seduto a terra in maniera scomposta – lo fissò inarcando un sopracciglio, spronandolo a parlare con un filo d’ironia.

Derek sospirò esasperato. «Ho avuto una piccola discussione con Malia. Niente di che» divagò asciutto.

Stiles assentì mugugnando. «Mmm-Mmm. Così piccola che, come tutte le volte che sei davvero giù o di malumore, sei venuto a stare da solo qua». Trasse un respiro profondo. «Malia mi ha detto che fa parte dei vostri istinti tornare alla "tana" in momenti simili, ma perché ti ostini a tornare qui? Cioè» si corresse storcendo il naso, «non nel senso che qui sia brutto: so che valore ha per te questo posto, ma non ti fa male non avere una vera tana?»

«Ho il castello» precisò atono ed evitando il suo sguardo.

«Quel vecchio castello nero e diroccato non è mai stato del tutto tuo, e per quanto ne so è molto raro che tu dorma lì».

Derek storse le labbra. «Malia dovrebbe tenere la bocca chiusa» biascicò, intuendo la fonte delle informazioni di Stiles.

«Anche lei si preoccupa per te» esalò, incrociando le gambe e posando i gomiti sulle ginocchia; poggiò il mento sul palmo di una mano. «Non hai mai pensato di bonificare questo posto?» mosse appena il capo come a indicare l’ambiente circostante.

Derek, sorpreso dalla domanda, alzò gli occhi su di lui con sguardo colpevole. «Non penso che sia il caso» rispose monocorde.

Stiles trasse un altro respiro profondo. «Sai, non sono come te e Malia, non so "annusare" le emozioni altrui, ma sono molto bravo a cogliere i dettagli e a fare quindi il vostro stesso lavoro senza usare il naso» cercò il suo sguardo con il proprio. «Hai sempre delle reazioni un po’ esagerate quando qualcuno non ammette le proprie colpe dopo aver rotto qualcosa o combinato un disastro, e quando per colpa tua succede qualcosa – sia pure una mia semplice caduta – ti chiudi come un riccio diventando fin troppo triste. E hai più di un problema a fidarti di qualcuno» riassunse, concludendo con un sospiro.

«Derek» continuò Stiles, fissandolo negli occhi, «anche se prima la Brughiera non era circondata da mura di rovi giganti, non era così semplice arrivare dritti nel suo cuore e compiere una strage come quella subita dalla tua famiglia: qualcuno deve avere avuto le informazioni giuste per farlo, e le tue reazioni sproporzionate e la tua sfiducia negli altri mi danno da pensare e ipotizzare…» insinuò, senza alcuna traccia di giudizio nel tono della voce.

Sostennero lo sguardo per qualche attimo, prima che Derek sospirasse e rivolgesse gli occhi a terra. «Probabilmente stai ipotizzando bene».

«Non sai quello che sto pensando».

«Ti conosco» esalò Derek, con un velo di malinconia e rassegnazione. «Conosco te e le tue intuizioni».

Stiles inspirò a fondo. «Ti sei lasciato sfuggire con qualcuno quale fosse la strada migliore per inoltrarsi nella Brughiera e arrivare fin qui senza essere notati» affermò deciso.

Derek sorrise amaro scuotendo la testa. «E ho spifferato anche quali sono le armi migliori per fare del male alla mia specie. Ho ucciso la mia famiglia e tutti i miei simili. È stata colpa mia».

Stiles si mostrò irritato aggrottando appena la fronte. «Non credo che tu abbia svuotato il sacco dei vostri segreti con la consapevolezza che potesse portare a questo. Non parlare come se fossi stato tu il diretto esecutore della strage, perché non credo che le cose siano andate così».

«Non sono stato l’esecutore materiale, però sono stato il mezzo» precisò secco, «sono stato ingenuo e non ho mai colto alcun dettaglio che stonasse con tutto il resto, e se mai l’ho notato ho di certo volutamente fatto finta che non esistesse, perché…» trasse un respiro a fatica, «perché ero innamorato della persona a cui ho svelato i nostri segreti. Ero giovane, curioso e innamorato, le ho dato tutto quello che potevo darle, dal mio cuore ai miei segreti, e lei fin dal primo momento in cui ha posato gli occhi su di me non aspettava che questo, che le raccontassi il modo migliore per ucciderci tutti».

Stiles divenne un gigantesco miscuglio di emozioni facili da annusare: stupore, indignazione, confusione, rabbia e preoccupazione. «Lei ti ha tradito, Derek, ti ha usato: non è già abbastanza brutto sentirsi usati, perché vuoi aggiungere a questo delle colpe che non hai?»

Lui scosse di nuovo la testa, serrando la mascella e fissando i propri piedi. «Avrei dovuto essere più furbo, sospettare qualcosa…»

«Eri giovane e inesperto, l’hai detto tu stesso».

«Ma il prezzo che ho pagato è stato troppo alto per poter usare come scusa la mia giovinezza» ribatté aspro, e si irrigidì quando vide che alle sue dita erano apparsi gli artigli in maniera inconscia.

Stiles non si lasciò spaventare – non si spaventava mai, e un giorno ciò avrebbe potuto portarlo alla fine – e posò quieto le mani sui polsi di Derek. «Sei una vittima quanto lo è stata la tua famiglia. Tu…» sospirò, come alla ricerca delle parole adatte, «tu mi parli spesso della mia innocenza, di come secondo te il Male del Mondo potrebbe toccarmi e portarmi via una certa parte di ignoranza che secondo te mi spetta ancora, e non fai altro che avvisarmi, ammonirmi e avvisarmi ancora… ma tu» cercò di nuovo il suo sguardo con il proprio, «qualcuno ti ha strappato via l’innocenza, è per questo che mi sottolinei sempre certe cose, vero? E… sono qui nella Brughiera da un bel po’, ormai, conosco i suoi colori e la sua luce, e a tratti, soprattutto qui intorno al Nemeton, sembra che manchi un pezzo di vita. Come… come…» cercò ancora una volta le parole appropriate per esprimersi, «è come se qualcuno avesse portato via da qui qualcosa con violenza, e dà dei brividi dall’inquietudine come quando a una farfalla vengono strappate le ali». Sorrise ironico e malizioso. «Ti hanno strappato via le ali, Derek?» sdrammatizzò, prendendolo in giro con affetto.

Derek roteò gli occhi e trattenne male un sorriso. «Mi è stato strappato via molto» lo corresse.

«Ma è qualcosa che si può ricostruire, no? Cioè» si spiegò meglio, «non potrai mai far ricrescere un albero millenario, e so che è fisicamente impossibile ridare vita alla tua specie, visto che sei l’unico rimasto, però puoi ricostruire qui una nuova casa, no?» gli domandò, un po’ speranzoso. «Un posto dove potresti vivere più comodamente, dove potrebbe stare Malia e magari anche gli altri folletti che stanno sempre con noi: sono il tuo branco, ormai, no?» concluse con un sorriso furbo.

Derek distolse lo sguardo. «Non so se merito di poter invadere con qualcosa di mio e nuovo questo luogo pieno di ricordi della mia famiglia…»

Stiles scosse la testa. «Nel paio di anni che ho trascorso nella Brughiera, ho visto come pian piano essa si è evoluta e trasformata, proprio come può fare una ferita che si sana e si chiude, hai presente? La prima volta che mi hai portato qui, la Brughiera non era rigogliosa e luminosa com’è adesso, penso che sia cresciuta perché sta guarendo dalla ferita che le è stata inferta. E penso anche che sia ora che anche tu e questo pezzetto di terra guariate» sentenziò sicuro.

Derek trasse un respiro profondo e poi espirò veloce e in fretta, quasi sbuffando. «Pensi che dovrei costruire una nuova casa? Qui

«Credo di sì» marcò bene la prima parola, «dovresti davvero farlo, e…» arrossì a chiazze, abbassò lo sguardo e annaspò un po’, prima di riprendere a parlare, «se tu costruirai una casa, potrei anche decidere di venire ad abitarci» concluse tirando su col naso.

Derek lo fissò, sbarrando gli occhi confuso: si sentiva come colpito da un fulmine a ciel sereno, sbalordito. «Tu…» mormorò biascicando, «tu cosa

«Dopodomani compirò sedici anni» gli rispose Stiles, stringendosi nelle spalle e mettendosi sulla difensiva, mantenendo gli occhi puntati a terra, «e qualcuno poco fa mi ha ricordato che sarò libero di compiere le mie scelte e… lo so che di certo gli zii non vorranno sentire scuse e proveranno ancora a tenermi alla casetta, ma voglio vivere qui: questa è la mia seconda casa, qui ci sono le persone con cui sono cresciuto e con cui vorrei passare il resto della mia vita, e poi…» sorrise, indicando con un cenno vago l’ambiente circostante, «la Brughiera è un luogo meraviglioso e incantato, quando sono qui non riesco neanche a pensare a delle ipotetiche avventure che potrei vivere altrove. Mi basta, voglio questo» confessò sicuro, anche se un po’ imbarazzato.

Derek aprì e chiuse la bocca più volte, incredulo e pietrificato. «E se i tuoi zii si opponessero?»

Stiles scrollò le spalle. «So già che si opporranno, quindi non glielo dirò!» sorrise furbo. «Sgattaiolerò via, e se verrò colto sul fatto… beh, diciamo che se entro domani al tramonto non sarò qui, potrai sentirti libero di venire a rapirmi» concluse, allargando di più il sorriso.

«Ho il tuo permesso per portarti via?»

