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Autore: ellie5815    23/11/2014    2 recensioni
Phalel e Vual: lei un’ingenua ninfa guardiana dei boschi, lui un angelo fin troppo furbo. Come andrà a finire la loro storia?
Questa storia partecipa al contest "Di peccati e angeli caduti" indetto da aduial95 sul forum di EFP
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Curiosity killed the nymph


 
Seduta sull’alto castagno, Phalel ascoltava il coro degli usignoli che cantava una piacevole melodia solo per lei, mentre si asciugava dopo aver fatto un bagno lungo e rilassante nel laghetto. Scese dall’albero accarezzando un usignolo che le si era avvicinato e andò a prepararsi per l’incontro con Vual. Ah, quell’angelo l’aveva estasiata fin da quando l’aveva visto per la prima volta.
Vual era il messaggero personale di sua madre, Artemide, dea della caccia, la stessa che le aveva regalato quel bosco - dove adesso Phalel abitava - perché lo proteggesse, e lei lo aveva sempre fatto, tenendolo distante da qualsiasi tipo di intemperie. Artemide aveva mandato il suo fidato a prendere la figlia al compimento del ventesimo anno d’età per affidarle il suo compito. Essendo una semidea non poteva vivere fra gli umani, poiché avrebbero sfruttato i suoi poteri per i loro scopi egoistici. Così Vual l’aveva accompagnata alla sua nuova casa nel viaggio più lungo della sua vita; ma stare con l’angelo aveva reso il percorso più piacevole. Ricordava ancora come lui l’avesse messa al riparo delle sue ali nei giorni di pioggia e stretta a sé quando faceva freddo. Era un concentrato di amore e dolcezza.
Quel giorno sarebbe stato speciale e lei credeva di sapere che cosa sarebbe accaduto: Vual l’avrebbe fatta sua per sempre. Ne aveva sentito parlare molte volte tra gli umani – quando usciva dalla sua dimora nel bosco per spiarli con la curiosità di una bambina, o quando sotto il grande castagno si aggirava una coppia di cacciatori sghignazzanti – di quelle cose che solo uomo e donna sposati possono permettersi di fare, ma che sono oggetto di desideri peccaminosi da parte di tutte le creature intelligenti. Origliare quei discorsi con morbosa curiosità eccitava Phalel a dismisura; non stava più nella pelle di incontrare il suo Vual, desiderando ardentemente che le sue fantasie cresciute negli ultimi giorni diventassero al più presto realtà.
Si specchiò nello stagno e si pettinò i lunghi capelli color grano che le arrivavano fino alle caviglie, lisci come fibre di seta, in mano il pettine d’oro donatogli dal padre, il quale lo aveva lavorato apposta per lei. Suo padre era un fabbro eccellente, capace di modellare oggetti di preziosa fattura. Phalel era molto affezionata a lui. Quando era ancora una bambina la caricava sulle sue spalle e la faceva sentire leggera come un uccello. Anche se non poteva volare le piaceva un sacco poter almeno fingere di farlo. Ormai erano passati più di cinquant’anni; lei era rimasta giovane e bella, ma suo padre, come tutti gli esseri umani, era invecchiato e poi morto. Lei aveva sofferto moltissimo per il fatto di non poterlo più rivedere. Non era mai riuscita a comprendere la morte: perché doveva esistere? Come facevano gli umani a sopportarla se non riusciva a farlo nemmeno lei, che era immortale?
Cercò di scacciare quei pensieri che rischiavano di rattristarla troppo. Osservò il suo viso riflesso nell’acqua. Presto prese forma un sorriso euforico vedendo la luce che si rifletteva rossastra sulle piccole onde dello stagno: il Sole stava già tramontando all’orizzonte; Vual sarebbe arrivato da un momento all’altro.
 
*
 
Vual sorrise sardonico al suo riflesso nello specchio.
“Ragazzi miei, questa serata sarà speciale” sghignazzò con i suoi compagni. Un coro generale di apprezzamento si levò tra loro.
“Vual, sei veramente un grande!” gridò Azazel “A che numero sei arrivato? Cento? Dobbiamo festeggiare allora! Ah, i pregi di essere immortali…”
“Parla piano, Azazel, non vorrai che i grandi dèi ci scoprano. E poi non è ancora detta l’ultima parola finché Phalel non accetterà; dovrò essere molto cauto e non avere fretta, anche se sarà molto difficile…”
“Ci credo”, disse Dagon, “con quel pezzo di ragazza che ti ritrovi! Penso che di tutte le altre novantanove che ti sei fatto questa sia la più eccitante in assoluto. Non è che poi potrei consolarla io? Sai, con quei capelli biondo grano…”
“Sì, come no, perché tu le guardi i capelli…” disse sarcastico Vual. Tutti risero. Dagon non aveva peli sulla lingua.
“Ma come pensi di fare, eh?” chiese Azazel più euforico dello stesso interessato.
“Aspetta e vedrai: lei si è già fatta adescare dalla sua stessa curiosità e io dovrò solo accendere la scintilla. Poi prenderà fuoco da sola.”
“Come uno di quegli alberi secchi che si incendiano con l’aria calda?”
“Esattamente.”
 
