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Autore: Francine    14/11/2014    7 recensioni
Trema di Yggdrasill,
il frassino eretto,
geme l'antico albero,
lo jǫtunn è libero.
Tutti temono
sulla strada degli inferi,
che la stirpe di Surtr
li inghiotta.

(LJÓÐA EDDA - VǪLUSPÁ, La Profezia della Veggente, v 47)
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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1.

 
Piove. 
Ma non
piove e basta, due gocce così, tanto per rovinarti la passeggiata. Piove. Che Dio la manda giù. Uno scroscio rabbioso e improvviso e sfrenato. Come lo sfogo di una persona pacifica ad anni di angherie.
Piove. Con raffiche di vento che ti schiaffeggiano il viso. Inzuppandoti, come fossi un biscotto al burro, di quelli che si gustano con il tè delle cinque. Facendoti aderire i vestiti addosso, insinuandosi nello scollo della camicia e delle scarpe, ricordandoti di parti del tuo corpo che dai per assodate. O che ritieni al riparo -
in salvo - dallo scroscio furioso che ti ha sorpreso mentre, fidandoti del tiepido sole di Aprile, hai deciso di fare una passeggiata per le strade del quartiere vicino. 

«Non possiamo restarcene qui.» Seiya si stringe nella giacca ormai zuppa in un tentativo disperato di smetterla di gocciolare sul pavimento del negozio di dischi che è apparso come un miraggio all'orizzonte. «È mezzora che stiamo fermi come stoccafissi senza comprare nulla.»
«Tu cosa proponi?», gli chiede Shun, i capelli incollati alla fronte. «Casa tua è lontana!»
«Quante storie per un po' d'acqua!», e  lo sguardo di Hyoga è di quelli che congela all’istante. «C'è un nuovo locale più avanti, aspetteremo lì che spiova.»
«D’accordo. Ma paghi tu. Se ce ne fossimo andati quando l'ho suggerito io, adesso non…»
Seiya sbuffa e sfreccia via, sotto l'acqua, pur di non sorbirsi l'ennesima ramanzina. Shun scuote la testa, alza il cappuccio della felpa e lo segue. Hyoga chiude la fila.

È un'atmosfera calda e rilassante quella che li accoglie qualche metro più in là – un isolato appena, quanto basta per inzupparsi ancora un po’. Il locale profuma di tè e legno di cedro. Li accoglie una cameriera, un grembiule immacolato su una divisa verde acqua, dalla gonna stretta in vita. Indica loro un tavolo davanti ad una grande finestra che si affaccia sulla strada, l’acqua che scroscia sui vetri senza posa.

C’è una calda luce arancione, riflettuta e amplificata dai grandi specchi anticati sulle pareti che, insieme all'arredamento di legno, contribuiscono a ricordare un bistrot parigino. O l’idea platonica di un bistrot. Dietro al bancone, il barista sta lucidando i bicchieri con un panno per poi sistemarli a testa all'ingiù in una rastrelliera. Mazzi di basilico ed origano essiccato pendono alle spalle dell'uomo seduto alla cassa, che sfoglia distratto una rivista di motori.

«Bel posto», commenta sottovoce Shun, quasi intimorito dall'ambiente elegante.
«Già... Forse un po' troppo caro per le nostre... cioè le
 tue tasche, vero Seiya?»
Seiya ignora Hyoga e la sua ironia e arraffa uno dei menù che aspettavano sul tavolo. Impallidendo.
«Ma che... ?»
Poi mostra il menù agli altri due: è scritto in una lingua straniera.
«Francese», sentenzia Hyoga dopo un'occhiata veloce e l'umore di Seiya vira verso il pessimismo cupo. Si guardano attorno per capire il tenore economico degli altri avventori, accorgendosi di essere gli unici clienti.
 