Gli ribatté fingendosi solenne. «Assolutamente!»

Derek non aveva mai pensato di tenere per sé Stiles e portarlo via dagli stregoni con la forza, perché temeva che altrimenti il ragazzo l’avrebbe odiato per sempre, visto che già una volta era stato strappato via da una casa, ma questo cambiava le cose, perché era solo la volontà di Stiles. E nella Brughiera non c’erano arcolai: Derek l’avrebbe protetto per sempre.

Poteva funzionare.

«Solo» aggiunse Stiles, titubante, «vorrei poter vedere mio padre, almeno di tanto in tanto».

Derek annuì. «Useremo Malia come tramite e messaggera, così parlerai con lui e vi darete appuntamento».

Stiles sorrise, furbo e malizioso. «La trasformerai in piccione viaggiatore? Oh, si arrabbierà un sacco, fammi essere presente quando lo farai!»

Derek sorrise con lui e gli accarezzò il volto; si scambiarono uno sguardo denso di dolcezza. «Ti aspetto, allora» gli mormorò.

Stiles assentì e si alzò da terra. «Farò il più in fretta possibile», iniziò a camminare all’indietro, «e poi verrò qui e non sarai mai più solo!» voltò le spalle e corse via.

Quello era davvero un buon piano, si disse Derek: lui e Stiles sarebbero rimasti insieme e in più il maleficio non avrebbe avuto modo di realizzarsi.

Dopo anni, tornò a provare un pizzico di speranza.



Derek non aveva detto a nessuno della decisione di Stiles, perché se gli stregoni avessero scoperto i piani di fuga, non sarebbe stato facile – anche se non impossibile – aiutarlo ad andar via, e quindi era meglio non illudere nessuno.

Nonostante tutto, però, aveva passato la sera prima e quella mattinata a tenersi occupato elencando mentalmente i materiali con cui costruire la nuova casa; almeno così era un po’ riuscito a dominare l’ansia, anche se fra qualche ora ormai sarebbe arrivato il tramonto e Stiles ancora non si vedeva.

Non era un buon segno, ma poteva anche essere che Stiles non fosse riuscito a scappare perché gli zii lo avevano tenuto troppo impegnato con delle faccende domestiche o la raccolta di qualcosa nella foresta. Poteva darsi.

Fu qualche minuto dopo che venne investito dall’odore di Stiles, che aveva appena attraversato la muraglia e stava marciando verso di lui irradiando una furia acida, torbida e densa, percepibile nei dettagli anche da così tanto lontano.

Derek puntò lo sguardo verso la direzione da cui Stiles stava provenendo, sentendosi confuso, atterrito e pieno di pessimi sospetti. Quando il ragazzo fu finalmente ben visibile e più vicino, Derek notò che i suoi occhi erano rossi e lucidi di rabbia, e come il suo volto era distorto dalla frustrazione e dal disgusto.

Stiles avanzò fino a quando non fu a un solo passo da lui, e gli parlò fissandolo dritto negli occhi, con infinito sarcasmo. «Ti sei divertito a osservarmi in questi anni?»

«Stiles, cosa…»

«Gli zii mi hanno sorpreso mentre tentavo la fuga, mi hanno costretto a dire loro almeno dove avessi intenzione di andare» spiegò, inespressivo e con tono fermo, ma non meno acido di prima. «Per quanto io avessi sempre nascosto i nostri incontri, non credevo che in fondo ci fosse nulla di male ad avvertirli che avevo deciso di venire qui da te, visto che non eri una brutta persona. Ho raccontato loro tutto. E loro mi hanno detto chi sei davvero e cosa hai fatto».

Derek non si era accorto nemmeno che da quando Stiles aveva iniziato a parlare l’aveva ascoltato trattenendo il fiato. «Stiles, lascia che…»

Ma lui l’interruppe, privo d’espressioni e al contempo più sarcastico di prima. «Quindi mi chiedevo: ti sei divertito a osservarmi in questi anni, vedendomi crescere e andare inconsciamente incontro a una non-morte eterna

«Stiles…»

«Che razza di mostro sei?» incalzò con rabbia, fissandolo per un lungo secondo, pieno di furia e serrando la mascella. Derek non rispose, distolse lo sguardo. Lui continuò a parlare. «Sapevi chi sono, sei stato tu a decidere la fine che mi aspetta, e mi hai portato qui per cosa? Per bearti di quanto sono stupido a fidarmi di chiunque? Per vedere che effetto fa guardare una preda che senza saperlo sta correndo verso una trappola?»

Derek non riuscì a guardarlo in faccia, ma cercò quantomeno di farfugliare a forza qualcosa. «Non ti ho portato qui per questo».

Lui gli ribatté ostentando scetticismo. «Mi è difficile crederlo, considerando come hai scagliato un maleficio su una bambina appena nata e innocente solo perché ce l’avevi con sua zia».

«Ho fatto delle scelte sbagliate».

«Hai condannato una neonata e di riflesso me a dormire in eterno, nel fiore della nostra gioventù» scandì bene, marcando con veleno ogni parola, «e non avremo una vera morte fino alla fine dei tempi! Credo che questo sia molto più che una scelta sbagliata: tu non sapevi nemmeno chi fossimo realmente e cosa saremmo diventati una volta cresciuti, hai commesso una crudeltà e basta!»

La cosa peggiore era che Stiles non stava nemmeno urlando, gli sputava addosso il suo disprezzo invadendo con forza il suo spazio personale, imponendo la propria presenza e facendogli sentire in maniera netta con i suoi sensi da lupo tutte le emozioni negative che stava provando, e ciò soffocava Derek nel peggiore dei modi.

«Stiles» esordì, deglutendo a fatica e sentendosi la bocca arida, «lo so che ho sbagliato, ma non ti ho portato qui perché sono sadico».

Lui gli sorrise amaro. «Scusami, ma non posso credere a quest’affermazione, considerando l’atto di sadismo che ha preceduto il nostro primo incontro. Tu…» si fermò, distolse lo sguardo e deglutì a stento, e anche se la sua espressione era ancora piena di sarcasmo, lasciò che delle lacrime gli scorressero sul viso. «Hai idea di quello che provavo per te?»

Quello fu come ricevere un pugno allo stomaco, e Derek si ritrovò senza parole, senza aria, senza perdono, senza speranze e senza Stiles. «Stiles, mi dispiace…»

«Non riesco a credere a una sola parola di quello che dici. Non esistono scuse per quello che hai fatto: sei crudele, Derek». Alzò lo sguardo e puntò gli occhi nei suoi, caricando le parole di rabbia, disprezzo e disgusto. «E il Male del Mondo di cui tanto parlavi? Sei tu».

«Stiles…» ma lui non gli prestò ascolto, gli voltò le spalle e andò via passi veloci.

Derek provò a respirare a fondo per calmarsi, riprendere controllo di sé e pensare subito a cosa fare, perché il maleficio stava per scattare e ormai conosceva bene Stiles: Derek sapeva che non avrebbe mai fatto in tempo almeno a convincerlo a lasciarlo parlare, figurarsi spiegargli per bene le sue ragioni, quindi non c’era tempo da perdere. Doveva partire subito con la sua contromossa.

«Malia?» chiamò a gran voce, comunque consapevole che di certo lei aveva origliato l’intera discussione.

La ragazza lo raggiunse con espressione triste e stretta nelle spalle. «Che si fa ora?» gli domandò.

«La principessa Heather non dovrebbe essere molto lontana dalla foresta: cercala e portami da lei» ordinò.

«Ma…»

«Cercala» insisté secco, e per evitare che gli ribattesse la trasformò subito in falco, in modo tale che prendesse immediatamente il volo avviando la missione.

Derek trasse un ultimo lungo respiro profondo, poi chiuse gli occhi strizzandoli forte e si trasformò in lupo, correndo anche lui alla ricerca della principessa.



Il suo aspetto animale lo aiutava meglio a seguire le tracce e a rilevare degli odori, e grazie a ciò aveva capito che Stiles, dopo essere uscito dalla Brughiera, non era tornato alla casetta: era andato dritto verso il castello di Kate. Derek ipotizzò – non senza malinconia e amarezza – che avesse fatto quella scelta per poter vedere finalmente suo padre, o quantomeno per avere del conforto familiare. Per il resto, sembrava che i tre stregoni avessero abbandonato la loro abitazione di gran fretta, forse anche loro sulle tracce di Stiles – scappato dalla loro protezione – prima che calasse il tramonto sul suo sedicesimo compleanno.

Trovare la principessa Heather non fu difficile, sia grazie alla visione dall’alto di Malia, sia grazie al modo impacciato con cui la ragazza provava a coprire le sue tracce: per essere il lavoro di una persona inesperta era buono – doveva essersi esercitata e informata parecchio prima di fuggire – ma per chi aveva esperienza o i sensi di un lupo era più che facile rintracciarla.

La trovarono mentre stava riprendendo il suo viaggio dopo una pausa per riposare il cavallo e nutrirsi; Derek andò piano alle sue spalle mentre lei era impegnata a controllare le stringhe della sella, e prima che Danielle potesse nitrire per avvertire la padrona, lui schioccò le dita facendola scivolare in un sonno improvviso.

Sistemò la ragazza addormentata sul cavallo e poi montò su anche lui; Malia era ancora un falco ed era appollaiata su un ramo lì vicino a osservare la scena: Derek con il capo le fece cenno di seguirlo in volo. Iniziò a galoppare verso il castello di Kate, incurante di stare inoltrandosi in un territorio nemico e dritto nel covo della persona che lo considerava un trofeo e che lui più odiava al mondo.

