Hola! È un
po’ che non pubblico qui su efp, ma in onore del canon non potevo proprio esimermi :D Questa storia è una di
quelle per cui solo a pensare di scriverla qualche giorno fa mi sarei detta: mai nella vita. Coerentemente, l’ho
conclusa e mi sono dilungata anche troppo. Per me è stata una sfida abbastanza
complessa tentare di fare comicità o importunare la dignità di tutti questi
ragazzi seriosi e controllati; e soprattutto è stato interessante tentare di
risolvere la situazione sasusaku che si era venuta a
creare.
Ma da
sola non sarei andata da nessuna parte, anzi non avrei neppure cominciato. No
Vittoria no party <3 è stata lei a parlarmi dei suoi headcanon
con Sakura sbronza e il povero Sasuke che tenta di
occuparsene al meglio, è stata lei a ispirarmi, a motivarmi, a sopportarmi e
tante altre cose. Questa storia è sua quanto mia.
E un
ringraziamento particolare va alle suisen girls, perché sono belle e con grande spirito di sacrificio
si sono cuccate in anteprima la storia.
NOTE INTRODUTTIVE: la
storia comincia alla sera del diciannovesimo compleanno di Sakura. Sasuke è via quindi da un anno e mezzo all’incirca, anche
se nel frattempo qualche promessa l’ha mantenuta. Per amore dei miei headcanon ho usato la traduzione del 699 che non so perché
sui vari siti è andata persa, cioè Sasuke a Sakura,
quando lei si propone di accompagnarlo, risponde: la prossima volta sicuramente.
(Le
parti in corsivo sono flashback).
Buona
lettura :D
Blame it
(on the alcohol)
Tsunade-sama,
quando non era troppo occupata a dare alla sua pelle la stessa purezza della
porcellana, diceva sempre: se hai un
problema bevici su. Il problema resta lì, ma almeno non te ne ricorderai.
Kakashi-sensei,
quando non era troppo occupato a imparare le virgole di romanzetti osceni, le
consigliava sempre: se hai un problema,
diventa il problema del tuo problema.
Naruto,
che non era mai occupato – e della qual cosa riusciva pure a farsene un vanto –
si dilettava a dispensare perle di saggezza alla stessa velocità con cui
consumava ramen: davvero
hai un problema ora che ci sono gli sconti da Ichiraku?
Al che Ino, che riusciva a fingere di non avere impegni ogni volta
in cui pensava di intuire un'ombra nei suoi occhi nonostante le avesse appena
posato un fiore tra i capelli, le sorrideva, spessissimo, gentile e disponibile
come un bocciolo che si apre ai primi raggi del sole, e le diceva, sempre: sicura che mentre aspetti Sasuke, non vuoi
divertirti un po'? E considerando che da un po' Ino
si divertiva scodinzolando per il villaggio con Sai al guinzaglio, a Sakura
faceva anche una certa impressione quello che l'amica tentava di suggerirle.
In ogni
caso, lei aveva un problema. E questo lo vedevano tutti. Tranne chi era
lontano, così lontano...
(da sembrare il sogno di una bambina che
alla fine era stata costretta a crescere).
***
Il suo
problema aveva un nome e un cognome. Anche piuttosto noti, a dire il vero.
Aveva diciotto soffertissimi anni, due occhi infernali, e una bocca capace di
promettere vendetta e amore con una convinzione che prima o poi l'avrebbe fatta
impazzire.
Mata kondo na. La prossima volta sicuramente.
(Una notte, circospetto come uno shinigami, con uno sguardo che era un pugno di nebbia,
aveva picchiettato con dita lievi alla sua finestra. Aveva macchiato il vetro
con le tracce vaporose del suo respiro, e quando lei gli aveva aperto, aveva
sentito sulle labbra una nota di menta piperita e zenzero. Le era balzato il
cuore in gola per la vicinanza improvvisa e per contenere le palpitazioni si
era stupidamente portata una mano sul collo.
Sasuke si era sistemato un po’ meglio sul
davanzale – un po’ più vicino, solo un po’ – e con le dita aveva sfiorato le
sue, scivolando delicatamente lungo il profilo del collo fino alla clavicola.
L’aveva guardata con un’aria tristissima. «Non…»
«Lo so», l’aveva interrotto lei, con un
sorriso rassicurante. Prima di andare via da Konoha, Sasuke l’aveva già
sorpresa due o tre volte con una mano intorno al collo e allora aveva dovuto
assicurargli – a lui, così dispiaciuto, vittima del suo rammarico più di
qualsiasi altra cosa – aveva dovuto assicurargli che non aveva paura di lui, ma
solo… solo del fatto che alcuni ricordi potessero
schizzare dal passato nel loro presente, intromettersi, rovinarli, impossibili
e spaventosi come tutte le cose che non dovrebbero esistere. Poi Sasuke era
partito, con la promessa che sarebbe diventato una persona migliore, e con
un’altra promessa, ancora più bella…
«La prossima volta è arrivata».
Sakura l’aveva guardato stranita,
producendosi in un’espressione di stupore purissimo, e Sasuke, di rimando, le
aveva rifilato uno sguardo arruffato – oltraggiato, le avrebbe spiegato qualche giorno dopo, con
un mezzo sorriso e qualcos’altro che lei si era debitamente persa perché vederlo
sorridere l’aveva costretta a chiudere gli occhi per contenere tutta
quell’emozione e cullarsi nella scoperta dolce, sorprendente, che quella fosse
la nuova realtà.
Il giorno seguente erano partiti, dopo
dieci rimproveri dei genitori, e un paio di raccomandazioni da Tsunade-shishou, e un saluto inconveniente da parte di Ino e Naruto; e a Sakura era
sembrato che il mondo si fosse riempito di meraviglia, e quando aveva potuto
sfiorarla – la pelle di Sasuke era irruvidita dalla prima barba e inumidita
dalla rugiada di mattina – Sakura aveva ben pensato di piangerci su. Era stata
una cosa dignitosa, a suo dire e solo a suo dire perché Sasuke non si era arrischiato
in giudizi al riguardo della valle di lacrime, si era solo limitato ad
attendere che si consumasse da sé – e non ci aveva impiegato molto, voleva
credere Sakura, solo venti o trenta battiti di ciglia, e centocinquanta
pulsazioni del polso che aveva stretto tra le dita mentre la mano di Sasuke le spazzolava
via le lacrime dagli occhi socchiusi, con una delicatezza che fino a quel
momento probabilmente aveva riservato solo alla sua katana e con una specie di
tenerezza che in genere tirava fuori un attimo prima di stordirla. E lei non
aveva fatto altro che ingoiare lacrime e sospiri, con la voglia di chiedergli
se anche a lui piacesse tanto la sua pelle.
