Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
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Autore: JunJun    22/11/2014    4 recensioni
(ex "Il potere del cuore")(ipotetico sequel dell’anime)[FANFIC IN REVISIONE, revisionati i capitoli dall'1 al 46]
Non ci sono scuse: Pai, Kisshu e Taruto hanno fallito la loro missione, ed è inaccettabile che gli esseri che hanno tradito Profondo Blu e il loro popolo restino in vita. Riusciranno i tre fratelli a salvarsi dalla pena capitale? E frattanto, a Tokyo, chi sono i tre nuovi avversari contro cui dovranno combattere le nostre eroine? Tra scontri, misteri e nuovi e vecchi amori, storie parallele di umani e alieni si inseguono ed infine si intrecciano perché tese verso uno stesso obiettivo: impedire la distruzione della Terra, il Pianeta Azzurro.
-- Strambo elenco di alcune delle cose che è possibile trovare nella fanfic (non necessariamente in ordine di elencazione): Kisshu, Pai e il suo passato, Ichigo, Ryo, storie d'amore probabili e improbabili; nuovi personaggi, assurdità e amenità varie, cristalli, Minto e l'Amleto a caso; Nibiru, Zakuro e i suoi fan, Retasu, dark!Retasu, Platone, sofferenza; teorie sugli alieni, ooparts, complotti vari ed eventuali, enigmi, labirinti, chiavi mistiche (ora anche in 3D), Purin e Taruto; umani e/o alieni psicopatici, atlantidei, sorpresa!, sofferenza. --
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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26 22/11/2014:Qui valgono le stesse note dell'aggiornamento precedente: questo capitolo è nato a causa della revisione che sto operando su questa fanfic
Sto cercando di sistemare il prossimo ma è dura perché è un casino e io sono distratta dall'ispirazione per una mezza AU a sfondo Kisshu x Minto che mi ha colta a caso ieri notte.
E tipo vorrei ragionare sulla AU e revisionare questa fanfic, ma nel mentre ho anche anche da studiare e svolgere delle commissioni di lavoro.
E non ce la posso fare. *dies*
Ma pensando al presente, credo di non essere mai riuscita a inquadrare bene il mio oc intp alieno complessato preferito, e da questa considerazione sono nate le modifiche a questo capitolo.
Cliché level is over 9000, ma in queste pagine ci ho messo il cuore perché voglio dedicarle a Fan of the Doors, che da settimane per questa fanfic è il mio sostegno morale. Credo che senza le sue osservazioni e le sue parole di incoraggiamento non sarei mai arrivata fin qui.
Non saprò mai come ringraziarla abbastanza.



- Capitolo 35 -

 
La cosa più frustrante per Ai era che, pur avendo lavorato duramente per scoprire la vera identità del Team Mew, ora che era ad un passo dalla soluzione del mistero aveva perso completamente la voglia di risolverlo.
L’idea di risalire all’identità di Mew Ichigo, Mew Pudding e Mew Mint gli era di colpo diventata così insopportabile che alla fine aveva passato a Kassandra tutte le informazioni raccolte su Retasu Midorikawa e Zakuro Fujiwara e le aveva lasciato carta bianca.
Adesso Ai sedeva su un tetto a poca distanza dalla villa Aizawa. Non era passato molto tempo dal giorno in cui avevano combattuto lì, ma i lavori di ricostruzione della casa erano già a buon punto. Nel ricordare quello scontro Ai aveva sentimenti contrastanti, che andavano dalla rabbia all’amarezza fino a scivolare in una strana malinconia.
Non volle soffermarsi a comprendere il motivo; non voleva più avere niente a che fare con quelle ragazze terrestri, soprattutto con quella che si faceva chiamare così stupidamente Mew Mint. Tra l’altro, che cosa voleva da lui quella piccola arrogante? Si divertiva davvero così tanto a provocarlo ogni volta?
Distolse lo sguardo dalla villa e scese in strada, allontanandosi a passi lenti e chiedendosi perché le era tornata in mente proprio quella lì. Ormai, Mew Mint non era più un suo problema: Kass e lo stoccafisso si sarebbero occupati di lei e delle sue compagne in poco tempo; senza più avversarie in giro, la principessa aliena avrebbe conquistato il pianeta e lui avrebbe potuto smettere di combattere e prendere per sé il suo premio, forse l’unica cosa ancora in vita che si salvava in quel mare di marciume che era l’umanità.
«Ehi amico, ti sembra il caso di girare in cosplay a quest’ora?» lo schernì  un passante. Era un ragazzo a capo di un gruppetto di bulli, che lo accerchiarono rapidamente; uno di loro teneva sulle spalle una mazza da baseball.
«Perché non rispondi?» continuò il ragazzetto. «Vuoi forse essere picchiato, razza di idiota?»
Ai ne aveva abbastanza degli esseri umani.
Mentre pochi secondi dopo si allontanava dai bulli, tutti stesi a terra con vari gradi di contusioni, si infilò l’orribile felpa gialla che aveva preso ad uno di loro.
