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Autore: RedLolly    27/10/2008    13 recensioni
In una buia sera, una donna ormai stanca di vivere pronuncia per l'ennesima e forse ultima volta il nome "Mihael". Un'ondata di dolorosi ricordi la travolge, rivelando poco a poco l'infazia di quella persona ormai per molti identificabile solo con lo pseudonimo "Mello". [Nuova fanfiction di Lolly, sulla scia di Reliquae Rosae]
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, Matt, Mello
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Salve a tutti

 

Salve a tutti! Finalmente ho di nuovo un po’ di seria ispirazione. Dopo un po’ di tempo che non scrivevo altro che one-shot (ultima delle quali era davvero vomitevole), ecco che ho ritrovato l’ispirazione grazie a quella dolce donzella del mio amore Frecchan, che mi ha detto una cosa che destò la mia attenzione mentre cercavo un argomento per una fan fiction…

Ed ecco che ho deciso di dedicarmi seriamente all’infanzia di Mello!^^ Vorrei cercare di eguagliare il successo di Reliquae Rosae, ma non so se ci riuscirò! Adaralbion ovviamente cercherà di farmelo sapere!U___U

Ah, un altro mio obbiettivo importante: cercherò di creare una fan fiction talmente drammatica che non la smetterete un attimo di piangere! Mi impegnerò con tutta me stessa! In fondo si sa, il mio motto è “Sono lieta di rendervi emo.” *Kira lol*

Spero che mi direte cosa ne pensiate di questo primo capitolo!^^

Un ultimo ringraziamento anche a Elly_Mello per i consigli! Spero che piaccia molto anche a lei questa mia nuova creazione!

Ah un ultima cosa… Riuscirete a capire da che paese proviene Mello leggendo?XD La mi ammmora lo sa già… La risposta probabilmente nel prossimo capitolo!

Chuuuu!<3

Lolly

 

 

 

 

Memories of a Stolen Childhood

 

Capitolo 1: Vesper

 

Una donna era seduta per strada, su un gradino davanti ad un vecchio appartamento. Come ogni giorno. Come ogni maledetto giorno.

Si chiese perché fosse partita per quel secondo folle viaggio, dopo la lettera che aveva ricevuto quasi per caso. Perché si era riempita di speranza in quel modo? Perché non aveva pensato subito che fosse solo uno scherzo di qualche persona crudele?

Aveva meno di quando stava a Londra, e solo perché era una stupida. Sì, si sentiva davvero una stupida…

Sospirò asciugandosi gli occhi stanchi di vivere con un vecchio fazzoletto, prima di fissare di nuovo davanti a sé. I lampioni iniziavano ad illuminarsi.

Pensò che forse sarebbe stato meglio suicidarsi che continuare in quel modo. Non avrebbe mai trovato quello che cercava, era inutile perseverare in quel modo.

Era talmente presa dal desiderio di trovarlo, che riusciva a vederlo quasi. Davanti a lei, sul marciapiede passò una persona che glielo ricordò. Si diede mentalmente della pazza isterica, ma troppo tardi, quando ormai si era alzata in piedi e lo aveva chiamato.

“Ehi, lei! Ragazzo! Ragazzo, mi scusi!”

Il giovane si voltò con aria stizzita, lasciandola senza parole. La fissava dall’alto in basso con uno sguardo tagliente, troppo duro in confronto alla persona che stava cercando. Arrossì di vergogna, sentendosi una vera pezzente.

Avrebbe quasi potuto essere lui così a prima vista, lo ammise. Aveva i capelli biondi, poteva avere l’età che lui avrebbe avuto in quel momento, gli occhi chiari… Eppure no, era impossibile. Questo giovane aveva una cicatrice che gli sfregiava il volto. Una bruttissima ustione, e la sua pelle era arrossata e scabra, piena di crepe irregolari che non sarebbero mai guarite.

“Cosa vuole, mi scusi?” chiese in un inglese perfetto, segno evidente che si era sbagliata: non poteva essere straniero come lei.

“Niente, mi perdoni… Lei mi ha ricordato una persona, mi scusi ancora… Non volevo disturbarla… Lei somiglia molto a prima vista ad una persona che sto cercando, ma mi sono evidentemente sbagliata….”

