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Autore: eppy    23/11/2014    3 recensioni
Quando presente e passato si fondono, le convinzioni vacillano, le barriere si spezzano, desideri mai conosciuti sconvolgono, vecchi sospiri ritornano, e inevitabilmente, cominciano i casini.
Emma è testimone dell'esistenza di un passato che per lui è stato troppo breve e bello, e lo ha lasciato con l'amaro in bocca.
Ethan è semplicemente il ragazzo che è stato capace di farle tremare le ginocchia senza aver mai incrociato i suoi occhi, e che lei, a distanza di anni, ha inserito in una parentesi della sua vita che considera conclusa.
Londra è la meravigliosa città che ospita la vecchia biblioteca che inneschera' i sopracitati casini.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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EMMA

Ero una ragazzina come tante. 
Nessun segno particolare. Nulla che mi distinguesse dalla massa informe di coloro le quali erano considerate troppo grandi, per sperare di poter vivere ancora nel mondo che da bambine si erano create su misura, nel quale giocavano a fare le madri part-time con la bambola che Babbo Natale le aveva regalato quel lontano dicembre..ma erano considerate ancora troppo piccole per vivere nel corrispettivo reale di quello stesso mondo.
Avevo sedici anni: papà non sarebbe riuscito a prendermi tra le braccia e portarmi a letto se mi fossi casualmente addormentata sul divano, ma non mi avrebbe nemmeno permesso di stare fuori fino a tardi. Ero in quell'eta' di mezzo, in cui i parenti non sapevano se continuare a farmi regali di compleanno, o se iniziare a tendermi una banconota accompagnata dal rituale 'compra quello che più ti piace', perchè ormai sei cresciuta, le taglie dei vestiti non le indoviniamo più, i giochi non fanno più per te, trucchi non ne usi, e noi abbiamo esaurito le nostre idee-regalo. Ovviamente l'ultima parte della frase era sottointesa.
Avevo sedici anni e bisticciavo sempre con mia madre quando mi rifiutavo di aiutarla in casa, nonostante riconosca che a volte ne avesse proprio bisogno.
Ma io avevo altro a cui pensare: la scuola, gli amici, i ragazzi, i pettegolezzi, la voglia di viaggiare, la fissa per Londra, e la musica. Ma andiamo per ordine.
Ero una delle migliori studentesse in classe, ma non perchè mi piacesse studiare o andare a scuola, anzi, tutte le volte che qualcuno organizzava uno sciopero, un'assemblea, la visione di un film sulla nuova posizione dell'uomo occupata nel corso del Quattrocento, non mi dispiaceva mai più di tanto, e nonostante spesso finissi per annoiarmi a morte, ciò che importava a me e a tutti i miei compagni, era evitare di sorbirci un'ora di chiacchiere esposte con un linguaggio quasi aulico, dalle prof di italiano, latino, storia e filosofia, e logaritimi ed esponenziali totalmente incomprensibili per loro natura, fatti passare per passatempi addirittura divertenti dalla nostra prof di matematica, innamorata pazza della materia che ci insegnava.
Beh, passatempi lo erano di sicuro: ogni volta che mi cimentavo in uno di quei maledetti esercizi, finivo per sbatterci la testa contro per ore, spesso senza alcun risultato. 
Avevo una certa predisposizione per le materie umanistiche, e ammetto che dopo l'entusiasmo iniziale di essere capitata in classe con la mia amica di sempre, mi sono spesso domandata che diavolo ci facessi seduta in quel banco, a scrivere primo, secondo, terzo, quarto, quinto liceo scientifico a numeri romani, ogni volta che consegnavo un compito. 
In realtà, non mi intessava più di tanto nemmeno la letteratura, la storia e la filosofia, avrei fatto volentieri a meno di quelle nozioni e della scuola in generale, soprattutto perchè comportava l'alzarsi presto la mattina, prendere il pullman, vivere con l'ansia costante di un'interrogazione imminente.
Non mi piaceva studiare, ma svolgevo sempre tutti i compiti per senso del dovere, e facevo i salti mortali pur di non farmi mai trovare impreparata..come reggessi quel ritmo, proprio non lo so. L'unica branca della conoscenza che mi appassionava davvero era quella che riguardava lo studio delle lingue straniere, e non per vantarmi, ma ero in asso in inglese!
