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Autore: Ato    26/11/2014    6 recensioni
SPOILER capitoli 699 e 700.
La sera del suo diciannovesimo compleanno Sakura non solo ha un problema, ma diventa anche il problema del suo problema.
«Sai Sasuke-kun, Tsunade-sama dice sempre se hai un problema bevici su. Il problema sarà ancora lì ma tu non te ne ricorderai. Allora perché ti vedo così distintamente? E perché stai ballando?»
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
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Hola! È un po’ che non pubblico qui su efp, ma in onore del canon non potevo proprio esimermi :D Questa storia è una di quelle per cui solo a pensare di scriverla qualche giorno fa mi sarei detta: mai nella vita. Coerentemente, l’ho conclusa e mi sono dilungata anche troppo. Per me è stata una sfida abbastanza complessa tentare di fare comicità o importunare la dignità di tutti questi ragazzi seriosi e controllati; e soprattutto è stato interessante tentare di risolvere la situazione sasusaku che si era venuta a creare.

Ma da sola non sarei andata da nessuna parte, anzi non avrei neppure cominciato. No Vittoria no party <3 è stata lei a parlarmi dei suoi headcanon con Sakura sbronza e il povero Sasuke che tenta di occuparsene al meglio, è stata lei a ispirarmi, a motivarmi, a sopportarmi e tante altre cose. Questa storia è sua quanto mia.

E un ringraziamento particolare va alle suisen girls, perché sono belle e con grande spirito di sacrificio si sono cuccate in anteprima la storia.

 

NOTE INTRODUTTIVE: la storia comincia alla sera del diciannovesimo compleanno di Sakura. Sasuke è via quindi da un anno e mezzo all’incirca, anche se nel frattempo qualche promessa l’ha mantenuta. Per amore dei miei headcanon ho usato la traduzione del 699 che non so perché sui vari siti è andata persa, cioè Sasuke a Sakura, quando lei si propone di accompagnarlo, risponde: la prossima volta sicuramente.

(Le parti in corsivo sono flashback).

Buona lettura :D

 

 

 

 

 

 

 

 

Blame it

(on the alcohol)

 

 

 

 

Tsunade-sama, quando non era troppo occupata a dare alla sua pelle la stessa purezza della porcellana, diceva sempre: se hai un problema bevici su. Il problema resta lì, ma almeno non te ne ricorderai.

Kakashi-sensei, quando non era troppo occupato a imparare le virgole di romanzetti osceni, le consigliava sempre: se hai un problema, diventa il problema del tuo problema.

Naruto, che non era mai occupato – e della qual cosa riusciva pure a farsene un vanto – si dilettava a dispensare perle di saggezza alla stessa velocità con cui consumava ramen: davvero hai un problema ora che ci sono gli sconti da Ichiraku?

Al che Ino, che riusciva a fingere di non avere impegni ogni volta in cui pensava di intuire un'ombra nei suoi occhi nonostante le avesse appena posato un fiore tra i capelli, le sorrideva, spessissimo, gentile e disponibile come un bocciolo che si apre ai primi raggi del sole, e le diceva, sempre: sicura che mentre aspetti Sasuke, non vuoi divertirti un po'? E considerando che da un po' Ino si divertiva scodinzolando per il villaggio con Sai al guinzaglio, a Sakura faceva anche una certa impressione quello che l'amica tentava di suggerirle.

In ogni caso, lei aveva un problema. E questo lo vedevano tutti. Tranne chi era lontano, così lontano...

 

(da sembrare il sogno di una bambina che alla fine era stata costretta a crescere).

 

 

***

 

Il suo problema aveva un nome e un cognome. Anche piuttosto noti, a dire il vero. Aveva diciotto soffertissimi anni, due occhi infernali, e una bocca capace di promettere vendetta e amore con una convinzione che prima o poi l'avrebbe fatta impazzire.

Mata kondo na. La prossima volta sicuramente.

(Una notte, circospetto come uno shinigami, con uno sguardo che era un pugno di nebbia, aveva picchiettato con dita lievi alla sua finestra. Aveva macchiato il vetro con le tracce vaporose del suo respiro, e quando lei gli aveva aperto, aveva sentito sulle labbra una nota di menta piperita e zenzero. Le era balzato il cuore in gola per la vicinanza improvvisa e per contenere le palpitazioni si era stupidamente portata una mano sul collo.

Sasuke si era sistemato un po’ meglio sul davanzale – un po’ più vicino, solo un po’ – e con le dita aveva sfiorato le sue, scivolando delicatamente lungo il profilo del collo fino alla clavicola. L’aveva guardata con un’aria tristissima. «Non…»

«Lo so», l’aveva interrotto lei, con un sorriso rassicurante. Prima di andare via da Konoha, Sasuke l’aveva già sorpresa due o tre volte con una mano intorno al collo e allora aveva dovuto assicurargli – a lui, così dispiaciuto, vittima del suo rammarico più di qualsiasi altra cosa – aveva dovuto assicurargli che non aveva paura di lui, ma solo… solo del fatto che alcuni ricordi potessero schizzare dal passato nel loro presente, intromettersi, rovinarli, impossibili e spaventosi come tutte le cose che non dovrebbero esistere. Poi Sasuke era partito, con la promessa che sarebbe diventato una persona migliore, e con un’altra promessa, ancora più bella…

«La prossima volta è arrivata».

Sakura l’aveva guardato stranita, producendosi in un’espressione di stupore purissimo, e Sasuke, di rimando, le aveva rifilato uno sguardo arruffato – oltraggiato, le avrebbe spiegato qualche giorno dopo, con un mezzo sorriso e qualcos’altro che lei si era debitamente persa perché vederlo sorridere l’aveva costretta a chiudere gli occhi per contenere tutta quell’emozione e cullarsi nella scoperta dolce, sorprendente, che quella fosse la nuova realtà.

Il giorno seguente erano partiti, dopo dieci rimproveri dei genitori, e un paio di raccomandazioni da Tsunade-shishou, e un saluto inconveniente da parte di Ino e Naruto; e a Sakura era sembrato che il mondo si fosse riempito di meraviglia, e quando aveva potuto sfiorarla – la pelle di Sasuke era irruvidita dalla prima barba e inumidita dalla rugiada di mattina – Sakura aveva ben pensato di piangerci su. Era stata una cosa dignitosa, a suo dire e solo a suo dire perché Sasuke non si era arrischiato in giudizi al riguardo della valle di lacrime, si era solo limitato ad attendere che si consumasse da sé – e non ci aveva impiegato molto, voleva credere Sakura, solo venti o trenta battiti di ciglia, e centocinquanta pulsazioni del polso che aveva stretto tra le dita mentre la mano di Sasuke le spazzolava via le lacrime dagli occhi socchiusi, con una delicatezza che fino a quel momento probabilmente aveva riservato solo alla sua katana e con una specie di tenerezza che in genere tirava fuori un attimo prima di stordirla. E lei non aveva fatto altro che ingoiare lacrime e sospiri, con la voglia di chiedergli se anche a lui piacesse tanto la sua pelle.

Dopo una settimana Sasuke l’aveva riportata a casa, di notte, nella sua stanza, passando per la finestra perché evidentemente aveva un problema con le porte – o, più nello specifico, con chi avrebbe dovuto aprirgli. E siccome si sentiva molto forte di quella spiccata abilità a sparire di soppiatto, probabilmente era sul punto di nebulizzarsi quando lei si era voltata afferrandolo per il colletto della camicia. «E… la prossima volta?»

Sasuke l’aveva guardata con occhi seri – e fissi, nei suoi – e siccome era a modo suo un sentimentale, con la tendenza a rigettarle addosso spicchi di passato in maniera a volte persino brutale, quando aveva allungato due dita verso di lei, Sakura aveva avuto la tentazione di scostare la fronte, e mollargli uno schiaffo. Per un momento si era anche trastullata col pensiero di non avergli ancora illustrato quanto fosse imbecille con la dovizia di particolari che si meritava, ricamando nello specifico su trascorsi che lo rendevano particolarmente problematico, ma ogni rimprovero le era morto in gola quando lui le aveva sfiorato la tempia con le dita, tracciando il contorno del suo viso con una carezza lieve. Sakura era rimasta lì a lasciarsi toccare con gli occhi accesi di stupore, una fame d’aria inestinguibile, e il viso in fiamme.

«La prossima volta decidi tu dove andare».

Ed era sparito così. E probabilmente lo sapeva da sé, che era un imbecille. Ma a nessuno dei due doveva importare molto, in quel momento. Era più importante sorridere).

 

 

***

 

Il suo problema si rendeva particolarmente problematico quando non si faceva vedere da giorni, settimane… più specificamente da mesi. Men che meno il giorno del suo tristissimo diciannovesimo compleanno. Tristissimo e sporchissimo, considerò Sakura, vomitando il resto della torta che aveva ingurgitato un’ora prima. Non le era nemmeno piaciuta particolarmente, solo che Ino l’aveva preparata con le sue mani, gliel’aveva piazzata sul tavolo appena aveva spazzolato via il ramen di Ichiraku offerto da Naruto – con gli sconti di cui disponeva – e l’aveva costretta a spegnere le candeline (Esprimi un desiderio, Sakura. E per cortesia, uno che non riguardi Sasuke. Non sia mai dovesse avverarsi proprio stasera… dobbiamo divertirci, senza idioti al seguito). Sakura aveva chiuso gli occhi, pregato il suo Sasuke immaginario di farsi vivo appena possibile – magari l’indomani, per non stressare troppo la povera Ino, e con un bel regalo, per non abusare troppo del suo amor proprio e di quella stupida tendenza a perdonargli tutto – e poi Sakura si era lasciata convincere a innaffiare un paio di fette di torta con altrettanti giri di sake. Niente di eccezionale, per la verità, si sentiva solo un pochino brilla e forse con un po’ di impegno avrebbe anche smesso di tirare giù ogni minuto la gonna del suo tubino.