Non voleva nascondersi e non voleva attaccar briga con i terrestri; voleva solo essere lasciato in pace e, se si fosse mescolato a loro, nessuno lo avrebbe notato. La sua razza era visibilmente diversa da quella umana, ma lui aveva dalla sua parte la tecnologia del suo pianeta. Non era nulla di troppo complesso: una semplice immagine olografica semisolida che modificava le sue sembianze e i suoi abiti con qualcosa di basico, nascondendo la sua vera identità. La stava usando Kassandra da chissà quanto tempo per andare chissà dove.
Lì fuori si gelava; la felpa del bulletto era calda ma aveva uno strano tipo di meccanismo di chiusura scorrevole che Ai non sapeva bene come far funzionare: quella roba non esisteva sul suo pianeta e lui, a differenza di Kassandra, non era interessato alle trovate terrestri in fatto di vestiario. Per lui, gli esseri umani erano un branco di bestie ottuse, e solo in pochi si salvavano.
Minto Aizawa era una di questi.
Lei era diversa dagli altri. L'aveva incrociata per pochi secondi e quasi per caso quel giorno maledetto in cui avevano deciso di attaccare il Dome; da quel momento lei gli era entrata nella testa, e per quanto lui avesse cercato di fare non vi era più uscita.

Ai non sarebbe riuscito a dire come era iniziata; non c'era una spiegazione, era successo e basta e a lui non era rimasto altro da fare che pagare le conseguenze di quella che con il tempo era diventata sempre piu' una dolce ossessione.
Aveva cercato di avvicinarsi all'oggetto del suo desiderio utilizzando una strategia che gli era sembrata perfetta, ma aveva fallito. Da una parte non capiva dove avesse sbagliato, ma dall'altra era consapevole di non avere idea di come si corteggiasse qualcuno.
In genere erano sempre stati gli altri ad avvicinarsi a lui. Era perché aveva un bell’aspetto, gli avevano detto tutti; e tutti, quando alla fine se ne erano andati, gli avevano rinfacciato di essere una persona orribile.
L'ex soldato si era chiesto per lungo tempo che cosa ci fosse di sbagliato in lui, ma alla fine aveva smesso di farlo e lo aveva accettato come un dato di fatto. Si era chiuso in sé stesso e aveva concluso che non gli importava se gli altri lo disprezzavano perché lui non aveva bisogno di loro.
Ma con Minto era diverso. Anche se lei era una terrestre, avrebbe fatto qualsiasi cosa per poterle stare accanto.
“Chissà dov’è adesso?” si ritrovò a chiedersi. “Voglio vederla…”.
Decise di andare da lei. Dopo l'ultima volta, non sapeva come avrebbe reagito alla sua vista... ma, in verità, non gli importava.

----

Era ormai un’ora che Minto era ferma davanti alla soglia della villetta a due piani di Ichigo ad aspettare che lei si facesse viva. Era notte e faceva freddo; l’aria gelida si infilava sotto il tulle della sua gonna e la faceva tremare.
Minto aveva provato più volte a rintracciare l'amica, ma il suo cellulare era sempre non raggiungibile. Non era preoccupata per lei: se ci fosse stata un’emergenza in corso, Ryo si sarebbe sicuramente fatto sentire.
Maledì silenziosamente il momento in cui aveva preso accordi con lei per restare a casa sua: quella ragazza si era rivelata del tutto inaffidabile come al solito.
Un uccello notturno gracchiò un paio di volte.
«Non posso credere che si sia davvero dimenticata di me!» esclamò Minto quando l’ultima goccia della sua riserva di pazienza si fu consumata.
Il suo cagnolino Miki, un batuffolo di pelo castano da cui la ballerina non si separava mai, sobbalzò e le abbaiò contro come per sgridarla di aver sbottato così all’improvviso.
Minto, per scusarsi, gli si inginocchiò accanto e cercò di calmarlo, ma lui sembrava molto teso per qualche motivo sconosciuto. Forse era l’ambiente diverso in cui si trovava, o forse aveva sonno; forse era arrabbiato anche lui con Ichigo.
«Scusami, Miki. E’ che lei ha smontato molto prima di me, con la scusa di essere stanca. E io che le avevo anche preparato una torta per ringraziarla dell’ospitalità!» si sfogò la ragazza, in un nuovo impeto di nervosismo. «Questa volta non gliela faccio passa liscia! Aspetta solo che torna…»
Sospirò.
«Il problema è che non torna,» esalò infine, frustrata.
Minto conosceva un modo per entrare in casa ma non osava metterlo in pratica, per cui continuò ad attendere educatamente. Passò altro tempo, e poiché Miki stava diventando troppo irrequieto, alla fine la ragazza crollò.
“D’accordo, ora basta!” si disse per darsi coraggio. Legò il suo cagnolino al cancello d’ingresso e, assicuratasi che non vi fosse nessuno in vista, usando i suoi poteri si posò con un balzo sul grosso ramo di un albero del giardino e lo usò per raggiunse con un salto aggraziato il davanzale della finestra di Ichigo al primo piano, che lei aveva lasciato socchiusa.