Avrebbe fatto di tutto per Stiles.

Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse di preciso Stiles in quel momento e con quali persone, ipotizzava solo che fosse già al castello, forse in cerca del padre – al comando della Guardia Reale – sperava solo che comunque fosse lontano da qualsiasi arcolaio.

Derek sapeva che Kate aveva fatto raccogliere e distruggere tutti gli arcolai del regno, quindi aveva almeno fiducia nel fatto che non sarebbe stato facile per Stiles imbattersi anche se per errore in uno di essi, ma non si poteva mai sapere quando c’era in ballo un maleficio.

Quando il sole all’orizzonte fu una mera palla di una torbida tonalità di arancione, che con incedere solenne cadeva in maniera inesorabile verso la parte bassa del cielo, Derek cominciò a sentire il maleficio prendere vita – una sorta di formicolio freddo sottopelle – e nella propria mentre vide delle riproduzioni fumose e opache di quello che la vittima stava guardando.

Derek non capiva bene dove Stiles si trovasse al momento, al limitare della sua visione vedeva solo delle mura di pietra dall’aspetto troppo comune, ma in cambio poteva notare bene come il ragazzo si fissasse di continuo l’indice destro; Stiles era irrequieto e nervoso, confuso dalle stesse sensazioni che provava, e si passava più volte le dita contro il polpastrello destro, come se gli prudesse, e ogni tanto se lo mordicchiava pure. Poi, all’improvviso, il ragazzo si sentì attratto verso una direzione, e cominciò a camminare incurante di tutto il resto: era un impulso così forte da distrarlo dalla stranezza del proprio indice.

Derek strinse i denti e sollecitò il cavallo a correre più veloce. Quello che stava provando Stiles era qualcosa di simile alla presa che la luna aveva sui lupi: l’astro notturno solleticava i loro sensi, li spingeva a seguirla nel cielo e ululare verso di lei, era come un canto ammaliatore. Stiles correva inseguendo il maleficio come un marinaio verso una sirena malevola.

Nella propria mente, Derek vide Stiles scoprire passaggi segreti di cui non avrebbe dovuto essere al corrente, l’osservò impotente mentre scostava dalla propria visuale delle ragnatele in cunicoli bui, e infine apriva una vecchia porta di legno dai cardini stridenti. Oltre la soglia, Derek vide l’infinità di arcolai spezzati in decine di pezzi che c’erano ammucchiati lì dentro.

Per un lungo attimo, Stiles restò fermo e incantato a fissare quell’austero spettacolo illuminato solo da una minuscola finestrella posta vicino al tetto, e poi il maleficio tornò a manifestarsi: dei pezzi di arcolaio si sollevarono dai cumuli muovendosi a mezz’aria con movimenti leggeri e delicati, quasi ipnotici, e insieme formarono un arcolaio nuovo di zecca. La punta dell’ago scintillò come quella di un diamante tagliente.

Derek imprecò e si chiese perché mai nessuno avesse pensato di bruciare gli arcolai, piuttosto.

Stiles fissò l’arcolaio meravigliato e provando sollievo, come se avesse finalmente davanti agli occhi la risposta a tutte le sue domande – o forse più che altro il maleficio lo stava convincendo del fatto che, una volta toccato quell’ago, avrebbe potuto finalmente rilassarsi e riposarsi.

Il sole calò oltre l’orizzonte, e Derek impotente vide Stiles pungersi il dito e poi crollare a terra, addormentato per sempre.

Fermò il cavallo di colpo e si costrinse a respirare, perché stava trattenendo il respiro in maniera inconscia facendosi male. Aveva la vista annebbiata, la mente sgombra in modo inquietante e si sentiva soffocato dall’irrazionale sensazione che tutto l’universo avesse appena deciso di fermarsi per l’eternità lasciandolo lì da solo, come unico essere vivente ancora sveglio su una terra dormiente. Non c’era un solo pensiero a cui riuscisse ad aggrapparsi per tornare a ragionare. A dire il vero, non riusciva proprio a pensare.

Udì in maniera attutita il battito d’ali di Malia, che stava volteggiando su di lui emanando preoccupazione; la fece tornare umana con un gesto rigido – si sentiva ancora impietrito – perché anche se non voleva formulare ad alta voce quello che era appena successo, aveva bisogno di vedere qualcuno che non dormisse, in quel preciso istante – al contrario della principessa a cavallo con lui.

«Derek…» gli domandò, apprensiva, «è…»

Lui annuì, secco. «È successo».

Malia trasse un respiro profondo ma tremante. «Ma procederemo lo stesso con il piano, giusto?»

«Sì» assentì, fissandosi le mani strette sulle briglie. «Scusa, io…» si riscosse e si corresse. «Meglio se riprendiamo a correre».

Lei abbozzò un debole sorriso malinconico. «Non sei un mostro senza cuore, Derek, avevi bisogno di concederti un momento. È stato un bisogno comprensibile» intuì.

Derek non la guardò in faccia, ma assentì di nuovo e le ridiede un aspetto animale – il suo originale da coyote, stavolta.

Corsero insieme veloci, mentre il cielo si colorava di un viola che tendeva sempre più verso il blu notturno.

Arrivati al perimetro della cittadella che circondava il castello, si fermarono: tutto intorno erano stati piantati i sorbi capaci di respingere i lupi come Derek, sistemati in un cerchio perfetto in modo tale da creare una barriera assoluta. Kate si era procurata i semi e poi aveva costretto gli stregoni a farli crescere velocemente alti, forti e robusti, formando una fitta doppia linea di alberi dall’aria quasi centenaria, difficile da abbattere in poco tempo per qualsiasi boscaiolo.

Derek distorse la bocca in un ghigno sarcastico e schioccò le dita, trasformando Malia in un coyote dall’aspetto infernale, con zanne lunghe, occhi rossi e pelo ispido, alta quanto due cavalli. La natura di Malia era semplicemente animale, quei sorbi non avevano alcuno effetto su di lei.

Malia prese i tronchi a testate come se fosse un ariete gigante, fino a quando gli alberi non cominciarono a cedere e barcollare, poi li strinse fra le fauci e li strappò via dal terreno, lanciandoli lontani da Derek. Aperto finalmente un varco per passare, Derek osservò bene da lontano le piccole luci che si stavano accendendo per la cittadella e su per il castello – le fiaccole per la sera – considerando mentalmente su che via incamminarsi.

Fece riprendere a Malia la sua forma umana e le parlò rivolgendole le spalle. «Non sarà facile, se andrà male saremo noi contro un intero esercito, e io potrei essere indebolito con della strozzalupo. Resta qui, se vuoi».

Malia sbuffò storcendo il naso e incrociò le braccia sul petto. «Spuntino dice sempre che gli amici non si lasciano indietro, quindi certo che vengo con te. Non lascio indietro né lui né te».

Derek sospirò roteando gli occhi, poi con l’aiuto della magia fece levitare il corpo della principessa e scese da cavallo: si avviarono a piedi per nascondersi meglio negli anfratti bui.

Attraversare la cittadella non fu un grosso problema, perché il mercato ormai era sgombro e le botteghe degli artigiani erano chiuse per la sera; con la magia non fu difficile distrarre facilmente un paio di pattuglie di soldati di sorveglianza.

Arrivati al castello, entrarono dalle cucine facendo addormentare un paio di sguatteri che stavano pulendo e affettando delle verdure e degli ortaggi per la cena, e si inoltrarono indisturbati per i corridoi. Evitarono per un soffio un paio di dame di corte che camminavano a passo svelto mormorando l’una all’altra quanto fossero preoccupate per la principessina Allison, che sembrava essere svenuta di colpo e ancora non si era ripresa: era addormentata come Stiles, ma di certo Kate stava in qualche modo nascondendo la verità con delle bugie.

Il maleficio però aveva colpito in maniera diretta Stiles, quindi era solo su di lui che poteva essere spezzato, e di conseguenza Derek non si preoccupò di individuare le stanze della principessina, ma di trovare piuttosto dove avevano sistemato il corpo di Stiles.

Malia, alle spalle di Derek, annusò l’aria a fondo. «Sento l’odore degli zii di Spuntino».

«Saranno qui per provare a trovare una soluzione» le disse Derek; erano nascosti in un angolo, dietro una grossa armatura di un paio di generazioni fa, e la principessa Heather stava sospesa in aria incosciente sopra le loro teste. «Devono essere con Stiles, seguiamo le loro tracce».

Si mossero circospetti per i lunghi corridoi di pietra decorati con degli arazzi dai toni cupi, fino a quando all’odore predominante dei tre stregoni non si aggiunse anche quello di Stiles: accelerarono il passo e si fermarono solo quando videro che la stanza verso cui erano diretti era sorvegliata da due guardie.

Derek creò un diversivo facendo volteggiare in aria il corpo della principessa Heather verso i due uomini, che fissarono la ragazza stupiti e a bocca aperta, tenendo la testa rivolta in alto in sua direzione: Malia ne approfittò per colpirli e stenderli, veloce.

Derek prese la principessa in braccio e poi spalancò la porta con la magia.

Al centro della stanza c’era un letto dall’aspetto semplice su cui era steso Stiles, vestito per come Derek l’aveva visto l’ultima volta, e ancora con le guance rosee, come se fosse sano, pieno di vita e solo addormentato, invece che maledetto.

Derek strinse le labbra e si sentì un groppo in gola.