In ogni caso, in quel momento il fatto che il suo vestito mancasse di una certa sobrietà era diventato l’ultimo dei suoi problemi. Di certo non l’avrebbe più indossato e oltretutto ne doveva pure uno nuovo a TenTen, notò con orrore: la ragazza le aveva piantato una mano sulla fronte e guardava con disgusto il contenuto del suo stomaco che imbrattava l’acqua del fiume di Konoha.

«Credo che anch’io… di aver bisogno… scusa Sakura, ma sei stata di grande ispirazione per il mio…»

Sakura non ebbe nemmeno il tempo di dire a TenTen che avrebbero potuto scambiarsi di posto, che era forte lei e che avrebbe potuto aiutarla a vomitare con dignità, evitando di farle spaccare la testa o sputare un polmone. Ma a quanto le pareva in tutto quello c’era ben poco di dignitoso, quindi la vide allontanarsi traballante, e tentò di lanciarle una scarpa sulla nuca – perché come si permettevano tutti di lasciarla indietro? – ma il lancio le uscì particolarmente fiacco. Così ora era senza dignità e senza una scarpa. E senza Sasuke, ma a quello ci era abituata.

E avrebbe voluto prendere a testate Naruto, tanto per rendergli chiaro il concetto che certo, si potevano avere problemi pure con la pancia piena di ramen – anche se, per onestà, doveva ammettere che i problemi si triplicavano dopo averla svuotata. E Ino, maledetta Ino, che aveva deciso di rimpiazzare Sai con un albero, a giudicare da come si abbracciava con trasporto il tronco di un acero, lei si meritava un tacco in gola, ecco. Però si faceva sempre perdonare con idee brillanti. «La corteccia punge un po’», la informò infatti, strofinando i capelli biondi contro il suo tronco prediletto e scrollandosi di dosso Shikamaru che tentava di darle a bere un po’ di caffè. «Però Sakura la corteccia non dice idiozie e non scappa dall’altra parte del mondo. Dovresti provarla anche tu».

A Sakura sembrò un’ottima idea. Le sembrava anche che qualche albero stesse accorrendo nella sua direzione, e magari se non si stava proprio impressionando, una o due querce stavano pure dispiegando i rami verso di lei. Mentre fossero arrivate, però, le sembrò necessario sporcare un altro po’ l’acqua del fiume.

«Dai Ino, vediamo di farla finita. Che rottura. Bevi qui» si lamentò Shikamaru, e a Sakura fece anche un po’ pena perché aveva ragione: mica era giusto lasciarla vomitare da sola.

Così si decise a mettere una buona parola per lui, e per la corteccia che le sembrava particolarmente gentile. «Sai Ino la corteccia ti aiuterà, e nemmeno punge…», aveva dita leggere come ali di farfalla, le sembrava, ma decise, mentre le sostenevano la fronte e le scostavano i capelli dagli occhi. E le pareva di conoscerle da una vita, forse, come diceva la gente negli occhi del grande amore. Anzi, proprio così…

Sakura non riuscì a trattenere un ultimo conato quando si ritrovò Sasuke davanti agli occhi, bello più o meno come un’allucinazione, per essere precisi. «Lo sai Sasuke-kun», cominciò, perché era scortese ignorarlo anche se doveva essere un prodotto della sua mente. «Tsunade-sama dice sempre se hai un problema bevici su. Il problema sarà ancora lì ma tu non te ne ricorderai. Allora perché ti vedo così distintamente? E perché stai ballando?»

«Non sto ballando, Sakura».

«Peccato, avresti potuto invitarmi».

«Non è vero Sakura, mente. Sta ballando con un salice!» la informò ancora Ino, compita.

Sakura guardò un po’ meglio la sua allucinazione. «Quindi mi tradisci?», gli chiese, con aria improvvisamente triste. «E non rispondere come un… come un Sasuke, che magari mi direbbe anche che non stiamo insieme e poi…»

«Non ti tradisco», precisò l’allucinazione, con voce sommessa.

«Ino, le mie allucinazioni non mi tradiscono» esultò Sakura, commossa dalla sua stessa immaginazione.

«Sakura-chan, sei viva!» la voce di Naruto le arrivò alle orecchie particolarmente squillante. Sembrava essersi ringalluzzito. «Ma sembri ancora molto stupida, cosa ti hanno combinato?» si disperò un momento dopo, ascoltandola discutere di cortecce fedeli e gentili. Le porse una bottiglietta d’acqua, che Sakura non accettò perché la mamma le diceva sempre di non accettare cose dagli sconosciuti e quella sottospecie di Naruto in abito elegante e senza sorriso di certo non era il vero Naruto. A chi voleva darla a bere, pensò, tanto per chiosare.

«È tutto merito dei miei amici», considerò Ino, abbracciando un altro albero, un po’ più vicino a loro. Sakura tentò di dirle che non era molto carino passare da uno all’altro in così poco tempo, ma la sua allucinazione parlò prima di lei: «quali amici?».

Aveva lo stesso tono bellicoso di Sasuke, esattamente il classico che usava quando aveva bisogno di prendersela con qualcuno. O col mondo intero, a seconda del mood.

«Gli amici di Ino sono gentili, Sasuke-kun», lo rassicurò lei, con un sorriso.

«E sappi che avevano un debole per il tuo culo, Sakura».

«…oh».

«Ma alla fine gli ho fatto confessare che trovavano più bella me. E vorrei ben dire! Anche se a vederti da qui il tuo culo piace anche a me. E la tua allucinazione non disdegna, mi sembra di capire».

«Per questo è un’allucinazione, Ino, fa cose da allucinazione, cosa credi» ragionò lei in risposta, prima di ritrovarsi il beccuccio della bottiglia d’acqua dritto in bocca. «Bevi», le intimò la voce di Sasuke.

«Mi piace questo tono autoritario. Somiglia molto al suo» Sakura chiuse gli occhi, cullandosi in un paio di ricordi. «Però non voglio bere».

Voleva solo concentrarsi sulle sue dita che le scivolavano sulle tempie, e sui polsi, inumidendole la pelle con acqua freschissima. E sulle labbra, ogni tanto, le arrivava un alito di menta. Ed era così bello, e reale. «Mi porti a casa?» Riuscì a guardarlo negli occhi mentre gli porgeva quella domanda, e vi trovò un fondo carico di tenerezza che quasi la fece implodere sul posto.

«Prima bevi un altro po’, Sakura-chan» le disse il finto Naruto con fare conciliante. Doveva essere proprio fintissimo, un fantoccio, perché era pure diventato bravo a manipolarla. Non c’era niente che non avrebbe fatto pur di godersi la vista di quegli occhi ancora un po’, nella riservatezza di una stanza illuminata solo dalla fiammella di una candela. E se doveva bere veleno per soddisfare il suo desiderio, e soggiacergli, allora tanto valeva farlo in fretta.

«Piano» la rimbeccò la voce, petulante. Sasuke le tolse la bottiglia dalle mani e l’aiutò a bere con calma. Era proprio un rompiscatole che voleva fare tutto di testa sua. Come l’originale. E col profumo dell’originale, notò Sakura quando si sentì avvolgere dal suo mantello.

«Allucinazione, dove credi di andare?» tuonò Ino appena li vide muovere i primi passi. Li raggiunse in poche falcate accompagnate ognuna da un’imprecazione del povero Shikamaru che stentava a starle dietro, morto di sonno com’era.

Di tutta risposta Sasuke attivò lo sharingan per liberarsi di lei con un lavoro pulito, e mentre Naruto quasi gli torceva il collo urlandogli di non fare niente, Ino l’aveva già raggiunto. «Vedi di comportarti bene. Lo so che se sei così simile all’originale ci sono scarse probabilità, infatti vorrei proprio mollarti un pugno come acconto, ma sarei incapace di centrarti in questo momento e poi…» Ino prese fiato, con gli occhi lucidi puntati su Sakura. «Quella cretina anche quando è fuori di testa è talmente convinta che al mondo non esista nessuno a parte te da far sentire un completo imbecille chiunque ci provi con lei».

Sasuke fece per voltarsi, esasperato ed evidentemente anche troppo tentato di tramortirla con una illusione non molto gentile, ma Ino lo scrollò per una spalla ancora una volta: «è chiaro?»

Di tutta risposta gli occhi di Sasuke si posarono su Shikamaru, diabolicamente suggestivi.

E lui, da genio qual era, colse al volo l’invito. Svuotando la tazzina di caffè dritto nella bocca aperta di Ino. Giustizia fu fatta.

 

***

 

La vita era una grande danza da ballare in coppia, o in gruppo. O da non ballare affatto, se ti chiamavi Sasuke Uchiha. Eppure a Sakura sembrava che tutto il mondo fosse stato risucchiato da una specie di melodia vorace, incalzante, le luci della notte di Konoha tremolavano nei suoi occhi, partecipi del grande concerto; la gente in strada si dondolava sui piedi o tra le braccia di qualcuno che non scappava via, lontano; gli alberi continuavano a passeggiare lungo i viali, solcando le siepi dei giardini bui. Il finto Naruto era scomparso, e chissà se Ino aveva trovato un olmo da strapazzare… le erano sempre piaciuti, gli olmi.