Dopo una settimana Sasuke l’aveva riportata
a casa, di notte, nella sua stanza, passando per la finestra perché
evidentemente aveva un problema con le porte – o, più nello specifico, con chi
avrebbe dovuto aprirgli. E siccome si sentiva molto forte di quella spiccata
abilità a sparire di soppiatto, probabilmente era sul punto di nebulizzarsi
quando lei si era voltata afferrandolo per il colletto della camicia. «E… la prossima volta?»
Sasuke l’aveva guardata con occhi seri – e
fissi, nei suoi – e siccome era a modo suo un sentimentale, con la tendenza a
rigettarle addosso spicchi di passato in maniera a volte persino brutale,
quando aveva allungato due dita verso di lei, Sakura aveva avuto la tentazione
di scostare la fronte, e mollargli uno schiaffo. Per un momento si era anche
trastullata col pensiero di non avergli ancora illustrato quanto fosse
imbecille con la dovizia di particolari che si meritava, ricamando nello
specifico su trascorsi che lo rendevano particolarmente problematico, ma ogni rimprovero le era morto in gola
quando lui le aveva sfiorato la tempia con le dita, tracciando il contorno del
suo viso con una carezza lieve. Sakura era rimasta lì a lasciarsi toccare con
gli occhi accesi di stupore, una fame d’aria inestinguibile, e il viso in
fiamme.
«La prossima volta decidi tu dove andare».
Ed era sparito così. E probabilmente lo
sapeva da sé, che era un imbecille. Ma a nessuno dei due doveva importare
molto, in quel momento. Era più importante sorridere).
***
Il suo
problema si rendeva particolarmente problematico quando non si faceva vedere da
giorni, settimane… più specificamente da mesi. Men che meno il giorno del suo tristissimo diciannovesimo
compleanno. Tristissimo e sporchissimo, considerò Sakura, vomitando il resto
della torta che aveva ingurgitato un’ora prima. Non le era nemmeno piaciuta
particolarmente, solo che Ino l’aveva preparata con
le sue mani, gliel’aveva piazzata sul tavolo appena aveva spazzolato via il ramen di Ichiraku offerto da
Naruto – con gli sconti di cui disponeva – e l’aveva costretta a spegnere le
candeline (Esprimi un desiderio, Sakura.
E per cortesia, uno che non riguardi Sasuke. Non sia mai dovesse avverarsi
proprio stasera… dobbiamo divertirci, senza idioti al
seguito). Sakura aveva chiuso gli occhi, pregato il suo Sasuke immaginario
di farsi vivo appena possibile – magari l’indomani, per non stressare troppo la
povera Ino, e con un bel regalo, per non abusare
troppo del suo amor proprio e di quella stupida tendenza a perdonargli tutto –
e poi Sakura si era lasciata convincere a innaffiare un paio di fette di torta
con altrettanti giri di sake. Niente di eccezionale,
per la verità, si sentiva solo un pochino brilla e forse con un po’ di impegno
avrebbe anche smesso di tirare giù ogni minuto la gonna del suo tubino.
In ogni
caso, in quel momento il fatto che il suo vestito mancasse di una certa sobrietà era diventato l’ultimo dei suoi
problemi. Di certo non l’avrebbe più indossato e oltretutto ne doveva pure uno
nuovo a TenTen, notò con orrore: la ragazza le aveva
piantato una mano sulla fronte e guardava con disgusto il contenuto del suo
stomaco che imbrattava l’acqua del fiume di Konoha.
«Credo
che anch’io… di aver bisogno…
scusa Sakura, ma sei stata di grande ispirazione per il mio…»
Sakura
non ebbe nemmeno il tempo di dire a TenTen che
avrebbero potuto scambiarsi di posto, che era forte lei e che avrebbe potuto aiutarla
a vomitare con dignità, evitando di farle spaccare la testa o sputare un
polmone. Ma a quanto le pareva in tutto quello c’era ben poco di dignitoso,
quindi la vide allontanarsi traballante, e tentò di lanciarle una scarpa sulla
nuca – perché come si permettevano tutti
di lasciarla indietro? – ma il lancio le uscì particolarmente fiacco. Così
ora era senza dignità e senza una scarpa. E senza Sasuke, ma a quello ci era
abituata.
E
avrebbe voluto prendere a testate Naruto, tanto per rendergli chiaro il
concetto che certo, si potevano avere
problemi pure con la pancia piena di ramen – anche
se, per onestà, doveva ammettere che i problemi si triplicavano dopo averla
svuotata. E Ino, maledetta Ino,
che aveva deciso di rimpiazzare Sai con un albero, a giudicare da come si
abbracciava con trasporto il tronco di un acero, lei si meritava un tacco in
gola, ecco. Però si faceva sempre perdonare con idee brillanti. «La corteccia
punge un po’», la informò infatti, strofinando i capelli biondi contro il suo
tronco prediletto e scrollandosi di dosso Shikamaru
che tentava di darle a bere un po’ di caffè. «Però Sakura la corteccia non dice
idiozie e non scappa dall’altra parte del mondo. Dovresti provarla anche tu».
A
Sakura sembrò un’ottima idea. Le sembrava anche che qualche albero stesse
accorrendo nella sua direzione, e magari se non si stava proprio
impressionando, una o due querce stavano pure dispiegando i rami verso di lei.
Mentre fossero arrivate, però, le sembrò necessario sporcare un altro po’
l’acqua del fiume.
«Dai Ino, vediamo di farla finita. Che rottura. Bevi qui» si
lamentò Shikamaru, e a Sakura fece anche un po’ pena
perché aveva ragione: mica era giusto lasciarla vomitare da sola.
