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Autore: Kiki87    21/11/2014    5 recensioni
Sebastian e Kurt sono coinquilini da quasi un anno e la loro quotidianità è una piacevole routine a cui il primo non è tanto disposto a rinunciare. Soprattutto quando Kurt annuncia il suo inaspettato fidanzamento con Blaine.
Tra machiavellici tentativi di sabotaggio e sporadiche sbronze al solito pub, Sebastian si lascia andare ai ricordi della loro convivenza. Ma sarà disposto ad ammettere che i sentimenti di Kurt non siano i soli in gioco, prima che sia troppo tardi?
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11
Queste quattro mura si chiudono ogni giorno di più.
Sto morendo dentro,
ma nessuno lo sa, a parte me.

Perché non ho detto,
le cose che avrei dovuto.
Come ho potuto lasciare
che il mio angelo se ne andasse.

Mantengo un sorriso, anche quando sono spezzato.
Non sono nessuno senza qualcuno come te.
Sto tremando dentro.
E nessuno lo sa, a parte me.

Un miliardo di parole non potrebbero esprimere
come mi sento.
Tra un milione di anni da adesso, lo sai,
ti amerò ancora.

Le notti sono così solitarie, i giorni così tristi.
Continuo a pensare all'amore
che avevamo.
Adesso mi manchi,
ma nessuno lo sa, a parte me.

(Nobody Knows – Boyzone).1

A volte odiamo noi stessi
per i sentimenti che ignoriamo.
Forse è questo il problema,
non ascoltiamo noi stessi,
finché non è troppo tardi.
RM Drake.

Marzo
(Meno due settimane al matrimonio)


Capitolo 11.

A due settimane dal matrimonio, la situazione era più critica che mai: se all'inizio era sembrato tutto un gioco, una partita a scacchi a lunga durata che avrebbe potuto manovrare senza difficoltà, il countdown dimostrava che ad averlo sconfitto era l'unico giocatore in gara. La casa stessa ormai gli pareva estranea: mano a mano che il soggiorno era diventato il luogo di raccolta dei regali che erano giunti dall'Ohio e dalle nuove conoscenze di New York (inclusi colleghi di Vogue, della caffetteria e altri studenti della Nyada), le tracce della sua convivenza con Kurt sembravano rilegate ai margini, anch'esse soffocate.
Ma era anche l'atmosfera ad essere cambiata: era come se, da quel San Valentino, Kurt avesse fatto una decina di passi indietro. Probabilmente quelli che si era prefissato dal fidanzamento, ma era avvenuto in modo così repentino e brusco che era stato come ritrovarsi a convivere con un estraneo. Un estraneo che ormai passava quasi tutte le notti dal fidanzato e sembrava più che avvezzo all'intimità domestica che avrebbero vissuto da lì a poco. Un estraneo che non sembrava aver più alcun desiderio di aprirgli il proprio mondo.
Se quel loft era stato, da che si era trasferito a Brooklyn, il suo rifugio dal mondo esterno e dalla sua vita notturna, adesso sembrava soffocarlo, lentamente e senza pietà.
Non era pronto e non lo sarebbe mai stato.


Il giovane di fronte a lui aveva decisamente una bella presenza, doveva concederglielo. Non era solo frutto dei suoi tratti somatici, ma quel sorrisetto beffardo e felino che spesso, durante la conversazione, ne sfiorava le labbra, conferendo alle sue parole un sottinteso eloquente. Sebastian ben sapeva che talvolta il fascino era scaturito dal lasciar intendere, piuttosto che nell'affermare ad una maniera esplicita. Ne aveva studiato a lungo lo scintillio delle iridi e quell'aria di chi aveva la presunzione di poter conquistate il mondo soltanto con il proprio charme.
Sì, gli ricordava quella facciata che si era costruito nel tempo e ciò non poté che fargli volgere il giudizio a suo favore. In verità il suo istinto lo aveva compreso da quando gli si era seduto di fronte, intrecciando il suo sguardo azzurro. Un azzurro diverso da quello di Kurt: laddove le iridi di quest'ultimo erano lo specchio di un'anima pura e delle emozioni che le attraversavano, quelle davanti a lui nascondevano i reali sentimenti del giovane e sapevano lusingare ed allettare, in vista di un doppio fine.
Gli strinse la mano alla fine del colloquio.
"Aspetto una tua chiamata", gli disse l'altro con il suo fine accento anglosassone, un breve ammiccamento a mo' di saluto ed uscì dal pub.
Sebastian si sedette al solito sgabello e il barista si avvicinò subito (aveva, infatti, ignorato per tutto il tempo le sue occhiate sospettose, ma non aveva dubbio che lo avrebbe sottoposto ad un terzo grado). Esibiva ancora uno sguardo perplesso, facendo saettare gli occhi nella direzione in cui lo sconosciuto si era allontanato.
"Sebastian, ti prego”, esordì con aria realmente esasperata e rilasciando un sospiro profondo, quasi ad invocare la calma. “Dimmi che non usi il mio posto di lavoro per prendere accordi con un prostituto".
Sebastian si accigliò, quasi si sentisse offeso da quella strampalata supposizione. "Certo che no”, attese che Hunter si sgonfiasse il torace per il sollievo, prima di sorridere con quell'incrinatura più maliziosa. "E' uno spogliarellista", gli spiegò in tono pacato.
Sarebbe valsa la pena di tenerlo ulteriormente sulle spine soltanto per osservarne il repentino cambiamento d'espressione, reso più che evidente dal modo in cui le sue sopracciglia sembravano convergere al centro della fronte o schizzare verso l'attaccatura dei capelli, accompagnate da una buona flessibilità della mascella prominente.
Il barista quasi si lasciò sfuggire di mano un boccale di vetro, ma l'appoggiò sul bancone quasi a fatica.
"Cosa?!", domandò, infine, in tono sconvolto.
Sebastian si gustò quella visione vagamente comica, prima di stringersi nelle spalle e allungargli il biglietto da visita che quel tale Kyle Larris gli aveva lasciato, con tanto di marchio del locale in cui solitamente si esibiva.
"Si dà il caso che quel bietolone di Finn sia stato così gentile da dirmi dove si sarebbe tenuto l'addio al celibato della Mezza SegAnderson”, spiegò con voce vellutata.
Ma dallo sguardo era evidente la sua soddisfazione nel ricordare quanto fosse stato semplice abbindolarlo, una volta assicuratosi che la Berrysterica fosse distratta dai suoi sedicenti fan (una delle sue idee migliori pagare qualche studente incontrato in metropolitana perché la fermassero con una richiesta di autografi e selfie), fino a fargli sganciare ogni informazione utile. Si era persino pentito di non essersi giocato in anticipo la carta del fratellastro poco sveglio.
“Un mio personale regalo per lo sposo", continuò con aria casuale, per poi inarcare le sopracciglia. "E non è neppure costato poco", aggiunse vagamente stizzito dal dettaglio.
Hunter aveva scosso la testa a più riprese, con aria evidentemente disgustata da un simile espediente, ma sembrò volersi risparmiare la morale e cercare di minarne le intenzioni con un approccio razionale, mettendone in dubbio la realizzabilità. "Non ti aspetterai davvero che dopo averlo già tradito, sarebbe così idiota da-".
Sebastian sorrise e neppure gli diede il tempo di finire la domanda: "Kurt ha detto che non regge l'alcol", lo informò con voce flautata.
"Oh”. Hunter imitò un'espressione di deliziata sorpresa ed incrociò le braccia al petto, prima di gettargli un'occhiata di traverso. “Neppure lui?".
Sebastian lo fissò con aria schifata e risentita per l'implicito paragone, ma continuò a parlare, come se non fosse stato interrotto, come se la sua opinione (non che fosse qualcosa di nuovo o di sorprendente) non avesse alcun peso. "L'ho pagato perché si assicuri che il suo bicchiere sia sempre pieno, poi lo sedurrà e quando faranno sesso, filmerà tutto con la telecamera nascosta nel suo appartamento e io farò in modo che Kurt lo venga a sapere”.
Il barista parve persino più scettico, senza contare l'espressione palesemente nauseata. Scosse il capo e strofinò il bancone con uno straccio umido, quasi neppure volesse guardare in faccia il proprio interlocutore. "Questo è davvero spregevole, persino per te”, gli fece presente, scoccandogli un'occhiata eloquente per poi aggiungere: “Soprattutto considerando che stai ancora evitando di affrontare la vera questione".
Ne ignorò l'osservazione pungente e si strinse nelle spalle, difendendo l'ennesimo dei suoi piani con quella punta di orgoglio e di raziocinio che rendeva il tutto persino più paradossale. "E' una prova: se davvero lo ama, non lo tradirà di nuovo, alcol o non alcol".
Hunter sospirò, osservandolo come se stesse cercando un nuovo punto punto di contatto, consapevole che fosse ormai troppo tardi per dissuaderlo a cose fatte. Se non facendo leva sull'unica persona il cui stato d'animo era davvero capace di sconvolgerlo. "Stai giocando coi sentimenti di Kurt. Supponiamo che Blaine cada in trappola: non ti sentiresti complice del tradimento? Riusciresti ad andare avanti con un simile senso di colpa?".
Sebastian non parve, infatti, trovare un'immediata replica: probabilmente era più difficile ignorare quel tarlo quando era qualcun altro ad esplicitarlo e dargli voce. Ingollò un sorso di birra, quasi a tergiversare, prima di stringersi nelle spalle.
Avrebbe desiderato poter avere una risposta arrogante anche di fronte a quell'ipotesi che bastò a strappargli il respiro, quasi tentato di contattare subito il giovane per disdire tutto. Persino il ciondolo del bracciale parve divenire più pesante.
Fissò risentito il barista, quasi fosse una sua colpa, prima di rispondere in tono stizzito: “Nessuno obbligherà Mezza SegAnderson a fare qualcosa”.
Ben lungi dall'essere soddisfatto, Hunter lo guardò senza intenti polemici, ma una reale preoccupazione: "Mancano due settimane, Sebastian".
"Lo so", rispose in una sorta di ringhio, già pentitosi di non aver scelto un altro luogo per quella trattativa.
"Ma continui ad evitare la questione", aggiunse l'altro in tono più gentile, quasi si sentisse in colpa per l'ingrato compito di dovergli far affrontare la realtà.
Sebastian rilasciò un sospiro, ma gli angoli delle labbra si contorsero in un sorriso amaro, quasi vulnerabile. Scollò le spalle, a sminuire il reale stato d'animo e quell'ansia crescente che gli divorava il petto, rendendolo persino incapace di respirare, soprattutto nelle notti passate a passeggiare per il loft, chiedendosi se il coinquilino sarebbe rientrato.
"Sarebbe più facile, se Kurt non evitasse me".
Il barista si passò una mano sulla fronte, quasi quelle parole fossero mortalmente definitive, ma sorrise quasi con la stessa rassegnazione: “Onestamente non so chi tra voi due sia più disfattista”.
Sebastian non rispose, un vago sorriso ironico, prima di osservarlo di sottecchi e schiarirsi la gola:
"Mi stavo chiedendo”, recuperò in fretta un tono casuale. “Per caso conosci il barista del-".
Hunter roteò gli occhi e lo interruppe, di nuovo con voce vibrante di autentico rimprovero: "Se anche lo conoscessi, non lo corromperei per te".
"Io lo farei e anche con un certo divertimento, se Barbie si trovasse un altro Ken”.
"Certo”, convenne l'altro con un sorriso sferzante. “Dopo averle indicato, con tanto di segnaletica, illuminata da neon e da glitter, la strada più rapida per raggiungerlo e aver filmato un loro video hard magari”, precisò con aria ironica.
“Il fine giustifica i mezzi”, gli fece presente e sembrò evidente che non si riferisse soltanto all'eventualità di un suo intervento in altrui questioni sentimentali.
“Parla con Kurt, Machiavelli2”, gli strappò di mano la bottiglia con un gesto eloquente.
Sebastian si rimise in piedi, quasi con aria risentita, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni:
"Continuerai a ripeterlo per tutta la tua fallimentare vita?", gli chiese in tono risentito.
Hunter inclinò il viso di un lato, un sorriso quasi sadico ad incresparne le labbra e renderne i lineamenti assai meno rassicuranti, rispetto alla tipica espressione perplessa. "Fino a quando lui e Blaine non saranno dichiarati marito e marito. Da allora si trasformerà in un « te lo avevo detto »", gli disse a mo' di velata minaccia.
"Un altro motivo per sabotare il tutto", borbottò tra sé e sé, per poi indietreggiare, le mani sollevate e un sorrisetto sferzante. “Niente approvazione, niente pagamento”.
“Sebastian!”.
“Ti saluto, Clarington”.