La sua allucinazione formato Sasuke invece non la mollava un attimo. Camminava al suo fianco brontolando parole sconnesse, o almeno così le sembrava. Doveva avere un po’ di ovatta nelle orecchie, e la situazione sembrava peggiorare ogni volta che Sasuke le posava una mano sul fianco, o sulla spalla, o le prendeva il gomito per farle cambiare direzione. Aveva dita candide e gentili, quando la toccavano, capaci di contenere i suoi movimenti bruschi.

«Sei scalza», la bocca era sempre luciferina, però.

«E tu non sei un’allucinazione, credo. Dimmi la verità».

«Ci mancherebbe».

«Quindi sei ubriaco».

«Direi proprio di no».

«Sta zitto Sasuke, stai ballando, quindi sei ubriaco» tagliò corto lei, lanciandogli uno sguardo obliquo, in cagnesco. Chi pensava di prendere in giro. «E poi hai pure sbagliato strada».

«No, solo che al momento non ti ricordi dove abiti. Io sì».

«Ah davvero?» Sakura sentì distintamente la propria voce alzarsi di un’ottava. Non le piaceva suonare stridula, ma questa Sasuke doveva decisamente sentirla. «Ero convinta che non avessi proprio idea di dove abitassi, considerando che non ti fai vivo da mesi».

«Sakura…»

«E lo so come mi chiamo, se per caso ti fosse venuto il dubbio anche su questo!» strillò, con una nota di isteria. «Lo so», aggiunse, sfiatando. «E so anche che sei ubriaco. E non discutere».

Lo vide sbuffare, mentre voltava il viso da un’altra parte. Chissà se era davvero un pochino afflitto come sembrava dalla piega delle sue labbra. Forse doveva concedergli il beneficio del dubbio – come sempre.

«Quanto fa cento meno sette?»

«Sakura…»

«Ripeti cerotto, fiocco e kunai».

«Sakura…»

«Che giorno è oggi?»

«…Sakura».

«Scommetto che non lo sai. E il mese almeno sai dirmelo? E non ripetere ancora Sakura, e Sakura, come se fosse la risposta a ogni domanda. Questa è roba da allucinazione. E tu sei del tutto ubriaco».

I test psicometrici che aveva letto su un libro di Tsunade-sama erano semplici, ma in genere accurati. E Sasuke non aveva saputo rispondere nemmeno a una domanda. Non solo era ubriaco, non gli era rimasto un briciolo di lucidità. Era evidente.

«Secondo te perché sono qui?» le chiese Sasuke, con voce bassissima e lieve come una carezza.

«E vuoi saperlo da me? Sasuke ma quanto hai bevuto?». Sakura si fermò a metà strada, tentando di prendergli il viso tra le mani. Se solo avesse smesso di ballare, avrebbe potuto dare un’occhiata alle sue pupille. «Ti prometto che ti aiuterò a scoprirlo» soggiunse, perché proprio non ce la faceva, a vederlo così triste e perso. «Anche se dovrei essere arrabbiata. Anzi sono molto arrabbiata. E sai che tecnicamente è scorretto dire molto arrabbiata? Dovrei dire furiosa. Ma come si fa a essere furiosi con te?»

Sasuke chiuse gli occhi. Per un momento le parve che avesse abbandonato il viso contro i palmi delle sue mani. Era proprio carino, quando stava zitto e non tentava di sparire. E anche se in un primo momento le era sembrato un po’ più grande dell’ultima volta che l’aveva visto, un pochino più uomo, forse – perché aveva deciso di continuare a crescere lontano da lei e non si sarebbe stupita se un giorno all’improvviso lo avesse scoperto un adulto fatto e finito – ora le sembrava uno scricciolo di porcellana delicata, sotto le dita, con quella pelle che a distanza di mesi ancora le sembrava l’unica autentica meraviglia di tutto il mondo conosciuto.

«Lasciati accompagnare a casa», le disse, stringendole un polso con forza per sottolineare che come sempre, con lui, il confine tra la richiesta e l’ordine era talmente sottile da potersi sgretolare sotto il peso dei suoi occhi severi, scurissimi.

«La casa però la decido io», replicò lei, un po’ più allegra.

«Nemmeno per idea».

«Tu sei ubriaco, non hai facoltà decisionali».

«Sakura, sei tu quella ubriaca».

«È esattamente quello che direbbe un ubriaco per sembrare il più sobrio».

«Appunto».

«E poi Sasuke-kun avevi promesso che la prossima volta avrei deciso io dove andare».

Sasuke rallentò appena, indugiando in un sorrisino nascosto dal colletto della maglia. «Naruto aveva ragione. Tenti di fare la manipolatrice anche quando sei completamente fuori di testa».

«Ma io non sono manipolatrice» osservò Sakura, un po’ abbattuta dallo sguardo recriminatorio che le restituì Sasuke. «Forse solo un pochino… ma perché voi non mi ascoltate mai! E allora sono costretta a…»

«Ti sto ascoltando adesso, Sakura».

«E allora portami a casa. Quella che scelgo io, però» precisò, per mettere le cose in chiaro. E siccome Sasuke le sembrava già sul punto di ribattere, rispolverò l’argomento di prima. «Hai promesso».

«Ma non sapevo che ti avrei trovata in queste condizioni».

Sakura lo fissò sconsolata per un lungo momento, poggiando la fronte sulla sua spalla. Era anche più in alto di quanto si ricordasse. Era passato troppo tempo dall’ultima volta che… «E io non sapevo quando ti avrei rivisto».

 

***

 

 

Ino aveva aperto una rivista da qualche mese, con le amiche pettegole di sua madre. Un progetto carino e inesauribile, a cui dedicare giusto il tempo di un thè consumato con chi amava solo una cosa più di parlare degli altri: far parlare di sé. E siccome era piena Konoha di kunoichi nostalgiche dei tempi in cui la missione più difficile non era indovinare la manicure, qualcuna aveva fatto della conquista della copertina una questione di dignitoso principio. Qualcun altro, troppo pigro per curarsi della propria rispettabilità di animale sociale, men che meno della notorietà, si era limitato a chiedersi come mai – scandalosamente – il tanto chiacchierato Sasuke Uchiha non potesse ancora vantare un titolo a lui dedicato. Altri ancora, col massimo del disinteresse, avrebbero forse fatto presente che il suddetto si trastullava da tempo dall'altra parte del mondo ma qualcuno a caso, prontamente e sicuramente, avrebbe fatto notare che di boiate se ne combinano in ogni angolo della terra, soprattutto se ci si cura più di uno stemma sulle magliette che del proprio prossimo.

Sakura rise, al pensiero che l'indomani Kunoichi 2000 avrebbe venduto un buon numero di copie con un titolo salutato dai più senza troppa meraviglia: Sasuke Uchiha: da nukenin a effrattore!

Era tutto sommato un effrattore capacissimo, annotò senza meravigliarsi molto. Aveva giusto scomodato la memoria di qualcuno dei suoi avi e magari solo di un paio di hokage – quelli che gli stavano antipatici, ma non è che a lei facessero simpatia, e poi la mano di Sasuke che forzava la serratura, e apriva quella porta, era così bella... a un certo punto aveva anche tracciato un movimento pieno di grazia nell'aria stantia dell'ingresso, e non le importava se non aveva detto niente a parte suddette imprecazioni, per lei quello era un benvenuta a casa, Sakura. (E già che ci sei aiutami a meditare vendetta contro il vicino rompiscatole, perché ora sei di famiglia e puoi partecipare a tutte le vendette che vuoi).

Le si era riempito il cuore di gioia. E anche lui sembrava più rilassato rispetto a prima. Se non altro aveva smesso di guardarsi intorno al colmo della circospezione appena lei apriva bocca. Una volta gliel'aveva anche tappata a tradimento, il maledetto, l'aveva trascinata contro un muro e le aveva premuto il palmo della mano sulle labbra, serrandogliele. Era stato in quel preciso momento che si era messo nel sacco da solo: «Se stai zitta andiamo dove vuoi tu», le aveva detto. Sakura per amor di precisione avrebbe anche voluto metterlo al corrente del fatto che una promessa simile gliel'avesse già strappata, ma si era sentita magnanima, a guardare i suoi occhi allarmati, e poi averlo tanto vicino, quasi addosso, non le dispiaceva molto. Anzi, le aveva fatto scoprire un formicolio piacevole che si era presto messo a serpeggiare in tutto il corpo.

Così avevano preso a passeggiare in quella casa enorme, quella che piaceva a lei. I proprietari si erano trasferiti a Suna tantissimi anni prima, tornavano a Konoha solo per qualche settimana durante l'estate, e da bambina aveva sognato un sacco di volte come sarebbe stato il momento in cui Sasuke l'avesse condotta lì dentro... ora lo sapeva: tanto per cominciare Sasuke aveva starnutito. Poi aveva rischiato di dare fuoco alla cristalliera per accendere una vecchia candela nascosta in una tazzina di porcellana. Alla fine aveva preso a guardarla con una specie di sentimento recriminatorio negli occhi, che ogni tanto cedeva il passo a qualcosa che poteva benissimo somigliare alla pietà. Tutto sommato la se stessa dodicenne l'avrebbe anche trovato soddisfacente.

«Smettila di guardarti intorno come se questa non fosse casa tua».

«Ma non è casa mia».

L'attuale se stessa invece lo guardò in preda a una totale infelicità. Abbassò lo sguardo, prima di parlargli ancora: «è casa nostra». Quasi non riconobbe la sua voce in quel sussurro sommesso, però fu certa che Sasuke l'avesse udito quando lo sentì emettere un sospiro breve. Era dietro di lei e respirava piano tra i suoi capelli. Col viso appena inclinato. Sakura ebbe l'impressione che con lui incombesse su di lei tutto il mistero, e l'ineffabilità, dei suoi sentimenti.