C’era una scrivania sistemata contro un muro, e Deaton era lì in piedi a sfogliare più libri aperti; aveva l’aria stanca. Morrell era in piedi vicino al letto e sembrava stare controllando le condizioni fisiche di Stiles. Braeden era seduta sul letto, stringeva la mano di Stiles e piangeva tenendo la mascella serrata, emanando rabbia e frustrazione. Non appena lo videro, tutti e tre si mossero d’istinto circondando il letto del ragazzo; Malia, al suo fianco, per reazione mostrò zanne e artigli.

«Non sono qui per fargli del male» esordì Derek, facendo cenno a Malia di arretrarsi.

Braeden ricacciò indietro le lacrime, inarcò un sopracciglio e gli ribatté scettica e sarcastica. «Ma davvero? Si è addormentato per sempre per colpa di un tuo maleficio, entri qui dentro con una ragazza priva di sensi che dà l’idea di essere stata portata qui con la forza, e noi dovremmo credere a quello che dici?»

Derek respirò a fondo, provando a mostrarsi neutrale. «Lo sapete ormai quanto tempo io e lui abbiamo passato insieme: avrei potuto fargli del male in qualsiasi momento, ma non l’ho fatto. Ma comunque non ha importanza che disprezziate ciò che ho fatto in passato» aggiunse, «non sono qui per discutere di questo, vi chiedo solo di provare a svegliarlo grazie a lei» agitò appena le spalle per indicare la ragazza che teneva fra le braccia.

Deaton fissò Heather aggrottando la fronte. «Hai portato qui una giovane fanciulla…» constatò.

«È una principessa» gli spiegò, «troverete il suo sigillo reale nel borsello legato alla sua cintura, ma quello che più conta è che… lei conosce Stiles, e io… io penso che siano attratti l’uno dall’altra, quindi…»

Deaton terminò la frase al posto suo. «Quindi il bacio del Vero Amore potrebbe funzionare».

«Spero di sì» affermò Derek, deglutendo a stento.

Morrell fissò la principessa, mantenendosi inespressiva e sibillina come al solito. «Se c’è del Vero Amore, se tengono l’uno all’altra, perché per portarla qui sei stato costretto ad addormentarla?»

Derek serrò la mascella, frustrato. «Non c’era tempo! Non potevo stare lì a spiegarle cosa sta succedendo, così… e così…»

Malia gli venne incontro terminando per lui la frase, parlando priva d’espressioni come al solito e risoluta. «Così l’abbiamo rapita e siamo corsi qui a portarla a Spuntino» riassunse pratica.

Le sopracciglia di Braeden scattarono fino all’attaccatura dei capelli. «Spuntino

Derek sospirò forte, esasperato e disperato. «Vi prego, provate questa soluzione. Non m’importa quello che pensate di me, e vi giuro che dopo scomparirò per sempre dalle vostre vite e dalla sua, io… io voglio solo che si svegli».

I tre stregoni si scambiarono una lunga serie di sguardi, ma alla fine Deaton assentì.

«Sveglia la principessa» gli disse, avvicinandosi a lui per aiutarlo a reggere la ragazza in posizione verticale.

Derek non indugiò a ringraziarli per la fiducia, piuttosto destò subito la ragazza. Com’era prevedibile, il suo risveglio cominciò con degli attimi di puro panico, dato che si trovava in un posto sconosciuto e diverso da quello in cui si era addormentata; al suo susseguirsi di domande veloci su dove si trovava e chi erano loro, con tono sempre più agitato, Morrell le porse un bicchiere d’acqua e le parlò col tono calmo e fin troppo neutrale che da sempre la contraddistingueva.

«Ti trovi nel regno della regina Kate» le spiegò, «e crediamo che tu sia stata scelta per spezzare un maleficio». Le mentì parzialmente, di sicuro per abbreviare i tempi. «Non sei nostra prigioniera, puoi andare via quando vuoi, non intendiamo farti del male» la rassicurò, rapida e decisa. «Vorremmo però che tu ci aiutassi a svegliare un giovane che per colpa di un maleficio è caduto in un sonno eterno».

Lei mandò giù dei grossi sorsi d’acqua. «P-perché io? E chi è questo ragazzo? Io non…» Braeden si scostò dalla sua visuale, rivelando così Stiles steso sul letto.

La principessa boccheggiò stupita. «Stiles?» esclamò, stridula e in ansia, avvicinandosi a lui a passi veloci. «È lui il ragazzo vittima di un maleficio?»

«Sì» le rispose Deaton, con tono solenne. «Tu tieni a lui?» indagò cauto.

Lei lo fissò confusa. «Beh… lo conosco appena, ma credo che sia un bravo ragazzo. Diciamo che credo che non sia bello che dormi in eterno» biascicò. «Cosa c’entra? Riguarda il modo in cui posso aiutarvi?»

«Tu provi affetto per lui?» insisté ancora Deaton.

Lei ponderò la domanda, fissandolo sempre più perplessa e un filo agitata. «È… è un bravo ragazzo» ripeté.

Braeden sospirò stanca, e sembrò decisa a prendere le redini della situazione. «Basta solo che tu gli dia un bacio sulle labbra. Tutto qua» tagliò corto.

«Ma perché proprio io

Morrell inspirò a fondo e le rispose con la sua consueta espressione enigmatica che ispirava schiaffi. «Le vie del Fato e le sue scelte non sempre ci sono comprensibili».

La principessa espirò a lungo afflosciando le spalle e poi trasse un respiro profondo come per infondersi coraggio. «Va bene. Lo faccio». Per un attimino si rilassarono più o meno tutti i presenti, e lei si chinò su Stiles, pronta baciarlo. Ma si ritrasse di colpo, aggrottando la fronte. «Ma non è scortese baciare qualcuno mentre dorme, così

Braeden le rispose con un sorriso forzato. «Questa è una buona azione, credimi».

«Va bene» ripeté la ragazza, riabbassandosi di nuovo verso Stiles, lentamente.

Derek distolse lo sguardo puntandolo verso il pavimento, incapace di assistere in maniera diretta all’esito di quel bacio: se Stiles si fosse risvegliato proprio grazie a quella principessa, nella sua vita non ci sarebbe stato più spazio per Derek, e ciò faceva male; se invece non avesse riaperto gli occhi, Derek non avrebbe più sentito la sua voce e la sua risata, non l’avrebbe più visto vivere, e ciò era assolutamente dilaniante.

Attese a sguardo basso di sentire Stiles trarre un respiro profondo accennando così a svegliarsi.

Non sentì nulla.

Quando puntò di nuovo gli occhi sul letto, vide la principessa fissare speranzosa Stiles, mordendosi un labbro, ma lui non stava aprendo gli occhi; gli stregoni sembrarono più abbattuti di prima.

Heather boccheggiò stringendo le lenzuola con le dita. «Pensavo che… sarebbe bastato…» farfugliò.

Braeden sorrise amara, replicandole con la voce incrinata dal pianto. «Anche noi».

Derek crollò a terra inginocchio, fissando il volto di Stiles e sentendosi distrutto, incurante degli sguardi stupiti che si posarono su di lui. «Era la mia vita» mormorò atono e inespressivo, del tutto prosciugato da qualsiasi tipo di forza.

«Derek…?» gli chiese Deaton, sorpreso, incuriosito e in ansia.

Derek non distolse gli occhi da Stiles. «Posso… posso avere un momento…?»

Deaton intuì e si voltò a guardare le due streghe, che non si mostrarono molto favorevoli e convinte, ma alla fine annuirono.

«Torneremo fra poco» l’avvisò Deaton, prima di uscire dalla stanza, seguito dalle altre due, che portarono con sé la principessa Heather mettendole un braccio intorno alle spalle.

Malia posò un mano sulla spalla di Derek, aveva il volto rigato di lacrime; tirò su col naso. «Ti aspetto qua fuori» gli disse, andando via anche lei e chiudendo la porta dietro di sé.

Derek si alzò piano, e con attenzione e gesti lenti si sedette sul letto, col viso rivolto verso Stiles.

«Mi dispiace, Stiles» parlò a bassa voce. «Mi dispiace di questo, di non essere riuscito a dirti quanto mi dispiace quando potevi ancora sentirmi e… questo stavolta è sul serio colpa mia, non puoi contraddirmi» sorrise amaro. «Mi dispiace perché mi sono lasciato accecare dall’odio e dalla rabbia e ho fatto un gesto davvero crudele, e né tu né nessun’altra creatura innocente appena nata meritava una cosa simile, hai ragione» assentì, deglutendo con forza. «Tu hai preso quello che restava del mio cuore e ne hai fatto qualcosa di nuovo, diverso e migliore» confessò con voce incrinata; tirò su col naso.

«Tu hai fatto rifiorire molto di più che solo la Brughiera» gli accarezzò il viso assumendo un’espressione più decisa e sicura. «E la Brughiera ti è grata di questo, e per te è una seconda casa, quindi ti porterò lì» gli passò un pollice sullo zigomo. «Realizzerò il tuo ultimo desiderio: ti porterò nel cuore della Brughiera e ti farò vivere lì per sempre. Ti giuro che fin quando avrò vita veglierò sempre su di te. Tu dormirai in eterno, ma io sarò sempre sveglio per te».

Suggellò la promessa chinandosi a dargli un bacio sulla fronte. Restò fermo per un intenso attimo, annusando a pieni polmoni l’odore di Stiles e trattenendo a lungo il respiro, come per poterlo ricordare per più tempo, e poi si rialzò veloce, portando un braccio sotto le ginocchia di Stiles e uno sotto la sua schiena, per sollevarlo e portarlo via con sé.