~


(Vigilia delle Nozze)

Quando rientrò e si guardò attorno, sentì un brivido lungo la spina dorsale: il portachiavi di Kurt era appoggiato al suo solito posto.
Quelle ultime due settimane sembravano essere scorte fin troppo rapidamente e le uniche occasioni in cui aveva scorto il giovane, era quasi sempre accompagnato dal fidanzato, dalla Berrysterica o dalla sua amichetta della caffetteria. Aveva sempre avuto la sgradevole sensazione che, anche quando presente (soprattutto quando riceveva visite o doveva occuparsi di questo o dell'altro stupido dettaglio relativo alle nozze), cercasse ogni espediente per scoraggiarlo ad avvicinarsi ed avere una reale conversazione con lui. A concedersi un po' di quella quotidianità a due che era stata la loro vita fino a quell'insensato fidanzamento. Aveva persino evitato di recarsi al pub, girovagando nel locale del provetto spogliarellista, ignorando tutte le chiamate e i messaggi in segreteria di Clarington.
Tutte le sue speranze sembravano ormai riposte in un perfetto sconosciuto e nella libidine di Mezza SegAnderson.
Ma quella piccola iniziale cosparsa di brillantini e strass sembrò essere una sorta di “segno”, anche se gli incuteva non poca preoccupazione il cominciare ad invocare teorie degne di “Insonnia d'amore”.
Prese un profondo respiro e si concentrò sulla presenza di Kurt: ascoltò i suoni attutiti che provenivano dalla sua stanza. Guardò quella porta come se fosse un portale verso il suo mondo da cui non si era mai sentito tanto lontano come nelle ultime settimane. Una forza attrattiva sembrava volerlo condurre a compiere quei brevi passi che li separavano, mentre il suo gelido raziocinio avrebbe voluto persino allontanarsi, senza che l'altro fosse consapevole di quell'esitazione.
Trattenne il fiato, avanzò in quella direzione, quasi bruscamente e sollevò la mano per bussare, ma non fu necessario.
L'uscio era soltanto socchiuso e ne intravide la sagoma di fronte allo specchio: fu lieto che non potesse sentire l'alterazione brusca dei battiti del suo cuore e quel brivido lungo la spina dorsale.
Kurt lo scorse dal riflesso: seppur non potesse vederlo direttamente in volto, non ebbe alcuna difficoltà ad immaginarne lo scintillio delle iridi e la commozione che si rese evidente dal gorgoglio rauco della sua voce. "Entra pure", lo invitò con un timido sorriso.
Sebastian non riuscì a farlo: non era pronto a vederlo in abito da sposo.