«Allora sarà il caso di guardarla un po' meglio», le disse, prima di avviarsi verso una grande porta scorrevole, coi battenti di vetro smerigliato.

Sakura lo seguì di corsa, rischiando di investire l'alzata su un lato della porta. Evidentemente, anche alla loro casa piaceva ballare. Si chiese se Sasuke l'avesse notato. Sembrava all'improvviso molto attento, e posava le dita su ogni superficie libera, tracciandone i contorni con cura, come a saggiarne la perfezione di cui si stava già beando con gli occhi.

Sakura osservò i suoi movimenti, rapita. Lo vide indugiare su un arazzo che raffigurava la Dea Izanami e il dio Izanagi nell'atto della creazione, e un pensiero malinconico dovette trafiggergli la mente perché se lo lasciò alle spalle con una luce triste negli occhi. Continuò a girare per quello che doveva essere lo studio, misurandolo da angolature diverse, spostava freneticamente lo sguardo dalla grande scrivania in legno a un vecchio giradischi fin sulla scacchiera, inchiodando alla fine, beato, sulla libreria che si estendeva lungo un'intera parete, imponente e bella com'era. In un angolo c'era un divano rivestito di un tessuto ruvido, un po' consumato dalle carezze del tempo. Il mobile bar era uno scrigno per bicchieri e boccette di cristallo; Sakura riconobbe anche qualche ampolla riempita di preparati alle erbe andati a male tanto che per un momento il cattivo odore le fece girare la testa e riuscì di nuovo a peggiorarle l'umore. In cerca di aria, trovò la finestra con lo sguardo ma era nascosta da tende di panno spesso, che Sasuke stava accostando con cura dopo aver dato un'occhiata fuori, sulla piazzetta di Konoha.

«Non mi guardi mai così. Come qualcosa di così bello che per un momento l'emozione ti costringe a chiudere gli occhi», considerò, spostandosi sul lato opposto della stanza, lontano da lui. «Eppure continuo a comprarti regali di Natale da quando avevo sei anni».

Le sembrava una tragedia inaudita. Soprattutto perché Sasuke riusciva persino a divertirsi, mentre lei si disperava. «Me ne hai dati solo un paio».

«Perché non ci sei mai» gli fece notare, impressionata dalla sua faccia di bronzo. «E mi hai fatto piangere anche lo scorso Natale».

«Non dovevi» la redarguì lui, voltando le spalle a Konoha. Cercò i suoi occhi e solo quando li trovò aggiunse a voce bassa un timido:«Non volevo».

«Allora potevi tornare».

«Sakura, lo sai che...»

«Non so niente», precisò, nervosa. La testa le doleva terribilmente e le era anche tornata la nausea. «Non so perché non riesco a mancarti nemmeno un po'. Soltanto un po'. Quel tanto che basterebbe... a farti tornare qui per le feste... o quando ti senti solo. Perché vuoi sentirti solo invece di stare un po' con me? È questo che mi distrugge, certe volte. Per fortuna c’è l’anmitsu. E Naruto. E Ino. E il finto Naruto. E i ricordi. Ma mi manchi lo stesso. La mamma dice che sono un caso perso e che non so apprezzare quello che ho, Ino dice che dovrei imparare a divertirmi, Naruto dice che non può mancarti ciò che già ti appartiene e tu ora dirai… – e non provare a negarlo! – dirai che sono assolutamente insopportabile. E io sono così stufa di essere presa in giro perché per una volta vorrei sentirmi intera, non come se mi mancasse costantemente una parte di me».

Sasuke la guardò per un lungo momento, con quegli occhi belli come una preghiera. Le fece un cenno veloce, forse solo un po' incerto, ma la voce con cui le parlò era decisa. «Vieni qui».

Sakura lo raggiunse dopo averlo visto trafficare di nuovo con le tende. Le aveva fatto un po' di spazio tra sé e le imposte della finestra e quando furono vicini, Sasuke le infilò una mano sotto il cappuccio del mantello, tirandoglielo in testa per coprirle i capelli chiari. Poi la invitò a sporgersi un po' per guardare fuori. E lei lo fece. Accogliendo nel suo sguardo le delicate meraviglie di una notte che era sul punto di trovare riposo. In giro non c'erano più bimbi che si sporcavano il nasino di zucchero filato o giocavano con un pesciolino rosso intrappolato in un sacchetto vinto alla fiera poco prima; in piazza qualche ragazzo ancora rideva come se la sua intera vita altro non fosse che puro, delizioso divertimento. I rivenditori avevano tirato le tende sulle proprie bancarelle, ma nell'aria sicuramente era rimasto sospeso il profumo delle spezie con cui avevano condito i loro spuntini al cartoccio. Le luci nelle case erano rare fiammelle accese nella stanza di una madre troppo apprensiva per prendere sonno prima che i figli fossero rincasati. E in lontananza, qualcuno, cantava del dio Kamui, ma aveva la voce rauca, e la testa già impigliata nei sogni della mezzanotte. Era bello, se ne rendeva conto. E non si stupiva che piacesse anche a Sasuke, quel momento sul finire della festa, di assoluta e perfetta compiutezza.

Si voltò per spiare il suo sguardo – come le piaceva, osservarlo rapito da qualcosa che non fosse odio, troppo simile alla tristezza. Ma quando cercò il suo sguardo, lo trovò fisso su di sé. Inesorabile. Persistente, forse anche avvinto. «Che cosa...?»

E poi Sasuke chiuse gli occhi.

Come davanti a qualcosa di così bello che per un momento l'emozione, incalzante, ti costringe a rifugiarti in te stesso. Per trattenerla dentro di te, tra i ricordi di sempre. E cullarla, dietro le palpebre, come il frutto di un'assoluta meraviglia.

 

 

***

 

Sakura aprì gli occhi di soprassalto. Aveva la vista annebbiata, ma prima ancora di mettere a fuoco cosa ci fosse davanti a sé, percepì il proprio respiro farsi pesante, preda dell'agitazione. Il viso giaceva su qualcosa di non troppo morbido, ma sorprendentemente caldo per essere un cuscino – e infatti non lo era, notò con orrore.

Si sollevò dal petto di Sasuke con un balzo poco coordinato, e con qualche movimento distorto dalle vertigini riuscì a liberarsi del mantello con cui si erano coperti. Saltò fuori dal divano rischiando di inciampare nel tappeto ai suoi piedi, solo per notare, al colmo dello sgomento, che il tubino nero indossato la sera prima era stato sostituito da una felpa che di certo non era la sua. Le stava decisamente grande, eppure non le copriva tanto bene le gambe, oltretutto il collo largo le cascava su una spalla, lasciandola scoperta. In compenso le maniche erano talmente lunghe che avrebbe potuto utilizzare la stoffa in avanzo per fustigarsi. Violentemente.

Una fitta lancinante alla tempia la costrinse a richiudere gli occhi, isolandola per un breve momento dallo spettacolo devastante che era quel risveglio. Si serrò le palpebre coi palmi delle mani, intenzionata a non aprirle mai più per tutta la vita - che si augurava fosse particolarmente breve, dato che si prospettava fin troppo imbarazzante, per non dire una fiera di umiliazioni.

Si rese conto di non avere un'idea precisa della situazione, ma qualcosa le diceva che tutti i suoi più terribili presentimenti non rendessero nemmeno giustizia alla gravità del momento. Lasciò defluire un po' di chakra sulle tempie, per quietare il mal di testa e recuperare un po' di lucidità, stando ben attenta a non scoprire gli occhi perché non aveva nessuna intenzione di vedere... qualsiasi fosse il grado di disappunto a cui era arrivato Sasuke, dopo che... Di preciso proprio non si ricordava cosa aveva fatto, o peggio ancora tentato di fare.

«Guarda che è ancora presto».

Ma da com'era conciata poteva immaginarlo. E ciò che immaginava si mischiava terribilmente a certi ricordi sbiaditi che le facevano tremare le gambe per la vergogna.

«Sarà appena l'alba».

«Con chi stai parlando, Sasuke-kun?», chiese, quando capì che era stato lui a parlare e non una delle voci che si accavallavano nella sua testa aggiornandola impietosamente su ciò che era successo la notte prima.

«Sei ancora fuori di testa?»

Magari, pensò, disperata. In quel momento la sua testa le sembrava il posto più brutto del mondo. «Non volevo svegliarti, torna pure a dormire». E forse era anche il caso di ringraziarlo, dato che aveva trovato il coraggio di rivolgerle ancora la parola.

Lo spiò solo per un momento, ricoprendosi velocemente gli occhi alla vista del suo sguardo ancora un po' annebbiato, ricoperto da ciuffi di capelli arruffati.

«Ero già sveglio».

Cosa ci facesse sveglio a quell'ora andava oltre le sue possibilità di comprensione. Magari si era intrattenuto tutta la notte a ridere di lei, non l'avrebbe trovato così strano. Oppure aveva sentito il bisogno di tenere alta la guardia.

«Cosa ti ho detto ieri notte?», indagò, in attesa della sentenza che forse le avrebbe dato un giusto, veloce colpo di grazia.

«Tante cose».

Si strofinò la felpa di Sasuke sulle guance, sentiva di averle umide. «Quando ho cercato di spogliarmi, intendo», precisò, con voce stridula.

«... qualcosa a proposito del fatto che ti sentivi molto disinibita», le rispose lui, tirandosi su dal divano. «E volevi che io...»

