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Autore: LadyRealgar    24/11/2014    4 recensioni
Chiara strinse i pugni, desiderando di essere più alta dei suoi 156 cm e di avere un qualunque oggetto da lanciare su quei mascalzoni, cancellando i sorrisi idioti dalle loro brutte facce. Sentiva la rabbia e la vergogna crescere nel cuore e salirle fino alla gola, finché non esplose in un grido: -Dove diavolo mi trovo?
-Ad Asgard!- rispose una voce maschile in lontananza, molto più calda e ferma di quelle delle due guardie, al cui suono erano balzate sull’attenti e (finalmente) si erano zittite.
Premetto che questo è il primo racconto steso di mio pugno che rendo pubblico e spero davvero che questa storia possa far vivere a chi la legge delle belle emozioni.
Attenzione: nel corso della narrazione vi saranno spoilers per coloro che non hanno visto Thor: the Dark World, dato che i fatti qui descritti sono ambientati dopo gli eventi illustrati dal film.
Vi auguro una buona lettura. Lady Realgar
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Odino, Thor, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Merda!
Fu la prima parola che la ragazza, svegliandosi da un lungo sonno, riuscì a sibilare attraverso le labbra screpolate.
La testa le girava vorticosamente e un dolore acuto le si diffondeva nel cranio e nelle spalle a partire dalla nuca.
D’istinto andò a toccarsi con le dita il punto dolente e sui polpastrelli sentì qualcosa di viscido e appiccicoso che, una volta osservato attentamente (e a fatica), si rivelò essere sangue in fase di coagulazione.
-Merda…- sibilò di nuovo la fanciulla. Se ci fosse stato suo padre, l’avrebbe rimproverata severamente per quel linguaggio scurrile, per nulla adatto ad una fanciulla di vent’anni, ma a Chiara non importò: imprecare entrava nel meccanismo di reazione al dolore, perciò che facesse pure, le sarebbe stato solo d’aiuto.
Era distesa sulla schiena e l’intorpidimento alle gambe e alle braccia le fecero capire che doveva trovarsi in quella posizione su una superficie rigida da molto tempo.
Anche troppo per i suoi gusti.
Gli occhi facevano ancora fatica a mettere a fuoco l’ambiente che la circondava, ma suppose che fosse caduta dal letto nel sonno e si fosse così procurata la ferita alla nuca.
Placata da quel pensiero, socchiuse le palpebre per permettere alle pupille di adattarsi meglio alla luce della stanza e cominciò a muovere i piedi e le mani per riattivare la circolazione e togliersi di dosso quel fastidioso formicolio.
Mentre eseguiva quell’esercizio si chiese come mai né i suoi genitori né suo fratello fossero venuti a prestarle soccorso, ma poi si ricordò che, sebbene lei avesse già concluso la sua sessione primaverile di esami all’università, per loro non erano ancora giunte le tanto agognate vacanze. Veniva dunque da sé che, vedendo la porta della stanza chiusa, avessero pensato che stesse semplicemente dormendo e non l’avessero voluta disturbare.
Molto premuroso, certo, ma a Chiara non sarebbe dispiaciuto ricevere un po’ di cure.
Nel frattempo gli occhi incominciavano ad adattarsi meglio alla luce e la ragazza poté scorgere il bianco dell’intonaco del soffitto; il suo sguardo cadde, poi, verso il suo corpo disteso e notò che non indossava il suo solito pigiama, bensì un paio di jeans e una maglietta.
“Non sarò mica tornata a casa ubriaca?” si domandò: in effetti, non riusciva a ricordare cosa le fosse successo o cosa avesse fatto prima di addormentarsi.
“Devo essere stata a qualche festa” continuò, mentre i suoi arti cominciavano lentamente a riprendere la loro funzione, “ Evidentemente devo essermi bevuta qualche Gin Lemon di troppo e, tornata a casa, devo essermi messa a dormire vestita e … un momento! Che fine ha fatto il lampadario?”
La sua vista era tornata  perfettamente funzionante e, concentrandosi sul soffitto, si era messa alla ricerca di quell’oggetto familiare, ma senza trovarlo.
