Salve a tutti!
Finalmente ho di nuovo un po’ di seria ispirazione. Dopo
un po’ di tempo che non scrivevo altro che one-shot
(ultima delle quali era davvero vomitevole), ecco che
ho ritrovato l’ispirazione grazie a quella dolce donzella del mio amore Frecchan, che mi ha detto
una cosa che destò la mia attenzione mentre cercavo un argomento per una fan
fiction…
Ed ecco che ho deciso
di dedicarmi seriamente all’infanzia di Mello!^^ Vorrei
cercare di eguagliare il successo di Reliquae Rosae, ma non so se ci riuscirò! Adaralbion ovviamente cercherà di farmelo
sapere!U___U
Ah, un altro mio
obbiettivo importante: cercherò di creare una fan fiction talmente
drammatica che non la smetterete un attimo di piangere! Mi impegnerò con tutta
me stessa! In fondo si sa, il mio motto è “Sono lieta di rendervi emo.” *Kira lol*
Spero che mi direte
cosa ne pensiate di questo primo capitolo!^^
Un ultimo
ringraziamento anche a Elly_Mello
per i consigli! Spero che piaccia molto anche a lei questa mia nuova creazione!
Ah un
ultima cosa… Riuscirete a capire da che paese proviene Mello leggendo?XD La mi ammmora
lo sa già… La risposta probabilmente nel prossimo capitolo!
Chuuuu!<3
Lolly
Memories of
a Stolen Childhood
Capitolo 1: Vesper
Una donna era seduta per strada, su un gradino davanti
ad un vecchio appartamento. Come ogni giorno. Come ogni maledetto giorno.
Si chiese perché fosse partita per quel secondo folle
viaggio, dopo la lettera che aveva ricevuto quasi per caso. Perché si era
riempita di speranza in quel modo? Perché non aveva pensato subito che fosse
solo uno scherzo di qualche persona crudele?
Aveva meno di quando stava a Londra, e solo perché era
una stupida. Sì, si sentiva davvero una stupida…
Sospirò asciugandosi gli occhi stanchi di vivere con
un vecchio fazzoletto, prima di fissare di nuovo davanti a sé. I lampioni
iniziavano ad illuminarsi.
Pensò che forse sarebbe stato meglio suicidarsi che
continuare in quel modo. Non avrebbe mai trovato quello che cercava, era
inutile perseverare in quel modo.
Era talmente presa dal desiderio di trovarlo, che
riusciva a vederlo quasi. Davanti a lei, sul marciapiede passò una persona che
glielo ricordò. Si diede mentalmente della pazza isterica, ma troppo tardi,
quando ormai si era alzata in piedi e lo aveva chiamato.
“Ehi, lei! Ragazzo! Ragazzo, mi
scusi!”
Il giovane si voltò con aria stizzita, lasciandola
senza parole. La fissava dall’alto in basso con uno sguardo tagliente, troppo
duro in confronto alla persona che stava cercando. Arrossì di vergogna,
sentendosi una vera pezzente.
Avrebbe quasi potuto essere lui così a prima vista, lo
ammise. Aveva i capelli biondi, poteva avere l’età che lui avrebbe avuto in
quel momento, gli occhi chiari… Eppure no, era impossibile. Questo giovane
aveva una cicatrice che gli sfregiava il volto. Una bruttissima ustione, e la
sua pelle era arrossata e scabra, piena di crepe irregolari che non sarebbero
mai guarite.
“Cosa vuole, mi scusi?” chiese in un inglese perfetto,
segno evidente che si era sbagliata: non poteva essere straniero come lei.
“Niente, mi perdoni… Lei mi ha ricordato una persona,
mi scusi ancora… Non volevo disturbarla… Lei somiglia molto a prima vista ad
una persona che sto cercando, ma mi sono evidentemente sbagliata….”
“Ah… Non è niente, si figuri. Arrivederci.”
La donna si girò appena in tempo per non mostrare le
lacrime che cristalline avevano iniziato a solcarle le guance e si incamminò
dalla parte opposta a quella del giovane. Era solo una povera stupida donna che
si faceva troppe illusioni.