Sentì Stiles emettere un lungo lamento roco.

Stupito e confuso, Derek alzò lo sguardo, e vide Stiles aprire piano gli occhi e fissarlo con un’espressione gemella della sua.

«Ricordo di essermi punto con l’ago di un arcolaio» biascicò Stiles, con voce rauca.

«Sì» gli disse Derek, ancora basito e meravigliato.

«E adesso sono sveglio» affermò, non del tutto convinto, però.

«Sì» gli ribatté, non meno confuso di prima.

«Quindi qualcuno mi ha dato il bacio del Vero Amore» considerò Stiles, tirando su col naso e sgranando gli occhi per guardarsi meglio attorno. «E qui non c’è nessuno oltre a te». Fissò Derek, perplesso e inarcando un sopracciglio. «Derek, mi hai baciato

Lui inarcò un sopracciglio a propria volta. «Sulla fronte» precisò, mettendosi sulla difensiva.

«Ma mi hai baciato» rimarcò.

«Sì».

«Mi hai baciato e io mi sono svegliato» e sorrise all’improvviso, incredulo ma irradiando felicità. «Quindi mi ami».

«Io…»

«Mi ami» ripeté, senza smettere di sorridere. E nel frattempo Derek si sentiva un groppo in gola e il cuore battere così forte da fargli male. E non sapeva quale emozione fare prevalere: sollievo? Gioia? Paura? Ansia? Terrore?

«Ti amo anch’io» aggiunse Stiles, prima di aggrottare la fronte e tornare perplesso. «Però perché diavolo sembra che tu sia sul punto di prendermi in braccio come se io fossi una damigella in pericolo? Derek, io non sono una damigella in pericolo, io…»

Derek non gli fece finire la frase, perché Stiles era sveglio ed era tornato a essere pieno di vita e chiacchiere continue, e Derek aveva appena deciso di lasciare perdere qualsiasi altra decisione, mettere via il cumulo di emozioni diverse e contrastanti e agire e basta: si mosse veloce prendendo il viso di Stiles fra le mani e gli scoccò un bacio sulla bocca, tenendo a lungo le labbra premute sulle sue, e riaprendo gli occhi solo quando sentì Stiles sbuffare un sorriso contro la sua bocca.

Poggiò la fronte contro quella di Stiles, si fissarono sorridendosi a vicenda.

Stiles gli infilò le dita fra i capelli. «Abbiamo così tanto da discutere a proposito delle tue decisioni infelici» lo rimproverò con affetto.

«Lo so» assentì, trattenendo però un sorriso.

Lui gli sfiorò la nuca con le dita. «Ma quello che provi per me è stato abbastanza forte da spezzare un maleficio che nessun potere terreno poteva togliere» sottolineò. «Quindi credo che alcune cose forse potrò perdonartele. Alcune».

«Lo spero» gli mormorò Derek, accarezzandogli il collo. Stiles sospirò socchiudendo gli occhi, e Derek si sentì calamitato di nuovo verso il suo volto; il ragazzo inclinò appena la testa e Derek posò la bocca sulla sua.

Fu un bacio che non ebbe niente a che fare con quelli che aveva dato in precedenza – a Kate o a Stiles stesso – perché fu lungo, lento, dolce, profondo ma soprattutto caldo: fu come se qualcosa di Stiles, o quello che erano loro due insieme in quel momento, lo stesse attraversando dalla testa ai piedi scaldandolo dall’interno, o come se Stiles gli arrivasse finalmente in maniera diretta dritto al cuore, facendoglielo battere a un ritmo nuovo e diverso.

Quando riaprì gli occhi, scoprì che a un certo punto le sue mani erano andate a stringere i fianchi di Stiles, che teneva le braccia allacciate al suo collo. Derek però non si pose alcuna domanda, preferì depositare piccoli baci sul mento e sulla mandibola di Stiles.

«Quindi…» esordì Stiles, schiarendosi la voce, ma non accennando ad allontanare il viso o il collo dalla bocca di Derek, «posso ancora venire a vivere con te nella Brughiera?» chiese; il volto gli si chiazzò di rosso, Derek sorrise e gli mordicchiò una macchia.

«Sì».

«E…» sospirò e stavolta si allontanò; prese il viso di Derek fra le mani e puntò gli occhi nei suoi. «E possiamo lasciarci alle spalle questo regno, la sua regina e tutto il resto? Niente più vendette, Derek, meritiamo entrambi una nuova vita».

«Non m’importa più di Kate» gli rispose Derek, sicuro e sincero. «Non accetterò più alcuna provocazione da parte sua, né cercherò ancora di vendicarmi: voglio solo tenere al sicuro ciò che ho. Vivremo nella Brughiera, lasceremo perdere tutto il resto e non permetteremo a nessun Male di toccarci. Ti va bene?»

Stiles strinse le labbra sorridendo, e mugugnò assentendo. «Mmm-Mmm» poi si avvicinò a Derek e stavolta fu lui a iniziare a baciarlo per primo. E Derek credette fermamente che molto presto sarebbe diventato dipendente dai baci di Stiles.

«Ma… posso vedere prima mio padre?» gli domandò Stiles, in ansia. «Ero venuto qui per lui, ma i soldati della regina mi hanno trovato prima e mi hanno portato da lei, che ha decretato di chiudermi in una stanza… poi mi sono punto ed è successo tutto il resto, ma comunque!» sospirò, concludendo il riassunto. «Posso vedere mio padre?»

«Certo» lo rassicurò. «E anche quando saremo nella Brughiera potrai vederlo tutte le volte che vorrai: non devi chiedermi nessun permesso, Stiles, sei libero» e sorrise con un po’ di malinconia. «Ho fatto apposta un incantesimo per farti entrare e uscire dalla Brughiera a piacimento, ricordi? Sei libero. Mi fido di te».

Stiles sbuffò un sorriso e l’abbracciò, nascondendo la testa contro il suo collo; Derek ne approfittò per respirare di nuovo a fondo il suo odore.

«Allora…» mormorò Stiles, «andiamo a casa?»

Derek gli sfiorò la tempia con le labbra. «Andiamo a casa».



Derek sapeva che di certo Malia, dall’esterno, aveva sentito tutto, quindi non restò stupito più di tanto quando non appena aperta la porta lei si lanciò ad abbracciare Stiles, nascondendo la testa nell’incavo del suo collo e sospirando sollevata «Spuntino!» Aveva il volto rigato di lacrime.

Stiles la rassicurò dandole delle pacche sulla testa. «Va tutto bene».

«Sai dove sono andati gli stregoni?» le domandò Derek.

«Penso che si trovino nella stanza della principessa Allison» gli rispose, «li ho sentiti mormorare che sarebbero andati lì».

Derek ci rifletté sopra. «Kate li starà costringendo a lavorare per svegliare Stiles e la nipote, ma a quest’ora Allison si sarà già svegliata: staranno mandando qualcuno qui da Stiles a controllare se è successo qualcosa, meglio scappare subito».

Stiles strinse la mano di Derek e assentì. «Saluterò in un altro modo gli zii, capiranno di certo perché siamo fuggiti in tutta fretta».

«Non dobbiamo farci sorprendere dai soldati» mormorò Derek guardandosi attorno per decidere in che direzione andare, «Kate non deve sapere che io e Malia siamo qui».

Stiles accarezzò con il pollice il dorso della mano di Derek in un gesto di conforto, e lui in risposta abbozzò un sorriso appena velato di malinconia; decisero di provare a rintracciare il padre di Stiles presso una delle torri del castello in cui di solito anni prima militava come guardia – o almeno così raccontava spesso a Stiles da bambino, quando gli parlava delle sue giornate – e s’incamminarono silenziosi costeggiando le mura.

Non fu facile evitare le dame e i soldati che correvano in direzione opposta alla loro, verso la stanza di Stiles – per controllare se si fosse svegliato anche lui e cosa fosse successo – soprattutto quando si sparse la voce che lui non era più a letto.

«Magari non dovremmo cercare mio padre adesso» sussurrò Stiles, perplesso ma dispiaciuto, «c’è troppo movimento qui nel castello, sono sulle nostre tracce, e se mio padre non era al mio capezzale ci sono buone possibilità che fosse perché la regina l’ha bloccato in qualche modo… Forse abbiamo bisogno di un piano, prima di agire» propose.

«Staremo attenti» lo tranquillizzò Derek, «non andremo via da qui fino a quando non saremo certi che lui sta bene». Stiles sospirò a assentì.

Loro due non si erano mai tenuti per mano, prima di quel momento, ed era un gesto nuovo ma in un certo senso familiare, benvoluto e confortante. Mano nella mano correvano per i corridoi nascondendosi di tanto in tanto, con Malia alle calcagna, col cuore in gola per l’ansia e la paura, ma anche con più speranza di quanta Derek ne avesse mai immaginata di averne un giorno.

Mancava pochissimo a lasciarsi tutto alle spalle, e dopo tanta incertezza sulla possibilità che i suoi sentimenti potessero davvero salvare Stiles, Derek si sentiva sicuro di sé come non mai. Non aveva davvero più alcun conto in sospeso, né aveva voglia di dimostrare a qualcuno o qualcosa la propria rabbia: in fondo, l’unica cosa che da ormai un paio di anni gli interessava davvero dimostrare era quanto era dispiaciuto per Stiles e quanto affetto provava per lui, e l’aveva appena fatto, riuscendoci.