Così si
decise a mettere una buona parola per lui, e per la corteccia che le sembrava
particolarmente gentile. «Sai Ino la corteccia ti
aiuterà, e nemmeno punge…», aveva dita leggere come ali di farfalla, le sembrava, ma decise, mentre
le sostenevano la fronte e le scostavano i capelli dagli occhi. E le pareva di
conoscerle da una vita, forse, come diceva la gente negli occhi del grande
amore. Anzi, proprio così…
Sakura
non riuscì a trattenere un ultimo conato quando si ritrovò Sasuke davanti agli
occhi, bello più o meno come un’allucinazione, per essere precisi. «Lo sai Sasuke-kun», cominciò, perché era scortese ignorarlo anche
se doveva essere un prodotto della sua mente. «Tsunade-sama
dice sempre se hai un problema bevici su.
Il problema sarà ancora lì ma tu non te ne ricorderai. Allora perché ti
vedo così distintamente? E perché stai ballando?»
«Non
sto ballando, Sakura».
«Peccato,
avresti potuto invitarmi».
«Non è
vero Sakura, mente. Sta ballando con un salice!» la informò ancora Ino, compita.
Sakura
guardò un po’ meglio la sua allucinazione. «Quindi mi tradisci?», gli chiese,
con aria improvvisamente triste. «E non rispondere come un…
come un Sasuke,
che magari mi direbbe anche che non stiamo insieme e poi…»
«Non ti
tradisco», precisò l’allucinazione, con voce sommessa.
«Ino, le mie allucinazioni non mi tradiscono» esultò Sakura,
commossa dalla sua stessa immaginazione.
«Sakura-chan, sei viva!» la voce di Naruto le arrivò alle
orecchie particolarmente squillante. Sembrava essersi ringalluzzito. «Ma sembri
ancora molto stupida, cosa ti hanno combinato?» si disperò un momento dopo,
ascoltandola discutere di cortecce fedeli e gentili. Le porse una bottiglietta
d’acqua, che Sakura non accettò perché la mamma le diceva sempre di non
accettare cose dagli sconosciuti e quella sottospecie di Naruto in abito
elegante e senza sorriso di certo non era il vero Naruto. A chi voleva darla a
bere, pensò, tanto per chiosare.
«È
tutto merito dei miei amici», considerò Ino,
abbracciando un altro albero, un po’ più vicino a loro. Sakura tentò di dirle
che non era molto carino passare da uno all’altro in così poco tempo, ma la sua
allucinazione parlò prima di lei: «quali amici?».
Aveva
lo stesso tono bellicoso di Sasuke, esattamente il classico che usava quando
aveva bisogno di prendersela con qualcuno. O col mondo intero, a seconda del mood.
«Gli
amici di Ino sono gentili, Sasuke-kun»,
lo rassicurò lei, con un sorriso.
«E
sappi che avevano un debole per il tuo culo, Sakura».
«…oh».
«Ma
alla fine gli ho fatto confessare che trovavano più bella me. E vorrei ben
dire! Anche se a vederti da qui il tuo culo piace anche a me. E la tua
allucinazione non disdegna, mi sembra di capire».
«Per
questo è un’allucinazione, Ino, fa cose da
allucinazione, cosa credi» ragionò lei in risposta, prima di ritrovarsi il
beccuccio della bottiglia d’acqua dritto in bocca. «Bevi», le intimò la voce di
Sasuke.
«Mi
piace questo tono autoritario. Somiglia molto al suo» Sakura chiuse gli occhi,
cullandosi in un paio di ricordi. «Però non voglio bere».
Voleva
solo concentrarsi sulle sue dita che le scivolavano sulle tempie, e sui polsi,
inumidendole la pelle con acqua freschissima. E sulle labbra, ogni tanto, le
arrivava un alito di menta. Ed era così bello, e reale. «Mi porti a casa?»
Riuscì a guardarlo negli occhi mentre gli porgeva quella domanda, e vi trovò un
fondo carico di tenerezza che quasi la fece implodere sul posto.
«Prima
bevi un altro po’, Sakura-chan» le disse il finto
Naruto con fare conciliante. Doveva essere proprio fintissimo,
un fantoccio, perché era pure diventato bravo a manipolarla. Non c’era niente
che non avrebbe fatto pur di godersi la vista di quegli occhi ancora un po’,
nella riservatezza di una stanza illuminata solo dalla fiammella di una
candela. E se doveva bere veleno per soddisfare il suo desiderio, e
soggiacergli, allora tanto valeva farlo in fretta.
«Piano»
la rimbeccò la voce, petulante. Sasuke le tolse la bottiglia dalle mani e
l’aiutò a bere con calma. Era proprio un rompiscatole che voleva fare tutto di
testa sua. Come l’originale. E col profumo dell’originale, notò Sakura quando si
sentì avvolgere dal suo mantello.
«Allucinazione,
dove credi di andare?» tuonò Ino appena li vide
muovere i primi passi. Li raggiunse in poche falcate accompagnate ognuna da
un’imprecazione del povero Shikamaru che stentava a
starle dietro, morto di sonno com’era.
Di
tutta risposta Sasuke attivò lo sharingan
per liberarsi di lei con un lavoro pulito, e mentre Naruto quasi gli torceva il
collo urlandogli di non fare niente, Ino l’aveva già
raggiunto. «Vedi di comportarti bene. Lo so che se sei così simile
all’originale ci sono scarse probabilità, infatti vorrei proprio mollarti un
pugno come acconto, ma sarei incapace di centrarti in questo momento e poi…» Ino prese fiato, con gli
occhi lucidi puntati su Sakura. «Quella cretina anche quando è fuori di testa è
talmente convinta che al mondo non esista nessuno a parte te da far sentire un
completo imbecille chiunque ci provi con lei».
Sasuke
fece per voltarsi, esasperato ed evidentemente anche troppo tentato di
tramortirla con una illusione non molto gentile, ma Ino
lo scrollò per una spalla ancora una volta: «è chiaro?»
Di
tutta risposta gli occhi di Sasuke si posarono su Shikamaru,
diabolicamente suggestivi.
E lui, da genio qual era, colse al volo l’invito. Svuotando la tazzina di caffè dritto nella bocca aperta di Ino. Giustizia fu fatta.
