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Autore: hp_in_my_heart    14/11/2014    2 recensioni
Buonasera a tutti! Eccomi qua con l'ennesima storia, song-fic originale. Sulle note di "Non capiva che l'amavo" di Paolo Meneguzzi, complice un professore universitario in ritardo, una ragazza ripensa al suo migliore amico del liceo...
[Questa storia partecipa al "Nuovo esame" contest indetto da _Aras_ sul forum di EFP.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~In my sad mind.


Autore: hp_in_my_heart
Titolo:
Genere: malinconico, sentimentale, introspettivo
Rating: giallo
NDA: dunque, anche stavolta sono riuscita a consegnare qualcosa. Solo due parole: l'ho scritta tempo fa e poi non l'ho mai pubblicata. Parla di una ragazza che si è innamorata del suo migliore amico. Si sono conosciuti al liceo, poi però, dopo la maturità, si sono persi. Lei ha iniziato l'università, ma un giorno ripensa al suo vecchio amico...

 


Quarto d'ora accademico, aula di glottologia. Questa era l'ambientazione ufficiale; senonché, come spesso succedeva, la mia mente di ragazza ventunenne era spesso altrove. A malapena mi accorsi del fatto che l'aula era piena per metà- gli studenti sapevano che il professore faceva sempre tardi e si erano organizzati- quando, di solito, era addirittura troppo piccola per tutti gli studenti che doveva contenere.
I miei pensieri, dolorosi e talvolta anche violenti, mi spinsero a tirare fuori di furia il cellulare al quale erano attaccate le cuffie. Il mio vicino di banco, che mi conosceva abbastanza bene, si stupì di quel gesto; agire di furia o spinta dalla rabbia non era il mio comportamento normale. Tuttavia, si limitò a lanciarmi un'occhiata curiosa, della quale mi accorsi a malapena; il dolore estremo che in quel momento provavo mi spingeva a cercare conforto nella musica, tralasciando tutto il resto. Per questo non mi resi conto del cicaleccio dei miri amici, seduti intorno a me; del resto, non mi sarei accorta di niente nemmeno se un terremoto avesse distrutto l'edificio.
Con un flebile sospro di sollievo sbloccai il telefono e cercai l'elenco”tutte le canzoni”. Premetti il tasto “canzoni casuali” e il brano partì.

Qui seduto sul letto ripenso a noi
a quei giorni che il tempo ha portato via
quante sere passate allo stesso ber
con gli amici che adesso non vedo più

Qui seduta nell'aula di glottologia, corressi mentalmente. Ok, la mia sensibilit era ridotta al minimo dal dolore, ma ero ancora capace di capire dove mi trovavo. E no, non passavamo serate allo stesso bar. Era un'amicizia strana, la nostra. In classe facevamo tanto gli amiconi e tutti si erano accorti di questo atteggiamento; una volta suonata la campanella, però, ognuno andava per la sua strada e non ci rivedevamo fino al giorno seguente. Talvolta, ci sentivamo su Facebook e quelle occasioni, sebbene lui le usasse per rimproverarmi, erano per me indimenticabili. Era passato più di un anno, ma lo ricordavo perfettamente.

Il suo sguardo era luce negli occhi miei,
la sua voce era un suono dolcissimo,
quante volte ho pensato di dirglielo,
quante volte ho creduto di farcela

Dovevo ammetterlo, però: il suo fascino non mi restava indifferente. Sebbene non fosse proprio bellissimo, in verità- il classico ragazzo dai capelli neri e gli occhi castani, bassino e non troppo palestrato,- ultimamente lo guardavo in un altro modo. Non sapevo esattamente il perchè, ma così era. Dovevo solo accettarlo e soffrire in silenzio.
Lui era fidanzato con un'altra e non avrebbe mai potuto amare me. Per quanto, in determinate occasioni agiva in un certo modo che me lo faceva sperare. Avevo provato a parlargliene tantissime volte, ma le parole mi rimanevano sempre incastrate in gola.

Ore in macchina a parlare sotto casa sua
si rideva, si scherzava e non capiva che

Avevamo riso e scherzato a sufficienza, ma non ero mai stata a casa sua, né lui da me. Questo, però, non significava che non avevamo condiviso altri momenti: le chiacchierate quando eravamo compagni di banco; il disegno con dedica che lui mi faceva sul diario, alle pagine dei giorni importanti; le scorrerie al piano di sotto durante la ricreazione per andare a trovare la sua ragazza, nei tempi in cui ancora non ne soffrivo; e soprattutto, i momenti passati a Barcellona, durante la stramaledetta gita dell'ultimo anno. In quella circostanza potevo toccare la sua pelle morbida e liscia come seta. Se l'avessi saput prima, non ci sarei andata. E' stato allora che mi sono innamorata di lui.

Non capiva che l'amavo
e ogni volta che non c'era io morivo
quante notti ho pianto senza dire niente perchè, perchè, perchè...

Non credo che avesse capito cosa provavo per lui. Io però ero estremamente empatica nei suoi confronti e capivo quasi sempre quando soffriva, o era lui stesso a rivelarmelo.
Questo mi portò a soffrire con lui, quando perse il nonno. Non ero ancora innamorata di lui, che era già fidanzato, ma eravamo abbastanza amici perchè mi raccontasse quanto sentisse la sua mancanza di quell'anziano signore dal nome poco comune che l'aveva cresciuto. Capivo quel genere di dolore, ci ero passata anch'io, molto prima di lui; credo che questo mi abbia aiutato a confortarlo, sebbene lui non mi abbia mai ringraziato.