La mancanza di quel fondamentale dettaglio allarmò profondamente la ragazza, che scattò a sedere, quasi fosse stata caricata a molla. La preoccupazione le fece dimenticare per un attimo il dolore alla testa e tutta la sua concentrazione si focalizzò nell’osservare l’ambiente intorno a sé.
La scrivania, l’armadio, la libreria, le mensole, il letto e lo specchio, che arredavano solitamente la sua camera da letto, erano scomparsi, dissolti nel nulla e sostituiti da una brandina di legno imbottita di paglia, un basso sgabello a tre piedi, un catino e una brocca, il tutto contenuto in una stanza priva di finestre e delimitata da un soffitto, un pavimento e tre pareti completamente bianchi. Esatto, solo tre, in quanto la quarta era composta da un unico pannello trasparente di un vago color giallo.
-Dove sono andate a finire tutte le mie cose?- bisbigliò, tenendosi la testa dolorante con una mano.
Sebbene cercasse disperatamente di spiegarsi il motivo della scomparsa dei suoi mobili e dei suoi libri, Chiara non riusciva assolutamente a venirne a capo; poi per un folle, assurdo momento una vocina nella sua testa le sussurrò: “E se non ci fossero mai stati?”. Fu una tremenda rivelazione, ma tutto le apparve chiaro: non mancava nulla in quella stanza, anzi, c’era qualcosa in più: lei.
Non era nella sua camera, ma in un posto completamente diverso. Il punto era: dove?
Chiara si alzò faticosamente dal pavimento, ma le sue gambe erano ancora troppo deboli per reggere adeguatamente il peso del corpo e così, barcollante, si avvicinò a lenti passi verso il pannello.
-Maledizione…- il dolore era intenso, come se qualcuno le avesse colpito la nuca con un bastone, rendendo il suo equilibrio estremamente precario sicché, ad un tratto, inciampò nei propri piedi, finendo con il braccio sinistro contro il pannello. La sensazione fu quella di una forte e dolorosa scossa elettrica che dalla spalla la percorse per tutto il corpo, dandole la spinta per allontanarsi dal pannello e facendola tornare sul pavimento.
Seduta al suolo, con il braccio che le bruciava per la scossa ricevuta, alle orecchie le giunse un rumore roco e gorgogliante. Le ci volle una manciata di secondi per comprendere da dove provenisse, ma quando lo scoprì il suo cuore perse un battito: oltre il vetro, dentro una stanza simile alla sua, un energumeno dalla pelle grigia come l’acciaio, costellata di cicatrici e tatuaggi, e dai capelli e gli occhi rossi come il sangue la stava osservando. Non solo, stava ridendo.
La paura prese il sopravvento e Chiara iniziò a tremare incontrollatamente, fomentando ancora di più l’ilarità di quella creatura.
La ragazza non poteva credere ai propri occhi: che cos’era quell’essere? Ma, soprattutto, le si poteva avvicinare?
Sperò con tutto il cuore che quel pannello fosse abbastanza resistente da tenerla al sicuro.
Era spaventata, disorientata e il dolore fisico stava aumentando di intensità. Senza che lo desiderasse, sui suoi occhi si depose un liquido velo di lacrime, offuscandole la vista. Subito si strofinò le palpebre con il pugno chiuso per nascondere quel segno di debolezza, ma non riuscì a impedire ad una goccia di scivolare sulla sua guancia sinistra.
-Dannazione!- singhiozzò la ragazza, mordendosi il labbro inferiore nel tentativo di ricacciare indietro quelle fastidiose gocce salate, ma la cosa non sfuggì al mostro, che continuò a ridere di gusto.
 -Oh, sta zitto!- gli rispose, alzandosi con fatica sulle gambe, che in quel momento le sembravano essere fatte di burro.
Si avvicinò nuovamente al pannello, mantenendo una discreta distanza di sicurezza, e si diede uno sguardo intorno: ai lati si estendeva un corridoio, lungo il quale si distribuivano numerose altre celle simili alla sua; buona parte di esse ospitavano uno o più individui. Il fatto che ognuno dei detenuti sembrava essere uscito da un macabro negozio di costumi di fantascienza non la sorprese.