***
La vita
era una grande danza da ballare in coppia, o in gruppo. O da non ballare
affatto, se ti chiamavi Sasuke Uchiha. Eppure a Sakura sembrava che tutto il
mondo fosse stato risucchiato da una specie di melodia vorace, incalzante, le
luci della notte di Konoha tremolavano nei suoi occhi, partecipi del grande
concerto; la gente in strada si dondolava sui piedi o tra le braccia di
qualcuno che non scappava via, lontano; gli alberi continuavano a passeggiare
lungo i viali, solcando le siepi dei giardini bui. Il finto Naruto era
scomparso, e chissà se Ino aveva trovato un olmo da strapazzare… le erano sempre piaciuti, gli olmi.
La sua
allucinazione formato Sasuke invece non la mollava un attimo. Camminava al suo
fianco brontolando parole sconnesse, o almeno così le sembrava. Doveva avere un
po’ di ovatta nelle orecchie, e la situazione sembrava peggiorare ogni volta
che Sasuke le posava una mano sul fianco, o sulla spalla, o le prendeva il
gomito per farle cambiare direzione. Aveva dita candide e gentili, quando la
toccavano, capaci di contenere i suoi movimenti bruschi.
«Sei
scalza», la bocca era sempre luciferina, però.
«E tu
non sei un’allucinazione, credo. Dimmi la verità».
«Ci
mancherebbe».
«Quindi
sei ubriaco».
«Direi
proprio di no».
«Sta
zitto Sasuke, stai ballando, quindi sei ubriaco» tagliò corto lei, lanciandogli
uno sguardo obliquo, in cagnesco. Chi pensava di prendere in giro. «E poi hai
pure sbagliato strada».
«No,
solo che al momento non ti ricordi dove abiti. Io sì».
«Ah davvero?»
Sakura sentì distintamente la propria voce alzarsi di un’ottava. Non le piaceva
suonare stridula, ma questa Sasuke doveva decisamente
sentirla. «Ero convinta che non avessi proprio idea di dove abitassi,
considerando che non ti fai vivo da mesi».
«Sakura…»
«E lo
so come mi chiamo, se per caso ti fosse venuto il dubbio anche su questo!»
strillò, con una nota di isteria. «Lo so», aggiunse, sfiatando. «E so anche che
sei ubriaco. E non discutere».
Lo vide
sbuffare, mentre voltava il viso da un’altra parte. Chissà se era davvero un
pochino afflitto come sembrava dalla piega delle sue labbra. Forse doveva
concedergli il beneficio del dubbio – come sempre.
«Quanto
fa cento meno sette?»
«Sakura…»
«Ripeti
cerotto, fiocco e kunai».
«Sakura…»
«Che
giorno è oggi?»
«…Sakura».
«Scommetto
che non lo sai. E il mese almeno sai dirmelo? E non ripetere ancora Sakura, e Sakura, come se fosse la risposta a ogni domanda. Questa è roba da
allucinazione. E tu sei del tutto ubriaco».
I test
psicometrici che aveva letto su un libro di Tsunade-sama
erano semplici, ma in genere accurati. E Sasuke non aveva saputo rispondere
nemmeno a una domanda. Non solo era ubriaco, non gli era rimasto un briciolo di
lucidità. Era evidente.
«Secondo
te perché sono qui?» le chiese Sasuke, con voce bassissima e lieve come una
carezza.
«E vuoi
saperlo da me? Sasuke ma quanto hai bevuto?». Sakura si fermò a metà strada,
tentando di prendergli il viso tra le mani. Se solo avesse smesso di ballare,
avrebbe potuto dare un’occhiata alle sue pupille. «Ti prometto che ti aiuterò a
scoprirlo» soggiunse, perché proprio non ce la faceva, a vederlo così triste e
perso. «Anche se dovrei essere arrabbiata. Anzi sono molto arrabbiata. E sai
che tecnicamente è scorretto dire molto
arrabbiata? Dovrei dire furiosa.
Ma come si fa a essere furiosi con te?»
Sasuke
chiuse gli occhi. Per un momento le parve che avesse abbandonato il viso contro
i palmi delle sue mani. Era proprio carino, quando stava zitto e non tentava di
sparire. E anche se in un primo momento le era sembrato un po’ più grande
dell’ultima volta che l’aveva visto, un pochino più uomo, forse – perché aveva
deciso di continuare a crescere lontano da lei e non si sarebbe stupita se un
giorno all’improvviso lo avesse scoperto un adulto fatto e finito – ora le
sembrava uno scricciolo di porcellana delicata, sotto le dita, con quella pelle
che a distanza di mesi ancora le sembrava l’unica autentica meraviglia di tutto
il mondo conosciuto.
«Lasciati
accompagnare a casa», le disse, stringendole un polso con forza per
sottolineare che come sempre, con lui, il confine tra la richiesta e l’ordine
era talmente sottile da potersi sgretolare sotto il peso dei suoi occhi severi,
scurissimi.
«La
casa però la decido io», replicò lei, un po’ più allegra.
«Nemmeno
per idea».
«Tu sei
ubriaco, non hai facoltà decisionali».
«Sakura,
sei tu quella ubriaca».
«È
esattamente quello che direbbe un ubriaco per sembrare il più sobrio».
«Appunto».
«E poi Sasuke-kun avevi promesso che la prossima volta avrei
deciso io dove andare».
Sasuke
rallentò appena, indugiando in un sorrisino nascosto dal colletto della maglia.
«Naruto aveva ragione. Tenti di fare la manipolatrice anche quando sei
completamente fuori di testa».
«Ma io
non sono manipolatrice» osservò Sakura, un po’ abbattuta dallo sguardo recriminatorio
che le restituì Sasuke. «Forse solo un pochino… ma
perché voi non mi ascoltate mai! E allora sono costretta a…»
«Ti sto
ascoltando adesso, Sakura».
«E
allora portami a casa. Quella che scelgo io, però» precisò, per mettere le cose
in chiaro. E siccome Sasuke le sembrava già sul punto di ribattere, rispolverò
l’argomento di prima. «Hai promesso».
«Ma non
sapevo che ti avrei trovata in queste condizioni».
Sakura
lo fissò sconsolata per un lungo momento, poggiando la fronte sulla sua spalla.
Era anche più in alto di quanto si ricordasse. Era passato troppo tempo
dall’ultima volta che… «E io non sapevo quando ti
avrei rivisto».