“Ah… Non è niente, si figuri. Arrivederci.”

La donna si girò appena in tempo per non mostrare le lacrime che cristalline avevano iniziato a solcarle le guance e si incamminò dalla parte opposta a quella del giovane. Era solo una povera stupida donna che si faceva troppe illusioni.

Pian piano però iniziò a ricordare. I suoi passi erano lenti, e quegli avvenimenti passati scorrevano troppo velocemente.

Scoppiò a piangere sonoramente, e forse anche lui poté udirla. Le parole le uscirono involontarie dalle labbra tra i singhiozzi incontrollati.

“Potrò mai rivederti, Mihael?”

 

 

 

Era l’inizio dell’estate. Un leggero venticello fresco spazzava le terre paludose nel vespro di quel paese sfortunato. Un paese dove la gente non aveva speranza, dove tutti sembravano affranti e tristi. Nel volto delle persone c’era sempre un aura di desolazione, come se molto tempo addietro una qualche potenza magica e nefasta avesse gettato un incantesimo su quei luoghi.

La gente se poteva scappava. Se ne andava via,lontano, a cercare fortuna. Perché si tenta sempre l’impossibile quando non si ha nulla da perdere. La gente senza denaro cercava di racimolarne il più possibile facendo qualsiasi cosa solo per pagare qualcuno che riuscisse a farli partire. Non importava lo Stato. Qualsiasi posto al di fuori da lì.

Tutto era nato da questo sogno utopico, per quella ragazza bionda, magrissima, dalla pelle pallida e i tratti fragili. Aveva consumato sé stessa per quel desiderio di buona sorte. A ventidue anni, e solo sciagura davanti a sé, poteva ameno sperarla, quella felicità che sembrava fino a quel momento esserle stata negata.

Non aveva mai avuto niente. Niente. Dei genitori che l’avevano lasciata presto, quando ancora il loro paese faceva parte di quell’enorme impero divoratore e avido chiamato nella loro lingua Сов́етский Со́юз, o più semplicemente Unione Sovietica.

No, non le rimaneva niente per cui rimanere, lì dove era nata, in un piccolo paese rurale vicino a Baranavichy. Solo le sue cosiddette amiche, che poi non lo erano nemmeno tanto. Poteva definirle solo compagne di lavoro, e nulla di più. Erano tutte quelle ragazze più o meno della sua età che lei conosceva e che facevano il suo stesso mestiere per raggiungere lo stesso medesimo obiettivo. E lei era certa che la odiassero dopo che aveva annunciato loro che sarebbe partita per il Regno Unito. Perché lei era diversa in un certo senso da tutte loro. Nel gruppetto che proveniva dal suo villaggio per lavorare a Baranavichy era la sola…

Si ricordava bene le loro parole velenose quando lo aveva scoperto suo malgrado, a soli diciotto anni.

“Non ce la farai mai da sola.”

“E’ meglio che ci pensi bene prima di tenerlo.”

“Stai facendo la scelta sbagliata.”

“Tante di noi hanno abortito, dovresti farlo anche tu. Non riuscirai a mantenere entrambi, ed  meglio fare una scelta del genere adesso, che doverne fare di ben più crudeli tra qualche tempo.”

Ma non le era mai importato di quelle voci moleste. Lei sapeva cosa stesse facendo, era sicura delle sue scelte. Non potevano capire i suoi sentimenti.

Oltretutto, se c’era una cosa a cui lei teneva nonostante tutto ciò che le era capitato, era la sua Fede. I suoi genitori prima di lasciarla le avevano insegnato a credere fermamente nei valori religiosi, e lei non aveva dimenticato, come invece avevano fatto tutte le altre. Vi si era aggrappata a quei valori, vi si era avvinghiata con tutte le sue forze per non soccombere alla disperazione. Pochi ideali semplici a cui credeva fermamente: l’esistenza di Dio, la salvezza delle Anime Pure, la vita dopo la morte. Dio avrebbe ricompensato i meritevoli, ne era più che certa.

Non se l’era sentita proprio di interrompere una vita prima ancora che questa venisse al mondo. Sapeva che lo avrebbe rimpianto per il resto dei suoi giorni.

