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Autore: StellaDelMattino    16/11/2014    2 recensioni
Trasferirsi in una nuova città è sempre difficile. Soprattutto per Barrie, autoproclamato “nerd sociopatico con un problema di empatia”. E' un enorme cambiamento quello che lo aspetta: da un freddo paese ai piedi delle montagne del Nevada a una calda città della California.
Una nuova vita per lui, le cui svolte saranno inaspettate.
Dei prototipi di adolescenti, il secchione, lo sportivo, la cheerleader, si conosceranno i loro lati nascosti, più profondi.
Le persone sono diverse da come ci appaiono, tutti soffrono. Diverso è il modo in cui reagiscono.
Bisogna guardare le persone da una diversa prospettiva per capirle davvero, bisogna guardare con gli occhi della mente per conoscere il vero animo di chi ci circonda.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Il secondo lato delle persone

 

Fuori dal finestrino, la vista era molto diversa da quando mi ero addormentato. D'altronde, era stato un viaggio proprio lungo: dalle montagne innevate del Nevada alle coste della California, il cambiamento era enorme.
Una nuova vita. Ma chi la voleva?
Non io sicuramente. La mia vita in Nevada era tutt'altro che perfetta, ma ormai c'ero abituato.
E gli altri si erano abituati a me.
Certo, dopo qualche insulto qua e là e un paio di botte a caso, si erano dimenticati di me. Ero diventato invisibile e mi stava bene.
A volte desideravo una vita normale, amici e il resto, ma sapevo che non ce l'avrei mai avuta, non potevo. Non era per me.
Quando mia madre mi aveva detto che ci saremmo trasferiti per alcuni problemi di lavoro di mio padre, avevo provato un misto di sensazioni diverse. Paura, rabbia, speranza. Quest'ultima era morta subito: per un secondo mi ero dimenticato chi fossi.
Solo ora mi accorgo di non essermi presentato: sono Barrie McGranny, nerd sociopatico con un problema di empatia.
No, Barrie non è il diminutivo di Bartholomew o di altri nomi strani.
Sì, McGranny è davvero il mio cognome, non l'ha inventato qualche bullo per prendermi in giro. Loro mi chiamavano direttamente Nonna.
E la definizione dopo me la sono data da solo, per evitare che qualche simpaticone ne inventasse una più cattiva, ma anche per concentrare tutto il mio essere in una sola frase. È divertente.
Ah, sono troppo empatico, non troppo poco. Ma di questo probabilmente ve ne accorgerete dopo.

Arrivammo davanti alla nostra nuova casa, una delle villette a schiera nella periferia di Marin City, dal lato che dava su Richardson Bay.
Era carina: bianca e anonima come tutte le altre. Un garage, un po' di prato, un piano superiore. Non sembrava male.
Entrammo, con parte delle valigie in mano. Mi fermai a guardare un po' il mio nuovo salotto.
Un divano, dei mobili di legno e un tavolo dello stesso materiale.
Sembrava vuota: le nostre vecchie cose dovevano ancora arrivare.
Al piano terra c'era anche la cucina, che era in netto contrasto con la sala: predominava il nero, un nero moderno e metallizzato.
Sopra, invece, c'erano le camere.
La mia era molto grande rispetto a quella che avevo in Nevada: c'erano una scrivania, un armadio -mi sembrava un po' troppo grande per me, probabilmente era di una ragazza-, un letto e alcune mensole.
Era una casa molto vuota, per ora. Non mi faceva impazzire.
Una cosa che mi piaceva era la luce: data la quantità di finestre, irradiava tutte le stanze illuminandole.
Mi sdraiai sul letto e mi misi le cuffie nelle orecchie. I Beatles mi accompagnarono per un po', distraendomi da tutti i miei timori.