*
 
Il sole era tramontato del tutto e rimaneva solo una flebile penombra a tenere compagnia a Phalel. Seduta sulla riva dello stagno disegnava cerchietti sull’acqua con un bastoncino. Aveva scelto il vestito per l’occasione (anche se era abbastanza sicura che non servisse, da quello che aveva sbirciato in paese): un abito leggero che si era cucita da sola con le pelli che le aveva regalato sua madre, adornato con fiori bianchi e rametti flessibili di edera, senza maniche e lungo fino a metà coscia. Sperava almeno che a Vual piacesse.
All’improvviso comparì il riflesso di un viso familiare.
“Vual!” Si alzò per abbracciarlo.
“Buonasera, mia dolce Phalel.” Le prese il viso e la baciò. I suoi baci le facevano sempre provare qualcosa di indefinito all’altezza dello stomaco, qualcosa che comunque quella sera era dannatamente eccitante.
“Ti ho portato un regalo.” Le presentò una scatola di una forma che Phalel non aveva mai visto, sembrava formata da due chiavi di basso attaccate per la coda.
“Che strana forma, che cos’è?” chiese un po’ perplessa.
“Gli umani la chiamano cuore. È il simbolo dell’amore.” Sorrise Vual; era così ingenua…
“Oh, Vual, sei così dolce…” Phalel aprì la scatola e ne uscì un profumo quasi inebriante.
“Sono cioccolatini; ho pensato che ti sarebbero piaciuti. Assaggiane uno.” Vual ne prese uno tra le dita e lo portò alla bocca della ninfa.
“Oh, per Zeus, ma sono buonissimi! Come fai a sapere sempre quali sono i miei gusti preferiti?”
“Ho le mie fonti.” Sorrise l’angelo.
Lei ci pensò un po’ su. “Giusto, mia madre, come ho fatto a non pensarci?” Prese un altro cioccolatino. “Non ne vuoi uno anche tu?” chiese a Vual.
“No, ti ringrazio. In fondo sono per te, e poi vedo che ti piacciono molto.”
“Altroché!” Caspita, ma come facevano a essere così gustosi?
Lui si guardò intorno: non vide nessuno. Stava procedendo tutto secondo i piani.
 
*
 
“Ragazzi, ci siete tutti?” chiese a bassa voce Azazel, nascosto dietro un cespuglio.
“Smettila di parlare, tu.” Lo rimproverò Dagon “Come fanno a risponderti se non ci deve sentire nessuno? Vual ci ucciderebbe se lei ci scoprisse.”
“Vorrei tanto essere in grado di osservare tutto dall’alto come credono gli umani che facciamo…” Si lamentò Azazel.
Dagon alzò gli occhi al cielo. Era vero, gli angeli non potevano guardare cosa accadeva sulla terra se non con uno speciale strumento che solo gli dèi possedevano. In quel caso non l’avrebbero ottenuto nemmeno dai loro padroni. Ma non era il momento di lamentarsi.
Azazel parlò di nuovo: “Pff, ancora con quei cioccolatini. Secondo me era già abbastanza eccitata…”
“Azazel, hai intenzione di commentare il tutto come si fa alle Olimpiadi? Perché in tal caso ti userò come attrezzo per il lancio del peso.”
“Va bene, cercherò di stare zitto…”
Non passarono neanche cinque minuti.
“Ehi, ehi, guardate! Lui ha incominciato a spogliarla!”
Tutti si avvicinarono per guardare.
“Lento e preciso come al solito.” Esclamò soddisfatto l’angelo logorroico.
Gli angeli erano incantati a guardare il loro miglior ragazzo divertirsi per la centesima volta con la centesima ragazza – letteralmente.
“E anche questa è finita.” Disse Dagon un po’ deluso. “Torniamo su a preparare la festa.”
 
*
 
Soddisfatti, Vual e Phalel erano stesi ansimanti l’uno sull’altra.
“Vual”, sussurrò lei, “avevo aspettato tanto questo giorno.”
“Anch’io, Phalel.” Rispose lui mentre si riprendeva.
“Il bello è che è andato tutto come mi ero immaginata.” Sorrise.
“Oh, potrei scommettere che quello che succederà adesso non te lo saresti mai aspettato…”
Phalel si allarmò leggermente: “Che cosa intendi dire?”
Vual si alzò in piedi.
“Dove stai andando?” gridò la ninfa.
“Torno a casa, addio.”
“Non mi porti con te? Pensavo che dopo questa notte le cose tra noi sarebbero cambiate…”
“E infatti cambieranno: da oggi non mi vedrai più, per tutta l’eternità.”
“Che cosa?” Phalel era incredula. “Hai intenzione di lasciarmi?”
“Esattamente.” Sorrise Vual. “Per sempre.”
Phalel sentì il mondo – umano e divino – crollarle addosso in un attimo. Tutta l’aspettazione di quel giorno si era trasformata in delusione pura. Presto sormontò anche la rabbia.
Vual spiegò le ali per volare via.
“Bugiardo! Ipocrita!” Gridò Phalel dal basso.
Marciò verso il castagno e prese l’arco di sua madre; mirò in direzione dell’angelo. Le lacrime le offuscavano la vista. Mollò la freccia ma lo mancò. Ne lanciò un’altra, e un’altra ancora: niente da fare, non riusciva a colpirlo.
Ormai Vual era lontano e non riusciva più a vederlo.
Si abbandonò sull’erba che poco prima era stata il suo talamo nuziale.
Quell’angelo l’aveva ingannata.
Pianse.
   
 
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