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Autore: Blueorchid31    14/11/2014    6 recensioni
Questa è una Os Sasuke centric. Raccoglie una serie di riflessioni post-guerra su tutta la sua vita aventi come filo conduttore i sette vizi capitali.(con un pizzichino di Sasusaku) Buona lettura. P.s. Questa è la mia fan n° 20... cifra tonda. Partecipante al contest "Guerra, sesso, invidia, peccato" indetto da 9dolina0 sul Forum di Efp
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Naruto Shippuuden, Dopo la serie
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Partecipante al Contest “Guerra, Sesso, Invidia, Peccato” indetto da 9dolina0 sul Forum di Efp



Nick Forum Efp : Sasuk8

Nick Efp : Blueorchid31

Pagina Beta: DoubleSkin http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=183862

Titolo : Aretè

Fandom : Naruto

Gruppo tematico e citazione : Peccato - “L'amore perdona tutto ciò che fa” Molière

Lunghezza : 3614 parole

Genere : Angst – Introspettivo

Rating : Arancione

Personaggi : Sasuke Uchiha

Avvertimenti : Spoiler

Introduzione : E' una one Sasuke- centric. Raccoglie delle riflessioni post- guerra su tutta la sua vita aventi come filo conduttore i sette vizi capitali.

Note dell'autore: Questo chiamasi “sbrocco mentale post fine di Naruto”.

La one è collocabile dopo il capitolo 699, ma molto prima del 700. Diciamo che potrebbe essere la notte prima della partenza di Sasuke. All'inizio avevo scelto un'altra citazione, un altro ambito, poi questa “roba” ha iniziato a prendere forma e ho stravolto tutti i piani. La citazione è di Molière “ L'amore perdona tutto ciò che fa”, invece, sul titolo bisogna aprire una parentesi.

Areté...

Scrivendo Entelechia ho rispolverato Aristotele e di conseguenza la filosofia greca (dato che mi ci trovavo perché no?) quindi, quando ho deciso di impostare questa riflessione di Sasuke sui sette vizi capitali, ho pensato al loro opposto, la virtù. Per il saggio Aristotele, infatti, “vestire l'abito” del virtuoso consiste nel comportarsi idoneamente, nel mezzo (“In medio stat virtus”), tra le virtù etiche e i vizi a cui si contrappongono. In piccole parole povere, bisogna vivere in equilibrio. Sasuke non diventerà mai un Santo, avrà sempre le sue tendenze psicotiche e i suoi vizi, ma adesso, come adesso, ha la possibilità di vivere in “ quel mezzo”, vestendo dei panni nuovi.

Spero di essere stata abbastanza chiara... come sempre nella mia mente fila tutto, ma tra il dire e il fare, c'è di mezzo Sasuke Uchiha, quindi diventa tutto alquanto contorto.

Per l'occasione, come avrete sicuramente notato nel frontespizio, mi sono avvalsa di una Beta che ringrazio tantissimo... Grazie Skin! :-)

Buona lettura.













Aretè







La nebbia lisergica si dissolse, riattivando i suoi sensi. L'udito captò il ciarlare rumoroso all'esterno; la vista, ancora un po' appannata, si perse nel soffitto di stoffa grezza; la pelle ritrovò in quelle lenzuola pulite e profumate un benessere che neanche più ricordava.

I calmanti gli avevano donato un insperato riposo fatto di sogni acidi, confusi.

Rimase immobile, sentendo un'improvvisa inerzia avvolgerlo.

Non aveva fretta di alzarsi: nessuna guerra da combattere, né vendette da soddisfare.

Un'accidia latente si era impossessata di lui, rendendolo un corpo vuoto, incompleto e amareggiato.

Quali sarebbero stati i suoi progetti per il futuro?

Futuro...

Non era diventato la personificazione dell'oscurità, né l'unico nemico da combattere.

Era uno storpio, steso su una branda di una tenda medica.

"No, non é andata proprio come previsto" pensò, assottigliando gli occhi in uno sguardo cupo e stanco.

Sentiva di non avere forze, desideri; provava disgusto per se stesso e per quel moncherino che era la prova inconfutabile della sua sconfitta.

Eppure era davvero convinto che sarebbe stato meglio per tutti, che identificando in lui il male, il mondo ninja avrebbe vissuto in pace.

Non era forse quello che voleva Itachi?