***
Ino aveva
aperto una rivista da qualche mese, con le amiche pettegole di sua madre. Un
progetto carino e inesauribile, a cui dedicare giusto il tempo di un thè consumato con chi amava solo una cosa più di parlare
degli altri: far parlare di sé. E siccome era piena Konoha
di kunoichi nostalgiche dei tempi in cui la missione
più difficile non era indovinare la manicure, qualcuna aveva fatto della
conquista della copertina una questione di dignitoso principio. Qualcun altro,
troppo pigro per curarsi della propria rispettabilità di animale sociale, men che meno della notorietà, si era limitato a chiedersi
come mai – scandalosamente – il tanto chiacchierato Sasuke
Uchiha non potesse ancora vantare un titolo a lui
dedicato. Altri ancora, col massimo del disinteresse, avrebbero forse fatto
presente che il suddetto si trastullava da tempo dall'altra parte del mondo ma qualcuno
a caso, prontamente e sicuramente, avrebbe fatto notare che di boiate se ne
combinano in ogni angolo della terra, soprattutto se ci si cura più di uno
stemma sulle magliette che del proprio prossimo.
Sakura
rise, al pensiero che l'indomani Kunoichi 2000
avrebbe venduto un buon numero di copie con un titolo salutato dai più senza
troppa meraviglia: Sasuke Uchiha: da nukenin a effrattore!
Era
tutto sommato un effrattore capacissimo, annotò senza
meravigliarsi molto. Aveva giusto scomodato la memoria di qualcuno dei suoi avi
e magari solo di un paio di hokage – quelli che gli
stavano antipatici, ma non è che a lei facessero simpatia, e poi la mano di Sasuke che forzava la serratura, e apriva quella porta, era così bella... a un
certo punto aveva anche tracciato un movimento pieno di grazia nell'aria
stantia dell'ingresso, e non le importava se non aveva detto niente a parte
suddette imprecazioni, per lei quello era un benvenuta a casa, Sakura. (E
già che ci sei aiutami a meditare vendetta contro il vicino rompiscatole,
perché ora sei di famiglia e puoi partecipare a tutte le vendette che vuoi).
Le si
era riempito il cuore di gioia. E anche lui sembrava più rilassato rispetto a
prima. Se non altro aveva smesso di guardarsi intorno al colmo della
circospezione appena lei apriva bocca. Una volta gliel'aveva anche tappata a
tradimento, il maledetto, l'aveva trascinata contro un muro e le aveva premuto
il palmo della mano sulle labbra, serrandogliele. Era stato in quel preciso
momento che si era messo nel sacco da solo: «Se stai zitta andiamo dove vuoi
tu», le aveva detto. Sakura per amor di precisione avrebbe anche voluto
metterlo al corrente del fatto che una promessa simile gliel'avesse già
strappata, ma si era sentita magnanima, a guardare i suoi occhi allarmati, e
poi averlo tanto vicino, quasi addosso, non le dispiaceva molto. Anzi, le aveva
fatto scoprire un formicolio piacevole che si era presto messo a serpeggiare in
tutto il corpo.
Così
avevano preso a passeggiare in quella casa enorme, quella che piaceva a lei. I
proprietari si erano trasferiti a Suna tantissimi anni
prima, tornavano a Konoha solo per qualche settimana
durante l'estate, e da bambina aveva sognato un sacco di volte come sarebbe
stato il momento in cui Sasuke l'avesse condotta lì
dentro... ora lo sapeva: tanto per cominciare Sasuke
aveva starnutito. Poi aveva rischiato di dare fuoco alla cristalliera per
accendere una vecchia candela nascosta in una tazzina di porcellana. Alla fine
aveva preso a guardarla con una specie di sentimento recriminatorio negli
occhi, che ogni tanto cedeva il passo a qualcosa che poteva benissimo somigliare
alla pietà. Tutto sommato la se stessa dodicenne l'avrebbe anche trovato
soddisfacente.
«Smettila
di guardarti intorno come se questa non fosse casa tua».
«Ma non
è casa mia».
L'attuale
se stessa invece lo guardò in preda a una totale infelicità. Abbassò lo
sguardo, prima di parlargli ancora: «è casa nostra». Quasi non riconobbe la sua
voce in quel sussurro sommesso, però fu certa che Sasuke
l'avesse udito quando lo sentì emettere un sospiro breve. Era dietro di lei e
respirava piano tra i suoi capelli. Col viso appena inclinato. Sakura ebbe
l'impressione che con lui incombesse su di lei tutto il mistero, e
l'ineffabilità, dei suoi sentimenti.
«Allora
sarà il caso di guardarla un po' meglio», le disse, prima di avviarsi verso una
grande porta scorrevole, coi battenti di vetro smerigliato.
Sakura
lo seguì di corsa, rischiando di investire l'alzata su un lato della porta.
Evidentemente, anche alla loro casa piaceva ballare. Si chiese se Sasuke l'avesse notato. Sembrava all'improvviso molto
attento, e posava le dita su ogni superficie libera, tracciandone i contorni
con cura, come a saggiarne la perfezione di cui si stava già beando con gli
occhi.
Sakura
osservò i suoi movimenti, rapita. Lo vide indugiare su un arazzo che
raffigurava la Dea Izanami e il dio Izanagi nell'atto della creazione, e un pensiero
malinconico dovette trafiggergli la mente perché se lo lasciò alle spalle con
una luce triste negli occhi. Continuò a girare per quello che doveva essere lo
studio, misurandolo da angolature diverse, spostava freneticamente lo sguardo
dalla grande scrivania in legno a un vecchio giradischi fin sulla scacchiera,
inchiodando alla fine, beato, sulla libreria che si estendeva lungo un'intera
parete, imponente e bella com'era. In un angolo c'era un divano rivestito di un
tessuto ruvido, un po' consumato dalle carezze del tempo. Il mobile bar era uno
scrigno per bicchieri e boccette di cristallo; Sakura riconobbe anche qualche
ampolla riempita di preparati alle erbe andati a male tanto che per un momento
il cattivo odore le fece girare la testa e riuscì di nuovo a peggiorarle
l'umore. In cerca di aria, trovò la finestra con lo sguardo ma era nascosta da
tende di panno spesso, che Sasuke stava accostando
con cura dopo aver dato un'occhiata fuori, sulla piazzetta di Konoha.