Entrare in casa d’altri come una ladra non era sua abitudine, ma quando era troppo era troppo. Assaporando il tepore della casa, la ballerina scese le scale e posò le sue cose nell'ingresso. Recuperò una copia delle chiavi per sicurezza e uscì per riprendere Miki, ma quando aprì la porta scoprì che lui aveva tirato il guinzaglio fino a strapparlo ed era corso via.
Rimase di stucco, perché lui non era il tipo da fare una cosa del genere. Che cosa gli era preso?
Solo in quel momento Minto si accorse che anche i cani delle case lì intorno adesso stavano abbaiando e ululando in modo insopportabile, mentre quelli chiusi nei cortili grattavano sulle staccionate e sui cancelli per uscire.
Erano tutti come impazziti.
“Ma che succede?” si chiese. “E’ come se sentissero qualcosa…”.
«Miki!» chiamò. Ripeté il suo nome più volte, ma lui non ritornò.
Minto non poteva lasciare Miki fuori in quel posto sconosciuto, per cui si avventurò a cercarlo.

----

Poco dopo, Minto stava camminando nel parchetto a ridosso di quel quartiere, deserto a causa del freddo e dell’ora tarda.
Il vento notturno portava storie terribili dal resto del mondo, storie che gli alberi del parco afferravano e si raccontavano fra loro, frusciando in modo angoscioso – ma la ragazza non diede loro alcun peso. Sapendo che Miki era abituato a giocare nel suo immenso giardino, credeva possibile che si fosse rifugiato in uno dei cespugli piantati lì e per questo era tutta presa dalla sua ricerca. Non appena sentiva qualcosa muoversi scattava in quella direzione; ma, ogni volta, era solo il vento o un qualche animaletto notturno.
Minto percorse tutto il parco, inutilmente.
Proseguì allora nel quartiere successivo. Svoltato un angolo, si ritrovò in una strada scarsamente illuminata dai pochi lampioni sopravvissuti alle scorribande dei vandali. Sembrava proprio che quella non fosse una zona tranquilla.
«Miki...?» chiamò piano, guardandosi intorno.
Non ottenne risposta: quel posto sembrava come abbandonato ed era buio, troppo buio. Minto era accanto alla vecchia saracinesca di un’officina quando decise di lasciar perdere. Stava già tornando sui suoi passi quando sentì una voce maschile a poca distanza.
«Hai forse bisogno di aiuto, bambolina?»
Si girò e vide un uomo sui trent’anni, appena sbucato da un vicolo lì vicino. Lo squadrò e decise in un attimo che non aveva un’aria raccomandabile.
«No, grazie.»
Minto fece per allontanarsi, ma venne afferrata per le spalle da un altro ragazzo che intanto le si era avvicinato di soppiatto.
Sussultò, presa alla sprovvista, me venne immobilizzata prima di poter fare altro.
Un terzo uomo, più grande degli altri, raggiunse il gruppo.
«Guarda cos’abbiamo trovato, Tozaki,» gli disse il primo. «Sembra un uccellino spaventato. Non l’ho mai vista in questa zona.»
«Che ne facciamo?» chiese quello che teneva ferma Minto.
Lei si guardò intorno: quella strada era vuota, e questo significava che nessuno avrebbe potuto vedere o sentire nulla mentre lei insegnava l’educazione a quelle persone a suon di calci.
«Se fai la brava bambina non ti accadrà nulla,» mormorò il tipo chiamato Tozaki, avvicinandosi. Era evidentemente il capo del gruppo. Mentre lottava contro la nausea dovuta all’alito d’alcool dell’uomo, Minto desiderò di colpirlo con una delle sue frecce.
«Lasciatemi andare immediatamente,» ordinò ai tre in tono autoritario.
Quelli risero. «Immediatamente o cosa, tesoro?»
Minto era in grado di vedersela con loro, ma prima doveva liberarsi. La presa dell’uomo che le stava bloccando i polsi dietro la schiena sembrava d’acciaio e lei non riusciva a muoversi.
Se non fosse riuscita a liberarsi e neanche a raggiungere la sua spilla, che cosa avrebbe potuto fare?
Cercò di divincolarsi ma Tozaki le mise le mani addosso, toccando e tirando il cotone rasato della sua camicetta preferita. Minto non riuscì a far nulla per fermarlo; fu in quel momento che provò per la prima volta paura.
L’amico, intanto, prese il suo cellulare e lo puntò verso la scena, che voleva evidentemente registrare. Ma di colpo finì a terra, dritto in una pozzanghera sporca, insieme al suo telefono.
“Ma cosa...?”
Minto sgranò gli occhi: a quanto pareva, a stendere il tipaccio era stato un ragazzo.
«La vostra intelligenza media è molto bassa,» osservò il nuovo arrivato, raccogliendo il cellulare e spaccandolo in due, «ma credevo che riusciste almeno a capire le richieste di una persona che parla la vostra stessa lingua.»
«Oh,» mormorò Minto. Non riusciva a credere che qualcuno fosse davvero intervenuto in suo soccorso; aveva sempre pensato che queste cose accadessero solo nei film.
Quando Tozaki si tolse dal suo campo visivo, la ragazza riuscì finalmente a vedere il volto del suo salvatore.