Qualcosa, però, diede nuova speranza alla fanciulla: in fondo al corridoio a destra, infatti, vi era una grande porta di ferro, ai cui lati stavano, ben ritte e con le lance in mostra, quelle che sembravano essere due guardie.
“Un’uscita!”
Ignorando il penetrante sguardo del suo dirimpettaio, Chiara cercò di richiamare la loro attenzione.
-Scusate … - disse, ma il suo tono di voce era troppo basso e debole e non vi fu alcuna risposta.
Sul volto del mostro si disegnò un sorriso beffardo: quello spettacolo doveva rappresentare per lui un gran divertimento! Aggiunse anche qualche verso gutturale, probabilmente un commento sarcastico, che Chiara ringraziò di non aver capito.
Si fece coraggio, prese un bel respiro e urlò: -Ehi voi!
Questa volta era stata sentita e le due guardie, dopo essersi scambiate uno sguardo perplesso, si avvicinarono alla sua cella con passo pesante.
Quando se le trovò davanti, per un attimo Chiara si pentì di averle chiamate: erano alte e possenti, vestite di placche di metallo lucente e le punte delle loro lance scintillavano orgogliose del filo appena fatto.
La spaventavano, ma almeno sembravano meno crudeli del mostro della cella di fronte, che intanto si era seduto sulla sua branda per ammirare comodamente la scena.
-Cosa vuoi?- chiese bruscamente uno dei due uomini.
-Dove mi trovo?- domandò la ragazza con un filo di voce.
Le due guardie si scambiarono uno sguardo e un ghigno canzonatorio, finché una rispose: - Sei in una cella!
A quella frase i due uomini scoppiarono in grasse risate in una cacofonia di gorgoglii e ruggiti.
-Lo so di trovarmi in una cella! Ma dove?- domandò la ragazza, questa volta con rabbia.
-In una prigione!
Altro scroscio di risate.
Chiara strinse i pugni, desiderando di essere più alta dei suoi 156 cm e di avere un qualunque oggetto da lanciare su quei mascalzoni, cancellando i sorrisi idioti dalle loro brutte facce. Sentiva la rabbia e la vergogna crescere nel cuore e salirle fino alla gola, finché non esplose in un grido: -DOVE DIAVOLO MI TROVO?
-Ad Asgard!- rispose una voce maschile in lontananza, molto più calda e ferma di quelle delle due guardie, al cui suono erano balzate sull’attenti e (finalmente) si erano zittite.
Incerta sulla risposta appena ricevuta, Chiara volse lo sguardo in direzione della voce e vide un giovane uomo dal portamento nobile avvicinarsi a passi veloci e cadenzati.
Era alto e massiccio, con una robusta mascella squadrata e il naso leggermente schiacciato, ma dai lineamenti, nel complesso, simmetrici e armoniosi, i suoi capelli, del colore del grano, erano raccolti in una coda e le spalle erano avvolte da un lungo mantello rosso. Sembrava un atleta o un uomo d’armi, ma di sicuro, vista la reazione che avevano avuto le guardie, doveva essere un pezzo grosso.
L’uomo le si pose esattamente di fronte e la osservò dall’alto della sua statura, che, nonostante il suolo della cella fosse rialzato di una decina di centimetri rispetto al corridoio, risultava comunque molto imponente.
Ora che poteva vederlo chiaramente, si rese conto di quanto fosse attraente il suo interlocutore e, istintivamente, si portò una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio, mentre domandava: -Chi sei?
Un sorriso spuntò sul volto dell’uomo, che rispose -Il mio nome è Thor, figlio di Odino e principe di Asgard. Qual è il vostro, fanciulla?
“Cosa sta dicendo questo?” si domandò Chiara “Il principe di cosa?”, poi si accorse che Thor stava ancora aspettando una risposta e si affrettò a dire: -Mi chiamo Chiara e vorrei sapere dove mi trovo e per quale ragione… per favore.
“Ma come per favore? Svegliati, Chiara! Sei in gattabuia! Cerca di essere più determinata!”