Aveva elaborato la sua visione, facendo tesoro degli errori compiuti dal suo stesso fratello e dai Kage del passato. In fondo loro non erano riusciti, nonostante i sacrifici, a evitare che l'odio perdurasse ed esplodesse poi in quella guerra.

Erano stati degli inetti.

Un unico potente nemico, un male supremo, divino, sarebbe riuscito a incutere terrore e imporre la propria legge. Avrebbe pensato lui a tutto... Sarebbe stato giudice ed esecutore delle pene, si sarebbe sporcato le mani del sangue di coloro che avessero attentato alla pace.

Solo lui... da solo... contro tutti.

Lo avrebbero temuto, rispettosamente odiato. Non sarebbe più stato considerato come l'ultimo degli Uchiha, l'orfano dei traditori di Konoha, ma come quella legge che nessuno era ancora stato in grado di imporre.

Ma no... Naruto si era messo in mezzo, aveva voluto farlo ragionare, portandolo a delle conclusioni che andavano oltre l'avarizia di sentimenti nella quale si era da sempre rifugiato.

Aveva centellinato l'affetto, a volte negandolo completamente.

Piccole infinitesimali stille di quell'umanità che lo rendeva debole, un bersaglio troppo facile da colpire.

Ne aveva colto il significato durante l'esame dei chunin, nella foresta della morte, quando aveva perso totalmente il controllo; successivamente affrontando Gaara e infine quando aveva cercato di catturare Killer Bee.

Fu quest'ultimo episodio a convincerlo definitivamente della debolezza insita nei legami: aveva fallito la missione, la prima come componente dell'Akatsuki, per salvare un suo compagno di squadra - un ultimo strascico di quel senso di partecipazione e di solidarietà reciproca della vita in Team.

Si era poi ripromesso di non commettere più lo stesso errore e lo aveva dimostrato trafiggendo Karin per uccidere Danzo. In quel momento aveva un unico obbiettivo ed era così chiaro, nitido e invitante da consentire alla più cieca ira di appropriarsi di ogni singola cellula del suo corpo, prevaricando quel poco di buono che vi era rimasto.

La sentiva scorrere nelle sue vene, gli suggeriva le battute adatte a quella scena che aveva sognato di girare tante volte dalla morte di Itachi.

Era finalmente diventato un vendicatore, un essere senza cuore, né sentimenti, disposto a togliere la vita ai propri compagni pur di perseguire il suo scopo.

Si era sentito stranamente orgoglioso di se stesso. Non poteva ambire ad altro, aveva perso tutto, quindi trovava appagante sentirsi qualcuno. Godeva nel sentire il potere dell'oscurità, lontano dal buonismo forzato della vita dei ninja di Konoha.

Non combatteva più per qualcun altro, ma per se stesso.

Con quello stato d'animo avrebbe potuto davvero dichiarare guerra a tutto il mondo e in un certo senso lo aveva fatto. Sulla scia di quel senso di onnipotenza, aveva tentato di uccidere Sakura, la povera noiosa Sakura, che con un impensabile slancio di coraggio si era presentata davanti ai suoi occhi con l'intenzione di prenderlo in giro e addirittura ucciderlo.

Tsk”

Lei era cosciente quanto lui che non ci sarebbe mai riuscita: i suoi sentimenti e le sue motivazioni non erano minimamente comparabili con quelli che provava lui.

L'odio era sempre stato più forte dell'amore, o quantomeno rendeva di più.

Quali soddisfazioni aveva avuto dall'amore? Nessuna.

Quali dall'odio? Molte.

Allora perché il resto dell'umanità non riusciva a comprendere che era l'odio a far muovere il mondo? Che persone come Naruto, non avrebbero avuto senso di esistere senza un'antagonista.

Se non fosse arrivato Kakashi, probabilmente l'avrebbe uccisa.

Odiava anche lei. La sua debolezza, la sincerità che leggeva nei suoi occhi, la purezza dei sentimenti che non riusciva a comprendere.

Perché lei lo amava? Cosa c'era in lui che a lei potesse piacere?

Nell'unico istante nel quale aveva provato un minimo di amor proprio per se stesso, che si piaceva, per così dire, lei era comparsa a ricordargli quanto facesse schifo, quanto il suo comportamento lo rendesse inviso a tutti.

Aveva provato un malsano divertimento nel torturarla, mettendo alla prova questo “Amore” di cui si riempiva la bocca. Le aveva offerto una possibilità, ma lei non se l'era giocata al meglio. Il suo tentennamento le era stato fatale, perché Sakura rimaneva fondamentalmente una persona buona.