Non tardò a riconoscerlo. «Will?!» sibilò incredula. Che cosa ci faceva lì? E soprattutto, era stupido a sfidare da solo quegli uomini?
«Ti ho trovata, finalmente,» le disse lui con il sollievo nella voce. «Ti ho cercata dappertutto.»
«Credo che tu non abbia compreso la situazione, amico,» lo interruppe tranquillo Tozaki, tirando fuori dalla tasca un coltello a serramanico.
«Io credo di aver compreso benissimo,» ribatté Will, scuro in viso, irrigidendosi.
Rimase immobile anche quando Tozaki gli fu addosso. Lui cercò di colpirlo, ma il ragazzo gli agguantò il polso della mano che reggeva il coltello, bloccandolo quando la lama era ormai a pochi centimetri dalla sua faccia.
«Potrà anche essere la tua fidanzatina,» ringhiò l’aggressore, facendo forza per distruggere la sua difesa, «ma è capitata nel mio quartiere, per cui ora è mia.»
«Ti sbagli,» replicò calmo Will, «lei è mia.»
Fu in quel momento che Minto raggiunse ufficialmente il limite della sopportazione. Approfittando della distrazione del malvivente che la stava immobilizzando, gli pestò un piede con tutta la forza che aveva; lui imprecò e per la sorpresa allentò la presa su di lei, che ne approfittò per sgusciare via dalle sue mani sudice.
«Tu, piccola…»
L’uomo fece per riafferrarla, ma Minto si gettò a terra e tese la gamba, effettuando una spazzata che fece perdere l’equilibrio all’avversario.
Guardandolo ricadere sul marciapiede, la ballerina provò un’immensa soddisfazione: lei non era un uccellino spaventato né tantomeno il premio di qualcuno. Era una ragazza con un’ottima educazione e un curriculum perfetto; studiava, lavorava, parlava fluidamente due lingue ed aveva combattuto per anni contro mostri e alieni di ogni tipo - per cui nessuno dei presenti doveva permettersi di trattarla in quel modo.
La ragazza notò che Will, che aveva appena atterrato quel Tozaki, ora la stava fissando impressionato: probabilmente non immaginava che fosse in grado di vedersela con un omaccione grosso il doppio di lei. In effetti, forse aveva esagerato.
«Studio danza a livello professionale,» si affrettò a spiegargli.
Mentre parlava, però, Minto si accorse che il primo dei suoi assalitori, quello del cellulare, si era rialzato ed ora stava cercando di colpire Will da un lato. Non ebbe il tempo di avvertirlo ma lui, senza neanche voltarsi, afferrò il braccio dell’avversario e si portò dietro di lui, torcendogli l’arto fin quasi a spezzarglielo; mentre quello gridava dal dolore, Will lo fece volare a terra come se fosse una piuma.
Si accorse che ora era Minto ad essere sbalordita. «Ho… frequentato dei corsi di combattimento sin da quando ero bambino,» disse.
«Complimenti per la tecnica,» commentò la ragazza, accennando uno chaines per evitare l’energumeno che aveva atterrato, che si era rimesso in piedi ed aveva tentato, inutilmente, di prenderla alle spalle. Il tizio si squilibrò e inciampò in avanti, in direzione di Will.
Lui gli portò una mano sotto il mento e si gettò in ginocchio a terra, trascinandolo con sé: la spina dorsale dell’uomo descrisse un arco mentre lui finiva scenograficamente a terra, battendo la schiena e andando K.O.
«Anche a te per la tua.»
Quando Will rimise in piedi, raggiunse Minto e si fermò di fronte a lei, che lo guardò come se lo stesse vedendo in quel momento per la prima volta.
Nessuno dei due riuscì a trovare le parole giuste da pronunciare.
«O-Ora vi faccio vedere io,» sibilò però Tozaki, riprendendosi, «Romeo e Giuletta dei miei stivali.»
I due ragazzi si accorsero troppo tardi che aveva tirato fuori dalla giacca una pistola. Will non si aspettava un’arma del genere e, quando l’uomo premette il grilletto, d’istinto cercò di coprire Minto come poteva. Il delinquente non aveva una gran mira, ma quando sparò il sangue di Will schizzò sulla camicetta di Minto.
Lei non aveva sentito il rumore dello sparo; non si era neanche resa bene conto di cosa era successo.
Indietreggiò spaventata mentre vedeva il suo salvatore cadere sulle gambe stringendosi un punto poco sopra il gomito destro.
«Colpa mia,» mormorò lui, mordendosi il labbro inferiore. «Distrarsi durante uno scontro è il modo più facile per farsi ammazzare.»
«Oh, mi assicurerò che tu abbia imparato per bene questa lezione, stronzetto.»
Will digrignò i denti mentre Tozaki si rimetteva in piedi e gli puntava la pistola contro; ma, un attimo dopo, quest’ultimo venne centrato in fronte da una bottiglia vuota e crollò a terra svenuto.
Rimase stupefatto nel rendersi conto che era stata Minto a lanciarla.
La ragazza corse a prendere la pistola e la gettò il più lontano possibile da lì per sicurezza. Centrò un secchio dell’immondizia dietro cui saltò fuori Miki, che le corse incontro.