Punto due: gli amici. Non ne avevo molti, e non ero una di quelle che aspettava il sabato pomeriggio per lanciarsi in uno shopping sfrenato, e la sera per andare in discoteca..no, io piuttosto lo aspettavo per rilassarmi sul divano, sdraiata, con un romanzo tra le mani, lo smartphone sulla pancia, e la mente completamente assente. Anche di sera, preferivo guardare un film con un'amica piuttosto che stazionare davanti al bar per ore e ore, a guardare i miei coetani fumare una sigaretta con la convinzione di essere dei gran fighi.
Ok, non ero un tipo molto estroverso, ma sapevo come divertirmi e stare bene a modo mio, con quelle poche persone per le quali avrei dato la vita.
Forse il fatto che non avessi mai avuto un ragazzo andava attribuito alla mia inesistente voglia di infilarmi nel loro covo il sabato sera, ma non me ne facevo un problema, e anche se di tanto in tanto provavo una certa simpatia per qualcuno, non mi ero mai innamorata sul serio, o perlomeno non di ragazzi con i quali avrei realmente potuto condividere qualcosa.
Ma alla fine mi andava bene così, perchè ero in quella fase in cui si è troppo impegnati a fantasticare sulle storie d'amore impossibili, per rendersi conto di ciò che ci circonda, e nel mondo dei miei sogni io ero felicemente amata dall'unico ragazzo dal quale mi sarei fatta fare di tutto: Ethan Harrow. Era lui la mia cotta segreta...che poi, segreta neanche tanto, visto che lo sapeva tutta la mia famiglia. Il problema era che lui non lo avrebbe saputo mai.
Prima vi facciate strane idee, vi dico subito che Ethan era semplicemente uno dei tre componenti della mia band preferita, gli 'Uk Hearts', e io ero follemente innamorata di lui.
Ma ve lo giuro, la mia fissa per Londra non aveva nulla a che fare con il fatto che fossi pazza del chitarrista e della voce della band rubacuori, le cui meravigliose canzoni erano in vetta alle classifiche di tutto il mondo..la capitale del Regno Unito mi aveva sempre affascinato, in modo inspiegabile forse, ma da sempre sognavo di andarci a vivere, e beh, il fatto che il mio grande amore fosse un inglese doc, non mi faceva che illudere che un giorno lo avrei incontrato, mi sarei specchiata in quegli occhi verdi, sarei svenuta per quello sguardo intenso e per quel sorriso impertinente, e soprattutto avrei potuto abbracciarlo davvero, lasciarmi stringere forte da lui anche solo per un attimo..era la cosa che desideravo più al mondo a sedici anni: un abbraccio da orso da parte del mio bellissimo e dolcissimo Harrow.
Lo sapevo che sarebbe stato quasi impossibile imbattermi in lui quando mi sarei traferita a Londra, e addirittura sperare che una freccia di Cupido colpisse il mio Ethan nel momento esatto in cui i nostri occhi si sarebbero incontrati per la prima volta...ma ai sogni non avevano ancora applicato una tariffa, no? Quindi potevo affogarci dentro quanto volevo, prima di ritornare nel mondo reale, dove lui, agli occhi di tutti, non era altro che un componente della band più famosa e più amata al mondo.
Non capivano. Nessuno capiva che io Ethan lo amavo, per davvero, e ne ero certa, perchè spesso di notte, mi abbracciavo il cuscino fingendo che fosse lui. E questo lo consideravo il più grande e il più imbarazzante dei miei segreti...avrei dato tutto pur di poterlo avere accanto, perchè ero convinta che lui avrebbe potuto amarmi come nessun'altro, e io volevo vivere delle sue carezze, dei suoi baci, della sua dolcezza, praticamente per sempre.
Sì.. la colpa andava attribuita prima di tutto alle canzoni, ai testi incredibilmente belli, toccanti, che spesso mi davano la sensazione di essere stati scritti appositamente per me, e soprattutto alla sua voce roca e profonda, l'unica al mondo in grado di risvegliare ogni cellula del mio corpo, e farla vibrare di quel tremore che si trasmetteva alle mani, alle gambe, a ogni muscolo. La sua voce sapeva rendermi fragile e forte contemporaneamente, mi estraniava dal mondo portandomi in uno parellelo nel quale Ethan mi dedicava quei versi cullandomi tra le sue braccia, mentre Dylan e Derek, i miei 'Double D' (come li chiamavo io)e migliori amici, nonchè colleghi di Harrow, lo prendevano bellamente in giro per essersi fatto fregare così da una ragazza...e quella ragazza ero io!