~

Emise un mugugno, quando il fracasso insopportabile a quell'ora del mattino, lo indusse a schiudere gli occhi, dopo una notte fin troppo breve di riposo. Si portò una mano alla fronte, a liberarla dalle ciocche di capelli che vi ricadevano scompostamente sopra e occorse qualche istante per diradare l'ombra del sonno e comprendere chi fosse l'artefice di tale scompiglio.
Si rimise in piedi, passandosi una mano sugli occhi e sbadigliò, prima di lasciare la propria camera e aprire l'uscio di quella del coinquilino, senza neppure curarsi di bussare o chiedere il permesso di entrare.
La vista che lo attese gli fece sgranare gli occhi e il sonno sembrò dimentico. Se non era, infatti, insolito che Kurt si muovesse da un angolo all'altro della stanza, in preda all'agitazione, con almeno una decina di post-it colorati (a mo' di promemoria) appoggiati allo specchio in un ordine soltanto da lui comprensibile, non riusciva a spiegarsi la valigia aperta sul materasso.
Che stai-?”.
Oh, ciao”, lo salutò distrattamente Kurt, ancora intento a prendere degli abiti dalle grucce e appoggiarseli sul braccio piegato. “Non hai una bella cera”, gli concesse un'occhiata prolungata, indugiando sulle occhiaie con aria di pacato rimprovero.
Che sta succedendo?”, gli chiese e incrociò le braccia al petto, attendendo una spiegazione.
Il pensiero corse a quel San Valentino che lo aveva visto compiere gesti inediti: da quella stessa notte, non lo aveva abbandonato l'idea che, senza alcuna interruzione, avrebbe potuto tentare di dare una svolta a quella serata. Non poteva fare a meno di chiedersi che cosa sarebbe potuto accadere, se si fosse concesso di immaginare una vita diversa.
Kurt piegò gli abiti con aria esperta per poi riporli nella valigia. “Scusami, non volevo svegliarti. Il corriere mi ha portato un regalo di mio padre: mi ha invitato a passare il weekend in Ohio e ho il volo prenotato tra...”, guardò l'orologio con aria incredula. “Due ore, dannazione. Credo che mio padre abbia un pessimo senso dell'umorismo o una strana idea di sorpresa”, commentò con aria sospirata. “Ma è il suo anniversario con Carole e non posso mancare”.
Un vago sorriso increspò le labbra di Sebastian. “Tra due ore, hai detto? Ok, allora sarà meglio che mi sbrighi”.
Quelle parole fecero breccia nella mente del suo coinquilino, che assunse un'aria mortificata e si fermò.“Mio padre ha preso i biglietti soltanto per me”.
E allora?”, domandò con un sorriso sferzante. “Qualcosa mi dice che non sarà difficile trovare un posto libero”.
Mi sarebbe piaciuto che tu venissi con me, davvero: avevo anche pensato di telefonare io stesso e buttarti giù dal letto con questa sorpresa”, iniziò Kurt con un rammarico. Evidentemente qualcosa gli aveva fatto cambiare idea.
Cercò di celare la delusione che lo fece irrigidire. “Ma non piaccio a tuo padre”, ne interpretò le parole sottintese.
Non essere sciocco: a mio padre non piace nessuno dei miei nuovi incontri, almeno finché non li approva lui stesso”, precisò con aria vagamente ironica. Sospirò e inclinò il viso di un lato: “So che hai un esame importante lunedì”.
E allora?”, chiese con aria incredula, ma un reale sollievo all'idea che fosse soltanto quella la sua obiezione. “Sai che non sono un topo di biblioteca”, asserì con uno scrollo di spalle. “Posso sempre rimandarlo al mese prossimo”.
Sebastian, non asseconderò il tuo perenne procrastinare: ci saranno altre occasioni per venire in Ohio”. Inclinò il viso di un lato, un sorriso soddisfatto nell'aggiungere: “Anche se comincio a sospettare che ti sia piaciuto, più di quanto saresti mai disposto ad ammettere”.
Corrugò le sopracciglia: “Kurt, non ho bisogno di una balia, ma se non mi vuoi con te, non hai che da dirlo esplicitamente”.
Se ne pentì quasi subito: così impegnato a cercare di non palesargli la delusione che gli aveva appesantito il cuore in petto (sorprendendosi lui stesso di quanto fosse intensa), non sembrò realizzare di poter lui stesso ferirne i sentimenti, come parve palese dallo scintillio minaccioso delle sue iridi.
Scusami”, scosse il capo e sollevò le mani, come a voler ritrattare. “Hai ragione, sarà per la prossima volta”, distolse lo sguardo e si volse per uscire dalla camera.
Fu la mano di Kurt, tuttavia, gentile ma ferma nel tocco, a bloccarne il braccio.
Gli stava sorridendo con quel misto di rimprovero e di dolce comprensione: “Avrei voluto davvero averti con me, anche se avresti passato il tempo a ironizzare su tutto, rovinando l'atmosfera romantica. Ma saranno solo tre giorni, neppure ti accorgerai che me ne sono andato”.
Avrebbe voluto crederci, ma si limitò a trattenerlo. “Mi devi un viaggio, ma la meta la sceglierò io”.
Se supererai l'esame con il massimo dei voti”, si finse severo nell'imporre quella condizione, ma parve altrettanto impaziente.
Fin troppo semplice”, replicò con la consueta sicurezza. Tuttavia, prima di lasciarlo, lo trattenne:“Rivedrai anche lui?”, si sentì chiedere al suo orecchio, cercando di controllare l'inflessione della voce.
Kurt parve sorpreso della domanda, ma il suo volto si irrigidì: “Niente affatto: ormai l'ho perdonato, ma le nostre strade sono separate per sempre”, dichiarò con aria sicura.
Quella lieve tensione, tuttavia, non pareva voler scemare. “Sarà meglio che mi vesta, dovrò assicurarmi tu prenda il volo giusto”, commentò con uno scrollo di spalle.
Non è necessario”, sorrise Kurt. “Posso prendere un taxi”.
Scosse il capo, un sorriso sincero: “Voglio farlo”.
Kurt ne ricambiò il sorriso e Sebastian cercò di ignorare quell'improvvisa aritmia.
Bene, allora sarà meglio che mi sbrighi”. Fece il fatale errore di controllare l'ora e parve impallidire: “Oddio, è tardissimo!”, la sua voce si alzò di un'ottava.