«Basta così!» lo interruppe, divorata dalla vergogna e dai sensi di colpa. E dai ricordi, che stavano cominciando a scoppiarle in testa come petardi.

(«Nei miei sogni non sai cosa mi fai. E io... ti lascio ogni genere di libertà, e poi...». Poi l'aveva abbracciato, stretto a sé come a volerlo inglobare in quella bolla d'affetto infinito in cui non riusciva più a stare da sola. «Vorrei baciarti ma non so come si fa». Aveva nascosto le labbra nella piega del suo collo, sentendo il sangue fluire velocemente. Si era dondolata un paio di volte contro di lui, con equilibrio precario. Allora Sasuke le aveva passato il braccio attorno ai fianchi, forte, era riuscito a tenerla ferma e a contenere ogni suo slancio. Non era stato male, adagiarsi sul suo corpo, sentirne il contatto vivo e caldo, e non era completo ma... quasi, c'era quel vestito, che le aveva stretto il petto per tutta la serata, e le fasciava un po' troppo la pancia, soprattutto dopo averla riempita di ramen, ed era una barriera tra lei e Sasuke...

Però lui la teneva ancora stretta a sé, impedendole qualsiasi movimento, così la colse di nuovo un dubbio tanto doloroso da farle salire le lacrime agli occhi. Non l'aveva mai abbracciata, per tutta la sera, solo sostenuta, forse. Forse quello non era un abbraccio, che ne sapeva lei, che non li aveva mai ricevuti. Sentiva solo di averne bisogno, ma sapeva anche che sarebbe scivolata a terra, se non ci avesse pensato lui a tenerla in piedi.

A un certo punto gli aveva detto che era sua precisa intenzione liberarsi del vestito. Ma non solo. L'aveva accusato di...)

«Non ti avvicinare», lo avvertì, tentando miseramente di attraversare l'intera stanza ad occhi chiusi, senza inciampare nell'arredamento. Andò di fatti a sbattere contro quella che doveva essere la libreria. Non si era mai sentita più in trappola di così, soprattutto perché era tutta colpa sua. «E perdonami se puoi, non ero in me».

«Lo so», le rispose lui, semplicemente. Ma la voce le sembrò un po' più vicina di prima nonostante fosse certa di essersi allontanata. Inoltre quella risposta poteva avere connotazioni assolutamente sinistre. Forse non aveva intenzione di perdonarla? Eppure lei gli aveva perdonato così tanto...

(Non era stata crudele con lui, gli aveva parlato con la dolcezza che si usa a un bambino per mostrargli quanta delusione avesse arrecato in chi si era fidato di lui, e con l'insolenza di un ragazzino che altro non vuole se non sapere di poter infliggere agli altri il suo stesso dolore.

E poi, a vederlo immobile, l'aveva accusato di sembrare uno intenzionato a difendersi. Da cosa poi? Da lei? E questo lo trovava offensivo. Perché lei da difendere non aveva più nemmeno i suoi sentimenti, e i suoi desideri, dato che molti glieli aveva elencati con la meticolosità che aveva sempre dedicato a lui e allo studio.)

«Sakura, apri gli occhi».

«Li ho aperti, ma non li scopro», sibilò, con una tenacia che desiderava tenersi ben stretta. Cominciò a scivolare lungo la libreria verso sinistra, perché le sembrava che la voce di Sasuke provenisse dalla direzione opposta. «E per quel che vale non pensavo niente di tutto ciò che ho detto. Quasi niente, cioè, davvero».

Stava per ripetere un paio di volte quel davvero su cui desiderava essere particolarmente convincente, ma qualcosa le solleticò il naso, facendoglielo arricciare, e senza nemmeno rendersene conto, si era portata le mani sulla punta, per allontanare una foglia di menta. La prima domanda che le sorse naturale fu cosa ci faceva Sasuke, davanti a lei, a sventolarle una foglia di menta sotto al naso. La seconda, malefica, fu come potesse sapere della foglia di menta. Quando si rese conto di averla vista coi suoi stessi occhi, aperti, scoperti davanti a Sasuke, Sakura trasecolò. Il viso le andò in fiamme, altro che l'imbarazzato rossore di poco prima, lo sentiva proprio ardere. E guardarlo peggiorava soltanto la situazione. Le tornavano alla mente ricordi vaghi – ma non troppo – e se vi si abbandonava per un attimo riusciva di nuovo a sentire le sue dita addosso, sulla pelle nuda, mentre la aiutava a disfarsi del vestito. E la cura, la delicatezza con cui appena l'aveva sfiorata infilandole giù per il collo una felpa che aveva tirato fuori dalla sua sacca. Dopodiché ricordava di averlo abbracciato ancora, sul divano, anche se nemmeno sapeva dire come ci erano arrivati. Sapeva che si erano distesi, e che era stato bello lasciarsi avvolgere dal suo braccio – che forse ci aveva un po' giocato, con la sua mano, invitandola a scendere un po' più giù dei suoi fianchi, e trovandola forte, irremovibile, della stessa durezza del marmo. Le erano tornati in mente ancora dubbi, e dubbi, su cosa ci facesse il suo braccio intorno a lei, e se per caso – proprio per caso, magari era davvero un'allucinazione quel Sasuke – se per caso il  suo corpo avesse reagito a lei.

Tutto quelle domande però scolorivano davanti alla consapevolezza di essere stata ingiusta nei suoi confronti, e irrispettosa, terribile: aveva toccato i suoi sensi di colpa uno a uno e li aveva fatti gonfiare all'inverosimile, ne era certa. «Non credo di meritarla».

«È solo una foglia di menta, Sakura».

Gli tese la mano con gli occhi ricolmi di lacrime, accogliendo tra le dita la fogliolina verde e ruvida. «Devo spiegarti un sacco di cose. Ascoltami, per favore».

Sasuke si voltò dandole la schiena per raggiungere la poltrona in pelle dietro la scrivania. «Te l'ho detto anche prima, che ti sto ascoltando».

La menta le rinfrescò il palato, e osservare le sue spalle a qualche passo di distanza era una situazione a lei fin troppo familiare, in qualche modo rassicurante. Sakura prese un respiro lunghissimo, prima di cominciare:«è vero, ci sono un sacco di cose che non sopporto di questa situazione. Che mi fanno stare male. Ma non dipendono da te. Cioè... non dipendono dalle tue scelte, solo... da come ti senti. E da come mi sento io al pensiero di non poter fare niente. Dici che non c'entro coi tuoi peccati, e forse è vero, anche se mi sento responsabile di non esserti stata vicina quando ne avevi bisogno, di non averti saputo fermare per il tuo stesso bene.

Ma non importa, coi miei sensi di colpa sono abituata a convivere. È coi tuoi che non so cosa fare. A parte peggiorare la situazione, evidentemente», notò, amara. Ma era decisa a continuare, perché non sopportava vederlo peggio di come l'aveva lasciato, più stanco e sempre più vittima di colpe che dava a se stesso invece che agli altri. «Vorrei che non fossi sempre solo, che la smettessi di infliggerti tutto questo dolore... e quel braccio, potresti chiedere la protesi a Tsunade-sama in qualsiasi momento, ti basterebbe dirmi una parola, una sola, e ti aiuterei almeno con quello, almeno con quello che so fare meglio.

E mi manchi, ma non è colpa tua. Voglio dirti una cosa, ma mi prometti che ci crederai?» lo osservò irrigidirsi non appena concluse quella domanda.

Sasuke si voltò con cautela lasciando girare la sedia sulle ruote. «Perché me lo chiedi?»

«Perché non so se ho perso di nuovo la tua fiducia. E ci tengo».

Sasuke annuì lentamente, restituendole uno sguardo carico di significato.

«Io... ti sono grata, per farmi sentire così. Non fa tanto male sentire che mi manca una parte di me, quando non ci sei. A volte credo... credo che manchi a tutti, più o meno, ma qualcuno non se ne accorge mai. Io invece... ne sono tremendamente consapevole. E so che un giorno tornerai e io avrò la fortuna, questa fortuna che non è di tutti, di sentirmi finalmente intera».

«Come mai hai bevuto, allora?»

Sakura abbassò lo sguardo, mortificata. «Non era proprio mia intenzione. Avevo preso un po' di sake. Quello lo reggo bene, sono allieva di Tsunade-sama dopotutto», gli sorrise, sperando di alleggerire l'atmosfera pesante che le gravava sulle spalle come un macigno. «Poi sono arrivati questi ragazzi che volevano a tutti i costi offrirci qualcosa. E Ino mi ha rassicurata, dicendo che erano suoi amici e chiedendo altro sake. Evidentemente era corretto, e non ci siamo più fermate. E solo dopo, non so bene quando, mi ha detto qualcosa come chiunque pensi che ho delle belle tette e mi offre da bere è mio amico. In quel momento temo di averlo trovato anche divertente».

Sasuke piegò appena le labbra, scuotendo la testa.

«E non ridere!»

«Non rido».

Però c'era un lampo di divertimento nei suoi occhi, Sakura era riuscita a coglierlo anche dall'angolino buio in cui si era ritirata. «Comunque ti auguro di non passarci mai. Ma tanto scommetto che tu non hai mai bevuto».

Sasuke raddrizzò le spalle, voltando di nuovo la sedia verso la scrivania e montando su un'espressione molto dignitosa. Era il suo modo di rifiutare una risposta, evidentemente.

«Non ci credo» mormorò lei, allibita.

«Infatti non è come credi. Solo quando stavo con Tobi... un paio di volte mi ha portato in alcuni locali».