 Non capiva che l'amavo
e ogni volta che non c'era io impazzivo
quante notti ho pianto senza fare niente
e mi nascondevo all'ombra di un sorriso
non capiva che l'amavo...

Quando non c'era io non sapevo mai con chi passare il tempo, un po' perchè buona parte della classe mi odiava per ragioni a me ignote, un po' perchè la mia timidezza mi spingeva a stare in un angolo guardando gli altri divertirsi, se non c'era qualcuno che mi spingeva a unirmi al gruppo. Di solito questo compito toccava a lui, perciò quando non c'era diventavo un paria, un'intoccabile. Forse, ero io a fomentare la situazione col mio atteggiamento più chiuso in sua assenza, ma ormai l'andazzo era quello e non lo potevo cambiare.
Tuttavia, nessuno poté dire che non sorridevo, sia quando lui c'era sia quando non c'era. Con gli altri, il sorriso era uno scudo dietro cui mi ritiravo, spesso senza dire una parola, o facendo solo qualche commento. Con lui, il sorriso era spesso l'inizio, il durante e la fine delle nostre lunghissime ed esclusive chiacchierate; quando me ne innamorai, divenne l'unico mezzo che avessi per sviarlo. Lui sapeva che non sorridevo mai, mentre parlavo dei ragazzi che mi erano piaciuti in passato.

Il ricordo è una lama nell'anima
un dolore che brucia senza pietà
il suo nome vivrà per l'eternità
come un segno profondo, indelebile

Il ricordo faceva male ancora adesso. Inoltre, mi causava la sensazione di avere un buco al posto del cuore,, i cui bordi, ogni volta che si allargavano, bruciavano maledettamente. A dire il vero, il buco si allargava piuttosto spesso, ancora di più da quando l'ho perso, anche perchè non lo vedo da molti mesi.
Niente aveva deciso che ci dovessimo separare una volta finita la scuola, se non la sua ragazza che era gelosissima di me. La consapevolezza che lui non mi abbia più cercata dal giorno della maturità non fa altro che raddoppiare il mio dolore. Purtroppo, ben difficilmente avrei potuto liberarmi delle cicatrici che affliggevano il mio cuore. Non gli avevo mai detto che lo consideravo il mio migliore amico, figuriamoci dirgli che l'amavo.
In questo modo, però, lo avevo privato della possibilità di scegliere, o almeno di spiegarsi per i suoi comportamenti ambigui e il rimorso aggiungeva dolore al dolore.

Ore e ore, soffocare tutto dentro me
mi parlava, mi guardava e non capiva che...

Non era mai riuscito a capire che l'amavo. Io non gli avevo mai detto nulla e quasi speravo che i nostri compagni facessero la spia; ma, per quanto ne so, nessuno gli spiegò mai nulla.
Passavo la maggior parte del tempo a nascondere ai miei compagni questo sentimento, peraltro senza troppo successo.
Io non ne parlavo con nessuno, ma forse qualcuno aveva decifrato qualcosa dai miei comportamenti. Anzi, a dire il vero dai nostri comportamenti; durante la gita, in parecchi vennero a dirmi che lui era strano nei miei confronti, e che forse c'era qualcosa sotto.

Non capiva che l'amavo
e ogni volta che  soffriva io soffrivo
quante notti ho pianto senza dire niente
perchè, perchè, perchè

Soffrivo insieme a lui e per lui, sempre. Solo Dio sa quanti notti ho passato insonne, sdraiata sul letto, piangendo. Non facevo rumore e quindi non se ne accorgeva nessuno. Dopo un po', ho perso il conto.
Il suo nome era E, lo sussurravo tutte le notti, tra i singhiozzi. Io sono R. e, evidentemente, non sono abbastanza per lui. Questa certezza non non faceva altro che allargare i margini del buco freddo che avevo nel cuore.
 
E ogni volta che non c'era io impazzivo,
quante volte ho fatto finta inutilmente
e mi nascondevo all'ombra di un sorriso


Quando non c'era era sempre una tortura e, quando la giornata finiva, io tiravo un sospiro di sollievo.
Era come una specie di follia che si impadroniva di me; per un abile osservatore non era difficile accorgersi delle differenze nel mio comportamento quando ero lontana da lui.
D'altronde, io non mi trattenevo, anzi lasciavo che la mia rabbia si manifestasse in improvvisi scoppi d'ira, che non riuscivo a trattenere, specie se le altre ragazze parlavano di lui in un modo che non mi piaceva, o continuavano a nominarmelo.
In breve, o avevano capito tutti.

E ogni volta che non c'era io impazzivo,
quante volte ho fatto finta inutilmente
e mi nascondevo all'ombra di un sorriso

Quando, alla fine, il professore fece il suo ingresso in aula io non me ne accorsi neppure. Alzai la testa solo quando la canzone terminò. Mi tolsi le cuffie e le rimisi in tasca col cellulare.
Mentre fissavo il docente senza vederlo davvero la mia mano destra sfiorava tatuaggio che ornava la parte interna del braccio sinistro, poco sopra il polso. Avanti e indietro, avanti e indietro. La mia mente era lontana mille miglia dai discorsi del professore. Lo sguardo mi cadde sugli altri segni che decoravano il mio braccio. Pensavo che, anche escludendo la zona del tatuaggio in cui campeggiava anche la sua iniziale, avei avuto spazio a sufficienza per far scorrere la lama.

  
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