Avete ragione: vivevo in un mondo tutto mio, composto da un mix non bene amalgamato, di quello reale comprendente la scuola, gli amici, gli impegni quotidiani, e i sabati a leggere romanzi,  e quello completamente inventato del quale Harrow era il protagonista maschile. La loro musica era semplicemente e meravigliosamente il tramite che mi permetteva di oltrepassare i confini del mondo reale, e immergermi in quello che desideravo ardentemente non fosse illusorio..e l'ascoltavo sempre, e ovunque. Non avrei potuto vivere senza gli auricolari nelle orecchie, e quelle voci, quella voce, nella testa e nel cuore. 
Ed ero pronta a scommettere di non essere affatto l'unica ad essersi ridotta così male per Ethan Harrow..lui faceva sciogliere il cuore a tutte con quella dolcezza innata che si ritrovava ad avere nei lineamenti del viso, e in ogni cosa che faceva.
Quindi confermo la mia tesi: nonostante a conti fatti, qualche segno particolare, probabilmente, lo avessi anche io, restavo una ragazzina come tante. 
Un viso anomino al liceo, brava a scuola per senso del dovere, con pochi amici fidati ma nessun ragazzo che le sbava dietro, innamorata di Londra, dipendente dalla musica, e con una cotta stratosferica per il cantante della sua band preferita. 
Sostanzalmente questa ero io. Sostanzialmente così erano molte ragazze della mia età.


ETHAN

Ero un ragazzo come pochi.
Si potevano contare sulle dita quelli che nella vita erano fortunati quanto me. Forse soltanto Dylan e Derek,  potevano davvero capire come mi sentissi, ed ero sicuro di essere invidiato dalla stragrande maggioranza della popolazione maschile dell'intero pianeta..e fidatevi, non sto esagerando!
Cazzo! Avevo solo diciotto anni e mi stavo godendo al massimo la vita...chi non avrebbe voluto essere al mio posto, anche solo per qualche giorno?
Non avevo ancora ben capito quando era successo di preciso, ma c'era stato un momento in cui la ruota della fortuna, aveva puntato me, e sembrava non aver deviato nemmeno di un millimetro da allora.
Non avrei immaginato che sarebbe finita così nemmeno nel più incredibile, e nel più impossibile dei sogni. Ero passato dallo scrivere canzoni in camera mia e provare gli accordi alla chitarra, a riempire gli stadi di tutto il mondo in compagnia di quelli che erano diventati quasi fratelli per me.
A diciotto anni amavo la musica più di ogni altra cosa, amavo le fan, amavo cantare, amavo l'atmosfera dei concerti, amavo viaggiare e amavo la mia vita. 
Mi pareva di non avere una casa, un armadio per i vestiti, una camera tutta mia, ma non mi importava niente, perchè mi piaceva da matti quello che facevo, e pensavo davvero che avrei potuto vivere così per sempre. Impiegavo non più di un quarto d'ora a impacchettare tutto, camicie, pantaloni, calzini, scarpe e quei pochi affetti familiari che mi portavo costantemente dietro, e poi chiudevo il trolley e me lo trascinavo dietro, lungo i gate degli aeroporti, di solito scappando per sfuggire ai paparazzi, e salivo su un altro aereo. Arrivavo da qualche altra parte, e dopo due giorni, rimpacchettavo tutto, e si ricomciava da capo.
Facevo, disfacevo i bagagli con facilità, e quasi ogni sera salivo su un palco diverso, e mi esibivo davanti a migliaia a migliaia di persone, con Dylan e Derek al mio fianco ovviamente. 
La nostra vita aveva un ritmo non accelerato, acceleratissimo, non ci era concesso di fermarci nemmeno per prendere un respiro, ma non avrei scambiato quello che avevo per nulla al mondo. 