~


Kurt sembrò incapace di esprimere il suo reale stato d'animo: quasi si rendesse conto dell'imminente evento, soltanto indossando l'abito a cui aveva lavorato duramente negli ultimi mesi. Sembrò quasi voler cercare nell'altro una conferma, scorgendone l'espressione altrettanto emozionata, seppur per motivi ben diversi.
"Lo so che l'abito bianco potrebbe sembrare un cliché gay ma-", iniziò con un velo di rossore sulle gote.
Sebastian sollevò le mani, come a volerne fermare sul nascere qualsiasi possibile argomentazione, quasi – a dispetto della situazione che tanto aveva temuto – non riuscisse a sopportare che le sue naturali insicurezze si palesassero, rovinando un momento tanto personale e tanto importante. Perché, a prescindere da se stesso, era la sua felicità la cosa più importante e la sua unica priorità era continuare ad osservarlo e bearsi di un'immagine tanto pura e perfetta.
La giacca, il panciotto e i pantaloni dello smoking erano di un bianco così lucido da assumere un riflesso perlato, mettendone in risalto il colore delle iridi e il candore della sua pelle. Creavano un piacevole contrasto con la camicia di un candore innevato e un ulteriore punto di luce era la cravatta argentata, decorata con pois scuri, a conferire quel tocco più personale, così “kurteggiante”, in assenza di un foulard. Il completo prevedeva persino un cappello intonato che aveva lasciato sul letto.
Si avvicinò per coprire quella distanza e il suo cuore parve fermarsi di fronte a qualcosa di così irreale e, al contempo, tangibile e inequivocabile. Lo sentì immobile, dolorosamente contratto, sprofondando nelle viscere, alla ricerca di quella falsa sicurezza della quale si era forgiato negli ultimi tempi e che aveva soltanto rischiato di compromettere tutto.
Lo sguardo di smeraldo scivolava sull'esile figura e, seppur abbracciasse ogni tratto del suo corpo, la mente sembrò isolarsi e il tempo parve dilatarsi. Scandito da un battito flebile, mentre anche il respiro sembrava venir meno.
Lo rivide quel primo giorno alla caffetteria, le loro prime giornate insieme, l'elenco delle sue stupide regole, la loro prima gita a Coney Island, il primo Natale e quel San Valentino, prima del ritorno in Ohio.
Quell'ultimo anno parve una lunga parentesi, quasi un sogno, che avrebbe dovuto condurlo tra le proprie braccia, ma che sembrava aver vissuto soltanto in parte, quasi come uno spettatore neutrale, incapace di rendere propria la scena. Quell'unica notte a Parigi, quando tutto sembrava ancora definibile, il loro Natale solitario, tra quelle quattro mura che sembravano risplendere di una nuova vita, quell'abbraccio grato dopo la sfilata e quell'unico momento in cui aveva creduto che anche Kurt desiderasse baciarlo.
Gli mancò il fiato e strinse i pugni lungo i fianchi.
"Allora?", gli chiese Kurt con aria febbrile, l'emozione di chi sta per vivere il momento tanto atteso e, al contempo, sembra rifugiarsi in quella preziosa quiete.
Sebastian contrasse le labbra, si avvicinò ulteriormente, ma scosse il capo e cercò di ignorare quel nodo in gola.
"Kurt", sussurrò soltanto e parve sperare, ancora una volta, che il suo nome potesse racchiudere tutto quello che non aveva mai pronunciato a voce alta. Quelle verità rimaste sopite così a lungo, ma rese ogni giorno con lui ancora più labili ed effimere, mentre la speranza moriva a poco a poco.
L'altro sembrò averne compreso l'incapacità di esprimere, perché sorrise ma lo sguardo si fece più lucido e sembrò leggervi una nota di tristezza, persino nel momento in cui la sua gioia avrebbe dovuto essere totalizzante.
Sebastian si costrinse a distogliere lo sguardo che appuntò alle pareti su cui i quadri decorativi erano già stati tolti, come nefasto presagio dello spettro della sua camera, con cui avrebbe dovuto convivere, dopo la cerimonia. Restava solo il panello che aveva odiato così tanto negli ultimi mesi. Lo sguardo guizzò alle scatole lasciate sul pavimento, già in parte riempite, e l'aria parve diradarsi dai suoi polmoni, costringendolo a schiudere le labbra nel tentativo di inspirare.
Kurt ne seguì lo sguardo e quell'ombra di mestizia, parve scurirne lo sguardo. Le labbra tremarono, nel cercare di esprimere il suo stato d'animo, pur con voce flebile: "Non riesco a credere che sarà l'ultima notte che passerò qui".
"Kurt", sussurrò nuovamente Sebastian, con una nuova urgenza, come se la propria voce dovesse infrangere quella barriera tra loro, quel continuo gioco di avvicinarsi ma non spingersi oltre un confine labile.
A stento sembrò riuscire ad osservare il giovane di fronte a sé, senza che un dolore lancinante gli trafiggesse il petto, con la prospettiva di uno persino peggiore, quando tutto sarebbe finito e i rimpianti e il biasimo per me stesso sarebbero stati implacabili.
Fu come se i suoi fallimentari tentativi di sabotaggio, degli ultimi pesi, pesassero improvvisamente sul suo animo come un macigno, come se lo avessero allontanato, anziché avvicinarlo, come avrebbe dovuto. Fin dall'inizio.
Si fermò di fronte al giovane sposo, lo sguardo di smeraldo striato parve incatenare quello di zaffiro e desiderò che il tempo si cristallizzasse in quell'istante.
Ne cinse la gota, come se fosse naturale che le sue dita ne tracciassero la pelle, anche quando l'altro avrebbe potuto percepirlo, almeno quanto per i suoi polpastrelli vezzeggiarne la morbidezza fresca, dall'aroma di crema.
Ne toccò la pelle vellutata, percorse la scia di efelidi sotto il mento che così scrupolosamente voleva nascondere al mondo, con movimento appena percepibile, delicato e soffuso. Come il sentimento che era cresciuto silenziosamente, nei meandri della sua mente e del suo girovagare a vuoto, senza dare una svolta decisiva alla propria vita.
Lo vide deglutire a fatica, lo sentì sussurrare il suo nome con la stessa emozione: un misto di timore e di aspettativa, quasi quel tocco fosse stato in grado di esprimere le parole taciute, ponendo le loro menti in una connessione intima e profonda. La conferma che, seppur silenzioso, anche Kurt fosse stato partecipe di quel cambiamento.
Sebastian contò i propri battiti per non estraniarsi a quell'anelito di realtà, trattenendolo in quell'istante che sembrava trasportarli altrove, dove spazio e tempo non fossero loro avversi. Dove non sarebbero fuggiti per non vivere un istante come quello.
"Non farlo", si sentì dire e il suo cuore riprese a scalpitare intensamente, un brivido lungo la spina dorsale nel sentirsi realmente vivere quel momento, il più importante della propria vita. La voce ridotta ad un respiro inframmezzato dal dolore taciuto per mesi.
Kurt parve impallidire, la pelle tremò sotto le dita di Sebastian, ma non si sottrasse e neppure distolse lo sguardo. Schiuse le labbra e gli occhi si spalancarono.
"Sebastian", sussurrò con voce altrettanto flebile. La sorpresa sembrò intrisa di una supplica. Del giusto motivo o del bisogno di una certezza a cui aggrapparsi più che mai in quell'istante. Dell'essere uniti anche nel momento che avrebbe potuto decretare un cambiamento irreversibile nella sua vita.
"Non farlo", sussurrò di nuovo Sebastian e la sua voce parve acquisire una nuova sicurezza.
Ma non stava riferendosi al matrimonio, mentre ne cingeva il mento: parve supplicarlo di fidarsi di lui e di non allontanarlo.
Il pollice ne sfiorò le labbra, percependone il respiro caldo e affannato. Anche quando la mano ne libera ne cinse il fianco per sentirlo contro di sé e convincersi che non stesse sognando.
Sembrò fluttuare tra il sogno e l'incanto, mentre, con un movimento fluido e quasi frettoloso, si sporgeva al suo viso, osservandone gli occhi sgranati fino all'ultimo istante.
Appoggiò le labbra alle sue, trattenendo il fiato.
Lo baciò come se il mondo stesse crollando sotto i loro piedi e come se stesse per esalare l'ultimo respiro e Kurt fosse il suo unico approdo e rifugio, prima di lasciarsi annientare.
Sentì il verso soffuso di sollievo erompere dalla propria gola, mentre tastava ancora la morbida freschezza della sua pelle con devozione e un tremore quasi incerto. La mano sul fianco lo trattenne a saggiare quel calore e la solidità del suo corpo, quasi a sincerarsi che fosse tutto reale.
Inclinò il capo a cercare di imprimere un'impronta sulle sue labbra che potesse rendere quel momento immortale. Percepì il gemito dell'altro che si infranse contro il suo bacio, ma non lo scostò.
Lo strinse più intensamente in quella silenziosa supplica a non allontanarlo, non in quel momento.
Sentì il suo stesso cuore contrarsi dolorosamente, quando la mano di Kurt si adagiò al suo volto e contò quei secondi di interminabili, attendendo che lo scostasse da sé con decisione e le iridi azzurre lo trafiggessero con la loro sincera purezza.
La mano di Kurt, gentile ma ferma, lo avvinse maggiormente contro di sé e lo sentì premersi contro il suo respiro, quasi volendo lui stesso perdersi in quel bacio, a dispetto di tutto il resto. Un battito di ciglia e le sue braccia esili ne cinsero il collo, come se non avesse desiderato altro.
Un mugugno soffuso e provocante e percepì il suo palmo contro la propria nuca, a trattenerlo in un silenzioso monito.
Sebastian sorrise sulle sue labbra, premendolo possessivamente contro il proprio corpo, a contrasto con la delicatezza con cui le sue dita cercavano ancora di imprimere il proprio tocco sul suo viso.
Baciarlo era come tornare a respirare realmente, era come ritrovarsi senza mai aver ammesso di essersi persi e cercati così a lungo. Come se non ci fossero mai stati altri baci nella propria vita.
Si costrinse a scostarsi, quando si sentì senza fiato, adagiando la fronte alla sua, mantenendo gli occhi socchiusi, a crogiolarsi di quell'istante e del calore che ne infiammò il corpo.
Il respiro affannato di Kurt gli sfiorò le labbra come un suadente invito e Sebastian lo baciò di nuovo, soltanto per sentirlo emettere quel verso gutturale di languida resa e bisogno.
Scivolò con le labbra al suo viso, tracciandone la gota in una scia che lo stava conducendo verso il suo collo, sentendo il respiro tremulo dell'altro contro il proprio orecchio, senza mai scostarsi da quell'anfratto di vaniglia e di crema.
"Kurt", sussurrò di nuovo, indugiando contro la spalla esile, affondandovi docile e arrendevole per un solo istante, quasi quel fluire improviso di emozioni richiedesse un istante di successiva stasi nel realizzare che fosse tutto reale.
Kurt ne baciò la gota punteggiata di nei, quasi li stesse sfiorando uno ad uno, sembrò lui stesso sorreggerlo, rafforzando la pressione dell'abbraccio e affondò una mano tra i suoi capelli, in una devota e delicata carezza.
Sebastian sospirò di beatitudine, lo strinse più intensamente e percorse con le labbra la dolce curva del suo collo, laddove solitamente un foulard lo copriva.
Non mi sta allontanando, fu il suo tremulo pensiero.
Ebbe quasi la sensazione che Kurt potesse sentirne i pensieri, a giudicare da come ne strinse le spalle per scostarlo. Soltanto quel minimo necessario a poter incatenarne lo sguardo.
Sebastian era certo di non aver mai visto così tanta luce in quell'azzurro, reso persino più intenso, a contrasto con la pupilla scura. Sembrava ancora lievemente affannato, mentre gli sfiorava la pelle del viso, percorrendola con lentezza estenuante, a contrasto con il battito convulso del suo cuore.
“Sebastian”, bisbigliò con voce rauca, prima di sollevarsi rapidamente sulle punte per pressare le labbra alla proprie, strappandogli il respiro con un verso di soffuso desiderio.
Ebbe soltanto il tempo di scrutarne il volto un ultimo istante: le pupille dilatate ma frementi, le gote arrossante, le labbra ancora gonfie dei suoi baci rubati al mondo e a loro stessi.
Si costrinse a scostarlo, per riprendere controllo dei propri pensieri.
"Kurt", sussurrò di nuovo.
"Sono qui", fu la mormorata risposta, quasi distratta, nel tentativo di carpirne nuovamente le labbra.
Pensò che la sua vita avrebbe potuto concludersi in quell'istante e tutto sarebbe stato perfetto, che un solo attimo sarebbe bastato ad avvincerlo ulteriormente a sé, a sentirlo desiderare con altrettanta intensità che lo facesse suo.
Tremò quando le dita di Kurt, con una dimestichezza sorprendente, cercarono l'orlo della t-shirt ad insinuarsi al di sotto per sfiorarne la pelle nuda e fu naturale mordicchiarne il collo, osservando la pelle arrossarsi e sentendone il verso di approvazione.
Sarebbe stato così dannatamente semplice socchiudere gli occhi ed isolare la propria mente, lasciarsi naufragare in quelle emozioni conosciute, eppure nuove, perché forgiate di un'intensità diversa che lo fecero sentire quasi timoroso.
Trasse un respiro e la trepidazione e il sollievo dei primi istanti, lasciarono spazio alla razionalità che sembrò ammonirlo di star soltanto illudendosi. Sottoponendo l'altro ad un pericolo persino più grande dello sposare colui che aveva ritenuto l'amore della sua vita.
Lasciò nuovamente scivolare lo sguardo sull'abito da sposo, quella candida purezza che, da sempre, aveva amato in quello sguardo e nelle sue svenevoli romanticherie. E il pensiero di starlo contaminando, alla vigilia delle nozze da sempre attese, parve farlo irrigidire.
Kurt parve percepirlo, quando ne cinse la gota, ancora prima che potesse incrociarne lo sguardo e scorgere il mutamento nelle sue iridi.
“Non posso”, si sentì dire con voce angosciata e il nodo in gola parve persino più ferreo.
Le iridi azzurre si spalancarono, ma la pressione sulla sua guancia parve farsi più salda, a mo' di dolce rassicurazione e di monito. "Sebastian", lo richiamò, quasi desiderando estraniarlo da quei solitari pensieri.
Ne baciò con devozione i palmi delle mani, ma scosse il capo e si costrinse ad allontanarlo, quasi lui stesso fosse la fonte della propria perdizione, quasi assecondandone il bisogno, stesse iniziando a distruggerlo. Poco alla volta. Come era inevitabile.
"Non avrei dovuto...". Si sentì dire con voce sconnessa e si sentì soffocare, cercando di ignorare frammenti di immagini e di fantasmi che sembravano più intensi che mai, persino nel suo rifugio dal passato.
“Sebastian”, ripeté Kurt, con voce tremula, ma lo sguardo determinando nell'avvicinarsi nuovamente. “Va tutto bene, è quello che desideravamo entrambi”, disse con voce limpida e Sebastian si odiò per come quelle parole ne resero nuovamente il respiro fremente, desiderando soltanto trattenerlo ancora a sé e abbandonarsi a quel bisogno doloroso.
“No”, sussurrò e parve lui stesso supplicarlo di non pronunciare altre parole che lo facessero desistere. Si costrinse a voltarsi, il respiro infranto quando si chiuse la porta alle spalle, ignorandone i richiami concitati.