«Quali locali?» gli chiese, con l'impressione che le fauci dello sbigottimento avrebbero presto cominciato a mangiarsi quel che restava della sua salute mentale.

«Non c'era nessuno più nudo di te, se è questo che vuoi sapere. E io non ho mai bevuto così tanto».

Sakura chiuse di nuovo gli occhi, valutando che quella risposta necessitasse delle sue migliori capacità analitiche. Innanzitutto, Sasuke ci teneva a passare per una persona priva di vizi: minacciare di morte violenta chiunque gli mettesse i bastoni tra le ruote era un conto, esagerare col sake un altro, di cui Sasuke non voleva proprio saperne niente. Inoltre Sasuke e Obito erano stati per un certo periodo compagni di sbronze, più o meno.

Lo scandalo vero e proprio però consisteva nell'evidenza che Sasuke si era scomodato a rassicurarla su certe questioni, e si era dimostrato decisamente consapevole del modo in cui era conciata. Al che la sua ritrovata lucidità la mise davanti all'idea – alla certezza, cioè – che qualche ora prima l'unica fuori di testa era stata lei, mentre Sasuke doveva ricordare oscenamente bene tutto quello che era successo.

Sakura decise di alzare di nuovo qualche preghierina a tutti i kami affinché la sua vita potesse essere dignitosamente breve, diciannove anni era una giusta età per sparire dalla circolazione e rifugiarsi sotto terra per sempre. Mosse un passo avanti, incerta, e tentando di non fare rumore.

«Che fai?»

Siccome era abituata a vivere di vane speranze, nemmeno si stupì che Sasuke l'avesse sentita. Ma se poteva morire un po' più coperta, per la verità, non sarebbe stata così infelice. «Vado a prendere il tuo mantello».

Sasuke di tutta risposta accese una candela sulla scrivania, liquidando i suoi buoni propositi senza nemmeno darsi la pena di commentarli. «Leggi qui».

Sakura gli si avvicinò con circospezione, fermandosi alle spalle della poltrona girevole. Appoggiò le braccia allo schienale e si sporse quel tanto che bastava a dare un'occhiata al libro che Sasuke aveva appena sollevato. Era un piccolo manuale sugli shogi, da quel poco che poteva vedere. Ma la luce della candela era troppo fioca per farle distinguere le parole. Oltretutto in quel momento era in preda a ben altri pensieri. «Perché non mi hai tramortita, vorrei sapere! Proprio ora che avrebbe fatto comodo anche a me...» Se pensava che Sasuke si ricordava delle buone maniere solo quando non doveva, la sua situazione non le sembrava solo tragica, ma anche tristemente beffarda.

«... era il tuo compleanno».

«E allora?»

«Naruto ha detto che volevi passarlo con me», le rispose con semplicità. Sembrava molto convinto del suo argomento, e a Sakura quasi dispiaceva fargli notare che mai una volta in vita sua aveva fatto quel che diceva Naruto o quello che voleva lei. E non le sembrava molto carino cominciare in una situazione simile, cioè quando Naruto parlava a sproposito e lei non sapeva nemmeno ciò che voleva.

«Cosa c'entra Naruto

«L'ho incontrato per strada mentre vi cercavo. E mi ha portato al fiume. Era preoccupato. Cercava disperatamente una bottiglia d'acqua e si chiedeva se i caffè potessero uccidere».

Sakura trattenne a stento una risatina, immaginando l'isteria di Naruto e l'agitazione con cui aveva trafficato per le vie di Konoha. «Dovrò scusarmi anche con lui».

Sasuke non parve registrare il commento, preso com'era dalla lettura. Aveva di nuovo sistemato il libriccino sulla scrivania davanti a sé e una volta aveva anche lanciato un'occhiata pensierosa alla scacchiera stipata in un angolo.

«Ti piacciono gli shogi

«Ci giocavo con Itachi da piccolo».

All'improvviso la faccenda le sembrò molto più interessante. Era raro ascoltarlo parlare del suo passato, per di più di sua iniziativa. Con un lampo di ritrovato ottimismo, Sakura si disse che poteva anche posticipare di un po' il suo ritiro nella tomba. Afferrò con interesse libro e candela, portandoli alla sua altezza, dato che non aveva nessuna intenzione di calarsi in quelle condizioni.

La pagina che aveva rapito l'attenzione di Sasuke esponeva una strategia per arrivare allo scacco in sei mosse consecutive. E invitava il lettore a trovare una falla nel gioco.

«E io come dovrei leggere?»

«Tu hai già letto, Sasuke-kun», gli rispose, tuffandosi nella spiegazione dettagliata delle mosse. Per qualche minuto studiò attentamente ogni singola parola, prendendosi il tempo necessario ad assimilarla, a figurarsi le pedine sulla scacchiera.

«Ma non eri tu a dire che un atteggiamento troppo sulla difensiva è offensivo?»

La voce di Sasuke penetrò nella cortina di schemi e simulazioni in cui si era rifugiata come un dardo, rendendola consapevole del fatto che avrebbe potuto colpirla sempre, in ogni momento, non importava dove si rifugiasse, come tentasse di proteggersi. «Ero fuori di me».

«Ma non così lontana».

Sollevò lo sguardo su di lui nel momento in cui il suo viso era più esposto, e fece in tempo a cogliere una scintilla di disagio, nei suoi occhi, un mostro antico che però Sasuke sapeva sempre tenere a bada. Solo, a volte, se lo trascinava dentro di sé, ad affogare in un oceano di rimpianti.

«Posso avvicinarmi?» provò a chiedergli, con un'emozione strana a chiuderle la gola. La domanda però le sembrò subito molto stupida. Sasuke era rimasto anche ora che il suo compleanno era finito, le era stato accanto tutta la notte, e prima ancora aveva trascorso un'intera settimana con lei, permettendole di avvicinarsi pian piano, a colazione quando voleva fargli assaggiare qualcosa di dolce, di giorno quando tentava di sistemargli i capelli, e tagliarglieli un po' sul collo, di sera, prima di andare a dormire, davanti al fuoco, Sasuke aveva condiviso la coperta con lei e di notte – certe notti, com'erano state belle – quando lei gli parlava a voce bassissima, Sasuke aveva allungato un po' il braccio verso di lei e attirato a sé il suo sacco a pelo. «Mi fai spazio sulla sedia, Sasuke-kun? Così puoi leggere anche tu».

Sorprendentemente, mentre si avvicinava a lui, lo sentì sbuffare. Il momento dopo, si sentì tirare in basso da un pugno stretto attorno all'orlo della felpa. E mentre il cuore le balzava in gola, e la testa le girava per il movimento brusco, si rese conto di dov'era finita.

«Voglio sapere se sai come evadere la strategia».

Sulle gambe di Sasuke si stava molto comodi, ragionò, sistemandosi appena un po' meglio. Non sapeva nemmeno come, o dove, ma l'imbarazzo di poco prima era completamente sparito nel nulla, spazzato via da una specie di naturalezza che fino a quel momento aveva solo potuto immaginare, o accarezzare timidamente ogni volta che era Sasuke a fare un passo verso di lei.

Sasuke avvicinò ancora un po' la sedia alla scrivania, così da farle poggiare tutto sul piano di legno. E poi si mise composto alle sue spalle, ad attendere, col viso appena inclinato in avanti, verso di lei.

«So come evadere la strategia, ma solo intervenendo prima della terza mossa».

«Itachi diceva che c'erano due modi».

Sakura ne sorrise, osservandolo tutto intento a studiare le figure sul libro. «Dimmi se prima mi hai creduto e ti do qualche indizio su come fare».

Sasuke le rifilò uno sguardo colmo di risentimento, e per ripicca – che gli riusciva sempre benissimo – riprese a leggere senza degnarla di una risposta.

«Preferisci non saperlo invece di darmi un piccolo cenno?»

«Posso capirlo anche da solo».

Sakura sbuffò, riprendendo a leggere per non cedere al nervosismo. Certo che Sasuke poteva arrivarci anche da solo, non era mai stato uno stupido, ma quella doveva essere la sua arma per fargli confessare cosa ne pensasse del discorso di prima. Se lo aveva convinto del fatto che la sua vita non le sembrava sofferenza, ma prima di tutto aspettativa, bellissima. Naturalmente, c'erano delle volte in cui si abbatteva, e lui le mancava così tanto che le sembrava di impazzire, ma poi chiudeva gli occhi, si lasciava cullare dalle sue promesse. E sorrideva, sempre.

«Ti credo», mugolò Sasuke. La sua voce le arrivò come ovattata, attutita dalla felpa contro cui Sasuke aveva soffocato le sue parole. «Ma non devi parlare dei tuoi problemi come se fossero niente». Aveva poggiato la fronte al centro della sua schiena, proprio dove doveva essere lo stemma degli Uchiha e le aveva stretto un po' il busto, con le dita sul ventre, quando lei aveva tentato di voltarsi. L'aveva trattenuta così per un lungo momento, probabilmente crogiolandosi nella strana sensazione di essere un suo problema, e questo doveva essere doloroso, ma sarebbe stato doloroso anche il contrario. Il che, immaginava Sakura, lo faceva soffrire ancora di più. Ricordava pochi momenti in cui Sasuke si era concesso un pieno abbandono, e come aveva imparato a dodici anni, in quella foresta spaventosa, in genere quando accadeva Sasuke stava cascando in un inferno di cui nessuno poteva dire di conoscerne le fiamme. Eppure era così stanca di vederlo afflitto dai suoi sensi di colpa, e immaginare di averli ancora alimentati la distruggeva.