Pian piano però iniziò a ricordare. I suoi passi erano
lenti, e quegli avvenimenti passati scorrevano troppo velocemente.
Scoppiò a piangere sonoramente, e forse anche lui poté
udirla. Le parole le uscirono involontarie dalle labbra tra i singhiozzi
incontrollati.
“Potrò mai rivederti, Mihael?”
Era l’inizio dell’estate. Un
leggero venticello fresco spazzava le terre paludose nel vespro di quel paese
sfortunato. Un paese dove la gente non aveva speranza, dove tutti sembravano
affranti e tristi. Nel volto delle persone c’era sempre un aura
di desolazione, come se molto tempo addietro una qualche potenza magica e
nefasta avesse gettato un incantesimo su quei luoghi.
La gente se poteva scappava.
Se ne andava via,lontano, a cercare fortuna. Perché si
tenta sempre l’impossibile quando non si ha nulla da perdere. La gente senza
denaro cercava di racimolarne il più possibile facendo qualsiasi cosa solo per
pagare qualcuno che riuscisse a farli partire. Non importava lo Stato.
Qualsiasi posto al di fuori da lì.
Tutto era nato da questo
sogno utopico, per quella ragazza bionda, magrissima, dalla pelle pallida e i
tratti fragili. Aveva consumato sé stessa per quel desiderio di buona sorte. A
ventidue anni, e solo sciagura davanti a sé, poteva
ameno sperarla, quella felicità che sembrava fino a quel momento esserle stata
negata.
Non aveva mai avuto niente. Niente.
Dei genitori che l’avevano lasciata presto, quando ancora il loro paese faceva
parte di quell’enorme impero divoratore e avido chiamato nella loro lingua Сов́етский Со́юз, o più semplicemente Unione Sovietica.
No, non le rimaneva niente
per cui rimanere, lì dove era nata, in un piccolo paese rurale vicino a Baranavichy. Solo le sue cosiddette amiche, che poi non lo erano nemmeno tanto. Poteva definirle solo
compagne di lavoro, e nulla di più. Erano tutte quelle ragazze più o meno della
sua età che lei conosceva e che facevano il suo stesso mestiere per raggiungere
lo stesso medesimo obiettivo. E lei era certa che la odiassero dopo che aveva
annunciato loro che sarebbe partita per il Regno Unito. Perché lei era diversa
in un certo senso da tutte loro. Nel gruppetto che proveniva dal suo villaggio
per lavorare a Baranavichy era la sola…
Si ricordava bene le loro
parole velenose quando lo aveva scoperto suo malgrado, a soli diciotto anni.
“Non ce la farai mai da sola.”
“E’ meglio che ci pensi bene prima di tenerlo.”
“Stai facendo la scelta sbagliata.”
“Tante di noi hanno abortito, dovresti farlo anche tu.
Non riuscirai a mantenere entrambi, ed meglio fare una scelta del genere
adesso, che doverne fare di ben più crudeli tra qualche tempo.”
Ma non le era mai importato
di quelle voci moleste. Lei sapeva cosa stesse facendo, era sicura delle sue
scelte. Non potevano capire i suoi sentimenti.
Oltretutto, se c’era una cosa
a cui lei teneva nonostante tutto ciò che le era
capitato, era la sua Fede. I suoi genitori prima di lasciarla le avevano
insegnato a credere fermamente nei valori religiosi, e lei non aveva
dimenticato, come invece avevano fatto tutte le altre. Vi si era aggrappata a
quei valori, vi si era avvinghiata con tutte le sue forze per non soccombere
alla disperazione. Pochi ideali semplici a cui credeva fermamente: l’esistenza
di Dio, la salvezza delle Anime Pure, la vita dopo la morte. Dio avrebbe
ricompensato i meritevoli, ne era più che certa.
Non se l’era sentita proprio
di interrompere una vita prima ancora che questa venisse al mondo. Sapeva che
lo avrebbe rimpianto per il resto dei suoi giorni.
Lei non la vedeva come le
altre. Per lei quello doveva essere un Dono
di Dio. Era sicuramente così, e lei non poteva rifiutarlo.