~

Come se il tasso d'irrealtà della situazione non fosse stato già sufficiente, al bancone del Penguin Pub non trovò SfinterHunter. E quel microbo di Jason Stillman non seppe neppure fornirgli una valida giustificazione, a parte la formale telefonata al proprietario del locale. Si domandò se ciò non fosse collegato all'abilità in cui, nelle ultime due settimane, ne aveva ignorato l'esistenza.
Anche se sarebbe stato semplice sgraffignare una fiaschetta di tequila, si era costretto a lasciare il locale, per raggiungerne il loft. Di certo non si sarebbe mai aspettato che, dopo aver bussato alla porta, sarebbe stata la bionda svampita a schiudere l'uscio.
"Ciao Ciuffo Disney", trillò con aria allegra e si scostò dalla soglia, come se fosse stata perfettamente a suo agio in quell'ambiente e, con ancora più grande sconcerto di Sebastian, indossando una camicia del ragazzo, a giudicare da quanto le fosse larga di spalle e come la coprisse fino al ginocchio.
"Ho sistemato la mia camera e-".
Hunter Clarington, che stava appunto uscendo dalla camera da letto, si interruppe alla vista del giovane alla porta, le sopracciglia inarcate con evidente sorpresa. Evidentemente domandandosi quale catastrofe lo avesse spinto a eludere il muro di silenzio che aveva eretto nelle ultime settimane.
"Sebastian”, lo chiamò con aria circospetta.
Gli rivolse un breve cenno del capo, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni, simulando una perfetta compostezza. "Clarington", ribatté in risposta, come se non fosse affatto passato del tempo da una delle loro ultime schermaglie.
"Brittany!", esclamò la biondina con aria giocosa, prima di assumere un'espressione mortificata allo sguardo gelido di Sebastian. Sospirò, ma si strinse nelle spalle brevemente, allontanandosi: "Vi lascio soli", pigolò, attraversando rapidamente il soggiorno (non che fosse difficile considerate le ristrette dimensioni).
"Grazie, Brittany", le sorrise il padrone di casa, quasi a mo' di scuse per l'insolenza del nuovo arrivato.
Tutt'altro che infastidita, sembrò ritrovare il sorriso e lo scintillio vivace nello sguardo: "Di nulla". Agitò la mano e si chiuse nella camera da letto.
Ci vollero diversi secondi, perché Sebastian osservasse quello scambio di sguardi, le sopracciglia così inarcate che quasi scomparvero sotto i ciuffi di capelli che ricadevano sulla fronte. Rilasciò un sospiro stoico e scosse il capo: "Ho davvero toccato il fondo, se persino tu sei riuscito a-".
"Shhhhh!", Hunter lo interruppe e si guardò alle spalle, come a sincerarsi che la giovane non fosse a portata d'orecchio. Allora continuò, con voce più bassa, facendogli cenno di accomodarsi e richiudendosi la porta alle spalle. "E' una lunga storia, ma lo stronzo del suo affittuario l'ha buttata fuori di casa perché ha dimenticato di pagare l'affitto e le more... degli ultimi cinque mesi", lo informò, camuffando l'ultima informazione con un colpo di tosse.
Gli rivolse un sorrisetto sferzante, incrociando le braccia al petto e inclinando il viso di un lato: "E per consolarla hai organizzato un gioco di ruolo in cui le hai proposto l'affitto della tua baracca, in cambio di un pagamento in natura?".
La mascella del barista sembrò abbassarsi, ma scosse il capo rapidamente. "No, certo che no. Le ha confiscato tutto, gatto selvatico compreso, non aveva un posto dove andare, a quanto pare Santana ha dei parenti in visita o qualcosa del genere", spiegò con uno scrollo di spalle.
Un guizzo di soddisfazione ne fece dardeggiare lo sguardo di smeraldo, ma si premunì di fargli una domanda esplicita. "Quindi non avete...?".
L'altro scosse rapidamente il capo: "Non sono quel tipo".
Rilasciò un enfatico sospiro di sollievo: "Oh, grazie al cielo: cinquanta dollari risparmiati".
Il barista sgranò gli occhi, consapevole che ciò facesse parte di qualche frode di cui non gli era dato sapere, ma scosse nuovamente il capo, borbottando un “Non voglio saperlo”. Si schiarì la gola e assunse un'espressione più consona a quella che solitamente esibiva, stando dietro al bancone. “Se cerchi una sbronza da Vigilia, Jason sa già quali sono i tuoi dosaggi, ma non esagerare: Jackson è più manesco di me se gli tocchi il fidanzato. Se vuoi una predica, allora-", gli fece cenno al divano, con un sorriso quasi soddisfatto.
Sebastian lo ignorò, ma scrollò le spalle: "Ho baciato Kurt", lo informò distrattamente.
Hunter sgranò gli occhi e schiuse le labbra: "Oh, cazzo", fu solo capace di dire.
Gli concesse un vago sorriso. "E lui non mi ha respinto", precisò.
Sembrò quasi che l'altro volesse levare un ringraziamento al cielo, in verità non lo vedeva così esaltato da... l'ultima notte in femminile compagnia (il che, sì, era abbastanza patetico e inquietante insieme), ma un sorriso ne increspò le labbra e rilasciò una risata di puro sollievo, guardandosi attorno. "Dove ho messo lo champagne?".
Sospirò e tutto il vago divertimento, parve dissolversi: "E poi me ne sono andato".
Il barista si bloccò a metà strada tra il soggiorno e il frigorifero e si accigliò, stringendo i pugni lungo i fianchi. "Fanculo”, borbottò e si avvicinò alla credenza dei liquori con nuovo vigore: “Dov'è il whisky?".
Sebastian gli fu quasi lieto perché gli consentì di concentrarsi su qualcosa di così futile, cercando di ignorare quel peso all'altezza del petto e quel nodo in gola. "Non dovresti essere tu il custode del mio fegato?", chiese con la sua tipica intonazione sarcastica.
L'altro gli rivolse un'occhiata risentita e si sgolò mezzo bicchiere in un fiato: "Infatti è per me: finirò in terapia di questo passo". Scosse il capo, si strofinò una mano sulla fronte e si sedette sul divano, attendendo che lo raggiungesse e depositò la bottiglia e due bicchiere sul tavolino da caffè.
Gli occorsero diversi istanti perché sembrasse recuperare le sue facoltà oratorie o trovare lo spunto per imbastire una conversazione.
"Ok, il fatto che tu l'abbia baciato è già qualcosa... e il fatto che non ti abbia respinto è altrettanto eloquente”, esordì a voce alta, quasi necessitasse di convincersi lui stesso. Lo guardò con un'occhiata di sbieco. “Ma che cosa diavolo ci fai qui? Gli stai dando tempo di pentirsi, tempo che potresti usare per convincerlo che non è stato un errore così che possa disdire tutto, prima di domani!”.
Sebastian si lasciò cadere sul divano, dopo essersi tolgo la giacca, ma non ne incrociò lo sguardo: "Magari è stato davvero uno sbaglio", sembrò dire a se stesso.
Hunter aggrottò le sopracciglia e serrò la mascella, come se quelle parole gli fossero state fonte di un torto personale. Scosse il capo. "Se in quest'ultimo anno c'è stata una sola certezza che mi ha impedito di impazzire, è stata la consapevolezza che tu ami davvero quel ragazzo, malgrado tu sia un recidivo e cinico manipolatore bastardo”. Lo trafisse con lo sguardo: “Se adesso mi dici il contrario, giuro che ti spacco la faccia".
Si concesse di rivolgergli un'occhiata di ironico divertimento: "Sei sempre così brutale coi tuoi ospiti, a meno che non indossino le tue camice?".
"A-ha, non provare a sviare il discorso: sei venuto qua, quindi è evidente che il tuo inconscio vuole che ti prenda a calci in culo finché non torni da Kurt”, replicò con aria realmente convinta. “A costo di chiudervi in quello stupido loft, finché non vi sarete uccisi o siate morti di sesso: a voi la scelta", aprì le mani in segno di resa.
Si versò un po' di whisky e mosse il bicchiere, prima di ingollarlo: "Devo ammettere che l'alcol non ha lo stesso sapere senza le tue prediche", lo informò con aria distratta.
"Commovente”, ribatté l'altro, roteando gli occhi, prima di sospirare. “Ma tu glielo hai detto?", gli chiese in tono realmente esasperato.
Inarcò le sopracciglia: "Cosa?"
Hunter sospirò con aria stoica, quasi fosse sull'orlo dell'esaurimento. "Ti amo", lo sottolineò come se stesse parlando con un bambino.
"Brutto momento", pigolò Brittany mortificata, guardando dall'uno all'altro con gli occhi sgranati e le labbra schiuse. Non si erano infatti accorti che, con aria furtiva, era uscita dalla camera e si era immobilizzata al sentire quelle parole. "E' meglio che vi lasci soli", cercò di approntare un sorriso.
“NO!”, esclamò Clarington la cui mascella sembrò raggiungere livelli storici di slogatura. Si sporse verso di lei, cingendone il braccio con una risoluzione che solo il whisky poteva aver causato: "Ferma!".
Impagabile osservare l'espressione realmente perplessa della biondina, scrutando la mano che l'aveva trattenuta con una certa urgenza, ma gli sorrise nuovamente, quasi con aria comprensiva: "Non preoccuparti: posso aspettare".
"Tu resta dove sei!”, attirò la giovane verso il divano. “E anche tu!", si volse a Sebastian e gli rivolse uno sguardo omicida di fronte alla contrazione delle sue labbra a testimoniarne i tentativi di non ridere. "Ora stiamo tutti qui seduti, fino a quando non chiariamo le cose una volta per tutte!".
“Oh, ok”, commentò la giovane con aria pacata. “Ma posso prendere un bicchiere di latte?".