Non che fosse il massimo del confort o sinonimo di relax..ammetto che c'erano giorni in cui facevo persino fatica ad alzarmi dal letto, e avrei volentieri barattato un pochino del successo degli 'Uk Hearts' soltanto per una sana dormita, ma ogni volta che ci pensavo, provando a fare il bilancio della situazione, i contro tendevano allo zero, e i pro a più infinito.
Mi andava bene così, volevo che nulla cambiasse..io e i ragazzi volevamo una vita interessante, incredibile, bella, e poco ci importava dei ritmi insostenibili..in fondo avevamo diciotto anni, avevamo l'età giusta per sperimentare di tutto, per restare in piedi fino all'alba, scambiare il giorno per la notte, filtare con le ragazze più carine e provare l'ebrezza di qualche sbronza.
Se ci sentivamo potenti? Altrochè! Certe volte ci sembrava davvero di essere i padroni del mondo, ed era una bella sensazione, perchè sentivamo di essere gli unici in grado di decidere cosa fare della nostra vita.. noi volevamo cantare, e la cosa più incredibile era che potevamo farlo per davvero, potevamo vivere di quello, della nostra passione...riuscite a immaginare qualcosa di meglio?
Se fossi stato da solo, sarebbe stato tutto diverso, e sono sicuro che non sarei mai arrivato tanto in alto.
Era il nostro prenderci in giro sul palco, farci scherzi a volte neanche tanto innocenti, ridere a crepapelle, era l'essere complici spontaneamente che funzionava. Eravamo amici prima di essere colleghi, ed era quella la nostra arma vincente. Non c'era un corcerto che potesse essere effettivamente definito 'normale' : sul palco eravamo quasi irrequieti, correvamo da destra a sinistra senza sosta, ci inginocchiavamo alle estremità e tendevamo le mani cercando di stringerne e sfiorarne sempre il più possibile, rivolgevamo spesso il microfono dalla parte del pubblico e lasciavamo cantare loro, osservandoli in silenzio e con gli occhi lucidi, oppure raggiungevamo la band che ci accompagnava musicalmente, e continuavamo a cantare, facendo facce buffe, smorfie divertenti insieme a loro..e poi scattavamo infinite foto alle fan, ai cartelloni che si sforzavano di innalzare al cielo, gli stessi che contenevano quelle dediche così dolci e così speciali. Ma i nostri non erano concerti ordinari per altri motivi..perchè ribaltavamo le regole sempre a nostro piacimento, ci rifiutavamo di ballare o perlomeno seguire una banale coreografia, qualche volta ci scambiavamo le parti senza preavviso,soprendendo il pubblico, oppure cambiavamo le parole di alcune canzoni, rendendole più ironiche e prendendoci in giro da soli; spesso ci rincorrevamo sul palco schizzandoci acqua addosso, e i dispetti, gli scherzi, e gli abbracci erano all'ordine del giorno, facevano parte di una scaletta diversa da quella delle canzoni, della quale nessuno conosceva formalmente l'esistenza, ma che rispettavamo tutti spontaneamente.
Forse sembravamo pazzi, anzi, quasi sicuramente chiunque non fosse lì con noi ci avrebbe giudicato pazzi, ma ci divertivamo, veramente tanto, e ogni singolo concerto, era speciale per noi.
Perchè sì, è vero, eravamo degli scapestrati, ma in quelle due ore di pura spensieratezza, libertà, e gioia, arrivava sempre e comunque un momento in cui smettevamo di ridere e fare i cretini, e realizzavamo: come se fossimo saliti sul palco solo in quel momento, ci bloccavamo. Ci capitava in momenti diversi, ma accadeva ogni volta a tutti e tre.. percorrevo con lo sguardo l'intero stadio, un brivido mi saliva lungo la schiena, mi tremavano la mani e con esse il microfono che reggevo, e persino la voce. C'erano delle volte in cui non riuscivo più a proseguire, mi incantavo di fronte al pubblico e lottavo per non scoppiare in lacrime, perchè era troppo, troppo bello per essere reale.
'Cazzo..ma quanti sono? Ma quante gente c'è? E sono tutti qui per noi..e quanto urlano?! Sono lo spettacolo più incredibile che conosca!' pensavo, con gli occhi lucidi e la labbra piegate nel sorriso più vero.
Ogni volta era un'emozione nuova, meravigliosa, incontenibile...avvenivano le magie più rare in quegli stadi. Si, perchè c'era uno scambio energia, di voci, e di affetto, semplicemente insostituibile. 