A pochi passi dalle scale che portavano alla torre, si scontrarono con un paio di soldati: Derek li addormentò con la magia e spostò i loro corpi verso un angolo buio, affinché degli altri passanti non li vedessero subito, ma purtroppo vennero notati lo stesso: a metà delle scale, udirono qualcuno urlare che stava sentendo dei passi sulle scale e che aveva appena trovato degli uomini a terra.

«Correte» esortò Derek, e in preda all’istinto di proteggere il proprio branco sentì i propri denti allungarsi e appuntirsi come zanne.

Arrivati alla prima stanza circolare della torre – una sorta di armeria e laboratorio per le armi, con le pareti attraversate da una balconata che divideva l’ambiente in due parti, di cui quella superiore era una piccola biblioteca – Derek sentì degli altri soldati raggiungerli da sopra le scale, e nello stesso momento alle sue dita comparirono gli artigli. Al suo fianco, Malia ringhiò contro gli uomini che si avvicinavano sempre più a loro. I soldati lo additarono e lo riconobbero subito come il Lupo Stregone della Brughiera, il danno era fatto.

«Stiles» lo chiamò Derek, «ti copriamo le spalle, tu continua a cercare tuo padre. Scappa!»

Sapeva di avere anche gli occhi rossi da alpha in quel momento, eppure Stiles non indietreggiò alla sua vista, anzi gli posò una mano sul viso e lo fissò sicuro, determinato e minaccioso.

«Non osare morire» intimò a Derek, prima di premergli un bacio sulla bocca, così forte da procurarsi una lieve ferita sul labbro con una zanna, e poi approfittò di come Malia gli sgombrò la strada lanciando dall’altra parte della stanza due soldati e corse via.

Derek inspirò a fondo, ringraziò di aver reso tempo fa Malia parzialmente simile a lui dandole zanne e artigli retrattili da umana, e s’impegnò a trattenere i soldati di Kate lontano da Stiles, sulle tracce del padre.

Il problema era che stavano creando sempre più trambusto attirando così sempre più pattuglie, che lasciavano la ricerca di Stiles scomparso all’improvviso dalla propria stanza e accorrevano alla torre. Nella stanza affluivano sempre più uomini armati di lame impregnate di strozzalupo, e Derek e Malia – spalla a spalla – indietreggiarono verso il terrazzo provando a mettere a tappeto più soldati possibili.

Derek per un attimo considerò il terrazzo come via di fuga: poteva trasformare Malia in qualcosa di abbastanza grosso e alato, per esempio un drago, per poi salire sul suo dorso e volare via verso le finestre più alte della torre, alla ricerca di Stiles e suo padre; in teoria, avevano già comprato abbastanza tempo al ragazzo, doveva avercela fatta. O almeno così sperava Derek. Con la magia, mandò in pezzi un tratto di ringhiera, per dare più spazio a Malia per prendere il volo quando l’avrebbe trasformata.

«Malia» la chiamò sottovoce, per avvertirla del piano in modo non udibile da orecchie umane, «ascolta, corri verso la ringhiera, ti trasformerò in…» non riuscì a finire la frase, perché sentì all’improvviso dei mormorii di stupore fra i soldati, che presero a fare spazio a qualcuno.

Prima che Derek potesse capire chi fosse entrato nella stanza, due frecce nere volarono e affondarono vicino al cuore di Malia. Derek urlò il suo nome e andò subito da lei, inginocchiandosi a terra per controllare con gesti veloci la ferita: sentì odore di strozzalupo, su di lei non aveva effetti letali, ma era comunque velenosa e troppo pericolosa all’interno di una ferita così profonda; Derek tolse con un gesto veloce e sicuro le frecce, e provò con la magia a guarire la ragazza alla meglio, anche se tutto ciò che riuscì a fare fu tamponare il danno.

«Non sta morendo subito, quindi non è un tuo simile: meno male, per attimo ho pensato di non aver allora fatto un buon lavoro, tempo fa».

Quella voce che Derek aveva appena sentito apparteneva a una donna che lui sperava tanto di non incontrare mai più: gli gelò il sangue nelle vene, ma serrando la mascella si fece forza e si voltò a guardarla, ponendosi fra lei e Malia – ancora debole e in stato confusionale – come uno scudo.

Kate indossava lo stesso tipo di vestiti maschili e pratici che portava quando l’aveva conosciuta – abiti da caccia rinforzati con toppe di cuoio scuro – e reggeva in mano la balestra con cui aveva scagliato le frecce per Malia.

Derek gli mostrò le zanne. «Sarò pure l’ultimo della mia specie, ma non credere che ti permetterò di far del male al mio branco».

«Tu sei il mio trofeo, Derek» gli ribatté sprezzante e sorridendo crudele, «e sapevo che oggi non avresti saputo resistere alla tentazione di venire a fare una sceneggiata. Ti aspettavo». Lanciò a terra la balestra e prese un paio di pugnali sottili che teneva assicurati alla cintura; li impugnò. «Penso che sia arrivato il tempo che tu la smetta di essere un trofeo vivente e che io ti faccia imbalsamare per poterti sfoggiare sopra il mio camino, non credi?»

Lui le replicò ringhiando forte e mettendosi in posizione d’attacco; lei continuò a sorridergli acida, furiosa e piena di sé.

«Lui è mio» gridò Kate ai suoi soldati, prima di fare la prima mossa con un pugnale per ogni mano.

Iniziarono a duellare con ferocia, mentre gli uomini ancora in piedi facevano loro spazio allineandosi bruscamente alle pareti. Derek era così arrabbiato di non essere riuscito ad andar via prima dal castello evitando così quello scontro, perché ora Malia era gravemente ferita, lui stava rischiando grosso e Stiles ne sarebbe stato furioso. E ne avrebbe sofferto. Derek odiava continuare a far soffrire le persone a cui teneva di più. Aveva sperato che non sarebbe mai più successo.

Derek era fisicamente stanco e non portava avanti un duello del genere da anni: ne stava risentendo sempre di più, ed era irritante vedere come la sua perdita di forze e ritmo stesse esaltando Kate.

Quando finì con la schiena contro una vecchia e pesante scrivania, con Kate che ghignava e cercava di forzare la mano per tagliargli la gola – Derek stava riuscendo a malapena a stringerle il polso per tenerla lontano da sé – per un attimo credette di stare avendo delle allucinazioni quando sentì Stiles gridare il suo nome.

«Derek? DEREK? Fatemi passare!» protestò il ragazzo, facendosi spazio fra gli uomini, ma finendo poi per essere trattenuto per le spalle dai soldati, quando arrivò davanti alla scena. «Derek!» gridò ancora, vedendolo con il pugnale alla gola.

Derek si rifiutò di morire davanti a lui, si rifiutò di mostrargli come dopo sua madre poteva perdere anche lui proprio sotto i suoi occhi: ringhiò con rabbia – così forte che sembrò un tuono – e raccogliendo tutta la volontà possibile si trasformò in lupo, cogliendo di sorpresa Kate, che stupita dall’improvviso cambiamento del corpo che teneva bloccato sotto di sé rilassò la presa in maniera inconscia.

Derek mirò subito alla sua gola, lei si allontanò terrorizzata e lui le saltò addosso, facendola cadere a terra; le posò le zampe anteriori sul petto, ringhiandole in faccia e sovrastandola.

«Basta così» disse una voce maschile, con tono forte e deciso ma non aspro, anzi rassegnato.

Derek alzò lo sguardo e vide nuovamente i soldati fare spazio a qualcuno che avanzava verso di loro; dopo essersi focalizzato sulla figura che camminava, Derek riconobbe l’uomo come il fratello di Kate.

«Christopher?» lo chiamò Kate, ancora spaventata, ma con una punta di sollievo.

Alle spalle del principe Christopher c’era un manipolo di uomini con la divisa della Guardia Reale, e fra di loro un uomo più anziano degli altri corse da Stiles a ordinare i soldati che lo trattenevano di allontanarsi da lui. Derek intuì che doveva trattarsi del padre di Stiles: il ragazzo l’aveva trovato, e l’aveva portato lì insieme al principe.

Christopher passò lo sguardo dal lupo alla sorella. «Kate» pronunciò stanco, perplesso ma anche sofferente, «devo pensare che tu finora hai ritenuto mia figlia, tua nipote, un’esca utile per attirare qui il tuo trofeo, la tua ossessione?»

«Ha maledetto Allison!» protestò lei. «È un mostro, devo eliminarlo, non capisci?»

«E per quanto tempo ancora la nostra famiglia e tutto il regno dovrà subire le conseguenze della tua voglia di cacciare mostri? Il popolo è stremato, da anni ogni moneta raccolta viene impiegata in ricerche e armi contro creature che solo tu vuoi eliminare».

«Lo voleva anche nostro padre!»

«E ora il nostro stesso popolo ci odia, ci odia anche la Brughiera e chiunque altro potrebbe essere un nostro alleato. E mia figlia ha dovuto pagare i vostri danni».

«Chris…» provò a dirgli, incredula e spaventata dalla sentenza che il fratello stava per formulare. «Lascia stare la Brughiera e le sue creature, il tuo regno è finito, Kate».

«No!» gridò lei con furia, e prima che degli uomini della Guardia Reale si avvicinassero a lei per arrestarla, Kate si avventò di nuovo su Derek, stringendogli una mano attorno alla gola e infilandogli le unghie sotto il pelo, sotto la pelle.