E lui odiava le persone buone. Lo facevano sentire così... inappropriato.

Erano tutti laureati nella stessa università del bene. Tutti sapevano cosa stava passando, cosa provava, erano pronti ad abbracciarlo, donargli affetto, aiutarlo a uscire da quel baratro in cui era caduto.

Ma lui non era caduto per caso. Ci si era lanciato di sua spontanea volontà e dopo i primi, flebili, rimorsi di coscienza, aveva trovato quel luogo estremamente confortevole.

Era se stesso. Oscuro, vendicativo, folle.

Non doveva più mostrare timore reverenziale verso nessuno, neanche al suo maestro che per l'occasione e per fargli capire l'antifona, aveva chiamato semplicemente con il suo nome: “Kakashi”.

Avrebbe colpito Sakura alle spalle? Oh sì, lo avrebbe fatto. Dopotutto in amore e in guerra tutto era lecito e colpire con un chidori alla schiena la tua ex compagna di Team sarebbe stato niente a confronto delle stragi che aveva intenzione di compiere.

Era un nukenin e per quelli della sua razza non valevano le stesse regole degli altri. Un colpo alle spalle sarebbe stato più che lecito... da manuale.

La vittima colta alla sprovvista, non avrebbe avuto via di scampo. Breve, pulito e indolore.

Kakashi non poteva credere ai suoi occhi: il suo pupillo, il ragazzo a cui aveva insegnato la sua tecnica segreta, stava per utilizzarla contro una sua compagna.

Come se lui non avesse avuto scheletri nell'armadio.

Trovandosi nella medesima situazione, non aveva fatto lo stesso? Non si era sporcato le mani del sangue della sua compagna di Team? Ok, le situazioni erano diverse, ma il reato, in fondo, era pur sempre lo stesso. Kakashi l'aveva uccisa per il bene comune, lui per l'unico bene che adesso contava sul serio... il suo.

Quegli occhi colmi di lacrime e incertezze, lo avevano fatto davvero incazzare.

Cosa aveva intenzione di ottenere? Voleva redimerlo forse? Non ci sarebbe riuscito neanche suo fratello in quel momento, figuriamoci lei con i suoi noiosi sogni romantici.

Non c'era nulla di romantico nella vita. Era una guerra totale, tutti contro tutti, in cui gli unici legami utili sono le alleanze che consentono di ottenere la vittoria.

"Homo homini lupus"

Quella era la verità. Non si era mai avvicinato a un altro essere umano solo per amore naturale. Aveva seguito Orochimaru per il potere; si era adeguato alla presenza dei suoi compagni del Team 7 per diventare chunin e con il team Taka, la storia si era ripetuta. Aveva stretto quei legami per necessità, non per volere.

Ogni essere rappresentava un potenziale pericolo, un attentato alla pace, perché l'indole umana è fondamentalmente egoista. Si persegue uno scopo, nobile o turpe che sia e in virtù di questo si utilizzano gli altri come mezzi.

Era quindi plausibile lo sdegno che potesse provare per quel sistema che aveva mietuto solo vittime, mantenendo i carnefici sempre sopra un piedistallo.

Lui avrebbe rivoluzionato tutto, facendoli diventare vittime, esempi plateali di quella corruzione che lui voleva abolire. Nessuna gerarchia, nessuna tavola di leggi da seguire, un'unica regola, quella dettata da lui.

Chi meglio di lui avrebbe potuto giudicare e punire?

Aveva provato il dolore della perdita, dell'abbandono, ormai sapeva discernere il bene dal male perché era stato entrambe le cose.

Se solo Naruto lo avesse lasciato fare.

Un incontrollabile moto di rabbia gli fece stringere il lembo delle lenzuola con l'unica mano che aveva a disposizione.

Per quanto avesse tentato di fuggirli, i legami lo avevano sempre rincorso e... trovato.

Il desiderio di voler affermare non solo a parole, ma anche a fatti, al suo primo e unico amico, che il suo progetto fosse realmente attuabile e si basasse su convinzioni concrete, lo aveva spinto a volerlo affrontare.

Era sicuro di vincere, certo che lo avrebbe ucciso - il suo cuore avrebbe sopportato anche quel peso.

Ma, man mano che la battaglia procedeva, la voglia di tranciare quel rapporto, aveva iniziato a scemare sempre di più. La superbia aveva lasciato il posto all'umiltà di colui che si rende improvvisamente conto di non essere in grado di fare niente da solo, di aver bisogno degli altri, come tutto il resto dell'umanità.