«Non mi
guardi mai così. Come qualcosa di così bello che per un momento l'emozione ti
costringe a chiudere gli occhi», considerò, spostandosi sul lato opposto della
stanza, lontano da lui. «Eppure continuo a comprarti regali di Natale da quando
avevo sei anni».
Le
sembrava una tragedia inaudita. Soprattutto perché Sasuke
riusciva persino a divertirsi, mentre lei si disperava. «Me ne hai dati solo un
paio».
«Perché
non ci sei mai» gli fece notare, impressionata dalla sua faccia di bronzo. «E
mi hai fatto piangere anche lo scorso Natale».
«Non
dovevi» la redarguì lui, voltando le spalle a Konoha.
Cercò i suoi occhi e solo quando li trovò aggiunse a voce bassa un timido:«Non
volevo».
«Allora
potevi tornare».
«Sakura,
lo sai che...»
«Non so
niente», precisò, nervosa. La testa le doleva terribilmente e le era anche
tornata la nausea. «Non so perché non riesco a mancarti nemmeno un po'.
Soltanto un po'. Quel tanto che basterebbe... a farti tornare qui per le
feste... o quando ti senti solo. Perché vuoi sentirti solo invece di stare un
po' con me? È questo che mi distrugge, certe volte. Per fortuna c’è l’anmitsu. E Naruto. E Ino. E il finto Naruto. E i
ricordi. Ma mi manchi lo stesso. La mamma dice che sono un caso perso e che non
so apprezzare quello che ho, Ino dice che dovrei
imparare a divertirmi, Naruto dice che non può
mancarti ciò che già ti appartiene e tu ora dirai… – e
non provare a negarlo! – dirai che sono assolutamente insopportabile. E io sono
così stufa di essere presa in giro perché per una volta vorrei sentirmi intera,
non come se mi mancasse costantemente una parte di me».
Sasuke la
guardò per un lungo momento, con quegli occhi belli come una preghiera. Le fece
un cenno veloce, forse solo un po' incerto, ma la voce con cui le parlò era
decisa. «Vieni qui».
Sakura
lo raggiunse dopo averlo visto trafficare di nuovo con le tende. Le aveva fatto
un po' di spazio tra sé e le imposte della finestra e quando furono vicini, Sasuke le infilò una mano sotto il cappuccio del mantello,
tirandoglielo in testa per coprirle i capelli chiari. Poi la invitò a sporgersi
un po' per guardare fuori. E lei lo fece. Accogliendo nel suo sguardo le
delicate meraviglie di una notte che era sul punto di trovare riposo. In giro
non c'erano più bimbi che si sporcavano il nasino di zucchero filato o
giocavano con un pesciolino rosso intrappolato in un sacchetto vinto alla fiera
poco prima; in piazza qualche ragazzo ancora rideva come se la sua intera vita
altro non fosse che puro, delizioso divertimento. I rivenditori avevano tirato
le tende sulle proprie bancarelle, ma nell'aria sicuramente era rimasto sospeso
il profumo delle spezie con cui avevano condito i loro spuntini al cartoccio.
Le luci nelle case erano rare fiammelle accese nella stanza di una madre troppo
apprensiva per prendere sonno prima che i figli fossero rincasati. E in
lontananza, qualcuno, cantava del dio Kamui, ma aveva
la voce rauca, e la testa già impigliata nei sogni della mezzanotte. Era bello,
se ne rendeva conto. E non si stupiva che piacesse anche a Sasuke,
quel momento sul finire della festa, di assoluta e perfetta compiutezza.
Si
voltò per spiare il suo sguardo – come le piaceva, osservarlo rapito da
qualcosa che non fosse odio, troppo simile alla tristezza. Ma quando cercò il suo sguardo, lo trovò fisso su di sé. Inesorabile. Persistente, forse anche avvinto.
«Che cosa...?»
E poi Sasuke chiuse gli occhi.
Come davanti a qualcosa di così bello che
per un momento l'emozione, incalzante, ti costringe a rifugiarti in te stesso.
Per trattenerla dentro di te, tra i ricordi di sempre. E cullarla, dietro le
palpebre, come il frutto di un'assoluta meraviglia.
***
Sakura
aprì gli occhi di soprassalto. Aveva la vista annebbiata, ma prima ancora di
mettere a fuoco cosa ci fosse davanti a sé, percepì il proprio respiro farsi
pesante, preda dell'agitazione. Il viso giaceva su qualcosa di non troppo
morbido, ma sorprendentemente caldo per essere un cuscino – e infatti non lo
era, notò con orrore.
Si
sollevò dal petto di Sasuke con un balzo poco
coordinato, e con qualche movimento distorto dalle vertigini riuscì a liberarsi
del mantello con cui si erano coperti. Saltò fuori dal divano rischiando di
inciampare nel tappeto ai suoi piedi, solo per notare, al colmo dello sgomento,
che il tubino nero indossato la sera prima era stato sostituito da una felpa
che di certo non era la sua. Le stava decisamente grande, eppure non le copriva
tanto bene le gambe, oltretutto il collo largo le cascava su una spalla,
lasciandola scoperta. In compenso le maniche erano talmente lunghe che avrebbe
potuto utilizzare la stoffa in avanzo per fustigarsi. Violentemente.
Una
fitta lancinante alla tempia la costrinse a richiudere gli occhi, isolandola
per un breve momento dallo spettacolo devastante che era quel risveglio. Si
serrò le palpebre coi palmi delle mani, intenzionata a non aprirle mai più per
tutta la vita - che si augurava fosse particolarmente breve, dato che si
prospettava fin troppo imbarazzante, per non dire una fiera di umiliazioni.
Si rese
conto di non avere un'idea precisa della situazione, ma qualcosa le diceva che
tutti i suoi più terribili presentimenti non rendessero nemmeno giustizia alla
gravità del momento. Lasciò defluire un po' di chakra
sulle tempie, per quietare il mal di testa e recuperare un po' di lucidità,
stando ben attenta a non scoprire gli occhi perché non aveva nessuna intenzione
di vedere... qualsiasi fosse il grado di disappunto a cui era arrivato Sasuke, dopo che... Di
preciso proprio non si ricordava cosa aveva fatto, o peggio ancora tentato
di fare.
«Guarda
che è ancora presto».
Ma da
com'era conciata poteva immaginarlo. E ciò che immaginava si mischiava
terribilmente a certi ricordi sbiaditi che le facevano tremare le gambe per la
vergogna.