Dio, se mi sentivo fortunato..le fan ci adoravano, e noi adoravamo loro allo stesso modo, e ve giuro, non si trattava di un rapporto a senso unico come pensavamo in molti, e se solo fosse stato possibile, le avremmo abbracciate tutte, una alla volta, e le avremmo sussurrato quel 'grazie' che loro dedicavano a noi.
Era tutto così fottutamente perfetto, e anche se il tempo trascorso con le nostre famiglie era limitato, e c'erano notti in cui non dormivamo affatto, costantemente disturbati dal jet lag, o sballottati da un lato all'altro del pianeta senza sosta, stavamo bene. Io stavo bene, perchè i disagi comportati da quella vita, diventavano insignificanti, sparivano addirittura, se paragonati al frenetico battere del cuore e a quella sensazione così appagante, così bella e così inspiegabile, che ci martellava nel petto a conclusione di ogni concerto, quando ci inchinavamo al pubblico, e poi sparivamo dalla loro vista, godendoci quelle urla che erano tutte per noi.
Ci davano una carica pazzesca, sempre, e ci permettevano di non sentire la mancanza di una vita normale, come quella dei nostri coetanei.
Avevo abbandonato gli studi a sedici anni per seguire il mio sogno, non avevo mai terminato le superiori, non avrei potuto farlo a meno non mi fossi presentato ogni giorno nella scuola di una città diversa, di una nazione diversa, persino di un continente diverso, ma non me ne ero mai pentito..dare la priorità alla mia passione per il canto, era stata la scelta più giusta che potessi fare, e ogni giorno ne avevo la conferma.
Perciò mi consideravo un ragazzo come pochi, perchè alla mia età tutti andavano a scuola, e io giravo il mondo cavalcando il mio sogno con i miei migliori amici. Anche se Dylan e Derek, essendo più grandi di me di due e tre anni, il diploma lo avevano già preso prima che tutto iniziasse.
In quanto a ragazze...beh, ne avevo avute diverse, lo ammetto, ma non sarei mai riuscito a raggiungere le cifre che i giornali di gossip mi affibbiavano! Pareva proprio che si mettessero d'impegno per trovarmene una nuova a settimana, e si divertivano da matti pure con i fotomontaggi. Ma la verità era che pur concedendomi un'uscita ogni tanto, non avevo nemmeno il tempo e la testa di impegnarmi seriamente con qualcuno, e poi il mio continuo spostarmi da un posto all'altro, avrebbe reso un'eventuale relazione molto più complicata.
Però sognavo di incontare una ragazza in grado di sconvolgermi la vita, ribaltare tutti i miei piani, costringermi a rivedere tutto, per poi scoprire che senza di lei niente avrebbe avuto più senso..la volevo, la desideravo, ma non l'avevo ancora incontrata, e in attesa di quel momento, mi divertivo, e si divertivano anche loro. Ma non era quello l'amore, lo sapevo, e in silenzio bramavo di conoscerlo.
Non ero un puttaniere come mi definivano i giornali scandalistici, un rubacuori forse sì, ma quello non dipendeva da me, almeno non direttamente...ero semplicemente Ethan, un ragazzo di diciotto anni, che aveva avuto l'opportunità di vivere i suoi sogni e godersi la vita, e l'aveva colta al volo.      





CIAO A TUTTI!

Per mi conosce già..eccomi ritornata con una nuova storia! 
E per chi non mi conosce ancora..benvenuti nel mio mondo parallelo!
Questo è soltanto il prologo della storia, e vi anticipo che già a partire dal prossimo capitolo, faremo un salto temporale di sei anni, che ci porterà a scoprire come sono cambiate le vite di Emma e Ethan in questo lasso di tempo. Era un'idea che mi frullava in testa già da un po', quella di scrivere qualcosa del genere, e spero proprio di avervi perlomeno incuriosito ;)
Pubblicherò il prossimo capitolo tra una settimana, e niente...spero di ricevere tante recensioni contententi il vostro parere su questa nuova storia :D Mi rendereste felice, perchè ci tengo veramente tanto ♥
Un bacione, e a prestooooooo!! <3<3

    







  
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