Come aveva potuto credere di essere speciale?

Naruto aveva risvegliato in lui il bisogno di sentirsi parte di qualcosa.

L'aveva sempre compreso più di tutti gli altri idioti del Villaggio, perché come lui aveva provato l'ottenebrante stretta della solitudine, del rifiuto. Erano dei reietti ma, mentre l'Usurantonkachi aveva trovato un modo per farsi accettare e amare, lui era sempre stato solo in grado di farsi odiare.

Provava invidia. Un sentimento che non era riuscito subito a identificare, troppo convinto di se stesso per accettare una qualsivoglia inferiorità rispetto a un altro essere.

Lui, la bestia, il demone, era amato e rispettato, quasi venerato. Non c'era ninja su quel campo di battaglia che non avrebbe dato la vita per lui. Era diventato incredibilmente potente non solo nelle arti ninja, ma anche per l'opinione pubblica. La forza della sua luce era talmente abbagliante da metterlo in ombra. Eppure anche lui stava combattendo, stava salvando il mondo ninja; anche lui aveva dei poteri incredibili che la maggior parte di quei poveracci non si sarebbe mai sognata di avere.

Ma tutti guardavano Naruto, sostenevano Naruto.

Non era il protagonista, era una semplice spalla. Il sogno di diventare Hokage, con lui sulla sua strada, rischiava di naufragare.

Non aveva avuto altra scelta. Sapeva che lui non sarebbe mai stato d'accordo con il suo piano e francamente non aveva minimamente messo in conto di dargli un ruolo qualora lo avesse voluto, se non del primo martire della sua “nuova era”. Lui sarebbe stato il suo primo sacrificio, poi avrebbe pensato agli altri, sciogliendo lo Tsukuyomi Infinito e spiegando come sarebbero andate le cose da quel momento in poi.

Un leader, dal pugno di ferro e il cuore granitico.

Non avendo più altri legami, non avrebbe avuto alcun tipo di preferenza: davanti ai suoi occhi sarebbero stati tutti uguali e lui li avrebbe giudicati equamente, avendo eliminato anche l'ultima debolezza, relegata nella spoglie fredde del suo unico vero amico.

Invece aveva sorriso e pianto quando il suo cuore aveva ricominciato a battere in un modo che non credeva fosse più possibile. Aveva rivisitato con la mente tutti i ricordi, belli e brutti, riuscendo a trovare in essi un unico filo conduttore che era alla base di tutta la sua triste storia: aveva sempre avuto bisogno di amore.

Fermamente convinto che la vita fosse fatta solo di sofferenza e odio, aveva sottovalutato la possibilità che esistesse ancora del buono in lui e negli altri.

Naruto era riuscito a fargli capire che c'era ancora una speranza e non perché oramai non erano più in grado di combattere e dimostrare la loro superiorità. Lui aveva già perso ancor prima di iniziare e forse era stata proprio quella consapevolezza a fargli ricercare lo scontro.

Voleva essere salvato.

Inconsciamente desiderava trovare anche lui quella speranza, avere qualcuno con cui condividere il proprio male di vivere, che portasse una parte del peso che soffocava il suo cuore e scoprire che Naruto lo avesse sempre fatto non fu poi una grande novità.

Era stato volutamente cieco. Si era cullato sul suo essere diverso, pensando di non essere accettato, quando l'unico a non accettarsi era lui.

Buongiorno Sasuke-kun”

La materializzazione del suo senso di colpa entrò nella tenda.

La guardò avvicinarsi al suo letto e desiderò ardentemente di riuscire a non pensare a quelle pulsioni che lo tenevano sveglio la notte e che tentava di combattere con quel poco di buon senso che quella faccenda dei legami ritrovati non gli aveva annebbiato.

Desiderava toccare con mano quell'amore incondizionato che lei gli aveva sempre riservato, tastare la morbidezza di quella promessa di felicità fatta in quella notte di luna piena, suggere dalle sue labbra quelle parole ripetute tra le lacrime poco prima di venire trafitta al petto.

Il bisogno di cedere alla lussuria, di perdere se stesso in estenuanti e dolci torture che avrebbe voluto infliggerle, era diventato un'ossessione che lo stava consumando; prosciugava le sue forze e lo rendeva più inerme di quanto già non lo fosse.