Strano. Saranno le sei e il fortunale è stato troppo improvviso e inaspettato perché la gente abbia deciso di non uscire per tutto il pomeriggio.
«È ancora presto», dice Shun.
«O è
troppo presto e hanno aperto da poco», ribatte Hyoga, mentre una cameriera vestita di giallo dalla testa ai piedi appare dal nulla con un blocco ed una matita tra le mani. Gialli.
«I signori desiderano?»
«Un menù in giapponese, tanto per cominciare...»
La ragazza fissa Seiya con aria perplessa. «Non ne abbiamo. Tutti i menù del
Divertissement sono in francese.»
«E se io non lo parlassi, il francese?»
«
Monsieur, è un vezzo del nostro locale», spiega lei con l'aria di chi pensa non è un problema che mi riguardi, bello.
«E io come faccio a capire che c'è scritto sopra? Che cosa è questa roba, queste...
 escargòt a la...
«
Escargot à la provençal», sentenzia lei.«Lumache stufate in guazzetto. Erbe di Provenza, sugo, aglio e peperoncino. Ma oggi non le abbiamo, dommage...», aggiunge serafica mentre la faccia di Seiya passa dal rosso indignazione al giallo sto per vomitare. «Comunque, per mangiare dovrete attendere mezzora, il tempo che apra la cucina...»
«Può portarci tre caffè?»
Lei inarca un sopracciglio, che a Hyoga ricorda quell'abitudine che Camus sfoggiava quando non capiva cosa stessero facendo i suoi allievi – ossia tutti i giorni – e domanda:«Come? Tostatura semplice o doppia? Corretti? Con la panna? Lunghi? Espressi?».


I tre si scambiano uno sguardo disperato. Lei elimina una piega inesistente dalla gonna a ruota e si sistema il grembiule candido.
«Tre caffè normali», le risponde Seiya, con il tono di chi non sa se ha scelto il pacco a sorpresa giusto.
«Espressi o lunghi? Al vetro o in tazza grande?»
«Senta...», ruggisce Seiya prima che Hyoga concluda quello stillicidio rispondendole: «Tre espressi in tazza grande, per favore.».
«Arrivano!», dice lei – anche se quelle parole risuonano più come un
 "alla buon'ora!" – e si allontana in una nuvola di essenza alla vaniglia scribacchiando qualcosa sul notes giallo. 
Seiya tamburella nervosamente l'indice destro sul legno di cedro del tavolo, l’umore che ha raggiunto i dintorni del pessimismo sfrenato,  fino a quando la cameriera gialla non posa  davanti a loro le tazze di porcellana bianca con il caffè.

Squisito.
Un attimo di pace, una bolla ovattata dove rifugiarsi, lontano dalla pioggia che scroscia, dai vestiti bagnati e dalle lumache in guazzetto.
La magia, in una tazza di porcellana bianca.


«Visti i prezzi, e la cucina, se rimediassimo una cena a casa mia?»
Shun e Hyoga si guardano dubbiosi.
«Ho dei surgelati, in frigorifero.»
«Allora si può fare», dice Shun  e Hyoga torna a godersi il suo caffè.

Escono dopo una buona mezz'ora, quando il cielo è pulito e l'aria frizzante. Si vedono meglio anche le costellazioni; quelle estive iniziano a salire verso lo zenit e il Cigno declina a sud.
«Ha rinfrescato, eh?», dice Shun stringendosi nella felpa ancora umida.
«Possiamo fare una corsa fino a casa per scaldarci.»
 
«Per me non fa poi così tanto freddo...»
«Hyoga, sei veramente degno del nome che porti!», gli risponde Seiya avviandosi.



«Hyoga? Ehi, Hyoga? Ci sei? Terra chiama Principe Azzurro... Principe Azzurro ci ricevi?»

La voce di Seiya lo strappò ai ricordi e lo riportò al caldo di metà Luglio.
La luce del tramonto andava spegnendosi sulla sabbia tiepida, gli scogli artificiali e le barche addormentate. I pochi gabbiani si attardavano volando in cerchio sull'acqua scura prima di tornare al nido per la notte.
Il caldo torrido del giorno si era mutato nell'afa che avrebbe accompagnato un'altra notte di mezz'estate. Il ventilatore oscillava la testa metallica da sinistra a destra al ritmo costante del ronzio del motore stanco, mentre la campanella appesa alla finestra tintinnava seguendo lo spostamento dell'aria.
Un'automobile sfrecciò lungo la strada deserta, invadendo la sera con musica pompata a tutto volume prima di svoltare verso Omori, in direzione dell'insegna rossa che lampeggiava a sud. Forse l'automobile era diretta al Divertissement.

