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Autore: Miss BloodyFangs    23/11/2014    0 recensioni
"- starai bene – disse con serietà la donna. Emily chiuse gli occhi e Jules sparì dalla sua vista, ma Emily poté ancora percepirne la presenza mentre la preparavano."
Genere: Angst, Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina del sedici agosto erano poche le persone all’interno dell’ufficio delle poste. Alcune si sarebbero chieste in seguito come era venuto loro in mente di andarci il giorno dopo di ferragosto, altre non avrebbero potuto farlo mai più.

Quando Emily entrò ne contò sette: due impiegate, un uomo sulla cinquantina, un altro molto più giovane, due amiche con la fede al dito che chiacchieravano (una di origini evidentemente asiatiche, l’altra con un aspetto alternativo) e per ultima c’era lei.

All’improvviso il tempo parve fermarsi ed Emily calò giù il cappuccio del giacchetto blu a scoprirle i lisci capelli biondi in disordine, a mostrare a tutti il suo viso – gli occhi spalancati come quelli di un cervo che sta per essere investito, il labbro superiore imperlato di sudore e la bocca tremante; per il calore era completamente sudata e aveva persino bagnato la maglietta bianca che indossava in quel pomeriggio afoso.

Appena vide quella persona si arrestò davanti all’ingresso, venendo spintonata dall’ottava persona che avrebbe preso parte alla follia che sarebbe avvenuta di lì a poco.

L’orologio sulla parete dietro il bancone ticchettava fastidiosamente nelle orecchie di Emily, mentre fissava quella giovane in fila dietro all’uomo sulla cinquantina. Stava facendo ritmicamente sbattere la busta che aveva in mano sulla coscia fasciata da un paio di pantaloni aderenti neri, Emily sapeva quanto quell’atteggiamento fosse minuziosamente studiato, nonostante ciò sussultò quando la vide girarsi e guardarla. Sentì quasi il cuore uscirle dal petto nel momento in cui le sorrise, facendole l’occhiolino.

Fu così che Em fece scattare la mano sul calcio della pistola incastrata nel posteriore dei jeans, alzando entrambe le mani appesantite e fuori controllo nel mezzo del gruppo malassortito che si era venuto a creare – ma che cazz..- - ha una pistola!- cominciarono a fioccare i primi commenti, quando l’oggetto del disturbo della giovane le mandò un fievole bacio, pieno di provocazioni non dette. – CHE CAZZO CI FAI QUI?- urlò Emily, sovrastando la confusione che si era venuta a creare. Una delle impiegate tentò di premere l’allarme, ma Emily le sparò abilmente al petto facendola crollare a terra – TUTTI CONTRO QUEL MURO, DOVE VI POSSO VEDERE – urlò – E GIURO SU DIO CHE IL PRIMO CHE SI MUOVE LO UCCIDO – aggiunse. Rapidamente si affolarono tutti seduti contro il muro – tu, porta qua quell’altra – soggiunse Emily, parlando con l’impiegata rimasta. La poverina ubbidì, con le lacrime che scendevano sul viso arrossato.

Solo una persona si era sottratta all’ordine impartito dalla squilibrata, appoggiandosi con nonchalance al bancone degli impiegati e accendendosi una sigaretta nella più totale calma – che cazzo ci fai qui, eh? – ripetè Emily, tentando di schiarirsi la vista battendo le palpebre – non so, passavo di qui – commentò sarcasticamente l’altra. Nel frattempo gli ostaggi si stavano guardando, terrorizzati dalla donna dinnanzi a loro.

La donna asiatica strinse a sé l’amica, quasi a volerla proteggere dalla pazza, l’ultimo entrato guardava con aria tormentata il pavimento mentre l’impiegata rimasta piangeva silenziosamente fissando il corpo esanime dell’altra.