Le indicò il frigorifero e soltanto allora si accorse di averla trattenuta oltre il lecito e si schiarì la gola: "Prego".
"Grazie", gli sorrise l'altra, pur continuando a guardarlo con aria ancora circospetta.
"Quindi non glielo hai detto?", si rivolse di nuovo all'amico e alzò la voce, così che la giovane potesse seguire il filo logico della conversazione. "Tu, Sebastian Smythe, non hai detto a Kurt Hummel, l'unico ragazzo gay della nostra storia, che lo ami? Ho ben capito?". Formulò lentamente la domanda, specificando ogni singola parola.
Sebastian sbatté le palpebre e sospirò: "Mi fai così pena che sono disposto a pagarla”, si volse verso la giovane. “Ehi, Brittany".
"Sì?". Si era affrettata a raggiungerli, appollaiandosi sul bracciolo del divano, accanto al barista, coccolando il persiano che le si era acciambellato in grembo con tanto di fusa.
“Giuro che telefono a Kurt!”, sibilò il barista in tono minaccioso.
Sebastian non ebbe tempo di rispondere perché fu sorpreso dalla propria suoneria: lui e Hunter si volsero in simultanea ad osservare il cellulare.
"E' Kurt!", lo additò Hunter con aria trionfante, leggendo il chiamante e affrettandosi a porgerglielo. "Avanti, rispondi".
Il sorriso sulle labbra di Sebastian si dissolse e il suo sguardo si scurì, come se quel nome avesse fatto crollare tutte le proprie certezze. Le sue labbra si contorsero, ma scosse il capo.
"No".
Hunter digrignò i denti: “Non te lo sto chiedendo".
"Mi stai minacciando?"
La tempia del barista parve pulsare, quasi a voler rendere nota la propria presenza: "Rispondi!", ruggì letteralmente.
"Non capisco il senso di questo gioco", commentò Brittany guardando dall'uno all'altro con aria interdetta, ma si strinse nelle spalle e prese il cellulare. Sotto lo sguardo incredulo degli altri due, premette il tasto di risposta
"Pronto?", rispose con la sua intonazione più infantile.
Si alzò e giocherellò pigramente coi propri capelli, mentre sorrideva, come se il suo interlocutore potesse vederla.
"Ciao Kurt!”, lo salutò come se fosse un amico di vecchia data. “Io mi chiamo Brittany. Sì, Sebastian è qui con me, siamo a casa di Hunter. Lui non voleva rispondere al telefono, allora l'ho fatto io”, raccontò con aria vivace.
"Io l'ammazzo!".
Sebastian si alzò, avvicinandosi rapidamente alla ragazza, ma Hunter, gettandosi con un balzo dal divano, lo placcò come un giocatore di football professionista.
"Oh, grazie!”, esclamò Brittany con aria deliziata. “Anche tu hai una bella voce", cantilenò, mentre i due ruzzolavano sul pavimento, cercando di avere la meglio sull'altro.
Si voltò nel mezzo della sua passeggiata, ma parve sbigottita nel coglierli in quella situazione. "Vi sembra il momento di mettervi a giocare?", chiese con tono spazientito.
Sebastian cercò di scrollarsi di dosso il padrone di casa, le sopracciglia aggrottate: "Se pensi che tra i due, saresti tu quello attivo, allora-".
"Co-?”, sbarrò gli occhi con aria disgustata. “Che schifo!".
"Non so se io e Sebastian siamo amici", continuò Brittany con aria confusa. "Ma se vuoi che gli dica qualcosa, lo farò e ricorderò tutto-tutto, però non essere triste, ti prego". La sua voce assunse un'intonazione evidentemente preoccupata e tutta l'aria ilare parve scomparsa, rimpiazzata da una più seria e compunta, a giudicare dalla formalità di quella promessa.
Sebastian parve tendersi al sentirla parlare in quel modo e, con una gomitata a tradimento che tolse il respiro a Hunter, riuscì a rimettersi in piedi, e raggiungere la giovane che stava annuendo con vigore.
"Va bene”, annuì Brittany dopo esser stata silenziosa negli ultimi due minuti. “Glielo dirò: buonanotte, Kurt”. Sembrò recuperare il sorriso: “Oh, anche tu sei tanto-tanto-tanto dolce! E' stato un piacere parlare con te!". Sospese la telefonata per poi porgere il telefono a Sebastian. "Sembra tanto carino e gentile: perché non hai voluto rispondere? Era tanto triste ed è tutta colpa tua!", lo aveva additato con la stessa serietà con cui una madre avrebbe sgridato un bambino indisciplinato, puntellandosi le mani sui fianchi.
"Che cosa ti ha detto?", le chiese in un ringhio, contraendo le mani come non desiderasse niente di meglio che strangolarla, una volta ottenuta l'informazione desiderata.
Hunter si rimise in piedi, le mani sui fianchi e l'aria sofferente, ma gli riservò comunque un'occhiata di puro odio.
"Allora", la giovane si concentrò, lo sguardo perso nel vuoto mentre Sebastian doveva trattenersi dallo scrollarla energeticamente. "Oh, sì: ha detto che ha tanto bisogno di parlarti di tu-sai-cosa, anche se io non ho capito, ma era tanto triste”, ripeté con gravità, per poi guardarlo con aria arrabbiata. “Che cosa gli hai fatto?!", curioso come la voce stridula la rendesse ancora più simile ad un buffo cartone animato.
"Concentrati, Beautiful Mind”, la esortò Sebastian, additandola. “Che altro ha detto su di me?".
"Che ti aspetterà a casa, ma che se non arriverai", ripeté molto meccanicamente, gesticolando come un'attrice dilettante che cerchi di ricordare le battute e dare loro una giusta intonazione. "Allora capirà che è stato un errore e domani... lui si sposerà", concluse con aria ancora piuttosto confusa.
"Nient'altro?", insistette Sebastian il cui sguardo si era ulteriormente offuscato.
"Oh, sì", parve illuminarsi. "Ha detto che sei sempre maleducato con tutti e quindi non è colpa mia se mi tratti male", conclude con un sorriso raggiante.
Le scoccò un'occhiata di puro disgusto, ma si sforzò di mantenersi calmo: "Su di me, ha detto altro su di me?", le chiese sillabando le parole.
"No, ma io credo che lui voglia che tu vada da lui", gli disse con aria evidentemente empatica e partecipe, quasi la propria opinione potesse effettivamente essergli di stimolo.
Sebastian scosse il capo e si sedette sul divano.
Hunter sospirò, lasciandosi cadere sull'altra estremità: "Che diavolo stai aspettando?", lo incalzò. Evidentemente la situazione era abbastanza delicata da fargli rimandare i propositi di vendetta per quell'ultimo scontro.
"Non iniziare con le tue prediche”, sbottò in tono impaziente.
Hunter dovette prendere un profondo respiro, serrando la mascella: "Hai passato l'intero anno a sabotare tutto, ma non hai mai voluto dirgli che cosa provi. Si può sapere che cos'è che ti frena, anche quando è evidente che per lui sei qualcosa di più di un affittuario?".
Quelle parole parvero persino farlo ritrarre maggiormente, mentre incrociava le braccia al petto. "Non adesso", gli chiese stancamente.
"E quando, Sebastian?”, chiese Hunter con aria frustrata. “Si sposerà domani: non c'è più tempo!", alzò la voce, facendo sussultare la sua ospite.
"Lo so! Cazzo, lo so!”, ribatté Sebastian con voce altrettanto alterata, fissandolo con sguardo furente. “E' da un anno che ho quel maledetto countdown in testa!".
"E allora perché sei ancora qui?!”, chiese l'altro, cercando di sovrastarne la voce. “Ma non lo capisci: è disposto a gettare all'aria il suo matrimonio per te. Che altro stai aspettando?!".
Sebastian distolse lo sguardo, ma parve afflosciarsi e perdere ogni convinzione: "Non è di lui che non mi fido", ammise con un sospiro.
Fu forse quell'espressione impotente a lasciare il barista senza fiato: lo guardò come se improvvisamente fosse difficile riconoscere Sebastian nel giovane che aveva di fronte, così sfiduciato e così incapace di affrontare i propri sentimenti.
“Cosa?”, domandò in tono confuso.
La sua stessa ira sembrò placarsi e sospirò, sforzandosi di recuperare una parvenza di calma: “Cosa c'è che ancora non mi hai detto?".
Sebastian non rispose, lo sguardo era fisso di fronte a sé, in un punto indefinito e restò immobile per pochi istanti, fino a quando non si sentì soffocare, anche in presenza dell'altro. Raccolse il cellulare e camminò verso la porta senza voltarsi. Sbatté la porta alle proprie spalle.
Hunter e Brittany sussultarono e il persiano soffiò con aria infastidita.
La giovane sospirò e lo prese tra le braccia, quasi a volerlo consolare, prima di osservare il ragazzo con aria mortificata. Era rimasta silenziosa in quegli ultimi istanti, ma aveva risposto tutta la propria attenzione al loro ultimo dialogo.
"Forse non avrei dovuto alzare la voce con lui", sussurrò quasi a volersi scusare.
Hunter la guardò incredulo, ma scosse il capo. Suo malgrado, un sorriso ne increspò le labbra. "Sei stata perfetta”, la lodò sinceramente, prima di rabbuiarsi. “Ma io ho la sensazione di non aver capito davvero molto di lui”, confessò con aria grave. “Non sono stato granché d'aiuto per un intero anno e stasera mi sento più inutile che mai”.
"Non è vero!", protestò la giovane, stringendogli il braccio e sorridendogli con aria comprensiva e accorata. "Non sarebbe venuto qui, se non avesse voluto che tu gli dicessi cosa fare”, parlò con una certa sicurezza. “A meno che non volesse ruzzolarsi insieme a te sul pavimento”, aggiunse con una scrollata di spalle.
Se aveva sorriso con aria compiaciuta nel sentirsi tessere le lodi, a quella precisazione si schiarì la gola rumorosamente. "Una cioccolata calda, prima di andare a dormire?".
"Sì!”, esultò, battendo le mani.