Beati loro. «Dicevi, scusa? Ero sovrappensiero...»
«Ce ne siamo accorti... Ce la fai a non pensare alle gonnelle per un momento? Stavamo parlando della proposta di Saori.»
«Quello che corre dietro alle gonnelle sei tu, Seiya, non io...»
«Io?!»
«…che cosa volete che le risponda?», proseguì Hyoga, imperterrito. «Picche.»
«Picche?», chiese Shun, seduto sul pavimento.
«Significa che le dirò di no. Mi sembra superfluo aggiungere altro.» Pausa. «Voi che intenzioni avete?»
«Di rispondere come te, Hyoga», intervenne Shiryu dalla poltrona, i lunghissimi capelli corvini legati in una coda dietro la schiena. «Anche se non credo che concorderemo tutti su questo punto.»
«Alludi a Jabu, vero?», gli domandò Shun.
«Esatto», rispose l’altro accavallando le gambe.
«Perché dite questo? Insomma, anche Jabu...»
«Soprattutto Jabu, Seiya. Soprattutto. Lo sai anche tu che se solo Saori glielo chiedesse, andrebbe a prendere la Luna e gliel'incarterebbe con un bel fiocco.» Perché, vuoi farmi credere che tu non faresti lo stesso, per lei, Shiryu?, pensò Seiya fissandolo. «Jabu accetterà. Sicuro come il sole sorge ad Est.»
«È quello che pensa anche Ikki», commentò Shun osservando un punto davanti a sé.
«In base a che?», gli chiese Seiya, le mani ai fianchi e l'aria perplessa.
«Galoppa, cavallino!», disse Hyoga dal davanzale. «Hai dimenticato? Ti sembra che non l'accontenterebbe anche adesso?» 
«Ma è passata una vita da allora!», rispose Seiya allargando le braccia. «Non è vero, Shiryu? »
«La penso come Hyoga. Jabu accetterà, così come Ban. Lo conosco poco, ma ho visto i suoi occhi brillare man mano che Saori andava avanti.»
«No! Non ci posso credere! Ma…»
«Scusa, ma a te che importa?»

Seiya si voltò verso la finestra: Hyoga guardava la chiazza nera all'orizzonte, dov'era il mare.
«Prego? Non ho capito…»
Hyoga sospirò e  ricambiò lo sguardo di Seiya. «No, io non ho capito, Seiya. Non ho capito perché ti scaldi tanto. Che t'importa delle loro decisioni? Riguardano te? No. Riguardano solo ed unicamente loro. Saori ci ha pregato di pensare come singole persone, e non come gruppo.»
«Ma noi siamo un gruppo!», protestò Seiya, che quella sera doveva essere in vena di polemiche.
«Formato prima di tutto da delle singole persone. Io ho fatto la mia scelta e tu la tua, e credo valga lo stesso per gli altri. La cosa realmente importante è che la decisione del singolo non sia imposta a tutti noi.»
Seiya fece per ribattere quando Hyoga indurì lo sguardo, mentre Shun e Shiryu drizzarono le antenne per intervenire in caso quei due fossero giunti alle mani. Seiya vide nell'azzurro ghiaccio dell'altro che non era il caso di proseguire oltre.
«È una discussione che non ha senso. Jabu accetterà, se non altro per avere una rivincita nella vita», concluse Hyoga tornando a guardare fuori. «E se non mi credi, basterà aspettare il compleanno di Saori.»