La persona che stava sfidando la criminale aveva corti capelli neri ed uno sguardo ridente, le labbra viola di rossetto sporcavano il filtro della Chesterfield quasi giunta al termine. – smettila di dire cazzate e dimmi perché cazzo sei tornata, Jules – insistette Emily con voce stridula. Jules rise, con voce bassa, quasi avesse il controllo della situazione e non ci fosse una pistola carica puntata contro di lei. – sono qui per tormentarti un altro po’ – mormorò infine, avvicinandosi con aria sicura a lei. Emily scattò indietro, una lacrima le scese sulla guancia e altre andarono ad offuscarle la vista.

Volanti della polizia si affollarono attorno all’edificio e pian piano l’evento si fece clamoroso: una donna sulla ventina senza problemi evidenti tranne la follia mostrata aveva misteriosamente preso in ostaggio delle persone, uccidendone una – da quanto dichiarato da testimoni di passaggio che avevano avvertito la polizia.

- vai ad oscurare le finestre – sibilò Emily, tenendo l’altra donna e gli ostaggi sotto controllo – e voi non fate nulla di strano, non ho intenzione di uccidere nessun’altro, se non lei. – disse indicando con la pistola Jules.

La suddetta, a lavoro compiuto le fece una giocosa linguaccia – andiamo, non puoi farlo, lo sai! – rise ancora – tu hai paura di me, è questo che hai scoperto con lo psichiatra, vero? – soggiunse, con tono meditabondo – come fai ad avere paura di qualcosa che è solo nella tua testa, Emily? – disse, lo sguardo improvvisamente cattivo – COME? – gridò, tirando un pugno ad un muro. – TU NON SEI NELLA MIA TESTA, STRONZA – replicò Emily, piangendo a dirotto e con la pistola sempre più tremante.

D’improvviso la giovane sembrò riacquistare il controllo e puntò l’arma contro gli ostaggi – la vedete anche voi, vero? VERO?-chiese, la voce sempre più stridula. Le persone interpellate si paralizzarono all’improvviso, Emily sparò un colpo in aria, la giovane alternative cacciò un urlo – si, la vediamo!- rispose l’uomo.

Emily sorrise, confortata – visto? Non sono l’unica! – esultò, portando di nuovo l’attenzione su Jules che alzò gli occhi al cielo – li hai terrorizzati, stupida, cos’altro ti aspettavi? – Emily calciò una sedia, mandandola in aria – SMETTILA, Dio, ma perché? – la donna si strinse le mani sulla testa ed emise un verso indefinito.

- andiamo, facciamola finita – sussurrò Jules, chinandosi sulle ginocchia e soffocando un sorriso – lo sappiamo entrambe come va’ a finire se continui così… o ti risbattono in manicomio… oppure…- Emily guardò la sua follia negli occhi e vide se stessa, con la pistola puntata in bocca.

Scosse la testa e spinse lontana dallo specchio della sua anima, andando a finire contro la porta sbarrata – stammi lontana, puttana- sbottò piangendo, cominciando a sparare a caso nella direzione di Jules. – mancata – sbuffò annoiata la giovane, un lamento costante cominciò a provenire dagli ostaggi – dì loro di tacere, è penoso – sospirò Jules, massaggiandosi la radice del naso ed accendendosi un’altra sigaretta – e tu piantala, io odio il fumo!- rispose Emily improvvisamente infastidita.

In quel momento si rivolse prettamente ai poveri malcapitati nella stanza, sedendosi a ridosso del muro opposto al loro, ignorando Jules – mi dispiace di avervi dovuti coinvolgere, ma era necessario – disse inquieta – non avrei voluto farlo, sul serio – insistette vedendo non accolte le loro scuse – ALLORA? – urlò, la donna asiatica si schiarì la voce e la sua amica la strinse, chiedendole silenziosamente di tacere. – è inutile, Em, loro hanno paura di te… come tu hai paura di me – cantilenò Jules, ripetendosi e guardandosi le unghie laccate di rosso – zitta, stronza, non sto parlando con te – replicò la rapitrice stringendo per un momento le palpebre. – io sono solo nella tua testa, tesoro, non esisto – rise Jules – andiamo, non l’hai ancora capito? Sono solo la tua fantasia malata, questi poveri stronzi non possono vedermi! – disse con voce dura. – BASTA, BASTA, BASTA – Emily sparò un altro colpo e la centrò.