«Sarà
appena l'alba».
«Con
chi stai parlando, Sasuke-kun?», chiese, quando capì
che era stato lui a parlare e non una delle voci che si accavallavano nella sua
testa aggiornandola impietosamente su ciò che era successo la notte prima.
«Sei
ancora fuori di testa?»
Magari, pensò, disperata. In
quel momento la sua testa le sembrava il posto più brutto del mondo. «Non
volevo svegliarti, torna pure a dormire». E forse era anche il caso di
ringraziarlo, dato che aveva trovato il coraggio di rivolgerle ancora la
parola.
Lo spiò
solo per un momento, ricoprendosi velocemente gli occhi alla vista del suo
sguardo ancora un po' annebbiato, ricoperto da ciuffi di capelli arruffati.
«Ero
già sveglio».
Cosa ci
facesse sveglio a quell'ora andava oltre le sue possibilità di comprensione.
Magari si era intrattenuto tutta la notte a ridere di lei, non l'avrebbe
trovato così strano. Oppure aveva sentito il bisogno di tenere alta la guardia.
«Cosa
ti ho detto ieri notte?», indagò, in attesa della sentenza che forse le avrebbe
dato un giusto, veloce colpo di grazia.
«Tante
cose».
Si
strofinò la felpa di Sasuke sulle guance, sentiva di
averle umide. «Quando ho cercato di spogliarmi, intendo», precisò, con voce
stridula.
«...
qualcosa a proposito del fatto che ti sentivi molto disinibita», le rispose
lui, tirandosi su dal divano. «E volevi che io...»
«Basta
così!» lo interruppe, divorata dalla vergogna e dai sensi di colpa. E dai
ricordi, che stavano cominciando a scoppiarle in testa come petardi.
(«Nei miei sogni non sai cosa mi fai. E
io... ti lascio ogni genere di libertà, e poi...». Poi l'aveva abbracciato,
stretto a sé come a volerlo inglobare in quella bolla d'affetto infinito in cui
non riusciva più a stare da sola. «Vorrei baciarti ma non so come si fa». Aveva
nascosto le labbra nella piega del suo collo, sentendo il sangue fluire
velocemente. Si era dondolata un paio di volte contro di lui, con equilibrio
precario. Allora Sasuke le aveva passato il braccio
attorno ai fianchi, forte, era riuscito a tenerla ferma e a contenere ogni suo
slancio. Non era stato male, adagiarsi sul suo corpo, sentirne il contatto vivo
e caldo, e non era completo ma... quasi, c'era quel vestito, che le aveva
stretto il petto per tutta la serata, e le fasciava un po' troppo la pancia,
soprattutto dopo averla riempita di ramen, ed era una
barriera tra lei e Sasuke...
Però lui la teneva ancora stretta a sé,
impedendole qualsiasi movimento, così la colse di nuovo un dubbio tanto
doloroso da farle salire le lacrime agli occhi. Non l'aveva mai abbracciata,
per tutta la sera, solo sostenuta, forse. Forse quello non era un abbraccio,
che ne sapeva lei, che non li aveva mai ricevuti. Sentiva solo di averne
bisogno, ma sapeva anche che sarebbe scivolata a terra, se non ci avesse
pensato lui a tenerla in piedi.
A un certo punto gli aveva detto che era
sua precisa intenzione liberarsi del vestito. Ma non solo. L'aveva accusato
di...)
«Non ti
avvicinare», lo avvertì, tentando miseramente di attraversare l'intera stanza
ad occhi chiusi, senza inciampare nell'arredamento. Andò di fatti a sbattere
contro quella che doveva essere la libreria. Non si era mai sentita più in
trappola di così, soprattutto perché era tutta colpa sua. «E perdonami se puoi,
non ero in me».
«Lo so»,
le rispose lui, semplicemente. Ma la voce le sembrò un po' più vicina di prima
nonostante fosse certa di essersi allontanata. Inoltre quella risposta poteva
avere connotazioni assolutamente sinistre.
Forse non aveva intenzione di perdonarla? Eppure lei gli aveva perdonato così
tanto...
(Non era stata crudele con lui, gli aveva
parlato con la dolcezza che si usa a un bambino per mostrargli quanta delusione
avesse arrecato in chi si era fidato di lui, e con l'insolenza di un ragazzino
che altro non vuole se non sapere di poter infliggere agli altri il suo stesso
dolore.
E poi, a vederlo immobile, l'aveva accusato
di sembrare uno intenzionato a difendersi. Da cosa poi? Da lei? E questo lo
trovava offensivo. Perché lei da difendere non aveva più nemmeno i suoi
sentimenti, e i suoi desideri, dato che molti glieli aveva elencati con la
meticolosità che aveva sempre dedicato a lui e allo studio.)
«Sakura,
apri gli occhi».
«Li ho
aperti, ma non li scopro», sibilò, con una tenacia che desiderava tenersi ben
stretta. Cominciò a scivolare lungo la libreria verso sinistra, perché le
sembrava che la voce di Sasuke provenisse dalla
direzione opposta. «E per quel che vale non pensavo niente di tutto ciò che ho
detto. Quasi niente, cioè, davvero».
Stava
per ripetere un paio di volte quel davvero
su cui desiderava essere particolarmente convincente, ma qualcosa le solleticò
il naso, facendoglielo arricciare, e senza nemmeno rendersene conto, si era
portata le mani sulla punta, per allontanare una foglia di menta. La prima domanda che le sorse naturale fu cosa
ci faceva Sasuke, davanti a lei, a sventolarle una
foglia di menta sotto al naso. La seconda, malefica, fu come potesse sapere della foglia di menta. Quando si rese conto di
averla vista coi suoi stessi occhi, aperti, scoperti davanti a Sasuke, Sakura trasecolò. Il viso le andò in fiamme, altro
che l'imbarazzato rossore di poco prima, lo sentiva proprio ardere. E guardarlo
peggiorava soltanto la situazione. Le tornavano alla mente ricordi vaghi – ma
non troppo – e se vi si abbandonava per un attimo riusciva di nuovo a sentire
le sue dita addosso, sulla pelle nuda, mentre la aiutava a disfarsi del
vestito. E la cura, la delicatezza con cui appena l'aveva sfiorata infilandole
giù per il collo una felpa che aveva tirato fuori dalla sua sacca. Dopodiché
ricordava di averlo abbracciato ancora, sul divano, anche se nemmeno sapeva
dire come ci erano arrivati. Sapeva che si erano distesi, e che era stato bello
lasciarsi avvolgere dal suo braccio – che forse ci aveva un po' giocato, con la
sua mano, invitandola a scendere un po' più giù dei suoi fianchi, e trovandola
forte, irremovibile, della stessa durezza del marmo. Le erano tornati in mente
ancora dubbi, e dubbi, su cosa ci facesse il suo braccio intorno a lei, e se
per caso – proprio per caso, magari era davvero un'allucinazione quel Sasuke – se per caso il
suo corpo avesse reagito a lei.
