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Autore: Rowan936    21/11/2014    3 recensioni
Gohan lo guardava sorridendo sulla soglia di casa sua – loro – e a qualcun altro sarebbe parso quello di sempre, ma quegli occhi erano ancora troppo vuoti perché Vegeta potesse anche solo illudersi che fosse così.
[Vegeta/Gohan][Mini-long][Angst]
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gohan, Vegeta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Angolo autrice
Eccomi, un pochino in ritardo, ma eccomi. Mmh. Questo capitolo non mi piace, ma sarebbe quello conclusivo di questa mini-long. Ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno letto questa storia e in particolare ka93 e Bulmix_1992 per aver recensito :D Spero che questo epilogo non sia troppo mal riuscito ^^”

 
 
Disclaimer » Dragon Ball © Akira Toriyama.
______________________________________________
 
I believe in you
[Epilogo]
 
 
 
 
You saw me mourning my love for you
And touched my hand
I knew you loved me then
 
 
Pensava che senza gli effetti personali di Gohan la sua assenza sarebbe pesata meno. Pensava che non vedere i suoi vestiti o i suoi libri sparsi per la casa lo avrebbe aiutato a non pensare a ciò che mancava in quella stupida abitazione, ma di fatto non vi era stato alcun cambiamento.
Passava quasi l’intera giornata chiuso nella Gravity Room e quando invece si trovava all’interno della casa gli spazi vuoti rimarcavano l’assenza di Gohan più di quanto non facessero gli oggetti.
Bulma lo aveva più volte rimproverato per gli allenamenti cui si sottoponeva: in appena due settimane aveva rischiato tre volte di far saltare in aria la Gravity Room e la quarta vi era riuscito. Ne era uscito praticamente illeso, poiché era riuscito a scappare prima dell’esplosione, ma ora si trovava senza stanza degli allenamenti e la scienziata aveva detto di aver troppi progetti da portare avanti per potersene occupare nell’immediato.
Non sapeva, dunque, come occupare le proprie giornate e finiva per passarle sdraiato sul divano o sul letto, nel primo caso a fissare la televisione senza reale interesse, nel secondo con lo sguardo ancorato al soffitto.
Gli ricordava il periodo dopo la morte di Kakaroth, quando aveva deciso di non combattere mai più.
Ogni tanto usciva in giardino per allenarsi comunque, ma con quella gravità leggera e nessun robot a minacciarlo, l’allenamento pareva inutile, non richiedendo alcuno sforzo.
Una parte di lui avrebbe voluto allenarsi con Trunks, l’altra anelava solitudine. Capitava che il figlio venisse a fargli visita, ma in quel periodo la scuola lo teneva fin troppo impegnato e comunque ogni volta che veniva il principe pareva interessato solo all’allenamento, non alla sua compagnia.
Capitava, quando i suoi muscoli anelavano movimento e gli rendevano impossibile rimanere sdraiato sul divano, che spiccasse il volo e iniziasse a girare a vuoto, passando anche sopra a città terrestri senza preoccuparsi delle possibili conseguenze – gli umani in ogni caso erano sempre troppo presi dagli affari loro per soffermarsi a guardare il cielo.
Più volte gli era capitato, volando senza fissare una meta precisa, di ritrovarsi a sorvolare quel posto che aveva più volte condiviso con Gohan, dopo il Cell Game, e in ognuno di quei casi aveva semplicemente digrignato i denti per poi andarsene – scappare – il più lontano possibile da lì.
Quella sera, senza una particolare motivazione, forse per semplice masochismo, si era invece fermato a mezz’aria, gli occhi fissi su quello spuntone di roccia su cui fin troppe volte si erano seduti. Era atterrato lentamente, combattuto tra la volontà di restare e andarsene – fuggire – come tutte le altre volte che era incappato in quel luogo negli ultimi tempi.
Alla fine, si sedette, le gambe a penzolare nel vuoto e un peso insopportabile nel petto.
« Maledetto. » borbottò, tra i denti.
In fondo, quel posto era sempre stato suo, suo soltanto, finché quel ragazzino dagli occhi grandi e il sorriso spento non vi aveva messo piede per poi tornarci così tante volte che Vegeta aveva perduto il conto.
Se Gohan non fosse mai venuto lì, ora avrebbe potuto godere di quel silenzio e di quella pace senza essere disturbato da un insopportabile senso di vuoto.
Sono confuso, in questo momento. Ho bisogno… Di capire che cosa voglio.”
Non riusciva a ripensare a come lo avesse rifiutato, con dispiacere e pietà nella voce, a ricordare quegli occhi che lo guardavano ma non lo riconoscevano, senza provare il desiderio di urlare e distruggere con le sue mani quel miserabile pianeta che lo aveva rovinato.
Mi dispiace…
Emise un ringhio di frustrazione, si alzò in piedi e frantumò un masso con un calcio, poi semplicemente spiccò il volo per tornare alla sua casa colma di fantasmi di un passato perduto.
Chi sei?
 