Lei lo prese in braccio e lo strinse forte. Le veniva da piangere.
«Ottima mira,» si complimentò Will, rialzandosi in piedi. Poi si accorse che c’era qualcosa che non andava in Minto: era rabbuiata e nervosa, aveva i vestiti rovinati e gli occhi che le luccicavano per le lacrime che stava cercando di trattenere in tutti i modi.
Qualunque cosa si era creata pochi secondi fa fra di loro, ora era del tutto scomparsa.
«Minto…» provò, accigliato.
«Ti avevo detto di non seguirmi,» lo interruppe lei brusca.
«Io non ti stavo seguendo!» protestò lui.
«Ti hanno sparato,» constatò allora la ballerina con voce ben poco ferma.
Will osservò la sua ferita, che aveva formato una larga chiazza rossastra sui vestiti. Era per questo che Minto era così arrabbiata?
«Non è nulla,» la rassicurò.
Il sangue gli scivolava lungo il polso e gocciolava a terra ai suoi piedi. Minto lo vide e parve stabilire che una cosa del genere non poteva essere classificabile come nulla. «Dovresti andare all’ospedale.»
«Già.»
«Non lo farai, vero?»
«No.»
La ragazza rimase ferma per molti secondi, ma alla fine sospirò e posò a terra Miki. Estrasse un fazzoletto di seta da una delle sue tasche; Will la guardò male, ma la lasciò ugualmente avvicinare e si lasciò annodare quella stoffa costosa sul punto ferito. «Non ho intenzione di lasciarti qui in questo stato. Sono a casa di una mia amica che abita poco lontano da qui. Vieni con me, controllerò le tue condizioni.»
Lui non rispose, ma catturò la sua occhiataccia quando lei aggiunse un: «Se provi a fare o dire qualcosa di strano ti faccio fare la fine di questi signori.»
A quel punto, sorrise. «Non ne dubitavo.»

----

Qualche minuto dopo erano a casa di Ichigo. Di lei ancora neanche l’ombra, ovviamente: non c’era mai nel momento del bisogno, ma in fondo Minto non avrebbe saputo come spiegarle la situazione, per cui forse era meglio così.
Fece sedere Will sul divano del soggiorno e gli lasciò accanto il kit di primo soccorso che aveva recuperato da un mobile. Poi si allontanò per andare a lavarsi e disinfettarsi le mani prima di iniziare.
Minto si sentiva tremendamente in colpa: pur essendo una Mew Mew, si era comportata da sciocca e per colpa della sua disattenzione aveva quasi fatto ammazzare quel ragazzo innocente.
Il suo malessere aumentò quando, mentre si stava strofinando le dita con il sapone, scorse nel suo riflesso allo specchio alcune gocce di sangue finite sul suo viso. Se le sciacquò via rapidamente.
Andò ad indossare al volo una maglietta pulita e poi si attardò a cercare fra le cose che aveva portato con sé in casa di Ichigo qualcosa anche per Will. Fortunatamente, aveva conservato in una valigia un paio di completi di suo fratello che non aveva avuto il cuore di abbandonare nella sua vecchia casa.
Prendere dei vestiti puliti non era realmente un’urgenza, ma Minto voleva rimandare il più possibile ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco. Infatti, lei non aveva la minima idea di come trattare una ferita da sparo. In genere, quando lei e le sue amiche necessitavano di medicazioni era Keiichiro a prendersi cura di loro: forse poteva chiamare lui?
La ragazza afferrò una camicia bianca di cotone e decise che avrebbe provato almeno a valutare la situazione. Quando tornò nel soggiorno, però, scoprì che Will era a torso nudo: arrossì di botto e si appiattì dietro la porta del corridoio, nascondendosi.
Cercò di calmarsi e ragionare: se doveva constatare le condizioni della sua ferita doveva vederlo senza maglietta, per cui era inutile fare tutte quelle storie; per cui, tratto un profondo respiro, entrò determinata nella stanza, ma solo per restare a bocca aperta nello scoprire che Will stava finendo di medicarsi da solo.
Il ragazzo aveva pulito e disinfettato la ferita, si era assicurato di fermare il sangue e aveva annodato una garza sterile sul punto ferito, aiutandosi con i denti.
«Visto? Non era nulla di grave,» le disse con noncuranza, rimettendo a posto il resto dei medicamenti.
Cercando di guardarlo il meno possibile, la ragazza gli tese la camicia e lui la prese. Nell’infilarsi la manica destra fece una piccola smorfia di dolore, ma non disse nulla e Minto fu lieta che la situazione fosse meno seria del previsto.
Il ragazzo si infilò la camicia senza problemi; solo che si fermò lì, per cui quando Minto lo guardò di nuovo vide che aveva ancora metà del petto e degli addominali in bella vista.
«Devi abbottonarla,» gli ricordò, imbarazzata.
Lui osservò il lembo di stoffa su cui erano cuciti i bottoni. «Questi? Li ho già visti da qualche parte,» mormorò pensieroso, e Minto si chiese se stesse scherzando.
Will cercò di chiudere i bottoni, ma faceva fatica a muovere la mano destra a causa della ferita ed inoltre nel sistemare il primo prese l’asola sbagliata.