«Se dessi più importanza ai problemi invece che alle aspettative che ho per il futuro... rischierei di perdermi. Non mi riconosceresti più, al tuo ritorno».

«Saresti sempre tu».

«Mi aiuteresti?» Sakura scoprì di potersi voltare, finalmente, e quello che trovò sul suo viso le fece tremare le gambe per l'orrore. Sasuke era spaventato, forse atterrito dalla prospettiva di trovarla diversa e di non saperla aiutare. «Ma non credo ce ne sarà bisogno», lo rassicurò, sorridendogli. «Forse… l’unico problema è che sono troppo abituata a pensare al futuro invece che al presente, ad aspettare qualcosa… ma è un problema che hai anche tu, non è vero? Ci penseremo insieme, a risolverlo». Si lasciò cadere contro di lui, posandosi con la spalla sul suo petto, e intrufolando la testa nella piega del suo collo. Aveva un buon profumo, di cui serbava dentro di sé un ricordo vaghissimo, che aveva sempre coccolato rievocandolo di notte, prima di addormentarsi, nella speranza di non dimenticarlo prima che Sasuke fosse ritornato. Gli accarezzò il viso sentendolo rabbrividire appena sotto le sue dita, e ne sorrise ancora, intenerita, posandogli un bacio lievissimo sulla punta della clavicola. Gli solleticò la nuca, attardandosi a giocherellare coi suoi capelli – erano di nuovo cresciuti, un po' più lisci di come li ricordava... forse Sasuke aveva preso a spazzolarli come aveva tentato di fare lei una volta, beccandosi un nemmeno per idea che solo dopo qualche giorno aveva ceduto il passo alla rassegnazione, e al pettine, che lei aveva inforcato con sguardo compiaciuto, pieno di soddisfazione.

Gli baciò ancora il collo – le piaceva veramente tanto, quella sottile tensione sotto le labbra, stargli così vicino da poter distinguere le linee dei muscoli che si tendevano un po' ogni volta che lui tirava un respiro interrompendolo a metà quando lei gli inumidiva la pelle. Lo trasse a sé con una leggera pressione dei polpastrelli, senza forzarlo, e chiuse gli occhi quando lo sentì saggiare con la punta del naso il profilo del suo viso fino allo zigomo, sospingendola ad appoggiarsi completamente contro lo schienale della poltrona. Lo abbracciò di slancio, accogliendo il suo viso contro la propria spalla, e un lungo sospiro che dalla bocca di Sasuke le accarezzò la pelle accaldata, intrufolandosi nel collo slargato della felpa. Gli poggiò il mento sulla linea dura della mandibola, strofinando appena e lasciandosi grattare da un principio di barba. Quando le ciglia di Sasuke le solleticarono il collo, lo strinse a sé più forte di prima, perché le sembrava che stessero diventando finalmente il rifugio uno dell'altra e non ce la faceva, non ce la faceva a pensare che quel momento potesse finire.

«Sei calda, non hai bisogno del mantello».

«Non ne ho bisogno», confermò. Le sembrava surreale la sola idea di aver bisogno di altro quando aveva lui. Aveva bisogno solo di lui, lo sentiva. Distintamente. Tutto quell'appagamento. E quanto le sembrasse giusto. Sfregò le unghie contro la sua schiena, risalendo la scapola con un lento massaggio. E lui la lasciava fare fin quando non si muoveva troppo dalla posizione in cui l'aveva costretta, tra sé e la spalliera, col braccio posato sul bracciolo, intorno a lei, come se avesse voluto impedirle di scappare, come se lei potesse mai lasciarsi sfiorare dall'idea di farlo. «Qualche ora fa ti avrei di nuovo accusato di aver bevuto. Molto. Più di me sicuramente», gli disse, quasi tentata dall'idea.

«E adesso?»

«Adesso…» cominciò, pensierosa. Non sapeva proprio cosa dire.

Una parte di sé trovava ancora un po' strano questo Sasuke, quasi incredibile. Ma era solo più completo, un intero universo di bellezza di cui fino a poco prima aveva esplorato solo qualche ombra.

Scoprì che Sasuke la guardava accigliato quando non sentì più il calore del suo viso contro il collo. Evidentemente si aspettava una specie di stupida accusa da un momento all'altro.

«Magari sei solo brillo», scherzò lei, accontentandolo, soffiandogli via un ciuffo che gli era caduto sugli occhi.

Sasuke le restituì uno sguardo oltraggiato. «Novantasette», disse, con un tono che in genere da piccolo usava per le sfide importanti quando sfogava il suo cattivo umore vincendo contro Naruto.

«Che cosa?»

«Cerotto fiocco kunai».

Sakura rise, cogliendo il messaggio. Sasuke doveva ricordarsi con un certo orrore anche dei test psicometrici che gli aveva sottoposto.

«Ventinove marzo».

«Ma allora mi ascolti sul serio quando ti parlo!», esultò, felice. Lo sapeva già, ma si rallegrava quando a modo suo Sasuke cercava di dimostrarglielo, facendone pure un punto d'onore.

Infatti la guardava con un filino di disappunto, come se fosse strano, dubitare di lui. «E parli anche troppo», aggiunse, per darsi il credito che pensava di meritare.

«Direi che...»

Qualsiasi cosa avesse voluto dirgli, Sasuke, molto coerentemente, decise che non era il caso di ascoltarla. Aveva labbra morbide, e quando le poggiò sulle sue, con cautela, e una delicatezza che Sakura pensava appartenesse solo a un mondo di cui sognano i bambini, anche lei smise di curarsi di ciò che stava per dirgli.

Il primo bacio di Sasuke fu come una carezza. Calda, lieve. Bella come una favola della buona notte che ti induce a socchiudere gli occhi, e a pensare che tutto il mondo sia parte di essa. Sakura ricambiò saggiando con tenerezza il profilo della sua bocca. Timidamente strofinò un po' un angolo, e quando Sasuke la socchiuse, sorrise contro di lei. Poi le inumidì la pelle, attardandosi coi denti sul suo labbro inferiore, e Sakura si lasciò trattenere così vicino poggiandogli le dita sul mento, per assicurargli che non si sarebbe tirata indietro, che le piaceva, quella strana dolcezza, e quel dolore minuscolo che l'aveva fatta esitare solo un istante in più, prima di tirare fuori la punta della lingua per richiamare la sua attenzione e attirarlo nella propria bocca. Sapore di menta.

«Grazie», lo sentì dire, del tutto sconclusionato.

«Per cosa?»

Ma Sasuke riprese a baciarla e il modo in cui lo faceva, piano, pianissimo, le sembrava troppo bello per essere vero, ma al tempo stesso Sakura sentiva, con una nuova consapevolezza, che solo una cosa tanto vera poteva essere così bella. «Nemmeno stavolta me lo dici perché mi ringrazi?» Però poi riprese a baciarlo lei, senza dargli un altro momento di tregua.



***

 

«Me l'hai data di proposito la foglia di menta?»

 

 

***

 

«Grazie di cosa?»

 

***

 

«E torni presto?»

«Tra qualche mese».

«A volte ho paura che… il mondo è così bello, lo so anche io che l’ho visto solo da Konoha. E se viaggiando scoprissi qualcosa più bella di me, e di Naruto, e sarei felice, un po’, perché mi piace saperti preso da qualcosa di bello. Però…se quella cosa dovesse tenerti lontano da noi...»

«E sopportare a vita te che ti lamenti di non potermi dare i regali di Natale?»

«… certe volte eri più gentile quando parlavi poco. O niente affatto».

***

 

«Prima c’erano i tuoi genitori in giro».

E però c’era stato anche Sasuke a tapparle la bocca.

 

***

 

«È vero, ho visto alcune cose belle. Ho visto tante cose. E a volte pensavo... che alcune di quelle avrei voluto farle con te, o con Naruto».

«Ci sarà tempo».

«Lo so».

 

***

 

Quando Sakura si svegliò, sul divano, lui era già ripartito. Aveva lasciato dietro di sé il profumo di menta. E il mantello, e la felpa che le aveva lasciato addosso. Sul tavolino basso lì davanti aveva poggiato le sue scarpe – chissà dove le aveva recuperate – e un pacchettino involto in un fiocco rosso.

Con un bigliettino che non diceva molto, ma non avrebbe potuto dire di meglio.

Grazie – perché faceva sentire fortunato anche lui.

 

***

 

Nove mesi dopo

 

Al sesto hokage era pervenuta una denuncia per effrazione. Siccome aveva l’abitudine a vederci lungo, ma non troppo, spedì Naruto a dare un’occhiata alla situazione.

Naruto, dal canto suo, che poteva essere avvezzo alle missioni ma non ai rapporti, dopo aver appurato la natura dell’effrazione se ne andò allegramente da Sakura, lasciando Kakashi a rosolare nei suoi presentimenti.

Sasuke era tornato, e gli aveva anche mostrato l’atto di proprietà di una casa al centro di Konoha. Per quello che ne sapeva lui poteva anche essere fuori posto, falsificato, o semplicemente posticcio, e poi Sasuke aveva un’aria strana, gli aveva pure portato un sacco di libri e aveva blaterato qualcosa riguardo il suo vecchio coprifronte. Gli era scappato un sorriso e si era addirittura lasciato dare una manata bella forte sulla spalla. Dopodiché aveva esitato per ben due secondi prima di trovare l’offesa giusta quando Naruto gli aveva proposto una festa di bentornato.

«Sembra ancora asociale, ma sta bene», concluse, giulivo. «Ti lascio il suo indirizzo di casa, se vuoi, però devi promettermi di farlo penare un po’. Come gli viene in mente di tornare senza dircelo?».