~


Sorprendentemente, Kurt sembrò riuscire a finire i bagagli con grande tempestività e persino a premunirsi di compiere un rapido controllo per assicurarsi che nulla fosse stato dimenticato: dal filo interdentale fino al libro da lettura durante il volo.
Non parlarono molto durante il viaggio in auto: non aveva dubbio che lo sguardo azzurro stesse già vagliando l'idea di dare un tocco personale alla cena d'anniversario del clan Hummel-Hudson, ma non riusciva a spiegarsi quella sorta di inquietudine interiore che lo aveva attanagliato, da quando aveva annunciato quell'improvvisa partenza.
Un senso di insoddisfazione lo aveva sorpreso in più istanze in quegli ultimi mesi: era come se alla sua “vita tipica” tra sbronze, incontri notturni e lezioni universitarie non frequentate, si contrapponesse quella quotidianità scandita da quel sorriso, dalle sue prediche, dalla sua particolare concezione della moda, della dieta culinaria, fino anche all'arredo degli spazi comuni. Se prima quelle due entità della sua personalità potevano convivere e Kurt rappresentava, con il loft, una sorta di rifugio dal mondo esterno; era come se una parte di sé stesse metabolizzando, sempre più intensamente, che non era più sufficiente.
Malgrado in quelle notti ci fosse stato un tocco fuggevole ed estraneo a sfiorargli la pelle, nella ricerca di un mero piacere carnale, era come se tutto fosse sbagliato. Se erano superficiali e arroganti i baci cui talvolta si prestava; le sue labbra sembravano ancora tremare del ricordo di un bacio mancato, ma il cui pensiero era capace di riscuoterne il torpore e costringerlo a girarsi tra le lenzuola, cercando di tornare in sé. Cercando di costringersi a restare nel proprio letto e non vagare in quel loft, ricercando il profumo di vaniglia o rubando al suo sonno una carezza delicata e segreta.
Sebastian?”, lo richiamò l'altro con aria confusa, già uscito dal lato passeggero. “Non mi accompagni dentro?”, chiese con un sorriso.
Si riscosse ed annuì distrattamente: fu lesto ad uscire dall'auto e prendere la valigia dal bagagliaio per portarla dentro, notandone lo sguardo di compiaciuta meraviglia a simile cavalleria.


Lo seguì fino alla fila dei passeggeri che, dopo l'annuncio, stavano consegnando le carte d'imbarco ad una sorridente impiegata, di fronte al gate del suo volo.
Kurt si volse in sua direzione e lo guardò con un sospiro:“Mi prometti che non mangerai soltanto robaccia da fast-food, in questi giorni?”.
Sebastian sbuffò, un vago sorrisetto. “Sì, mamma”, rispose con le mani conficcate nelle tasche, dopo avergli porto la sua sacca da viaggio.
Mi dispiace davvero che tu non possa venire con me”, sussurrò con voce più dolce e Sebastian sospirò.
Anche a me, pensò intensamente, quasi volendo trasmettergli quel messaggio telepaticamente.
Si strinse nelle spalle: “Mi scorterai in posti più interessanti”, gli fece presente con aria arrogante, ripristinando quella tipica interazione più giocosa.
E' una promessa”, commentò Kurt in risposta. “Quindi puoi già cominciare a pensare alle nostre prossime mete”, aggiunse con un sorriso.
Lo farò”, commentò in risposta.
Mancavano pochi passeggeri, prima del turno di Kurt, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo volto, indugiando sulle sue labbra. Aveva la netta sensazione che avrebbe dovuto fermare il tempo, in quell'istante, attrarlo a sé e cercare di esprimergli quella nube di pensieri che lo stavano tormentando negli ultimi mesi.
Prego”, l'impiegata si volse a Kurt che le porse il documento. “Si accomodi pure e buon viaggio”.
Allora ci vediamo Lunedì”, sussurrò Kurt e si sporse per cingerne il collo in un breve abbraccio.
Sebastian affondò il volto contro la sua spalla, inspirandone l'aroma di vaniglia e sospirò.
Kurt ne pronunciò il nome con intonazione interrogativa e si scostò per osservarlo. “Va tutto bene?”.
Indugiò in quella contemplazione, smuovendo le labbra e inclinando il viso di un lato. Parve rapidamente riflettere, ma si strinse nelle spalle.
Fai buon viaggio”, ne baciò delicatamente la guancia, ma indugiò vicino al suo viso.
Gli sorrise con quella dolcezza che ne fece scintillare le iridi: “Ciao Sebastian”.
Lo osservò allontanarsi, insieme agli altri passeggeri, ma si volse per un ultimo saluto, sollevando il braccio.
Fu allora che qualcosa sembrò scattare dentro di lui.
Kurt!”, lo richiamò, prima che l'impiegata potesse chiudersi l'uscio alle spalle.
Sì?”, gli chiese, quasi incurante del fatto che stessero intralciando l'imbarco.
Quanto tornerai, dovremo parlare”, gli disse a mo' di promessa.
O un monito perché lui stesso non dovesse cambiare idea in quei giorni di distacco.
Kurt parve sorpreso, le sopracciglia inarcate, ma un nuovo rossore ne sfiorò le gote, quando sembrò comprendere. “Lo faremo”, commentò in risposta. Come una rassicurante promessa, o la conferma che avesse compreso più di quanto avrebbe mai pronunciato.
Gli rivolse un ultimo sorriso e si allontanò all'ulteriore invito dell'impiegata.
Sebastian sospirò, rimase di fronte alle vetrate, fino a quando il suo volo non decollò. Doveva soltanto attendere un weekend, si disse con un sorriso.

