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Autore: Little Redbird    18/11/2014    2 recensioni
[Storia partecipante al contest "Pesca a Prompt" indetto da Ily91 sul forum di EFP.]
“Dormi sempre con un coltello sotto il cuscino, principessa?”
Il sarcasmo nella sua voce si perse nella nota di dolore provocata dalla ferita.
“Che cosa vuoi?” sibilò Clarke nella semi-oscurità.
“In questo momento? Un antidolorifico.”
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ragazzi sfacciati e dottori assonnati
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“Ci stai?”
Bellamy guardò Atom di sottecchi.  Il ragazzo lo stava mettendo in una situazione difficile.
Doveva ammettere che le situazioni difficili gli erano sempre piaciute, ma quello che i ragazzi gli stavano chiedendo era un suicidio.
Si guardò attorno, passando in rassegna i volti dei suoi scagnozzi. Lo guardavano trepidanti, in attesa di una sua risposta.
“Sarà fin troppo facile” disse, facendo il suo sorriso affettato.
I ragazzi esultarono, eccitati dalla sfida che Bellamy aveva accettato senza battere ciglio.
“Bene” disse soddisfatto Atom.
Il suo tono lasciava intendere che non si aspettava che il ragazzo accettasse, ma Bellamy doveva farlo, ne aveva bisogno. Quei ragazzini non l’avrebbero seguito solo perché era il più grande, il più intelligente e - diciamolo - il più bello, doveva dimostrare di avere abbastanza fegato per gestirli e comandarli tutti.
“Hai tempo fino all’alba” lo avvisò Murphy.
Bellamy annuì, visualizzando i dettagli del piano nella sua mente. La sfida in sé non era difficile, anzi; la parte complessa era il non farsi scoprire.
Rientrò nell’accampamento, lasciando lavorare il suo cervello sulle scuse da rifilare agli altri nel remoto caso in cui avesse fallito.
La sua vittima gli passò davanti a passo svelto, coi capelli chiari arruffati e svolazzanti, segno che era indaffarata con qualche emergenza medica. La osservò infilare la lama del coltello tra le fiamme del falò e lasciarla scaldare per qualche secondo, con l’altra mano asciugò il sudore dal collo, lasciando una macchia rosso chiaro sulla clavicola.
“Giornata piena, Principessa?”
Clarke lo ignorò, allontanandosi dal fuoco e scomparendo nella navicella, da cui, subito dopo, si udì un acuto urlo di ragazzina.
Bellamy diede un’occhiata alla tenda che il loro unico quasi-medico divideva con altre tre ragazze. Scostò delicatamente la cortina che faceva da porta e sbirciò all’interno la disposizione dei letti. A giudicare dalla posizione e dal grado di ordine, presumeva che quello di Clarke fosse quello più vicino all’entrata ed il più ordinato. Fece un mezzo sorriso: non poteva essere altrimenti, conoscendola.
Si scostò, non gli restava che attendere che andassero tutti a letto.
 
Gli piaceva il campo a quell’ora tarda. Gli unici suoni che si udivano erano il crepitare delle braci dei fuochi accesi qui e lì ed i versi degli animali dal di là delle mura. Di tanto in tanto si sentiva qualcuno russare pesantemente e qualcun altro lamentarsi della puzza di piedi dei propri coinquilini.
Bellamy lanciò uno sguardo al cielo, in cerca delle stelle più luminose.
Sull’Arca non aveva mai avuto occasione di fermarsi a guardare l’infinito che lo ospitava. Le stelle erano sempre state dei puntini luminosi che circondavano la stazione, per lui. Prendersi cura di sua madre e di sua sorella era sempre stato un lavoro a tempo pieno, aveva potuto scoprire quegli astri luminosi solo in adolescenza, quando aveva scoperto i libri ed i mondi che permettevano di esplorare. Era bello poter finalmente fermarsi ad ammirare quei punti luminosi, sebbene la prospettiva fosse completamente diversa da quella sull’Arca.