***

Ci eravamo trasferiti un weekend di circa metà ottobre.
In Nevada in questo periodo dell'anno sembrava di essere al Polo Nord, qui invece morivo di caldo.
Suonò il campanello. Momento sbagliato per entrare nella doccia, come al solito.
I miei erano andati a far la spesa e io ero solo in casa. Svestito, tra l'altro.
Gridai un “arrivo” che sapevo che chiunque fosse fuori non avrebbe sentito e corsi in camera. Presi dei vestiti a caso e mi precipitai alla porta.
Aprii, con il fiatone, e mi ritrovai davanti una ragazza, piuttosto sconvolta, con una torta in mano.
“Tutto bene?” mi chiese gentilmente. Dovevo avere un aspetto davvero pessimo. Cercai di riprendere il mio contegno e sorrisi.
“Sì, ho solo corso.”
Per quanto potessi vedere, dato che mi mancavano gli occhiali, era carina. Si sistemò dietro un orecchio una ciocca di capelli castani e sorrise di rimando.
“Spero di non averti disturbato, sono la vicina, volevo darti il benvenuto.”
Mi porse la torta, che provai a prendere -sì, sono praticamente cieco- e fece per andarsene.
“Oh, non andare!” dissi fermandola “Non mi hai disturbato, mi fa piacere conoscerti. Sono Barrie.”
“Ashley.” rispose.
“Accomodati pure, grazie per la torta.”
Entrai in casa e cercai di non sbattere contro niente. Dovevo sembrare un po' ubriaco o fuori di testa: camminavo a zig zag.
Ottimo, ottimo inizio.
Posai la torta da qualche parte -non so esattamente dove- e cercai di ricordare dove avessi messo gli occhiali. Oh, certo: in bagno.
Bene, dovevo solo salire le scale, ricordare quale fosse la porta giusta e cercare di non fare un casino e di non terrorizzare la mia vicina di casa.
Lei entrò in casa un po' titubante e le indicai il divano.
“Puoi sederti lì, se vuoi. Io arrivo subito.”
Corsi su per le scale e inciampai sull'ultimo gradino, cadendo per terra e andando a sbattere contro una porta. Mi rialzai subito e entrai in bagno. A tentoni, riuscii a prendere gli occhiali e me li misi. Ancora mi chiedevo come avessi fatto a vestirmi e aprire la porta senza di loro. Ero davvero imbranato.
Sospirai e scesi le scale, sperando che non fosse scappata come sospettavo.
Ashley, però, era ancora lì, piuttosto preoccupata.
Avevo ragione: era carina. Anche più di quanto pensassi.
“Scusami” dissi “sono praticamente cieco e mi ero dimenticato gli occhiali al piano di sopra.”
Lei sorrise e si indicò gli occhi.
“So di cosa parli. Quando posso metto le lenti a contatto, ma visto che non le posso tenere per più di qualche ora, a scuola li metto anche io. Me li rubano sempre.” Sospirò. “Una volta me li hanno pure rotti.”
Perfetto, anche lì c'era chi faceva questi bellissimi scherzi. Non mi sorprendeva per nulla.
“I miei genitori sono fuori casa a fare la spesa, come puoi capire non ho molto da offrirti.” dissi “Però possiamo inaugurare la torta che hai portato.”
Dovevo solo capire dove l'avessi messa. Iniziai a girare in cerca della torta, trovandola poi nel vaso di una pianta. Per fortuna aveva la plastica.
Quello che mancava, però, erano i piatti. E le forchette. E i coltelli.
Tornai da Ashley e glielo dissi. Le avrei offerto dell'acqua se avessimo avuto i bicchieri.
Lei rise e disse che non importava. Mi piaceva: sembrava simpatica.
Sorrideva spesso ed era cortese, non si dava arie o mi metteva in imbarazzo. Forse saremmo potuti essere amici.
Scossi la testa. Da quando ero così speranzoso? Il “nuovo inizio” non aveva mai funzionato prima, perché ora avrebbe dovuto?
“Allora, ti piace Marin City?” mi chiese Ashley distraendomi da quei tristi pensieri.
“Sì,” risposi andandomi a sedere vicino a lei. “Anche se non ho ancora visto molto.”
Chiacchierammo per un po' del più e del meno. Mi raccontò alcune cose della nuova città e io le dissi della mia vecchia vita.
Non mi ero mai sentito così a mio agio con una sconosciuta. Forse avremmo davvero potuto essere amici.
Quando arrivarono i miei li salutò cortesemente, appena prima di andarsene. Loro sembravano sorpresi e mi chiesero ogni cosa. Fui felice di raccontare tutto durante la cena -rigorosamente con bicchieri, piatti e posate di plastica- e la serata passò tranquillamente.
Ciò che più mi preoccupava, però, era il giorno seguente. Quando avrei dovuto andare a scuola.