~


Hunter osservò la giovane con le sopracciglia inarcate: la tazza ormai vuota tra le mani, Brittany Pierce osservava un punto indefinito di fronte a sé e l'espressione ne tradiva una ferrea concentrazione.
"Tutto bene?", le chiese colpito da quell'insolita tranquillità.
Stava disegnando con le dita in aria, come se questo le facilitasse la riflessione, ma si volse in sua direzione con un sospiro. "Quindi Ciuffo Disney ama Voce di Fata, ma anche Voce di Fata ama Ciuffo Disney”, sembrò voler riassumere ciò che aveva appreso da quell'ultima visita e dalla telefonata. “Nonostante questo sta per sposare Puffo Cattivo", la sua espressione ne tradì la reale perplessità.
Hunter sorrise: avvezzo alle interazioni con Sebastian che scorgeva aspetti lascivi in ogni singola cosa (anche laddove non era minimamente intenzione dell'interlocutore alludere a qualcosa di volgare), parlare con chi conservava una visione così infantile e giocosa del mondo, era come un balsamo benefico.
Annuì e sospirò con aria quasi esasperata: "Benvenuta nel mio mondo".
"Perché è così difficile?”, domandò con reale curiosità. “Non si potrebbe semplicemente andare dalla nostra persona speciale e dirle « io ti amo: decidi tu. Vuoi stare con me: sì o no? » Come all'asilo", spiegò con un sorriso più giocoso.
Inarcò le sopracciglia, ma il sorriso non scemò dalle sue labbra, quasi riuscisse comunque a trovarvi qualcosa di davvero divertente. Come con quei discorsi potesse smussare la serietà di una questione tutt'altro che risolta. “Forse hai ragione, sarebbe tutto più semplice".
"Neppure tu lo faresti?", lo incalzò, osservandolo così attentamente che Hunter ebbe l'impressione che avrebbe potuto sondare nel profondo di stesso, se solo lo avesse voluto. Se avesse avuto un motivo preciso per farlo, almeno.
"Non lo so", sussurrò in risposta. "Ma se non lo facessi, probabilmente sarebbe per il bene della persona speciale, come la definisci tu", sussurrò. Fu il suo momento di inclinare il viso di un lato ed osservarla più attentamente. Quasi cercando di capire se quello scambio di parole avesse dei messaggi sublimali e non stesse rischiando di illudersi o fraintendere tutto.
Ne ricambiò lo sguardo, ma fu colta dalla stanchezza e si portò una mano alle labbra per coprire lo sbadiglio. "Scusami, sono stanca", pigolò con aria infantile.
"Certo", si drizzò e le indicò la camera da letto.
La giovane gli sorrise e si alzò sulle punte per baciarne la guancia: "Ti avrei chiesto di dormire con me”, gli disse con la stessa intonazione allegra e solare, quella punta di schiettezza che era persino più imbarazzante di una lusinga volutamente provocante. “Ma so che non sei come gli altri e mi rispetti. Ed è una cosa che adoro".
Non seppe cosa fosse stato più letale: la tipica semplicità con cui pronunciò quelle parole o il fatto che sembrasse davvero sollevata all'idea che il loro rapporto fosse assolutamente platonico.
"Non c'è problema", bofonchiò, per poi volgersi al divano, con la scusa di preparare il proprio giaciglio con coperta e cuscino. "Allora fai sogni d'oro", le augurò.
"Anche tu", trillò con voce allegra, stiracchiandosi.
Hunter ne seguì l'esile figura, fino a quando non scomparve dietro la porta della propria camera. Solo allora rilasciò un sospiro profondo e si sedette. Persino il suo gatto, seduto sul tavolino da caffè, sembrava guardarlo con aria di profondo compatimento.
Gli fece cenno di raggiungerlo: "Siamo soli io e te, come sempre", sussurrò.
"Micio, micio?", la voce della giovane irruppe nel silenzio del soggiorno e fece capolino con il capo dalla camera.
Il felino, quasi fosse preda di qualche arcano incantesimo, emise un miagolio e, le fusa udibili a distanza, scese con un balzo dalla postazione e si affrettò a raggiungerla.
La porta fu chiusa con un lieve tonfo.
Hunter fissò in quella direzione con aria shockata, prima di sprimacciare il cuscino: un ottimo espediente per prendere a pugni un oggetto inanimato.
"Se ci sarà un'altra vita, spero di rinascere gay e con uno stormo di donne da illudere", borbottò tra sé e sé, cercando una comoda posizione che non gli facesse troppo rimpiangere la cavalleria dimostrata.

~


Sebastian lo percepì appena schiuse l'uscio di casa e la temperatura parve calare bruscamente. Aveva vagabondato per le strade della città, quasi perdendo la cognizione del tempo, la mente che continuava a percorrere dedali di ricordi, mescolando il passato al presente, con l'ombra inquietante di un futuro che si sarebbe realizzato da lì a poche ore. Senza trovare pace: consapevole che, giunto a quel punto, nessuna opzione fosse quella vincente e ne sarebbe comunque uscito sconfitto.
Osservò il soggiorno immerso nel buio e sembrò che quelle quattro mura avessero perso la loro ragion d'essere.
Riuscì ad intuirlo, il cuore in gola e l'eco dei suoi passi a risuonare nei suoi timpani, ma una parte di sé sembrava voler serbare la speranza. L'altra probabilmente aveva bisogno dell'impatto nudo e crudo per poter desistere.
Si sentì soffocare, ma era consapevole di dover affrontare quel momento. Schiuse l'uscio e l'immagine che, negli ultimi mesi aveva perseguitato i suoi sogni più agitati, gli apparve innanzi nella sua crudele realtà.
Una camera spoglia sembrava pronta ad accogliere una nuova persona, una nuova anima. Ogni oggetto di Kurt era scomparso, lasciando un ambiente nudo e senza più vita.
Un solo biglietto, strappato dal block notes dai fogli azzurri, ad attenderlo sul materasso.
I passi per raggiungerlo parvero farne sprofondare il cuore sempre più nella cavità della gabbia toracica.
Gli tremarono le dita, mentre lo dispiegava per scorgerne di nuovo la familiare grafia.

Dormirò in albergo con mio padre: credo sia meglio così.
Non ti biasimerò, se domani non sarai con me.
Mi dispiace,
Kurt.

Mi dispiace, indugiò su quelle due parole: a cosa si stesse realmente riferendo, non avrebbe saputo dirlo. Se al bacio e allo scivolone che aveva compromesso la loro amicizia, o al fatto che lo avesse abbandonato, perché tornasse alla sua vita con Blaine.
Sebastian lo ripiegò, la mascella si contrasse e le labbra tremarono.
Il silenzio parve soffocarlo e premere sulle tempie e su ogni centimetro del suo corpo, facendolo sentire esposto e vulnerabile come non mai. Faccia a faccia con un dolore a cui aveva cercato di sfuggire, senza mai giungere ad una reale risoluzione.
Fuggendo da se stesso e dal passato incapace di perdonarlo.
Perse la cognizione del tempo e lasciò fluire il dolore in versi strozzati che non si prese la briga di nascondere neppure a se stesso.
Si lasciò scivolare lungo la parete, abbracciando con lo sguardo il mondo di Kurt che ormai era soltanto un'immagine scolpita nella propria mente.




To be continued...


Non penso che ci sia un modo corretto di potervi i miei saluti, dopo aver concluso una delle scene più malinconiche che abbia mai dovuto scrivere.
So che saranno molti i vostri dubbi e perplessità circa il comportamento di entrambi che potrà apparire anche incoerente e poco comprensibile. Ma se finora non avete formulato teorie al riguardo, o i riferimenti non sono stati abbastanza chiari, vi invito ad attendere il prossimo capitolo.

Ringrazio di cuore tutti voi che continuate a seguirmi con tanta dolcezza e passione, anche con lo sfogo di un momento più angst, purché sia riuscito a coinvolgervi. Sappiate che cercherò di farmi perdonare e che apprezzo sempre le vostre osservazioni e, perché no?, anche le lamentele. Direi che ve ne siete guadagnati un serio motivo (!).

Un'occhiatina al prossimo capitolo:


“E' la cosa migliore e lo sappiamo tutti: sposerà Blaine e io sparirò dalla sua vita”.
“Sai cosa è davvero triste, più di ogni altra cosa? Non credo che tu sarai mai davvero capace di amare qualcuno, chiunque sia, senza distruggerlo.
Ti manca qualcosa, Sebastian: tu porti solo dolore in chiunque ti ami”.
“Ho il furgone di mio padre parcheggiato poco lontano da qui: puoi ancora rapirlo”.


Non mi resta che ribadire i miei più sentiti ringraziamenti, spero di non avervi troppo intristito, ma sarà un piacere cercare di rimediare, quanto prima possibile :)  Non mandatemi troppe maledizioni, mi raccomando, ho una contrattura alla schiena che mi sta già facendo abbastanza soffrire :P
Un abbraccione a tutti e buon weekend,

Kiki87



1Se la canzone non fosse un ammonimento sufficiente, allora immagino questa sia una buona occasione per informarvi che il capitolo che state per leggere sarà piuttosto malinconico in alcune parti.
Per vedere il brano originale e ascoltarlo: https://www.youtube.com/watch?v=BlW4ecphISc
2Fingerò che questo nomignolo non abbia a che fare con l'esame che sto preparando per Dicembre :D
   
 
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