 
*    *    *
 
 
Forse stava uscendo di senno.
Forse la sua sanità mentale era già svanita nel momento in cui aveva deciso di non abbandonare Bulma e Trunks, provando a crescere quel figlio che sarebbe comunque divenuto un grande guerriero senza di lui.
Forse non c’era un vero e proprio fondo, era possibile cadere sempre più in basso, all’infinito, senza che l’umiliazione fosse mai ultimata.
Altrimenti non sarebbe riuscito a spiegarsi come mai, da un paio di giorni a quella parte, avesse cominciato ad andare lì ogni sera, sedendosi a terra e lanciando occhiate oblique allo spazio vuoto accanto a sé, quasi in attesa di un ritorno che non sarebbe mai avvenuto.
Io sento qualcosa per te…”
« Sarai, contento, immagino. » borbottò, rivolto al nulla. « Dicevi sempre che cominciavo a somigliare a un umano, no? Penso di essere sufficientemente patetico da poter essere scambiato per un terrestre, ora… »
Ma non riesco a capire se sia mio veramente o solo una conseguenza di quanto mi è stato raccontato.”
La dita si serrarono attorno all’erba – desiderava lacerare, affondare le unghie nella pelle di un qualunque patetico essere, osservare il dolore altrui allo scopo di attenuare il proprio – e la strapparono con brutalità, scagliandone poi in avanti i residui, alcuni dei quali si depositarono sulle sue gambe.
« Non posso credere di essermi umiliato a quella maniera. » borbottò.
Eppure in fondo sapeva che, con anche solo la più piccola speranza di poter riavere Gohan, lo avrebbe rifatto.
 
 
*   *   *
 
 
La pioggia non lo aveva mai infastidito.
Era un po’ come il getto d’acqua della doccia: lo aiutava a pensare e trovava inutile che i terrestri cercassero i mezzi più fantasiosi per ripararsi. Qual era il problema, se dopo potevano comunque asciugarsi?
L’erba bagnata a contatto con la pelle, invece, dava una spiacevole sensazione di viscido. Chiuse le mani a pugno, alzando lo sguardo verso il cielo scuro dove di tanto in tanto un lampo illuminava le nubi, seguito da un tuono che pareva far tremare l’aria stessa.
Gohan aveva sempre detto di aver paura dei tuoni.
Ogni volta che quei rumori assordanti turbavano la quiete, il ragazzo si accoccolava contro di lui, in barba le proteste che Vegeta borbottava prima di accontentarlo. Si cedeva lontano un miglio che fosse tutta finzione, ma il principe aveva sempre preferito ignorare questo insignificante dettaglio.
Emise un mezzo ringhio frustrato, rimproverandosi per quei pensieri che non facevano altro che peggiorare la situazione.
 