Lei non la vedeva come le altre. Per lei quello doveva essere un Dono di Dio. Era sicuramente così, e lei non poteva rifiutarlo.

Lo dette alla luce in una fredda notte di dicembre, e si sentì la donna più felice del mondo ad aver avuto la fortuna di un bambino così bello.

Purtroppo però per un certo verso le terribili profezie delle altre ragazze si avverarono. Così non poteva andare avanti. Lui cresceva e le servivano sempre più soldi.

Per questo si era prefissata l’obiettivo di andarsene. Per questo ora si trovava rinchiusa nel doppio fondo di una cassa che in teoria doveva trasportare carbone dentro un camion.

Era soffocante. Gliel’avevano detto, quei tipi loschi che era riuscita a contattare grazie alla sua clientela, che non sarebbe stata la prima classe. Anzi, il viaggio sarebbe stato massacrante. Una cosa in particolare l’aveva fatta rabbrividire fin nelle ossa: avevano subito messo in chiaro che il viaggio sarebbe stato talmente stremante che si sarebbe potuta escludere l’eventuale morte di uno dei due, se non avessero preso con loro abbastanza acqua e cibo. Questa cosa l’aveva spaventata, lei non avrebbe potuto vivere senza quel bambino, la sua unica ragione di esistenza. Eppure alla fine aveva accettato grazie alla forza della disperazione.

Ed in quel momento aspettava la fine di quell’odissea, mentre fuori era sera e lei non poteva saperlo, rinchiusa lì dentro con suo figlio che dormiva sdraiato sul suo petto.

Gli accarezzava i capelli biondi e lunghi ormai intrisi di sudore, e lo baciava di tanto in tanto, per fargli sentire che lei era lì con lui. Di tanto in tanto la sua mano giocherellava con il rosario che il bambino aveva al collo senza che lui se ne accorgesse. Era stata lei a regalarglielo tempo prima. In fondo non era sempre stato il suo angelo? Sì, lo era, infatti proprio con il nome di un angelo lo aveva chiamato.

Ad un certo punto lo sentì muoversi. Lo avvertì alzare il capo che stava fino a poco prima appoggiato sul suo seno, e il suono di uno sbadiglio. Faceva buio pesto in quella maledetta cassa.

“Mamma…”

“Sono qui, Mihael. Non preoccuparti.”

Lo strinse forte tra le braccia. Il suo cuore batteva forte.

Aveva male dappertutto dopo tutto quel tempo passato nella medesima posizione. Sentiva che sia lei che Mihael erano allo stremo, e pregò dentro di sé perché la metà del viaggio fosse stata superata da un pezzo.

“Non ce la faccio più, mamma… Fa troppo caldo, ho sete, e mi fanno male le gambe…

“Vedrai che tra poco saremo arrivati, me lo sento. Aspetta, prova a muoverti, a sgranchirti un po’, magari ti senti meglio…

Detto fatto, lo girò a pancia in su, e lui stiracchiò le gambe tanto da far scricchiolare le sue piccole ginocchia ossute.

“Tieni, finisci l’acqua.”

La donna aveva afferrato a tentoni l’ultima bottiglietta d’acqua che era rimasta e la accostò sulle labbra di Mihael per farlo bere. Non avrebbero avuto più acqua da quel momento in poi…

“Vedrai che andrà tutto bene… Arriveremo in Inghilterra, e lì incontreremo quel signor Vasilij di cui parlavano i signori che ci hanno fatto partire. Lui ha un appartamento tutto per noi, e sa del nostro arrivo. Devi solo resistere ancora un po’, ti prego, fatti forza…”

“Te lo prometto, sarò bravissimo.”

“Bravo, angioletto mio. Ora dammi un bacio.”

Il piccolo alzò la testa e diede un bacio sul mento della donna.

Entrambi chiusero gli occhi per addormentarsi in quel buio che li avvolgeva. Lei prima di inoltrarsi nel dolce mondo dei sogni, pregò intensamente per suo figlio, perché davvero, almeno per lui, Londra avesse potuto essere una terra felice.  

 

  
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