Derek guaì e si scrollò forte, sfuggendo alla sua presa e provando a morderle un fianco, ma lei si alzò da terra e corse verso il terrazzo, provando ad afferrare dei pezzi di anta di legno sparsi a terra per usarli come arma impropria. Derek riuscì a morderle il braccio destro ma non a bloccarla; lei ghignò e si mosse all’indietro cercando alla cieca con la mano sinistra un altro oggetto rotto da sbattere sulla testa o sul muso di Derek.

Derek vide che Kate stava indietreggiando troppo e nella direzione sbagliata: sbarrò gli occhi e ringhiò tirandola di più a sé, nel tentativo di avvertirla e trattenerla, ma lei reagì in modo opposto.

«Lascia la presa, mostro!» le urlò rabbiosa, lasciando perdere la ricerca di un’arma e provando a cavargli gli occhi con le unghie: Derek allentò la presa per istinto, e lei – che stava ancora strattonando il braccio – si sbilanciò indietro cadendo. Alle sue spalle, c’era il tratto di ringhiera che Derek prima aveva fatto crollare: Kate sprofondò nel vuoto.

Da quell’altezza, il suo impatto con il suolo fu appena udibile.

Stiles corse da Derek, inginocchiandosi e premendo la faccia contro il suo collo, contro il pelo; lui riprese le sue sembianze umane e lo strinse a sé circondandogli le spalle con un braccio.

«Ho chiamato i rinforzi» gli spiegò Stiles a bassa voce, con il viso ancora nascosto contro il suo collo e con la voce un po’ incrinata dal pianto, anche se sembrava stesse anche sorridendo; tirò sul naso. «Te l’avevo detto che ti avrei sempre protetto anch’io, soltanto che da solo non potevo farcela».

«Grazie» gli mormorò, accennando un sorriso contro la sua tempia.

Stiles tirò sul col naso di nuovo, e alzò lo sguardo per guardarlo in faccia: con le dita gli pulì i rivoli di sangue su uno zigomo – le ultime tracce delle ferite, già guarite, che Kate gli aveva procurato sul muso con le unghie. Derek a propria volta gli sfiorò con il pollice il taglio lieve sul labbro che Stiles stesso si era procurato prima baciandolo.

«Va tutto bene» mormorò Derek, rassicurando entrambi, «è finita» poggiò la fronte contro la sua e per qualche attimo restarono entrambi fermi così in silenzio, con gli occhi socchiusi. C’erano comunque ancora delle conseguenze da affrontare, e Derek voleva essere certo che Stiles stesse bene, prima di rimettersi in piedi e parlare di tutto ciò che sarebbe successo dopo.

Quando Derek sentì qualcuno avanzare verso di loro con passi lenti ma solenni, si scostò da Stiles, che si voltò a vedere chi fosse: il principe Christopher.

Stiles rivolse a Derek un’espressione interrogativa, lui annuì e il ragazzo si alzò in piedi, allontanandosi e andando a controllare come stesse Malia – lei si stava premendo una mano sulla ferita, ma anche se stava ancora seduta a terra, sembrava che si stesse riprendendo, anche se a rilento. Stiles le baciò la fronte e lei poggiò la testa contro la sua spalla, mugugnando un breve lamento.

Derek si mise in piedi per fronteggiare Christopher. «Sei tu adesso il re» gli disse sicuro ma in tono neutrale. Non gli disse che era dispiaciuto di non essere riuscito a salvare sua sorella, perché non sarebbe stato sincero: non l’avrebbe mai uccisa, ma la sua morte era comunque un sollievo, soprattutto dopo aver visto fino a che punto poteva essere crudele senza mai pentirsi.

Lui assentì. «Mi hai sentito prima: è mia intenzione lasciare in pace la Brughiera e le sue creature. Sei libero di andare, nessuno ti inseguirà o proverà ad attaccarti».

Derek lo fissò intensamente. «Lo sai che per me non è facile credere alla tua parola: non ti conosco, so solo quello che tuo padre e tua sorella hanno fatto alla mia famiglia, alla mia specie e alla mia terra».

«Il mio regno è stremato e affamato, abbiamo bisogno di smettere di impiegare energie per la guerra contro la Brughiera: ogni accampamento vicino alla muraglia di rovi verrà smantellato. Porrò il divieto di entrare nella Brughiera senza il permesso esplicito di almeno uno dei suoi abitanti, se potrà servire a convincerti delle mie intenzioni».

Derek inspirò a fondo ponderando il da farsi. «Non me la sento di fidarmi del tutto della tua generazione: la muraglia resterà su fino a quando sarai tu a regnare, ma» aggiunse sospirando, «ho arrecato un torto a tua figlia, quindi per dimostrarle che ho fiducia in ciò che può essere, il giorno in cui salirà al trono abbatterò la muraglia in suo onore. Sia però messo agli atti» continuò, «che se dopo di ciò lei arrecherà danno alla mia terra e alla mia gente, farò di tutto per punirla personalmente».

Christopher deglutì a stento e concordò assentendo, senza aggiungere una parola.

«Stiles?» sentì dire Derek; alzò lo sguardo e vide il comandante della Guardia Reale guardare preoccupato e in ansia il figlio, inginocchiato accanto a Malia.

Stiles fissò prima suo padre e poi Derek, infine si alzò e con passi esitanti andò dal lupo.

Il ragazzo intrecciò le dita di una mano a quelle di Derek e puntò gli occhi nei suoi con aria supplicante. «Ti dispiace se passo un paio di giorni con mio padre? Non ci vediamo da otto anni e dopo tutto quello che è successo oggi… glielo devo. E ne ho bisogno» gli disse fievole.

Derek accennò un sorriso malinconico e gli accarezzò il viso. «Non c’è alcun problema».

«Lo so che ti fa male» rimarcò Stiles. «Avevamo detto di tornare a casa insieme, ma…»

Lui lo fermò sfiorandogli le labbra con le dita. «Va bene così» e deglutì con forza, perché l’idea di separarsi da Stiles gli faceva male davvero. «Ti aspetterò».

«Mi dispiace» gli disse ancora Stiles, «ma verrò da te» e si portò sul cuore la mano di Derek che stringeva, «te lo prometto».

Derek gli posò sul viso anche l’altra mano, gli sorrise malinconico e gli diede un bacio lieve sulla fronte. «A presto, allora» gli mormorò contro la pelle.

Si allontanò da Stiles a passi lenti, facendo attenzione a non voltarsi mai, o sarebbe stato ancora più difficile lasciare il castello senza di lui. Si chinò verso Malia e con gesti cauti la sollevò da terra prendendola in braccio; lei, con gli occhi socchiusi, protestò appena con un lamento fioco, a cui lui replicò con un sorriso bonario sbuffato.

Derek uscì dalla stanza e cominciò a scendere piano le scale della torre. Nessuno lo fermò, tutti si scansarono al suo passaggio.

Avrebbe voluto sentirsi il cuore più leggero, ma anche se si sentiva meno pesi sulle spalle, il suo cuore era invece pesante e gonfio, e gli batteva nel petto in modo lento e stanco.

Sperava solo che Stiles non si pentisse e che l’avrebbe raggiunto presto.



Era passata già una settimana, e ancora di Stiles non si vedeva neanche l’ombra.

I primi giorni Derek si era tenuto occupato costruendo una casetta accanto al ceppo del Nemeton. Grazie alla magia non era stato difficile tirarla su dal nulla, utilizzando pietra e legno come materiale primario, ed era già del tutto ultimata.

Derek ci teneva a ricreare in qualche modo un’abitazione da branco, e di conseguenza era stato attento ai dettagli, per poter così permettere anche a Malia e ai folletti loro amici di vivere in quel posto.

Aveva creato una piccola ma graziosa pozza d’acqua di fronte la casa, sul lato sinistro, in cui Paige potesse nuotare e sollazzarsi tranquilla a piacimento. Sul lato destro invece c’era il Nemeton, e Derek aveva provveduto a bonificare la terra intorno alle sue grosse radici sporgenti per farvi crescere dei fiori colorati: ora quel ceppo non aveva più l’aspetto triste e desolato di una volta, perché era circondato da corolle profumate su cui svolazzavano farfalle e ronzavano degli insetti curiosi.

Qualche giorno dopo la fine del maleficio del Sonno Eterno e la morte di Kate, Derek aveva ricevuto la visita di un grosso corvo imperiale con legato alla zampa un piccolo sacchetto di cuoio. Aveva sorriso, riconoscendolo come il famiglio di Braeden, e aveva sorriso ancora di più, anche se malinconico, quando si era reso conto che il contenuto della missiva erano i semi di particolari piante rampicanti dalla fioritura che emanava un profumo dolce ma speziato, tipiche delle terre in cui Braeden era cresciuta; Derek aveva intuito che quello fosse il suo modo personale per mandare a dirgli che l’aveva perdonato per quello che aveva fatto, perché anche lei aveva a cuore Stiles, e Derek ricordava bene quanto lei era stata spaventata che fosse morto anche lui nell’incendio che aveva annientato la sua famiglia.

Derek aveva piantato i semi accanto alla casa, facendoli crescere subito con la magia e in modo tale che i rami abbracciassero del tutto l’abitazione. I folletti dei fiori, e soprattutto Kira e Lydia, erano rimasti estasiati dall’idea di poter utilizzare come loro casette i fiori sulle mura, specie quelli vicino alla finestre – perché erano impiccioni.

Derek piantò anche un paio di alberi da frutta lì accanto, quelli preferiti da Stiles, e continuò a curare i dettagli sperando che ogni giorno fosse quello in cui Stiles sarebbe tornato alla Brughiera.