 
*    *    *
 
 
Si sentiva ogni giorno più patetico.
A cosa serviva recarsi lì e fissare con rammarico il vuoto accanto a sé? Immaginare che Gohan fosse seduto accanto a lui glielo avrebbe forse riportato? Avrebbe come per magia riempito la mente del ragazzo dei ricordi perduti, spingendolo a tornare sui suoi passi?
Se anche così fosse stato, lo avrebbe mandato via, pensò, sull’onta dell’umiliazione e del dolore che quel rifiuto gli aveva marchiato a fuoco sulla pelle.
Idiota. S’insultò poi, sapendo di mentire.
Certo che non lo avrebbe mandato via, come avrebbe potuto?
Anche se non sapeva cosa avrebbe fatto con esattezza, certo non lo avrebbe cacciato per tornare allo stato miserevole in cui versava in quel momento.
Forse avrebbe messo da parte l’orgoglio, come aveva già fatto per lui in passato, e lo avrebbe stretto a sé, fino a convincersi che fosse tornato davvero. Forse avrebbe fatto il sostenuto, dandogli le spalle fino a che le sue scuse non gli fossero parse sufficienti.
O forse avrebbe semplicemente annuito, simulando indifferenza e dignità – sempre che ne fosse stato capace, dal momento che pareva proprio l’avesse persa per strada – ?
Non lo sapeva, e forse mai lo avrebbe saputo.
Magari tornerò…”
Non aveva alcuna voglia d’illudersi – eppure, una parte di lui sperava comunque.
 