Sistemò la pistola infilata nella cintola dei pantaloni, cercando di rovinare intenzionalmente quel momento fin troppo pacato. Aveva una missione da portare a termine, una sfida da vincere.
Si voltò verso la tenda di Clarke, consapevole che sarebbe stata sola - aveva infatti invitato le altre ragazze nella propria tenda per essere sicuro di non essere disturbato, e per accertarsi di trovare buona compagnia al ritorno. Sorrise tra sé e si avviò verso la tenda.
Scostò la stoffa all’entrata e la vide subito: rannicchiata tra le coperte, con le ginocchia incollate alla pancia, sembrava ancora più piccola, ancora più indifesa. Cercò di tornare subito freddo, ma lo sguardo gli cadde sulle sue labbra rosee socchiuse, simili ad uno di quei fiori che crescevano tutt’intorno al campo e che si chiudevano bruscamente al tocco. Si chiese se anche quelle labbra si sarebbero chiuse se avesse provato a sfiorarle, ma si riscosse subito, non poteva permettersi di svegliarla per un capriccio, era lì per dimostrare che aveva il fegato di autoproclamarsi Re del campo.
Sì guardò in giro, in cerca di qualcosa che potesse rubarle senza insospettirla, qualcosa che non le sarebbe mancato troppo, ma sembrava che la ragazza non avesse effetti personali a parte l’orologio che sembrava fosse appartenuto al padre. Non gli sembrava corretto portarle via una cosa con un valore affettivo così alto. A lui non sarebbe piaciuto se qualcuno avesse rubato ad Octavia il bracciale di sua madre.
Optò per l’elastico scuro che le teneva i capelli lontano dal viso. Era una cosa per cui non avrebbe mai incolpato lui, avrebbe sicuramente pensato che l’avesse preso un’altra ragazza.
Con suo enorme disappunto, Bellamy si accorse che Clarke teneva i capelli legati anche di notte. Avrebbe dovuto sfilarlo da quei filamenti dorati con tutta la delicatezza di cui era capace per non svegliarla.
Si avvicinò al suo viso, sentendola mormorare qualcosa di incomprensibile. Più le si avvicinava, più poteva sentire un profumo piacevolmente forte, sapeva quasi di montagna, e si domandò se fossero quelle foglie di un verde acceso che la vedeva masticare nervosamente di tanto in tanto. Avrebbe rubato anche qualcuna di quelle, decise mentre inspirava un’altra boccata.
Infilò lentamente una mano trai capelli sottili e spettinati di Clarke e tastò con le dita la piccola treccia, fino a quando sentì l’elastico ruvido sotto i polpastrelli. Ce l’aveva quasi fatta.
Due secondi dopo, al primo tentativo di scioglierle i capelli, si ritrovò con un coltello dalla lama corta infilato in una coscia.
Cercò di trattenere le urla con tutta la sua forza di volontà, mordendosi una spalla e stringendo i pugni fino ad affondare le unghie nei palmi delle mani.
Clarke si stava strofinando gli occhi, cercando di mettere a fuoco il ragazzo che si teneva la gamba con una mano.
“Bellamy?”
Il suo tono era un misto di sorpresa e paura.
Bellamy capì di averla fatta grossa.
“Dormi sempre con un coltello sotto il cuscino, principessa?”
Il sarcasmo nella sua voce si perse nella nota di dolore provocata dalla ferita.
“Che cosa vuoi?” sibilò Clarke nella semi-oscurità.
“In questo momento? Un antidolorifico.”
Ci fu un attimo di silenzio, interrotto dal suono della cerniera di uno zaino che si apriva e poi dalle mani di Clarke che vi rovistavano. Qualche secondo dopo, la luce di una torcia lo accecò con prepotenza.
“Togli la mano” ordinò. “Fammi vedere la ferita.”