-Molto bene... Chiara. Come ho già detto, ti trovi ad Asgard, il Regno degli Dei, e sul perché ti trovi qui sarà compito di mio padre illustrartelo- aggiunse poi, facendo un cenno alle guardie:- Infatti egli desidera averti a colloquio e io sono qui per condurti da lui.
In un attimo il pannello si dissolse e una guardia oltrepassò la soglia della cella. Il suo volto era diventato impassibile e i suoi gesti quasi meccanici.
“Non fai più tanto lo sbruffone ora che il capo è qui a guardarti, vero?” si trovò a pensare la ragazza, mentre le ammanettavano i polsi. Il freddo contatto del metallo sulla pelle la riportò alla realtà: era sola e in manette contro tre energumeni armati. Doveva risparmiarsi i commenti e le battutine se voleva uscirne incolume.
Venne condotta, o meglio, trascinata come un cane al guinzaglio, attraverso il corridoio. Thor apriva il corteo e le guardie le stavano ai lati, mentre altri due uomini armati prendevano il loro posto a guardia dei detenuti.
Intanto, il mostro osservava avidamente la scena, seguendo con lo sguardo il cordoglio finché non vennero chiuse le pesanti porte di ferro e il gruppo cominciò a percorrere una lunga scalinata.
Man mano che si allontanavano dalla prigione, l’aria sembrava farsi più pulita e leggera e le gambe della ragazza iniziarono a riprendere la loro funzione.
Al termine dell’ascesa, che parve infinita per la ragazza allo stremo delle forze, vi era una seconda porta, che, una volta aperta, lasciò entrare un fascio di luce. I suoi occhi, abituati all’oscurità, rimasero abbagliati da quella fonte luminosa così improvvisa e per qualche secondo non furono in grado di scorgere nulla di ciò che avevano intorno.
Ma non appena le pupille si furono ristrette, quello che vide la ragazza la lasciò senza fiato: intorno a lei si estendeva un’enorme sala, tappezzata di meravigliosi arazzi e illuminata dalla luce del tramonto, che entrava attraverso i vetri di grandi finestre bifore.
Sotto ai suoi piedi riluceva la superficie lucidata del marmo nero, liscia e splendente al punto da poter vedere il riflesso di Thor, che, avanti di un paio di passi, con il suo lungo mantello svolazzante, sembrava una di quelle nuvole del tramonto che si intravedevano attraverso le finestre.
Alla stanza degli arazzi seguì un ballatoio che dava verso l’esterno e Chiara riuscì a sbirciare il paesaggio: una grande città si estendeva sotto si loro, ricca di case e di fermento e bagnata dal mare, sulle cui acque, arancioni per il crepuscolo, flottavano pigramente delle buffe imbarcazioni.
Non riusciva a riconoscere nulla di quello che vedeva, non un edificio o una strada che potesse darle un qualche suggerimento sulla sua ubicazione.
Il senso di smarrimento cresceva esponenzialmente ad ogni nuovo tetto che riusciva a scorgere, ma dovette ammettere a se stessa che quello che aveva davanti era uno spettacolo meraviglioso: le lunghe ombre della sera delineavano con maggiore profondità le forme degli edifici e delle abitazioni, i cui tetti scintillavano di mille colori, come se fossero stati fatti di madreperla. Poteva sentire le voci dei mercanti che gridavano le ultime offerte della giornata e i bambini che cantavano e giocavano nella polvere delle strade.
Il tutto trasmetteva un senso di pace e di tranquillità che non si sarebbe mai aspettata di trovare in una situazione tanto drammatica.
Tra una colonna e l’altra, mentre attraversavano il ballatoio, Chiara scorse un ponte che si estendeva per centinaia di metri in direzione del mare, ma senza condurre apparentemente da nessuna parte: terminava, infatti, in quello che sembrava una sorta di osservatorio astronomico di forma semi sferica con un lungo spuntone piramidale che si ergeva verso l’alto. Era uno strano edificio, ma non era quello l’aspetto più bizzarro: secondo chissà quale gioco di luce, quel ponte brillava dei sette colori dello spettro del visibile. Sembrava un arcobaleno!