Se lo chiedeva anche Sakura, ma entrambi sapevano la risposta: come al solito, Sasuke doveva essere impegnato a ponderare.

Gli preparò una tisana alla menta, crogiolandosi nell’idea di poterne fare due usi ben diversi, a seconda di quello che avrebbe richiesto la situazione: avrebbe potuto offrirgliela, o svuotargli il termos in testa al primo segnale di delirio. Eppure era abbastanza ottimista perché le ultime volte che aveva avuto sue notizie, Sasuke le era sembrato decisamente in sé: ad esempio li aveva caldamente informati di essere sopravvissuto senza danni quando poco tempo prima avevano di nuovo sfiorato la fine del mondo, e poi un’altra volta, verso maggio, le aveva scritto di aver capito quale fosse la seconda tattica di cui parlava Itachi – ci aveva messo due mesi, ma ne sembrava pure particolarmente fiero, e Sakura non aveva avuto il cuore di fargli presente che lei ci era arrivata il giorno stesso in cui era ripartito, e poi era così bello, Sasuke, quando le faceva capire che a lei ci pensava, pensava a loro, e ai ricordi.

Lo trovò ai piedi della sua nuova libreria, seduto sul pavimento polveroso e circondato da scatoloni e in maniche di camicia nonostante il freddo di dicembre. La fasciatura intorno al braccio sinistro era un po’ ombrata, lacera, doveva essere passato del tempo dall’ultima volta che l’aveva cambiata. In quei mesi evidentemente non si era curato di tagliarsi di nuovo i capelli, e aveva continuato a crescere, si era anche irrobustito e non aveva più l’aspetto un po’ malaticcio di prima, nonostante le ombre sotto agli occhi ancora si intuissero. Sakura odiava trovarlo cresciuto ogni volta, ma sapeva anche che ogni volta riusciva ad amare subito, all’istante, ciò che era diventato.

Finse di bussare alla porta dello studio nonostante fosse spalancata. Sasuke l’aveva di certo sentita da un pezzo, però impiegò qualche momento in più per sollevare lo sguardo su di lei rigirandosi un libro tra le dita. Lo vide indugiare un po’ sul suo collo e sorrise quando intuì la sua linea di pensieri.

«Da quanto sei qui?»

«Qualche ora», le rispose, riprendendo a sistemare i libri secondo il suo ordine mentale. Era già arrivato alla base della libreria, dopo aver riempito quasi l’intero comparto.

«Potevi passare a salutarmi, ti avrei aiutato», gli disse lei, avvicinandosi agli scaffali e buttando un occhio all’interno dei grossi scatoli che Sasuke si era trascinato per il mondo chissà come.

«Eri in ospedale».

«Mi sono fatta sostituire» chiarì, pensando che Sasuke probabilmente era consapevole che l’avrebbe fatto, ma che non si sentiva ancora pronto a interferire con la sua vita al di fuori di lui. «Ti interessi di politica ora?» indagò, per cambiare argomento e perché quei libri erano davvero tanti e sembravano tutti molto simili tra loro.

«Se Naruto vuole diventare hokage, farebbe bene a informarsi, prima».

Ma Naruto glieli aveva generosamente lasciati tra i piedi. Magari un giorno li avrebbero letti insieme, e avrebbero discusso su cosa fare, perché finalmente sembrava interessare a entrambi; ma non era quello il giorno, evidentemente.

«E a me non hai portato nemmeno un libro?»

Sasuke sollevò appena le spalle come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa. Poi si voltò verso la libreria, indicando con un piccolo cenno i piani sopra la sua testa.

Le bastò scorgere una scritta vaga, qualcosa come La rigenerazione cellulare e… altro che al momento non le sembrava troppo importante. Era più importante sorridere – a Sasuke, e a tutti i libri che aveva sistemato in quella che doveva diventare la loro libreria.

Sakura si liberò del pullover a collo alto che aveva indossato quella mattina, e quando Sasuke la guardò sospettoso – proprio al colmo dell’orrore, per la verità – si ritrovò costretta ad assicurargli che non era di nuovo sbronza, o fuori di testa… o al massimo solo un pochino, perché era felice ed essere felici era un po’ come essere in preda a un’ebbrezza delicata, ma pervasiva.

Si scorciò le maniche della maglietta e si legò i capelli, e prima di mettersi al lavoro con Sasuke – doveva proprio dargli un paio di direttive – gli si avvicinò porgendogli allegramente il termos con la tisana. «Okaeri, Sasuke-kun». Attese pazientemente che Sasuke distogliesse lo sguardo dalla collanina che le pendeva dal collo, fingendo disinteresse con una nonchalance da manuale.

«Tadaima».

 

***

 

Tredici anni dopo

 

«Papi!» tuonò Sarada, precipitandosi all’ingresso prima che Sasuke partisse senza ascoltare la tirata che aveva intenzione di fargli. «Ho saputo che a diciassette anni hai bevuto con Obito Uchiha. È vero?»

Sasuke dal canto suo drizzò le orecchie mettendo su un’espressione bellicosa. Non aveva guardato così nemmeno Naruto ai tempi d’oro delle scaramucce che gli erano costate un braccio e un paio di anni in giro per il mondo. Chiaramente Sakura sapeva di essere il bersaglio di tutto quell’astio, ma non poteva fare a meno di ridergli in faccia. Tuttavia, per precauzione, decise di non azzardare passi avanti, accontentandosi di sostare contro la cornice della porta, in una strategica posizione di fuga.

«Devi contestualizzare le informazioni che ti vengono date, Sarada», azzardò Sasuke, quasi come se avesse voluto impartirle una lezione molto importante.

«Qual è la tua versione?»

Sakura osservò quel quadretto pensando che il karma aveva i suoi modi particolari per colpire: Sarada su certe cose assomigliava a Sasuke in maniera perfino inquietante, ad esempio la tendenza a giudicare e a emettere sentenze l’aveva presa tutta dal padre, soprattutto riguardo certe questioni. Per la precisione, alla rispettabile età di sette anni, aveva letto qualcosa riguardo il passato degli Uchiha, e riguardo i trascorsi di Sasuke, ma dopo un iniziale turbamento aveva detto di ammirare molto come il suo papà si fosse ripreso, anche se aveva fatto penare un po’ troppo la mamma; ma in quel momento lo guardava più che scandalizzata: Sasuke aveva osato cedere a un bicchierino di alcol, a uno dei vizi da cui i ninja dovevano ben guardarsi. Suo padre! Quello tutto d’un pezzo che dettava regole anche se a volte se le dimenticava – fortuna che lei le ricordava sempre tutte perché le regole erano regole, diceva – e in questo, pensò Sakura, era sinistramente simile alla se stessa in età accademica.

«Piuttosto qual è la versione di tua madre?» sibilò Sasuke, con uno sguardo che prometteva rappresaglie.

«Mami ha peccato di ingenuità. Su di te invece non mi ha saputo dire molto».

Sakura dal suo angolino prese ad annuire con espressione angelica, cosa che dovette indispettire Sasuke all’inverosimile.

«Il silenzio è un’ammissione di colpa», osservò Sarada, con voce seria. «Ma ti perdono se finisci di fare i compiti con me».

Il fatto era che Sasuke odiava anche solo l’idea di sedersi accanto a Sarada per i compiti e per quel giorno aveva già consumato tutta la sua pazienza: era passato a prenderla in accademia un po’ prima dell’orario di chiusura, perché di pomeriggio sarebbe partito con Naruto e sarebbe stato via qualche giorno, e Sarada aveva stabilito che dovevano passare insieme almeno tre ore, per salutarsi bene. Al che Sasuke si era lasciato convincere a tirarla fuori in anticipo da quell’inferno di mocciosi incapaci, progettando di trascorrere un po’ di tempo con lei a giocare con l’arco – Sakura non aveva proprio il cuore di definirli allenamenti, considerando che in genere si divertivano senza fare molti progressi e perlopiù con l’arco se la spassava Sasuke. Tuttavia Sarada era stata irremovibile: i compiti prima di tutto. Così Sasuke era stato costretto ad assisterla mentre lei compilava tutta seria i test che le erano stati assegnati, ogni tanto gli faceva domande a bruciapelo ma nel giro di un minuto si rispondeva da sola, molto fiera. E non era difficile immaginare come mai Sarada preferisse tenerlo incollato sui libri piuttosto che andarci a giocare all’aperto: voleva fargli vedere quello che le riusciva meglio, ci teneva particolarmente; allora in genere Sasuke le sorrideva orgoglioso, buttava lì un complimento a caso e lo usava come scusa per defilarsi ogni volta che sbatteva il muso contro l’evidenza di aver dimenticato un sacco di cose, che invece sua figlia conosceva benissimo.

«La prossima volta, Sarada», disse, tirandole un colpetto sulla fronte, a cui la bambina rispose fumando come una teiera in ebollizione.

E siccome Sasuke con gli anni qualcosa l’aveva pure imparato, prima di andare via si inginocchiò di fronte a lei, scompigliandole affettuosamente i capelli e mormorandole qualcosa all’orecchio, a voce bassissima.

«Mami!» tuonò Sarada, con uno sguardo più scandalizzato di quello che aveva rivolto al padre poco prima.

Sakura sobbalzò, apprensiva – suo malgrado sapeva che Sasuke aveva fin troppi racconti imbarazzanti sul suo conto. Ma quando sollevò lo sguardo su di lui, per promettergli ben più di qualche rappresaglia, notò che era già sparito nel nulla.

Era rimasto solo il profumo di menta.

 

 

 

   
 
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