Seiya rimase a bocca aperta.
«Rivincita?», disse.
«Jabu si è sempre sentito inferiore a noi… Per non esserci stato, quando ce n’era bisogno. Non erano ancora pronti per Atene e Saori li mandò ad addestrarsi ancora dai loro maestri, ricordi?» Shiryu si passò una mano tra i capelli. «E Jabu questo non l'ha mai sopportato. E tu lo sai…»
«Ma io…»
«Nessuno di noi ha mai trattato Jabu come se fosse inferiore a noi, Seiya. È una sua convinzione, non la realtà», gli disse Shun.
Tuttavia, Seiya si chiese se non avesse fatto qualcosa per confermare le paranoie – il senso d’inadeguatezza – di Jabu. Che non andassero d'amore e d'accordo non era certo un mistero: Seiya trovava il Saint dell'Unicorno insicuro quando non era il caso di esserlo e troppo sicuro delle proprie capacità quando invece la prudenza avrebbe dovuto prevalere sull'orgoglio. Ed era un tipo fin troppo suscettibile per i suoi gusti.
Davvero non l'ho mai trattato da inferiore?, si chiedeva, fissando il pavimento tra i propri piedi.
La stanza piombò in un silenzio irreale, rotto dal monotono ronzio del ventilatore e dal suono della risacca che proveniva dalla finestra. Restarono così, persi ognuno nei propri pensieri, finché Shiryu non decise di risollevare le sorti della serata.
«Hanno aperto un nuovo take-away, all’angolo. Pizza per cena?»





Saint Seiya, ® Masami Kurumada, Toei Animation, 1986. Grafica ® Francine.

Note:

Omori è un quartiere di Ōta, uno dei distretti di Tokyo, dove ha sede, tra le altre, la Toho University.

Hyoga si scrive con gli ideogrammi di 'roccia' e 'ghiaccio'
 
 
Lettera aperta a te, Amico Lettore.
Evito di darti un nome, anche perché se lo facessi sarebbe ridicolo e tu potresti offenderti, Ermenegildo.

Questa storia era on line dall’8 Novembre 2013, ma poiché io sono una scimmia ammaestrata – ammaestrata
male, aggiungerei – per eliminare la precedente introduzione (troppo pomposa, dai retta a me) ho cancellato tutta la storia. Per intero. Sette capitoli e tutte le recensioni. Rischiando il collasso e gemendo come una bestia ferita fino a quando non mi sono assicurata di avere una copia di tutto quanto avessi pubblicato finora. (Sì, prima che tu me lo chieda: ho visto l’avviso di eliminazione totale ed irrimediabile, ma io ho anche il dito più veloce del West. Perché non ci facciamo mancare nulla.)

Ti chiedo scusa, Amico Lettore, così chiedo scusa a quel manipolo di eroi che l’aveva letta, commentata, inserita tra le storie preferite/seguite/ricordate. Chiedo scusa sui ceci e sui cocci, ma vi è capitata un’autrice problematica. Si dice che se mille scimmie battessero a macchina contemporaneamente premendo i tasti a caso, una riuscirebbe a scrivere l’opera omnia di Shakespeare. Ecco. Io sono l’altra. Quella a destra, due posti più in là.

Questa è la versione definitiva della mia primissima incursione nel fandom di Saint Seiya. La storia originale s’intitola “Il rimpianto di una stella cadente”, e la puoi trovare qui. La lascio on-line, e perché le sono affezionata, e per una sorta di precauzione. Mi piace avere un punto di partenza, e penso piaccia un po' a tutti, no?
Questa, però, è la versione definitiva, perché il mio stile s’è evoluto (non che ci volesse poi molto…) e quella storia, con tutte le sue ingenuità, è come un vecchio paio di scarpe sfondate (le mie sono quelle con la stella all’interno di un cerchio bianco, preferibilmente nere), comodissime da indossare, ma impresentabili altrove.

La trama è cambiata: qualche giravolta l’ho eliminata, ho limato il limabile ed ho inserito dei tasselli in più, che all’epoca non avevo ben chiari in mente. Anche perché Saint Seiya, nell’anno di grazia 2000 era qualcosa di geologicamente definito.
Lost Canvas? Next Dimension? Omega?
Pura fantascienza. Si guardava alla trasposizione del capitolo Inferno come a qualcosa di irrealizzabile. Lettera morta.

Sicché: se vuoi andarti a sbirciare quella storia, mentre mando avanti la versione 2.0, fai pure, Amico Lettore. E se vuoi farmi sapere cosa ne pensi, sentiti libero di. Pomodori a destra e carote a sinistra, grazie.
Intanto accomodati dove più ti pare e goditi il viaggio.
Perché lo
jotunn è sempre lo jotunn. Adesso come dieci… undici anni fa.

Acque pacate e dolci risate finché non ci rincontreremo.



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