Si rinchiudeva nel suo piccolo mondo silenzioso, celava il suo vizioso sguardo dietro quella maschera di impassibilità che era solito indossare, attendendo quel breve momento in cui una medicazione o un semplice controllo di routine la costringesse ad avvicinarsi a lui.

Nell'oblio onirico in cui sovente cadeva, le sue labbra avevano la saporosità delle fragole, le prime, quelle di aprile, che allappano appena prima di donare la dolcezza del loro cuore. Si svegliava con quell'idea di sapore e la cercava con la lingua sul palato, sperando che fosse reale. La salivazione aumentava tanto da costringerlo a deglutire più volte. Ma non vi era mai nulla di dolce in quel liquido vischioso; era scialbo, a tratti amaro, proprio come il suo essere.

Aveva offuscato i suoi sensi, abituando il gusto al sapore della vendetta, l'olfatto all'odore del sangue, la vista a non scorgere altro colore che il rosso dello sharingan, il tatto a riconoscere solo l'impugnatura della catana e l'udito ad ascoltare le urla degli avversari caduti per sua mano.

Desiderava cancellare quella sciocca imposizione dovuta a anni di solitudine e dolore in cui l'unica ragione di vita era stata la vendetta.

Voleva vedere il mondo con occhi nuovi.

Voleva sentire la morbida pelle di una donna tremare sotto il palmo della sua mano.

Voleva udire risate di bambini felici.

Voleva riempirsi i polmoni del profumo degli alberi di ciliegio durante l'Hanami.

Voleva assaporare una fragola e soddisfare la sua gola.

Quei desideri inespressi sarebbero stati forse il motore della sua rinascita, l'inizio dell'espiazione delle sue colpe e dei suoi peccati.

Chiedere scusa, pronunciare un contrito “mi dispiace”, non sempre basta per ottenere un perdono incondizionato.

E questo lui lo sapeva bene.

Quando l'urgenza di rendere giustizia a suo fratello aveva assunto connotazioni ossessive, non si sarebbe fermato davanti alle scuse di nessuno - anche perché nessuno si era preso il disturbo di fargliele.

Il suo ego non era particolarmente incline al perdono e quotidianamente si stupiva di come invece fosse una cosa naturale per tutti gli altri. Era stato riaccolto a Konoha, non senza riserve, ma nessuno sembrava portargli rancore... nemmeno lei.

Lei, che con i suoi gesti imbarazzati, tentava di farlo sentire a suo agio; che si prendeva cura di lui, gli raccontava le sue giornate, di quello che aveva fatto in quegli anni in cui lui era mancato.

Era ancora legata a quel passato che avevano condiviso per così poco, stando ben attenta dal proferire parole come “futuro” o “domani”.

Sarebbe stato troppo facile se lei avesse dimenticato e rimosso tutto quello che lui aveva significato in quegli anni; se quella sofferenza che le leggeva negli occhi, ogni qual volta si posavano su di lui, potesse svanire come una bolla di sapone.

Aveva peccato di superbia, pensando che lei gli fosse inferiore, che amasse umiliarsi, quando in realtà chi faceva davvero pena era solo lui.

L'avarizia lo aveva spinto a tenere per sé quel poco di umanità che gli era rimasta, quando avrebbe potuto donarla a lei - e lei non l'avrebbe sprecata.

Aveva provato invidia nello scoprire che il rapporto tra lei e Naruto con il tempo si fosse cementato, fosse cresciuto - la loro vita era andata avanti anche senza di lui.

Le aveva puntato un kunai alla gola spinto da quella furia cieca di chi è cosciente di percorrere una strada sbagliata - ma è troppo orgoglioso per ammetterlo.

E l'accidia, che fino a quel momento lo aveva esonerato dal compiere gli unici due peccati di cui non si era ancora macchiato, stava combattendo con il suo bisogno di sentire.

Alzò lo sguardo, a fatica, temendo di riuscire a provare qualcosa.

Lei ciarlava come sempre del più e del meno, ma riuscì ad ascoltarla. Udì la sua voce cristallina, un po' agitata. Era sempre agitata al suo cospetto.

Gli stava raccontando che Naruto si era finalmente dichiarato a Hinata e la scena era stata così ridicola, ma allo stesso tempo dolce, che non sapeva se ridere o piangere.

Ebbe come l'impressione di udirla quella risata. Limpida come quella di quando era bambina.

Mentre parlava, armeggiava con delle fasce e vari medicamenti posati su un vassoio d'acciaio, senza sapere bene cosa fare.