«Verrà!» gli diceva Malia, sorridendo sicura di sé, mentre Kira e Malia si divertivano a intrecciare fiori ai suoi capelli. Derek sospirava a provava a convincere Isaac ed Erica a non mordicchiare tutte le mele mature degli alberi piantati – sapeva comunque che l’obiettivo di Isaac era quello di fare trovare un giorno a Stiles un torsolo attaccato al ramo.

Forse però Stiles, dopo aver trascorso del tempo con suo padre nel regno, circondato da persone, aveva deciso che una vita nella Brughiera sarebbe stata troppo da eremiti. Forse il nuovo re per farsi perdonare gli aveva offerto un posto nella Guardia Reale, e lui aveva accettato. O magari gli aveva offerto la mano della figlia ed erano già convolati a nozze. Con quella famiglia reale e con l’imprevedibilità di Stiles tutto era possibile.

Nonostante quelle tristi previsioni, però, finalmente arrivò il giorno in cui sentì all’improvviso l’odore di Stiles.

Stava preparando delle piccole buche davanti casa per far contente Kira e Lydia, che volevano seminare proprio lì i fiori che proteggevano, e non appena del vento leggero portò al suo naso quell’odore inconfondibile, lasciò perdere tutto, si trasformò in lupo e corse via, verso la muraglia di rovi e verso il punto in cui lo stava sentendo arrivare.

L’ansia che aveva provato in quei lunghi giorni era niente a confronto a quella che stava provando in quel momento, perché adesso che l’aveva così vicino era ancora più difficile e doloroso resistere e stargli lontano.

Quando fu a qualche metro da lui, tornò umano e lo fissò sentendosi un groppo in gola, ancora stupito di realizzare che fosse davvero lì, di persona.

«Derek!» lo chiamò Stiles, sorridendo e irradiando felicità.

Derek non lo ricordava così bello.

Era in sella a un cavallo dal manto bruno e l’aspetto giovane, e assicurate alla sella c’erano un paio di sacche da viaggio, probabilmente piene di averi che Stiles aveva scelto di portare con sé o che gli avevano regalato.

Stiles scese veloce da cavallo, corse da Derek – che si sentiva inchiodato al suolo – e lo baciò sulla bocca con così forza da farlo un po’ sbilanciare indietro; Derek sorrise contro le sue labbra, lo abbracciò e approfondì il bacio.

Nei lunghi e densi minuti successivi non esisté più niente.

«Mi sei mancato» gli confessò Stiles con un sussurro, sorridendo ancora e con gli occhi che gli brillavano.

«Anche tu a me» ammise Derek, prima di baciarlo di nuovo.

«Mi dispiace non essere venuto prima» gli disse Stiles, quando finalmente smisero di baciarsi, «ma anche se adesso potrò vedere mio padre ogni volta che voglio, non ci parlavamo da anni e…»

Derek scosse la testa. «È comprensibile». Anche se si rifiutò di raccontargli delle sue ipotesi tristemente disastrose.

«Mio padre mi ha regalato lui» aggiunse Stiles, riprendendo a sorridere e facendo un cenno con la testa verso il cavallo, «così potrò viaggiare meglio e più veloce le volte che andrò a trovarlo. Si chiama Roscoe!».

«È un bell’esemplare» constatò Derek.

Stiles aggrottò la fronte. «Pensi che Malia ne sarà gelosa? Ho sempre utilizzato lei per cavalcare… Potresti trasformarlo in umano? Magari così saranno simili e avranno qualcosa in comune…» concluse perplesso e incuriosito da quella possibilità.

Derek sospirò esasperato. «Prima dovremmo chiedere a Malia cosa ne pensa davvero dei cavalli».

Stiles sorrise furbo e speranzoso. «Oppure potresti prometterle di trasformarla in tortorella se farà la brava col mio cavallo».

«Quella è una promessa che sto tenendo da parte per i momenti difficili in cui chiederle un favore urgente» ammise Derek, con una certa ironia. «A parte questo» sospirò, «ho costruito una casa» e vide Stiles boccheggiare meravigliato, «vicino al Nemeton» aggiunse.

«Hai costruito una nuova tana per il tuo nuovo branco» esalò Stiles. «Questo è… è» Non trovando le parole adatte, Stiles smise di farfugliare, gli prese il viso fra le mani e lo baciò a lungo, sorridendo contro la sua bocca verso la fine, mettendo così in quel gesto – forse inconsciamente – tutto quello che non era riuscito a dirgli a voce, ma che Derek stava sentendo con il suo naso seguendo le emozioni che irradiava: affetto, tenerezza, gioia, fierezza, e così tanta felicità da sorridere per giorni interi.

«Voglio vederla» gli disse infine Stiles.

Derek gli scoccò un altro bacio sulle labbra. «Andiamo col tuo cavallo?»

Stiles annuì, poi gli strinse una mano per invitarlo a seguirlo.

Ci fu qualcosa di dolcemente simbolico nel fatto che fu Stiles a guidare il cavallo al galoppo verso il Nemeton, mentre Derek era alle sue spalle: era come se Stiles lo stesse portando fisicamente a casa, dopo tutte le volte che lui l’aveva considerando nella sua mente una guida verso casa.

Arrivati al Nemeton vennero accolti dai gridolini festosi dei folletti, che corsero a svolazzare intorno a Stiles o a provare ad abbracciargli la testa ancora prima che scendessero da cavallo.

Malia salutò Stiles strizzandolo forte in un abbraccio, e lui le baciò con affetto la fronte.

Quando finalmente non ci fu più nessuno da salutare e Stiles ebbe la visuale libera, Derek lo vide osservare la casa: si mordicchiava un labbro trattenendo un sorriso e aveva gli occhi lucidi dalla commozione.

«È bellissima» mormorò il ragazzo, con tono quasi reverenziale.

«È nostra» sottolineò Derek.

Stiles gli rivolse un piccolo sorriso con uno sguardo carico di affetto e tenerezza, poi lo strattonò a sé afferrandolo per i lacci del gilet nero e lo baciò sulla bocca.

Interruppero il bacio scoppiando a ridere l’uno contro le labbra dell’altro quando sentirono il sottofondo che avevano: Kira e Lydia stavano litigando su delle scelte floreali.

Le due follettine svolazzavano intorno alle buche scavate da Derek, battibeccando e facendo crescere, svanire e ricrescere a ciclo continuo e all’impazzata due tipi di fiori diversi.

«Che siano gigli!» proclamava Kira, facendo sorgere dalla terra i fiori che proteggeva.

«Che siano rose!» ribatteva secca Lydia, sostituendo i gigli con le sue rose.

«Gigli!»

«Rose!»

«Gigli!»

«Rose!»

«Gigli!»

«Rose!»

«PAPAVERI!» s’intromise Scott all’improvviso, sorridendo beota; le due gli prestarono attenzione solo per una manciata di secondi, prima di tornare a sfidarsi a colpi di fiori.

Derek e Stiles risero ancora di più, abbracciati stretti e poggiando la testa l’uno sulla spalla dell’altro.

E così ciò che aveva posto fine alla discordia fra il regno e la Brughiera non era stato un grande eroe o un vero cattivo, ma solo qualcuno che aveva voluto davvero aprire il suo cuore e conoscere un essere diverso da lui.

E anche se ormai sono passati tanti anni da questi fatti, ancora adesso si parla di quell’affetto incondizionato e profondo che, per quanto frutto di qualcosa di riflesso, portò la pace in quella terra: quello fra il Lupo e il Ragazzo del Sonno Eterno.




So I will not ask you
Why you were creeping
In some sad way I already know
I will not ask you where you came from
I will not ask you and neither should you
Honey just put your sweet lips on my lips
We should just kiss like real people do
Like real people do - Hozier (YouTube)










Note finali: Questa storia è stata abbastanza complessa da scrivere, perché ho provato a incastrare nella trama parecchie cose, e ciò vuol dire che anche se sono esausta mi sono divertita molto a scriverla, e spero che abbia divertito anche voi fino alla fine :)
Ci ho messo anche qua e là piccolissime tracce di altre fiabe, come Biancaneve (le mele), Cappuccetto Rosso (il mantello rosso di Stiles), la versione Disney de La Bella Addormentata del 1954 (Rosa! Blu! Rosa! Blu! Rosa! Blu! cambiato con i fiori), perché… non so, mi piaceva farlo :)
Con la conclusione di questa WIP, non so davvero quando tornerò con una nuova storia. Cioè, spero di scribacchiare qualcosina prima di Natale, però è anche vero che ho moltissima voglia di scrivere uno dei miei bestioni di trama con sottotrame intrecciate e con venature di "americanata", che se viene da 100mila parole anzi è poco, e se m’imbarco in una cosa simile mi eclisso per un paio di mesi, almeno fino a quando non sarò certa di essere a buon punto e in grado di portare la storia a termine. Però, una cosina più breve prima vorrei riuscire a scribacchiarla, quindi tempo di riprendermi da queste ultime 30mila parole sfornate e poi vediamo…
Nel frattempo (angolino dell’autopubblicità di cui potevate fare anche a meno, ne sono cosciente – e forse il danno è questo, che lo so), domani potrete leggere l’ultimo capitolo di Myosotis, e mancano ancora gli ultimi capitoli (già scritti, devo solo postarli) di We were never tragedies, we were emergencies (e queste sono le due storie grosse-grosse che per ora ho portato avanti come pubblicazione).
Eeeeee quindi per adesso vi saluto! :D
Fall.
   
 
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