«Non così,» osservò Minto.
Lui le lanciò un’occhiata spaventata, e fu allora che lei perse la pazienza.
«Oh, santo cielo,» sospirò esasperata sedendoglisi accanto per aiutarlo. Mentre le sue dita posizionavano un bottone dopo l’altro evitando accuratamente toccare altro, Minto si accorse che Will la stava annusando.
Lo guardò scioccata. Seriamente? Si chiese.
«Ho già sentito questo profumo da qualche parte,» osservò lui, non cogliendo il suo sconcerto.
«Non credo, è Hermes. Hai idea di quanto costi un profumo di Hermes? Lo indossano solo nell’alta società,» rispose lei con una certa altezzosa nonchalance, mantenendo la sua dignità mentre terminava il suo lavoro. Gli sistemò il colletto ma decise di non chiuderglielo: in fondo, non aveva preso una cravatta.
«Sei anche tu una principessa?»
«Anche io? Conosci una principessa?»
Will mosse la testa verso di lei: aveva uno sguardo penetrante ed erano così vicini che Minto poteva sentire il suo respiro sulle labbra.
Lei arrossì.
«No, è solo una sciocca,» rispose lui rivolgendole un mezzo sorriso, senza reale interesse per quella conversazione.
Calò il silenzio e Minto si accorse solo in quel momento che stava tenendo le mani sui lembi della camicia del ragazzo anche se ormai non ce ne era più bisogno. Le tirò via di scatto come se avesse preso una scossa di elettricità. «Posso offrirti una fetta di torta?» chiese e, senza aspettare una risposta, si allontanò rapida verso l’angolo cucina dall’altra parte della stanza.
“Ma che cosa mi succede?” pensò, spacchettando meccanicamente il suo dolce. Si sentiva le guance bruciare e cuore palpitare nel petto come impazzito.
Si domandò per quale assurdo motivo adesso una sola occhiata di quel tipo la facesse sentire così su di giri. Certo, questa era già la seconda volta che le salvava la vita; era forte e aveva un bel fisico. Realizzò che era simile a quello di Ai,  così come il modo in cui si muoveva in combattimento. Minto si chiese se era per questo che aveva iniziato a trovare Will così interessante.
Sì, ora che lo aveva visto in azione non poteva negare che Will somigliasse davvero tanto ad Ai, ma la sua voce era più profonda e i lineamenti del viso erano diversi, così come gli occhi ed i capelli. E soprattutto, lui non le aveva mai rivolto lo sguardo irato o gelido che le riservava quell’alieno, né quello avido che aveva visto brillare negli occhi dei suoi assalitori. C’era una sorta di purezza in lui; era un tipo bizzarro, soprattutto quando recitava cose a caso, ma non sembrava una cattiva persona.
Mentre l’odore familiare del pan di spagna al cioccolato fondente si diffondeva nell’aria, Minto si chiese come doveva comportarsi con lui. Non aveva idea di cosa le stesse dicendo il suo corpo o di cosa era giusto fare; non capiva neanche cosa voleva realmente e questa cosa la confondeva. 
Guardò Miki, che ora dormiva beato su un cuscino: almeno lui se la stava passando bene. Notò poi che Will, dall’altra parte della stanza, ora si stava osservando i polsini della camicia con aria corrucciata, come se non avesse mai indossato nulla di simile: sembrava un pesce fuor d’acqua, e contro ogni razionalità Minto si ritrovò a pensare che, nonostante tutto, quella sua strana ingenuità era graziosa.
Decise di lasciar perdere tutti quei pensieri e rilassarsi.
«Hai intenzione di fare così per tutta la sera?» domandò al ragazzo, tornando da lui.
Lui si imbronciò e abbassò il braccio. «Io faccio quello che voglio.»
Anche quella frase era molto da Ai, pensò Minto. Posò il vassoio con la torta, un coltello, una palettina da dolci e un piatto sul tavolino di fronte al divano.
«Stai facendo cose strane,» commentò.
«Parli tu. E’ tua abitudine frequentare quel tipo di compagnia?»
«Non frequento quei posti! Ero lì per colpa della mia amica.»
«Che coincidenza… anche io ero in giro per colpa di amiche
Minto inarcò un sopracciglio.
«Avevo un impegno di lavoro con loro,» continuò il ragazzo in tono vago. Guardò il dolce e poi lanciò un’occhiata in giro. «Ma questa è una notte così speciale che ho deciso di prendermi una pausa,» concluse dopo alcuni secondi.
Visto che Minto lo stava fissando, puntò un dito verso il cielo che si vedeva dal balcone che era davanti a loro. «Voglio dire, non vedi anche tu qualcosa di diverso stanotte, nel firmamento? O forse… è la tua presenza che lo rende così vivido e brillante?»
«Credo che tu ora debba andare, Will,» replicò pronta la ballerina.
Lui scoppiò in una risata. «Scherzavo. Ho capito che non apprezzi questo tipo di comunicazione. Meglio così, non credo sia il mio forte.»
Minto si sentì come se qualcuno le avesse appena rovesciato un secchio d’acqua in testa.