Lo dette alla luce in una
fredda notte di dicembre, e si sentì la donna più felice del mondo ad aver
avuto la fortuna di un bambino così bello.
Purtroppo però per un certo
verso le terribili profezie delle altre ragazze si avverarono. Così non poteva
andare avanti. Lui cresceva e le servivano sempre più soldi.
Per questo si era prefissata
l’obiettivo di andarsene. Per questo ora si trovava rinchiusa nel doppio fondo
di una cassa che in teoria doveva trasportare carbone dentro un camion.
Era soffocante. Gliel’avevano
detto, quei tipi loschi che era riuscita a contattare grazie alla sua clientela, che non sarebbe stata la
prima classe. Anzi, il viaggio sarebbe stato massacrante. Una cosa in particolare
l’aveva fatta rabbrividire fin nelle ossa: avevano subito messo in chiaro che
il viaggio sarebbe stato talmente stremante che si sarebbe potuta escludere
l’eventuale morte di uno dei due, se non avessero preso con loro abbastanza
acqua e cibo. Questa cosa l’aveva spaventata, lei non avrebbe potuto vivere
senza quel bambino, la sua unica ragione di esistenza. Eppure alla fine aveva
accettato grazie alla forza della disperazione.
Ed in quel momento aspettava
la fine di quell’odissea, mentre fuori era sera e lei non poteva saperlo,
rinchiusa lì dentro con suo figlio che dormiva sdraiato sul suo petto.
Gli accarezzava i capelli
biondi e lunghi ormai intrisi di sudore, e lo baciava di tanto in tanto, per
fargli sentire che lei era lì con lui. Di tanto in tanto la sua mano
giocherellava con il rosario che il bambino aveva al collo senza che lui se ne
accorgesse. Era stata lei a regalarglielo tempo prima. In fondo non era sempre
stato il suo angelo? Sì, lo era, infatti proprio con
il nome di un angelo lo aveva chiamato.
Ad un certo punto lo sentì
muoversi. Lo avvertì alzare il capo che stava fino a poco prima appoggiato sul
suo seno, e il suono di uno sbadiglio. Faceva buio pesto in quella maledetta
cassa.
“Mamma…”
“Sono qui, Mihael. Non preoccuparti.”
Lo strinse forte tra le
braccia. Il suo cuore batteva forte.
Aveva male dappertutto dopo
tutto quel tempo passato nella medesima posizione. Sentiva che sia lei che Mihael erano allo stremo, e pregò dentro di sé perché la
metà del viaggio fosse stata superata da un pezzo.
“Non ce la faccio più, mamma…
Fa troppo caldo, ho sete, e mi fanno male le gambe…”
“Vedrai che tra poco saremo
arrivati, me lo sento. Aspetta, prova a muoverti, a sgranchirti un po’, magari
ti senti meglio…”
Detto fatto, lo girò a pancia
in su, e lui stiracchiò le gambe tanto da far scricchiolare
le sue piccole ginocchia ossute.
“Tieni, finisci l’acqua.”
La donna aveva afferrato a tentoni l’ultima bottiglietta d’acqua che era rimasta e la
accostò sulle labbra di Mihael per farlo bere. Non
avrebbero avuto più acqua da quel momento in poi…
“Vedrai che andrà tutto bene…
Arriveremo in Inghilterra, e lì incontreremo quel signor Vasilij
di cui parlavano i signori che ci hanno fatto partire. Lui ha un appartamento
tutto per noi, e sa del nostro arrivo. Devi solo resistere ancora un po’, ti prego, fatti forza…”
“Te lo prometto, sarò
bravissimo.”
“Bravo, angioletto mio. Ora dammi un bacio.”
Il piccolo alzò la testa e
diede un bacio sul mento della donna.
Entrambi chiusero gli occhi
per addormentarsi in quel buio che li avvolgeva. Lei prima di inoltrarsi nel
dolce mondo dei sogni, pregò intensamente per suo figlio, perché davvero,
almeno per lui, Londra avesse potuto essere una terra felice.