“Forse c’è un qualche sistema di illuminazione artificiale che da questa distanza non riesco a vedere…”.
-È uno spettacolo magnifico, non è vero?- le chiese il principe.
Chiara, colta di sorpresa, sobbalzò  e si accorse di star osservando il ponte a bocca aperta (“Come un’ebete” si rimproverò).
-È bellissimo, certo- rispose -Ma avrei preferito vedere qualcosa di più familiare.
Si morse il labbro: non riusciva proprio a tacere? Già si aspettava che l'uomo saltasse su tutte le furie e la rispedisse a marcire in cella, ma ciò, fortunatamente, non accadde: egli si limitò ad osservarla per qualche secondo, poi fece dietrofront e il gruppo riprese a camminare.
I passi rimbombavano lungo le diverse stanze che la compagnia attraversò, una più bella e fastosa dell’altra, finché Thor non si fermò di fronte a una porta chiusa, imitato dalle guardie.
Si voltò verso la ragazza e disse, facendo un breve sorriso di incoraggiamento: -Oltre questa porta si trova Odino. Sii rispettosa e rispondi a tutte le sue domande.
A Chiara non restò altro che fare un breve cenno di assenso con la testa, che sembrò soddisfare l’uomo, sicché le porte si spalancarono e la prigioniera venne condotta nella sala del trono.
La grande sala era illuminata dal fuoco di decine di torce, facendo sfavillare di mille luci il pavimento di pietra levigata e finemente intarsiata. Lungo le pareti scendevano armoniosamente dei drappi purpurei, che ondeggiavano alla brezza della sera, ma, in tutto quello sfarzo e in quella opulenza, era il maestoso trono a rifulgere in tutto il suo splendore sopra ogni cosa, emanando bagliori dorati.
Tuttavia, ciò che attrasse maggiormente l’attenzione della ragazza non fu lo sfarzo, né la maestosità della sala, e neppure lo sguardo di disapprovazione della servitù disposta lungo le pareti, quanto l’anziano uomo che sedeva, gambe larghe e la schiena leggermente inclinata verso sinistra, sul possente scranno.
Sembrava trovarsi perfettamente a suo agio in quell’ambiente e su quel trono, come se a costruirli fosse stato lui stesso a proprio uso e consumo, e nel suo occhio destro (l’altro, cieco, era coperto da una benda) si intravedeva una mente arguta e piena di conoscenza.
La sensazione di vulnerabilità che quell’unico occhio era in grado di procurarle la fece rabbrividire.
Pochi metri la distanziavano da Odino e, a quel punto, Thor prese parola: -Padre, come richiesto, ti ho portato la ragazza affinché tu possa interrogarla.
Il vecchio fece un breve cenno con il capo e Thor e le guardie si allontanarono da dalla prigioniera, rimasta sola ad affrontare il Padre degli Dei.
-Ragazza- cominciò l’uomo, con voce calma ma ferma - qual è il tuo nome e da dove vieni?
-Mi chiamo Chiara- rispose, cercando di celare il timore che quell’uomo le incuteva - e vengo da Siena.
Il Dio rifletté per qualche secondo sulla risposta ricevuta, poi, con un piglio ancora più severo e una voce ancora più grave, riprese a parlare: -Vieni dunque da Midgard?
-Da dove?- domandò la ragazza, incredula.
-Da quel cumulo di roccia e fango che voi chiamate Terra- rispose spazientito il Padre degli Dei.
La bocca della ragazza si aprì e si richiuse senza emettere un suono. Non riusciva a credere a quello che aveva appena udito.
-Co…come sarebbe a dire “dalla Terra”?- balbettò Chiara, il cui tentativo di dimostrarsi spavalda era andato totalmente in frantumi -Non siamo sulla Terra in questo momento?
Le labbra di Odino si contrassero in un ghigno divertito, poi aggiunse: -No, siamo ad Asgard, un regno ben diverso e ben lontano da Midgard; talmente lontano che, se utilizzassi uno di quei ridicoli macchinari che voi umani adoperate per fare i vostri “viaggi nello spazio”, non ti basterebbero cinquecento vite per tornarvi.