 
*    *    *
 
 
Uno.
Lanciò il primo sasso, osservandolo cadere tra gli alberi a un paio di metri di distanza da lui, approssimativamente.
Due.
Quattro metri.
Era patetico che per distrarre la sua mente dal pensiero di Gohan dovesse trovare passatempi tanto idioti. Trovava meno patetica l’abitudine di Kakaroth di andare a pesca: per lo meno serviva a procurare del cibo.
Tre.
Otto metri.
Non avrebbe mai creduto che uno come lui potesse soffrire il dolore di una perdita. O meglio, ne aveva avuto un assaggio alla morte del ragazzo del futuro, o quando aveva creduto che Gohan fosse stato ucciso da Majin-Bu, ma lì era stata questione di un istante prima che la sofferenza divenisse rabbia e in seguito si era rifiutato di soffermarsi sulle sensazioni provate in quei tremendi istanti.
Quattro.
Sedici metri.
Ora, invece, non aveva modo di non pensare al senso di vuoto che lo opprimeva ogni volta che rientrando a casa non trovava il ragazzo ad accoglierlo, ogni volta che lo sguardo cadeva sulla metà del letto vuota e la sua masochista voglia di farsi del male lo spingeva a cercare l’aura di Gohan, come a ricordargli che era vivo, che sarebbe potuto tornare da lui ma semplicemente non voleva.
Cinque.
Trentadue metri.
Eppure se lo sarebbe dovuto aspettare.
Non aveva mai capito come mai quel ragazzo che avrebbe voluto con tutto se stesso vivere una vita normale si fosse legato tanto profondamente proprio a lui, perché avesse voluto perdere tempo dietro al suo animo corrotto e alle sue cicatrici.
Non aveva sempre avuto timore che potesse stancarsi e andarsene? Alla fine era accaduto. E, come se non fosse stato sufficientemente doloroso, parte della colpa era anche sua.
Sei.
Ringhiò di rabbia, scagliò il sasso con tutta la forza in suo possesso e l’oggetto svanì presto alla vista, troppi metri più avanti.
Non era neppure in grado di portare avanti uno stupido passatempo senza mandare tutto all’aria, maledizione.
I muscoli ebbero uno scatto derivante dalla tensione e Vegeta ebbe la sgradevole sensazione di agitarsi come uno stupido animale in gabbia.
Lo sguardo cadde per la millesima volta accanto a lui, e mentre gli occhi bruciavano nonostante le urla disperate del suo orgoglio, ebbe la conferma di essere impazzito, poiché vide sedersi accanto a lui il ragazzino che Gohan era stato.
Lo vide sorridere calorosamente, con le labbra e con quegli occhi meravigliosamente pieni.
Distolse lo sguardo, piantandolo sul terreno mentre la mano convulsamente stretta a pugno colpiva il terreno, forse nella speranza che quell’immagine – bellissima e dolorosa – svanisse.
Sentì un tocco leggero sul braccio.
Lo ignorò, imprecando tra i denti e trattenendo a stento le lacrime – non avrebbe sopportato l’ennesima umiliazione, anche se nessuno vi avrebbe assistito.
Delle mani avvolsero la sua, stringendola e bloccandola, nella crudele illusione che non fosse più solo.
Eppure quel contatto era troppo reale per essere solo frutto della sua sadica immaginazione.
Alzò lo sguardo e, dove prima c’era un ragazzino, si trovava il Gohan ragazzo che lo aveva rifiutato non ricordava quanto tempo prima. Lo fissò a occhi sgranati, cercando poi di darsi un contegno, le labbra strette e lo sguardo fisso nel suo.
Ritirò la mano con uno scatto rabbioso, ringhiando: « Cosa vuoi? »
Gohan abbassò gli occhi qualche istante, poi li rialzò con determinazione.
« Volevo parlarti. »
« Non abbiamo già parlato abbastanza? »
La replica ostile di Vegeta nascondeva una punta di amarezza, la diffidenza era uno scudo eretto per proteggerlo da un’altra probabile delusione.
« Volevo scusarmi– » ricominciò Gohan, venendo però immediatamente interrotto.
« Lo hai già fatto e non me ne faccio nulla della tua cortesia. Se volevi avere la coscienza a posto, bene, hai fatto il tuo dovere e ti sei scusato. Ora lasciami in pace. » disse il principe, gelido, senza sapere come stesse riuscendo a mantenere stabile la voce.
« Puoi farmi finire di parlare? » sbuffò il ragazzo, ruotando gli occhi e senza attendere risposta. « Volevo scusarmi per averti fatto star male. Ma ero sincero: non sapevo quello che volevo. Adesso penso di averlo capito. »
Vegeta tacque, sforzandosi di mantenere il contatto visivo e obbligandosi a non sperare neppure per un istante, di non idealizzare quale sarebbe stata la conclusione di quel discorso – eppure una parte di lui cominciava già a gioire.
« Non ricordo molto. » continuò Gohan. « Ma non sto bene, a casa dei miei genitori. È come se mancasse qualcosa. E più cose mi tornano alla mente, più mi rendo conto che quel qualcosa sei tu. »
Era normale che in testa rimbombassero i battiti impazziti del suo cuore? Temeva che anche il ragazzo potesse sentirli, tanto erano forti.
« Quindi, mi dispiace non esserne stato certo sin da subito. Scusami. Posso… Posso tornare a casa? »
Aveva la gola secca, se anche fosse riuscito a formulare un pensiero coerente con tutta probabilità non sarebbe stato in grado di darvi voce.
Passarono diversi istanti prima che Vegeta riuscisse a dire: « Ho voglia di prenderti a pugni. »
Prima che Gohan potesse captare quanto detto, però, il principe lo aveva afferrato per le spalle, attirandolo a sé senza troppi complimenti. Il ragazzo non si oppose minimamente e Vegeta si ritrovò a saggiare le sue labbra con la stessa foga che un affamato sfoggia di fronte a un pranzo abbondante.
« Fai ancora una volta una cosa del genere e ti prendo a schiaffi. » soffiò dopo qualche istante.
Gohan ridacchiò.
« Mai più, promesso. »
Vegeta non soffocò il lieve sorriso che gl’incurvò le labbra quando negli occhi del ragazzo scorse una singola, piccola, scintilla.
 
 
  
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