***

Il fastidioso bip della sveglia disturbò il mio sonno già tormentato.
Aprii gli occhi sperando di essere ancora nella mia casetta in Nevada, ma sapevo benissimo che ormai non potevo tornare indietro.
Spensi la sveglia e presi gli occhiali che avevo messo lì vicino, poi mi alzai e mi stiracchiai ben bene.
Sbadigliando andai verso l'armadio. Presi una maglietta nera con il nome di uno dei miei gruppi preferiti sopra e un paio di jeans scuri, tenuti su da una cintura nera.
Mangiai poco e mi lavai i denti. Misi le mie all star nere alte, in modo che coprissero i calzini di un imbarazzante viola melanzana, e andai davanti allo specchio del bagno.
Mi sistemai i capelli castani ancora scompigliati, sistemai gli occhiali che facevano sembrare i miei occhi verdi più grandi e mi sorrisi. Non stavo male. Certo, sembravo un nerd, ma d'altronde lo ero. Meglio che lo sapessero tutti da subito.
Ero in perfetto orario.
Uscii di casa urlando un saluto ai miei genitori, poi andai alla fermata dell'autobus che stava infondo alla strada.
Per poco una ragazza con uno skateboard non mi investì. Feci un salto indietro e la guardai male. Aveva degli eccentrici capelli fucsia e una carnagione chiarissima. Invece di chiedermi scusa mi fece l'occhiolino.
Sentì una risata dietro di me.
“Non farle caso, è fatta così.” mi disse Ashley raggiungendomi.
La salutai e sull'autobus ci sedemmo uno davanti all'altra. I posti abbondavano quindi non c'era alcun bisogno di sedersi vicini.
A quanto pare non doveva avere molti amici: non parlò con nessuno oltre che con me. La cosa mi mise un po' di tristezza, ma allo stesso tempo mi fece sperare che sarebbe stata amica mia comunque.
Ancora una volta mi chiesi da dove arrivasse questo strano bisogno di amici. Ero un sociopatico da sempre, insomma.
Il tragitto fu breve e presto fummo davanti alla scuola, la Tamalpais High School. Era un edificio piuttosto bruttino: di un color giallognolo che ti metteva tristezza. Molta tristezza.
Una moltitudine di ragazzi stava davanti ad esso, chiacchierando e scherzando. Alcuni studiavano.
Neanche fossi un vip, quando scesi dall'autobus sentì gli occhi di tutti fissarsi su di me. Mi irrigidii e pensai di essere sul punto di avere un attacco di panico, sentivo le guance andare in fiamme.
Non so se fosse solo un'impressione o se avessi davvero l'attenzione generale.
Abbassai lo sguardo e aumentai il passo. Praticamente correvo.
Ashley mi seguì e le fui grato per questo, mi sentivo un po' meno solo.
Proprio davanti all'entrata, si fermò di punto in bianco. Mi girai, curioso di sapere cosa fosse successo, e vidi un ragazzo, il prototipo di sportivo californiano. Bello, alto, abbronzato e muscoloso. Non importa in che scuola tu vada: c'è sempre uno così. Probabilmente biondo, fondamentalmente stupido. Bullo per definizione.
Aveva preso gli occhiali di Ashley -allora parlava di lui!- e li teneva in alto per far sì che lei non li prendesse.
Io -1,88 metri di altezza- non avrei fatto fatica a prenderli.
Domanda del secolo: che avrei dovuto fare? Prenderli e guadagnarmi l'odio del bullo, ma il riconoscimento della ragazza o non fare nulla come avevo sempre fatto?
Lo so che vorreste che vi dica che li ho presi. Ma non l'ho fatto.
Non giudicatemi, la vita mi aveva insegnato attraverso tanti occhi neri ad essere codardo. Una nuova pseudo-amica non aveva cambiato la mia natura.
Ashley saltava, ma non serviva a nulla. Diede un pugno sul petto del ragazzo, che si mise a ridere sguaiatamente. Lui mi guardò solo un attimo, in cui mi sentii gelare il sangue nelle vene, poi le ridiede gli occhiali più gentilmente di quanto pensassi e se ne andò, senza una parola.
“Idiota” sussurrò Ashley.
Per un attimo pensai che si stesse rivolgendo a me, poi capii che ce l'aveva con il bullo.
Mi sorrise, triste.
“È Chad Jordan, coglione di prima categoria.” mi disse “Stagli alla larga, fidati.”
Qualcosa mi diceva, però, che sarebbe stato lui a non farlo.