Per un attimo le ginocchia della ragazza cedettero sotto il peso della notizia e si ritrovò a contatto con il freddo pavimento a contare i battiti del proprio cuore per calmarsi.
“Uno … due … tre … quattro …”.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Odino riprese a parlare: - Ora basta con questa commedia, come hai fatto a raggiungere Asgard da sola?
Lo sguardo di Chiara si alzò di scatto sul volto del dio: cosa stava dicendo? Come avrebbe mai potuto lei raggiungere un altro pianeta? Era un pensiero ridicolo! Eppure … lei era pur sempre lì, sul pavimento di una sala del trono di un posto chiamato Asgard. Com’era possibile?
Si rimise in piedi, le braccia appesantite dalle catene, e disse: -Non ho idea di come sia potuto accadere. Non ne avevo intenzione né conosco qualcuno che abbia le capacità o l’intento di venire qui. Non ero nemmeno a conoscenza di altri pianeti abitati oltre al mio.
Vi fu di nuovo silenzio, interrotto ogni tanto da un debole bisbigliare in fondo alla sala. “Sto dando spettacolo” pensò la ragazza, mentre cercava di decifrare il viso di Odino, nel tentativo di comprendere i suoi pensieri.
Il Padre degli Dei, alla fine, si alzò in piedi, osservandola con diffidenza, poi diede una voce alle guardie, che le si affiancarono e ne raccolsero le catene.
-Portate la ragazza nella sua cella- decretò il sovrano -lasciamo che un giorno di prigionia le schiarisca le idee e i ricordi.
Chiara venne strattonata da una guardia, mentre l’altra la spronava con la base della sua lancia.
-Non ho mentito!- urlo la ragazza -Non so davvero come sia potuto succedere! Lasciatemi andare!
Le sue richieste non vennero ascoltate e Chiara, dopo un iniziale e ridicolo tentativo di opporre resistenza, venne ricondotta nella prigione, nella stessa cella da cui era stata prelevata.
A nulla valse urlare e chiedere ascolto: nessuna risposta vi fu alle sue grida.
Stanca e stremata, ma soprattutto sconfitta, si sdraiò sulla sua branda, sforzandosi di ricordare cosa le fosse successo prima di svegliarsi in quell’incubo.
Non era forse questo quello che Odino desiderava? Se ricordare l’avrebbe fatta uscire da quell’inferno, avrebbe concentrato ogni energia, ogni sforzo, pur di riuscirci.
Rimase per ore sulla paglia, analizzando ogni momento che riusciva a ricostruire nella sua mente prima del blackout, prima di svenire e di risvegliarsi sul pavimento di quella cella.
Pensò a quello che aveva fatto quel giorno (ma quale giorno? Da quanto tempo era richiusa lì dentro?), ai percorsi che aveva intrapreso, alle persone che aveva visto e da lì la sua mente volò alla sua casa e alla sua famiglia.
Chissà come stavano i suoi genitori e suo fratello? Sarebbero stati in pensiero per lei? L’avrebbero cercata? Ma, soprattutto, sarebbe mai tornata da loro?
A quel pensiero la sua forza di volontà svanì come neve sotto il sole di marzo e le lacrime cominciarono a scendere copiose lungo il suo viso, bagnandole il collo e i capelli.
Si sforzò inutilmente di nascondere i singhiozzi, ma un altro suono le giunse alle orecchie.
Una voce: -Non ho mai sopportato i piagnistei!

Angolo dell'autrice: Bene, eccoci qui. Confesso di essere un po' emozionata: non mi era mai capitato di pubblicare su internet un mio racconto e spero di essere riuscita a esprimermi nella maniera più chiara e comprensibile possibile, riuscendo però anche a trasmettere qualche emozione. Chi sarà la voce che Chiara sente nella sua cella? Dai, che l'avete già capito ;) 
Vorrei ringraziare calorosamente Francesca, aka Kinnabaris, che mi sopporta ogni volta che mi viene un'idea su una storia, che le ascolta tutte con intelligenza e pazienza e che sa sempre consigliarmi al meglio. 
Alla prossima,
LadyRealgar
   
 
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