Guardò le sue mani, piccole e affusolate, ma capaci di abbattere una montagna intera senza scalfirsi. Proseguì titubante lungo il polso gracile, l'avambraccio e infine le spalle. Si soffermò appena sulle labbra per poi incontrare i suoi occhi carichi di imbarazzo, attesa, sofferenza e di quell'affetto incondizionato che sapeva di non meritare. Ma li vide... prima che lei li nascondesse dietro un ciuffo di capelli fatto scivolare volutamente davanti al viso.

I suoi sensi ad uno ad uno, si stavano risvegliando dal torpore, facendo nascere in lui una sorta di frenesia che lo aveva spinto ad allungare una mano per afferrarle il polso e costringerla ad avvicinarsi ancora un po'.

Il suo sguardo tradiva la sorpresa e la paura per quel gesto inaspettato, così come il suo corpo che aveva iniziato a tremare.

Quale battaglia interiore stava combattendo per difendersi da lui?

Seguì lo stesso percorso che poco prima aveva visitato con lo sguardo, saggiando la morbidezza della sua pelle rosea con i polpastrelli. Arrivato a stento al collo, data l'impossibilità di fare leva con l'altro braccio, l'aveva arpionato, costringendola ad abbassarsi verso di lui. E lei, come un automa, aveva ubbidito. I suoi occhi ora erano ermeticamente chiusi: sigilli per quelle lacrime che si addossavano alla palpebra inferiore, cercando un varco. Una, più perseverante delle altre, era riuscita nell'intento e aveva iniziato il suo solitario viaggio lungo la guancia.

L'aveva raccolta con le labbra. Era salata.

La vide stringere ancora di più gli occhi e corrugare la fronte. Aveva paura di lui, paura di quello che stava facendo, perché lei sentiva da sempre e conosceva quali conseguenze devastanti potessero scaturirne.

Non voglio farti del male” le aveva sussurrato, recuperando anche il dono della parola che in quei giorni aveva perduto.

Con timore aveva socchiuso leggermente le iridi, assumendo una posa dolce, come era nella sua natura.

Aveva preso ad accarezzarle il viso con il pollice, in una scena che aveva dell'ironico, in quanto per una volta era lui che tentava di rassicurare lei, mentre si metteva seduta sulla branda, martoriandosi le mani.

Aveva aspettato, atteso un suo cenno e per uno come lui che aveva fatto dell'impazienza uno stile di vita, erano stati attimi della durata di un'eternità, in cui il timore di fare qualcosa di sbagliato gli attanagliava lo stomaco e gli toglieva quella padronanza di spirito che non aveva mai creduto di poter perdere.

Ma l'amore perdona tutto ciò che fa e quello che lui stava per compiere era un gesto di amore; di quel perduto, ormai sconosciuto sentimento, che aveva sempre bramato. Lo stava elemosinando come un mendicante e come il diavolo che era, non desiderava più solo perdersi nella lussuria o soddisfare la sua gola, voleva la sua anima.

Aveva bisogno di toccarla, di vedere la sua luce e farsi avvolgere dal suo calore per trovare di nuovo una collocazione in quel pazzo mondo.

In virtù di quell'amore lui e Naruto si erano scontrati; era stato sempre quell'amore a far accettare ai suoi genitori di venire uccisi dal loro figlio e non era stato forse l'amore a spingere Itachi a farsi odiare?

Ma ognuno di loro, ogni personaggio di quella triste storia che era stata la sua vita, aveva trovato sempre in quel sentimento, il perdono.

Perché nella vita è lecito compiere delle scelte sbagliate, anzi è necessario sbagliare, soprattutto per amore, ma si deve fare tesoro dei propri errori e cercare il perdono delle persone davvero importanti che, amandoti, te lo concederanno.

Da quel momento avrebbe vestito abiti diversi, cercando di non ricadere nel peccato. Il suo nuovo obbiettivo sarebbe stato: conoscere la virtù, in ogni sua forma. E la donna che adesso aveva incatenato i suoi occhi in uno sguardo strabordante di comprensione, sarebbe stata il suo punto di partenza e di arrivo.

La sua espiazione sarebbe iniziata e finita con lei.

Le stava promettendo amore... incondizionato, puro, eterno. Sperava che lei non lo rifiutasse e che lo perdonasse per quello che da lì a poco avrebbe fatto.

La baciò.

Finalmente riuscì ad assaporare il gusto delle fragole.



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