***

La prima cosa che bisognava fare era andare in segreteria.
Era tutto molto pulito, ordinato. Professionale.
Speravo che anche i docenti rispettassero questi standard.
Mi accolse una segretaria molto cortesemente: sembravano felici di accogliermi.
Dopo aver sbrigato le faccende burocratiche, mi diedero un foglio con le materie e il mio codice dell'armadietto.
La mia prima lezione era di biologia.
Sebbene mi avessero dato le indicazioni, riuscii a perdermi e per poco non arrivai in ritardo.
Quando entrai in classe il prof non era ancora arrivato. Mi sedetti subito al primo banco, nonostante ce ne fossero anche altri liberi.
Ashley non c'era, purtroppo.
“Ciao, nuovo.” disse qualcuno vicino a me. Era la ragazza che mi aveva quasi investito quella mattina.
Le feci un cenno del capo in segno di saluto. Non mi andava molto a genio, in realtà.
Lei appoggiò i gomiti sul banco e si sporse a destra, verso di me.
“Io sono Abigail. Abby, per gli amici.”
Mi stava dicendo che io non la potevo chiamare così?
“Barrie. Barrie per tutti.” risposi con un filo di voce.
Mi sentivo a disagio, con quella ragazza. Lei sembrò accorgersene, così non disse più nulla.
Quando entrò il prof, mi costrinse ad alzarmi in piedi e a presentarmi. Mi sentii andare a fuoco, all'inizio balbettai. Era davvero imbarazzante.
Mi accorsi allora che c'era anche Chad, il bullo, rigorosamente in ultima fila. Mi sorrideva come un lupo sorride alla sua preda.
Avevo paura.
Fui molto sollevato nel sapere che usavano il mio stesso libro di testo e che erano anche più indietro, così non dovetti far altro che sembrare attento.
Ogni tanto lanciavo un'occhiata a Abigail. Non ne potevo fare a meno.
Prendeva appunti tranquillamente, giocando con una ciocca di capelli mezzi fuxia mezzi azzurri. A volte alzava i grandi occhioni marroni verso il prof, soprattutto quando non aveva ben chiaro qualcosa. In quel caso, lo guardava con la fronte corrucciata, finché lui non lo rispiegava.
A un certo punto incrociammo lo sguardo. Stavo per distoglierlo, ma sentivo di non poterlo fare. Abby mi sorrise e mi fece l'occhiolino, poi ritornò a scrivere.
Mi sentii avvampare.
Le persone mi piacevano.
Mi piaceva analizzarle, provare a capire quello che pensavano guardando la loro espressione. Spesso bastava uno sguardo per capire le persone. Un po' come per Chad.
La prima volta che pensai che forse non era così, che ci potevano essere anche persone complesse, fu proprio quel giorno.
Chi era quella ragazza? Chi stava dietro il nome di Abigail Jefferson?



Angolo dell'autrice
Buonasera!
Avevo questa storia in testa e ho deciso di scriverla: il titolo è provvisorio.
Essendo la prima volta che scrivo in questo ambito (solitamente scrivo di fantasy), vi chiedo di essere clamenti: ogni suggerimento è ben accetto!
Non so ogni quanto riuscirò ad aggiornare, ma probabilmente non sarà molto spesso: ho altre storie in corso a cui darò la precedenza e un sacco di impegni. Dipenderà tutto da quanto piace la storia e da quanto mi prende. Comunque preferisco aggiornare spesso, quindi farò del mio meglio.
Spero che vi sia piaciuta!
StellaDelMattino


 

   
 
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