“Nulla di grave” tagliò corto Bellamy tentando di uscire, ma incespicò nelle coperte ed imprecò sottovoce.
Clarke gli scostò la mano insanguinata ed esaminò il taglio non troppo profondo attraverso lo squarcio nei pantaloni.
“Non è grave,” disse “ma la devo cucire, se non vogliamo che si infetti”.
Bellamy la osservò affaccendarsi per recuperare il necessario per la sutura e si chiese se non fosse, in realtà, un modo per punirlo per averla svegliata.
Clarke si inginocchiò al suo fianco e Bellamy la osservò in religioso silenzio mentre infilava nell’ago sterile un po’ del cotone che gli era rimasto.
Si fece ricucire senza emettere alcun suono, anche se la mano assonnata di Clarke non era affatto delicata quanto quella vigile.
Osservò perplesso il disegno irregolare sulla sua coscia ed inveì a mezza voce.
“Mi resterà la cicatrice” si lamentò.
Clarke lo guardò infastidita. “Magari ti servirà come monito la prossima volta che deciderai di infilarti nella tenda di qualcun altro.”
Bellamy le fece il suo sorriso scanzonato, ma non rispose.
“Che diavolo ci fai qui, Bellamy?”
La voce stanca di Clarke lo fece sentire un po’ in colpa. Sapeva che la ragazza sgobbava forse più di tutti, in giro per il campo a controllare che nessuno soffrisse degli effetti delle radiazioni ed a soccorrere i feriti.
“La mia tenda è un po’ troppo affollata.”
Clarke sbuffò spazientita. “Lascia stare quelle ragazze.”
Bellamy si alzò, nonostante sentisse ancora il sangue pulsare contro la ferita.
“Torna a dormire, principessa.”
Clarke si stava già infilando tra le coperte, ma gli impedì di spegnere la torcia.
“Davvero, Bellamy” soffiò a pochi centimetri da lui. Bellamy poté percepire di nuovo quel fresco profumo. “Cosa ci fai qui?”
“Mi presteresti l’erba che ha quest’odore?” domandò indicandole la bocca con lo sguardo.
Clarke si accigliò, ma le sue guance si colorarono.
“È menta” disse. “La trovi appena fuori dalle mura.”
Bellamy annuì.
Per qualche secondo nessuno dei due parlò. Evitavano entrambi lo sguardo dell’altro, ma nessuno sembrava intenzionato a cedere per primo.
Clarke si passò una mano trai capelli, rendendosi conto solo allora che si erano sciolti. Cercò l’elastico tra i cuscini, ma non ce n’era traccia.
Bellamy si schiarì la gola. “Cerchi questo?” domandò tenendo il cerchietto nero sulla punta dell’indice.
Clarke allungò una mano per prenderlo, ma tutto ciò che riuscì ad afferrare fu l’aria carica di elettricità tra lei ed il ragazzo.
“Dovresti prestarmelo per un po’” disse, infilandolo al polso.
La ragazza lo guardò sempre più confusa. “Sei venuto per quello?”
Bellamy non rispose.
“Bastava chiedere, Bellamy!” mormorò esausta.
Si lasciò cadere sul cuscino, incapace di sopportare ancora la sua vista.
“Te lo restituisco” promise Bellamy, spegnendo la torcia.
La risposta di Clarke fu un mugugno assonnato ed esasperato, ed il ragazzo abbandonò la tenda, lasciandola finalmente riposare.
Uscì all’aria aperta, zoppicante ma vittorioso. Si chiese se fosse valsa la pena essere accoltellato e guadagnarsi una cicatrice per vincere una stupida scommessa.
Si diresse verso la sua tenda, ma ricordò di avere ospiti non troppo desiderati e fece dietro-front. Preferiva passare la notte sotto le sue amate stelle, che tra le braccia di tre sconosciute. 






 
   
 
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