Jules spalancò gli occhi e poi ancora una risata. – ci hai davvero creduto? – Emily prese a tremare violentemente, volgendo l’arma contro l’uomo che aveva precedentemente parlato – tu, tu mi hai mentito! Come ti è venuto in mente? – gemette e sparò ancora, prima che lo sconosciuto potesse rendersene conto. Il signore fu colto da un’unica, triste convulsione per poi spegnersi.

Emily abbandonò la pistola accanto a sé – hai capito ora? – chiese Jules sedendosi accanto alla ventenne. – per favore, lasciami stare – disse stancamente l’assassina – ormai hai combinato un bel disastro, credo che staremo insieme per il resto della nostra vita!- Emily sentì un brivido correrle lungo la schiena.

La faccia della donna era ormai invecchiata di anni, come quella di chiunque dentro all’edificio, Emily guardò la pistola con aria disgustata e la prese nuovamente – la soppesò e la puntò contro gli ostaggi, uno ad uno facendo esalare respiri e scappare grida di terrore.

Infine, la girò e mise la canna fredda in bocca. Jules si stese a terra con un sorriso beffardo, Emily le lanciò un ultimo sguardo carico d’odio e premette il grilletto.

 

Scarica.

La pistola era scarica.

Emily lanciò un unico, prolungato, grido di un dolore profondo, di una persecuzione continua ed instancabile perdurata per anni.

Jules era sempre stata nella sua vita, sin da quando ne aveva memoria.

La aveva accompagnata nella sua crescita, senza mai invecchiare di un giorno, sostituendosi ad una madre che provava una paura crescente nei confronti di una figlia che reagiva alla vita in modo troppo violento per poter essere gestita.

Jules era stata una madre, una sorella, una guida.

Crescendo però, Emily comprese quanto Jules fosse sbagliata.

Era stata lei ad insegnarle ad usare una pistola, a spezzare ossa, ad attirare persone ed ucciderle e derubarle.

Spesso i suoi omicidi efferati erano stati definiti “depravati” ed “osceni” dalle persone incaricate di arrestarla, solo perché Jules le aveva consigliato di usare un po’ di fantasia.

Ripercorrendo mentalmente la sua vita, Emily quasi non si accorse degli uomini che fecero irruzione nella stanza, urlandole di alzare le mani e scortando gli ostaggi fuori – al sicuro.

Con lo sguardo spento, Emily alzò la testa e guardò Jules – cosa devo fare? – mormorò – Jules ghignò – COSA DEVO FARE? – gridò ancora, due polizziotti la bloccarono a terra, impedendole di dimenarsi mentre urlava e si divincolava cercando di raggiungere Jules, guardandola insistentemente.

 

Jules si presentò ancora molte volte allora sguardo di Emily.

Quando era legata ad un letto, sedata, o mentre stava avendo una crisi epilettica e un’intera equipe d’esperti si occupava di lei.

L’ultima volta che Jules si palesò ai suoi occhi fu due anni dopo gli eventi dell’ufficio.

- bambina mia, come ti sei ridotta – sospirò, guardando Emily seduta sulla sedia, che fissava dritta davanti a lei – non vuoi parlare? – le domandò. Emily la ignorò bellamente, guardando nel vetro riflettente davanti a sé la propria figura infiacchita – capisco – disse Jules chinandosi– io resto qui – sussurrò.

Per la prima volta ci fu un contatto tra le due, qualcosa di speciale ed unico per Emily, quando Jules le toccò una guancia con delicatezza, quasi a volerla proteggere dall’imminente orrrore che l’avrebbe colta.

- starai bene – disse con serietà la donna. Emily chiuse gli occhi e Jules sparì dalla sua vista, ma Emily poté ancora percepirne la presenza mentre la preparavano.

Il ventidue settembre del millenovecentosettantadue, Emily Ross venne giustiziata tramite sedia elettrica, dopo un processo e giusta condanna per aver ucciso oltre venti persone.

Se solo avesse potuto, ne avrebbe fatta fuori solo una in più.

  
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