«Cosa? Quindi quando parlavi in quel modo… tu recitavi?»
«Sì,» rispose lui con innocenza.
«Vuoi dire che mi hai preso in giro per tutto questo tempo?!»
Will parve intuire il pericolo. «No, io ero sincero,» si difese ma era troppo tardi, perché Minto si era arrabbiata di nuovo.
«Mi stai dicendo che ti fingevi matto? Ma che cosa ti salta in mente?!»
«Non mi fingevo matto! Io sono una persona tremenda. Mi sono innamorato di te e ho pensato che l’unico modo per non spaventarti fosse emulare qualcosa di perfetto
Era così convinto e sincero mentre pronunciava quelle parole che Minto spalancò gli occhi per lo stupore. C’era qualcosa di surreale in quel ragazzo: sembrava uscito da un film d'azione ma non sapeva come parlare rispettosamente o come vestirsi; non aveva la minima idea di come funzionassero le interazioni sociali in una società civile. Era davvero come un alieno e lei semplicemente non poteva essere arrabbiata con una persona così. 
«W-Will, tu…non devi emulare nessuno,» gli disse, ignorando la prima parte del suo sfogo. «Devi essere te stesso.»
«Non posso
«Ma perché? Insomma, non hai l’aria di essere così terribile!»
Lui fece una smorfia frustrata. «”Ci sono molte più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne dica la tua filosofia,”» recitò.
Lei sospirò. «Il mio nome è Minto,» gli fece notare accomodante, allungandogli una fetta di torta, «e non mi sembra il caso di scomodare l’Amleto per queste cose.»
Will prese il piattino che lei gli stava tendendo senza replicare; sembrava colpito dal fatto che avesse riconosciuto la citazione, per cui la ballerina decise che quello era il momento adatto per insistere sul concetto che stava tentando di spiegargli.
«Io credo che ognuno di noi sia ciò che fa, non ciò che pensa di essere. Tu ti sei messo contro tre persone armate per aiutarmi e mi hai fatto scudo con il tuo corpo. Certo sei anche uno stalker e sono davvero tentata di denunciarti, ma a parte questo non vedo perché dovresti essere cattivo,» concluse, sedendo compostamente all’altro lato del divano.
Lui non rispose, ma assunse un’aria pensierosa e abbassò lo sguardo sul dolce che aveva tra le mani. Ne prese una forchettata e Minto restò in attesa che lo assaggiasse: quella era la sua torta migliore ed era sicura che gli sarebbe piaciuta. Qualcosa dentro di lei le diceva che se l’avesse mangiata, sarebbe andato tutto al posto giusto.
Lo vide portarsi alla bocca un quadratino di cioccolato, ma alla fine abbassò la forchetta.
«Ti sbagli,» dichiarò Will.
«Perché?» domandò lei, delusa.
«Perché non sai come sono realmente, per cui non puoi conoscere le motivazioni delle mie azioni. Potrei averti mentito; potrei aver fatto tutto questo solo per guadagnarmi la tua fiducia e farmi condurre da te in questo posto, dove siamo soli. Potrei farti del male adesso.»
«No, non lo farai,» ribatté tranquilla Minto.
Lui le sorrise provocatorio. «Perché non sono cattivo
«Sì,» rispose lei, «ma anche perché sai perfettamente che se provassi a fare qualcosa di sbagliato, afferrerei il coltello qui di fronte a me e ti infilzerei la mano. La torta era già tagliata, ma io ho portato lo stesso un coltello; tu l’hai notato e hai istintivamente hai studiato la stanza, cercando una via di fuga o forse qualcosa per difenderti in caso di necessità,» spiegò con calma. «Ma sono certa che non ci sarà bisogno di nulla di tutto questo, perché tu non hai intenzione di farmi del male,» concluse poi con un sorriso.
Will sbatté le palpebre un paio di volte. «Io… pensavo che fossi un dolce angelo indifeso, invece sei vagamente inquietante,» ammise alla fine.
«Sono una persona dolcissima,» replicò la ballerina continuando a sorridergli; ora sembrava davvero inquietante.
Dopo qualche secondo di incertezza lui scosse la testa e rise piano, divertito. Poi gli venne un’idea improvvisa e increspò le labbra in un ghigno. Se lei voleva giocare, perché non poteva farlo anche lui?, pensò. Posò il dolce e si alzò dal suo posto, andandole vicino.
Prima che lei potesse fare qualcosa, mise un ginocchio nello spazio fra le gambe della ragazza e poggiò il palmo della mano sinistra sullo schienale del divano, bloccandola.
«E-Ehi!» protestò lei.
«Allora?» le domandò Will, mentre il sorrisino maligno sulla sua faccia si espandeva. «Sostieni di essere padrona della situazione, ma allora perché non c’è nessun coltello nella mia mano, Minto?»
Il modo in cui lui aveva pronunciato il suo nome fece rabbrividire la ragazza, ma non era una sensazione del tutto spiacevole. Lei sapeva che per liberarsi da quella situazione le sarebbe bastato spingerlo via, ma non lo fece. Si chiese il perché.
