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Autore: crisalide    29/10/2008    4 recensioni
Perché per chi sogna ad occhi aperti, l’illusione è come un pittore che colora tutto...
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Malattia

Malattia

È mattina. Forse sono le dieci, o più presto; è autunno, una pallida e fredda mattina d’autunno…

In questa dolce mattina d’autunno, Zero è accoccolato sul divano, sotto una calda coperta di lana bianca, una macchia d’oscurità in un oceano bianco.

Le treccine scure gli coprono buona parte del viso mollemente adagiato su un cuscino, con gli occhi chiusi, che si aprono di colpo.

Un altro brutto sogno, uno di quelli spaventosi e incomprensibili che fa spesso quando è malato, che facciamo tutti. Tanto per accertarsi in quale realtà sta vivendo, Zero tende lentamente una mano verso il telecomando, per accendere quella scatola da pazzi che è la televisione.

Capisce.

Inquadra la realtà.

E spegne la scatola di plastica.

Conoscendosi, sa che passerà l’intera giornata in uno stato apatico e triste, eredità del suo sogno, creatore di realtà. Perché per chi sogna ad occhi aperti, l’illusione è come un pittore che colora tutto: pensieri, cose e persone, anime. E se la scelta del colore dipendesse da lui, questa mattina sarebbe colorata di grigio chiaro, come il cielo fuori dalla finestra.

Zero si raggomitola ancora di più sotto la coperta, desiderando che qualcuno lo coccolasse, che gli facesse compagnia come quando era bambino, malato; i suoi genitori lo portavano dai nonni dove giocava o si faceva viziare dai due vecchi parenti, che lo tenevano a casa loro sempre più del necessario, anche quando era già guarito.

Tutto questo lasciava ora Zero preda della malinconia, e di quel strano torpore che lui chiama solitudine e tristezza; anche i suoi gatti non erano con lui a farli compagnia, chissà dov’erano?

Conoscendoli erano tutti a ronfare sotto le calde coperte del letto, che Zero aveva lasciato durante la notte.

D’altronde, con una nausea come quella che lo assaliva, sarebbe stato quantomeno rischioso dormire nel letto, quindi aveva preferito andare in sala, non prima di aver pellegrinato in bagno dove aveva preso la maledetta pastiglia per la nausea. Quanto odiava le medicine. Facevano schifo, e quando era fortunato semplicemente non sapevano di niente. E lo lasciavano intontito.

Accidenti, tendeva già alla tristezza e all’asocialità congenita, non aveva per niente bisogno di avere un’ulteriore aria tonta. Sorride, Zero.

Abbraccia il suo Dodo-peluches, regalo degli altri membri dei D’espairs ray, dopo un’uscita al cinema per vedere “l’era glaciale”. Dopo il cinema, erano andati tutti e quattro per locali, ubriacandosi; e la mattina dopo, risvegliandosi nel suo appartamento con un mal di testa epico, si era trovato ‘sto enorme pupazzo-dodo che puzzava d’alcol.

Dopo averlo lavato, lo aveva adottato e da allora l’aveva sempre portato ovunque con lui, anche durante i tour. Zero, il bassista tenebroso dei D’espairs ray, abbracciato ad un Dodo gigante!

Stava chiaramente perdendo colpi.

Ci avrebbe perso la faccia, ma , sostanzialmente, non che la cosa gli importasse particolarmente.

Non gli sarebbe comunque piaciuto, come il fatto che il cellulare suonasse, a quest’ora del mattino, con lui malato, in questa particolare condizione mentale.

Ma chi cavolo cerca la morte in questo modo sconsiderato?

Risponde.

Chiaramente è Hizumi.

Di solito è Zero che ricopre il ruolo di membro insano, nella band.

D’altronde, anche Hizumi non scherzava, con la variante che lui è un po’ meno asociale, quindi parlava molto di più e più in fretta.

Palesemente, è questo che stava facendo in quel momento: stava parlando e preoccupandosi per Zero come una mamma ansiosa, tralasciando il fatto che stava ridendo come un matto, mentre si fingeva una persona dotata di un qualche senso materno.

<< Dai, Hizu, gallina isterica che non sei altro, non morirò e si, non sto bene.

Si, domani vengo.

No, non venitemi a trovare.

Si, ho sonno.

Certo che ti sto per uccidere.>>

Riattacca quando Hizumi sta ancora ridendo, stanco. Le conversazioni al telefono lo sfiniscono, e che cavolo, lui era malato, e quindi più svogliato del solito.

Cosa c’è di meglio che essere malati in una fredda, pallida mattina d’autunno?

Non aveva voglia di alzarsi e decidere che musica ascoltare, non aveva la benché minima intenzione di accendere la televisione, disegnare o leggere qualsiasi cosa, fumetto o libro che fosse: ma la giornata sembrava sprecata solo a poltrire sul divano (bellissima cosa) ma non avrebbe permesso alla sua pigrizia di prendere dolcemente il soppravvento anche questa volta.

Quasi vorrebbe che qualcuno lo prendesse a pugni.

Aveva dimenticato la sua anima.

Il basso.

Pigramente, si alza dal divano e abbandona il Dodo gigante, per avventurarsi con calma lungo il corridoio, fino alla camera.

Il pavimento freddo gli gela i piedi nudi, ma in fondo è una sensazione dolce.

Raggiunge il suo basso, la sua anima e il suo compagno, il suo Dio.

L’unico dio di cui abbia bisogno.

Il dolce, avvolgente, misterioso e fondamentale suono del basso.

Il canto della sua anima.

La lenta e profonda malattia di cui è portatore.

E che morirà con lui, per sempre sua.

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