«Non so. Forse perché non stai facendo niente di sbagliato,» rispose d’istinto, lasciandolo spiazzato e spiazzando persino sé stessa.
Sollevò appena la testa per guardarlo: ora lui non sorrideva più e non accennava a ribattere né a spostarsi da lì. A lei non importava: aveva appena realizzato che in fondo non le dispiaceva averlo così vicino.
D'un tratto, Will si allontanò da lei e sbuffò una risata rassegnata. «Mi hai battuto di nuovo,» le disse.
«Noi...non stavamo combattendo.»
«No? E cosa stavamo facendo allora?»
Quella era una bella domanda. Minto ci pensò su ma l'unica risposta che le veniva in mente era il verbo flirtare, che non gli avrebbe detto neanche se lui l'avesse torturata.
Per fortuna, il trillo allegro del suo cellulare le venne in aiuto.
«Oh, è il mio,» mormorò, alzandosi e andando a recuperare il telefono dalla borsetta.  Aprì il flip con molta calma, lesse il nome della persona che la stava chiamando e poi rispose.
«RAZZA DI SFATICATA!» gridò al microfono, facendo sobbalzare Will. «Si può sapere dove diamine ti sei cacciat-»
«Minto. Sono io, Zakuro,» la interruppe una voce ferma dall’altra parte.
La ballerina ammutolì, facendosi di mille colori. Desiderò di morire lì e adesso.
«Ci sono problemi?» le chiese Will.
Lei emise una risatina nervosa. «No, no, perdonami.»
«Pronto? Ma con chi stai parlando?»
«Scusami Zakuro, pensavo fosse…»
«Lascia stare, non c’è tempo per questo,» la interruppe la modella dall’altro capo del telefono. «C’è un’emergenza.»
«E’ successo qualcosa?»
«Non quello che pensi tu, ma abbiamo un problema…anzi, quattro
«Non ricominciate con quel dannato quattro!» gridò una voce lontana, che a Minto parve di riconoscere.
Stava per chiedere chi fosse, quando sentì un gran caos, e Purin strillare qualcosa.
«Io NON sono tornato perché mi mancavi!» sentì dire da un’altra voce familiare. «Stupida mocciosa!»
Tutto questo le ricordava qualcosa…
Zakuro riprese il controllo della situazione. «Siamo a casa di Purin, raggiungici subito. Ti spieghiamo tutto qui.»
«O-Ok, arrivo,» annuì Minto, terminando la telefonata. «Mi dispiace,» disse poi a Will, «una mia amica sta avendo una… situazione. Devo andare.»
Lui in quel momento non le stava prestando attenzione: nel tornare a sedersi, aveva premuto per errore un tasto del telecomando, facendo accendere la televisione che ora stava mostrando delle preoccupanti breaking news dal resto del mondo: terremoti, inondazioni, eruzioni e aperture di voragini. Quando Minto le vide, impallidì.
«Santo cielo, ma… che cosa sta succedendo?»
«Non ne ho idea. Il mondo è fuor dai cardini,» rispose il ragazzo, passandosi una mano dietro il collo.
Minto distolse lo sguardo dalla televisione. «Will, tu... dovresti davvero fare qualcosa per questa tua mania di citare l’Amleto senza motivo.»
«Ma… Ma non è senza motivo!»
«Può darsi, ma potresti comunque evitarlo.»
«Non puoi darmi ordini, Minto.»
«Non è un ordine, è solo un consiglio.»
Lui le lanciò un’occhiata stranita e poi alzò le mani in segno di sconfitta. «Come vuole, mia signora. Comunque devo andare anche io ora, continueremo un’altra volta.»
Minto incrociò le braccia al petto. «Continuare cosa? Questa serata è stata un’eccezione. Avevo un debito con te, ma ora siamo pari. Inoltre, mi sto già vedendo con una certa assiduità con una persona che mi interessa,» spiegò. Tecnicamente parlando, non era neanche una bugia.
Will la raggiunse e le si fermò proprio davanti.
«Capisco. Allora mi dispiace per questo.»
«Per cosa?»
Un attimo dopo, Minto si ritrovò le labbra del ragazzo premute a tradimento sulle sue.
Fu un bacio leggero, che durò forse troppo poco perché lei potesse provare realmente qualcosa. Ma nonostante questo, quando Will si staccò da lei, Minto rimase immobile per lo shock.
Lui le rivolse un sorrisino e la superò, dirigendosi verso la porta d’ingresso.
«E-Ehi, Will!» lo chiamò però la ballerina.
Lui si fermò sulla soglia. «Che c'è?»
«Credo di aver commesso un errore nel giudicarti una brava persona,» ammise Minto, continuando a dargli le spalle.
Lui curvò le labbra in un ghigno. «Sì, avevo tentato di avvertirti,» rispose con finta noncuranza prima di andar via.
Mentre sentiva il rumore della porta che si chiudeva, Minto si toccò le labbra.
Un tipo strano che conosceva appena le aveva appena rubato il suo primo bacio. E non lo avrebbe mai ammesso, ma non le era dispiaciuto.





++++

 
Note:
Ho come l'impressione che...gettare via una pistola carica sia abbastanza pericoloso.
  
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