Tutto
quelle domande però scolorivano davanti alla consapevolezza di essere stata
ingiusta nei suoi confronti, e irrispettosa, terribile: aveva toccato i suoi
sensi di colpa uno a uno e li aveva fatti gonfiare all'inverosimile, ne era
certa. «Non credo di meritarla».
«È solo
una foglia di menta, Sakura».
Gli
tese la mano con gli occhi ricolmi di lacrime, accogliendo tra le dita la
fogliolina verde e ruvida. «Devo spiegarti un sacco di cose. Ascoltami, per
favore».
Sasuke si
voltò dandole la schiena per raggiungere la poltrona in pelle dietro la
scrivania. «Te l'ho detto anche prima, che ti sto ascoltando».
La
menta le rinfrescò il palato, e osservare le sue spalle a qualche passo di
distanza era una situazione a lei fin troppo familiare, in qualche modo
rassicurante. Sakura prese un respiro lunghissimo, prima di cominciare:«è vero,
ci sono un sacco di cose che non sopporto di questa situazione. Che mi fanno
stare male. Ma non dipendono da te. Cioè... non dipendono dalle tue scelte,
solo... da come ti senti. E da come mi sento io al pensiero di non poter fare
niente. Dici che non c'entro coi tuoi peccati, e forse è vero, anche se mi
sento responsabile di non esserti stata vicina quando ne avevi bisogno, di non
averti saputo fermare per il tuo stesso bene.
Ma non
importa, coi miei sensi di colpa sono abituata a convivere. È coi tuoi che non
so cosa fare. A parte peggiorare la situazione, evidentemente», notò, amara. Ma
era decisa a continuare, perché non sopportava vederlo peggio di come l'aveva
lasciato, più stanco e sempre più vittima di colpe che dava a se stesso invece
che agli altri. «Vorrei che non fossi sempre solo, che la smettessi di
infliggerti tutto questo dolore... e quel braccio, potresti chiedere la protesi
a Tsunade-sama in qualsiasi momento, ti basterebbe
dirmi una parola, una sola, e ti aiuterei almeno con quello, almeno con quello
che so fare meglio.
E mi
manchi, ma non è colpa tua. Voglio dirti una cosa, ma mi prometti che ci
crederai?» lo osservò irrigidirsi non appena concluse quella domanda.
Sasuke si
voltò con cautela lasciando girare la sedia sulle ruote. «Perché me lo chiedi?»
«Perché
non so se ho perso di nuovo la tua fiducia. E ci tengo».
Sasuke annuì
lentamente, restituendole uno sguardo carico di significato.
«Io...
ti sono grata, per farmi sentire così. Non fa tanto male sentire che mi manca
una parte di me, quando non ci sei. A volte credo... credo che manchi a tutti,
più o meno, ma qualcuno non se ne accorge mai. Io invece... ne sono
tremendamente consapevole. E so che
un giorno tornerai e io avrò la fortuna, questa fortuna che non è di tutti, di
sentirmi finalmente intera».
«Come
mai hai bevuto, allora?»
Sakura
abbassò lo sguardo, mortificata. «Non era proprio mia intenzione. Avevo preso
un po' di sake. Quello lo reggo bene, sono allieva di
Tsunade-sama dopotutto», gli sorrise, sperando di
alleggerire l'atmosfera pesante che le gravava sulle spalle come un macigno. «Poi
sono arrivati questi ragazzi che volevano a tutti i costi offrirci qualcosa. E Ino mi ha rassicurata, dicendo che erano suoi amici e
chiedendo altro sake. Evidentemente era corretto, e
non ci siamo più fermate. E solo dopo, non so bene quando, mi ha detto qualcosa
come chiunque pensi che ho delle belle
tette e mi offre da bere è mio amico. In quel momento temo di averlo
trovato anche divertente».
Sasuke piegò
appena le labbra, scuotendo la testa.
«E non
ridere!»
«Non
rido».
Però
c'era un lampo di divertimento nei suoi occhi, Sakura era riuscita a coglierlo
anche dall'angolino buio in cui si era ritirata. «Comunque ti auguro di non
passarci mai. Ma tanto scommetto che tu non hai mai bevuto».
Sasuke
raddrizzò le spalle, voltando di nuovo la sedia verso la scrivania e montando
su un'espressione molto dignitosa. Era il suo modo di rifiutare una risposta,
evidentemente.
«Non ci
credo» mormorò lei, allibita.
«Infatti
non è come credi. Solo quando stavo con Tobi... un
paio di volte mi ha portato in alcuni locali».
«Quali
locali?» gli chiese, con l'impressione che le fauci dello sbigottimento
avrebbero presto cominciato a mangiarsi quel che restava della sua salute
mentale.
«Non
c'era nessuno più nudo di te, se è questo che vuoi sapere. E io non ho mai
bevuto così tanto».
Sakura
chiuse di nuovo gli occhi, valutando che quella risposta necessitasse delle sue
migliori capacità analitiche. Innanzitutto, Sasuke ci
teneva a passare per una persona priva di vizi: minacciare di morte violenta
chiunque gli mettesse i bastoni tra le ruote era un conto, esagerare col sake un altro, di cui Sasuke non
voleva proprio saperne niente. Inoltre Sasuke e Obito
erano stati per un certo periodo compagni di sbronze, più o meno.
Lo
scandalo vero e proprio però consisteva nell'evidenza che Sasuke
si era scomodato a rassicurarla su certe
questioni, e si era dimostrato decisamente consapevole del modo in cui era
conciata. Al che la sua ritrovata lucidità la mise davanti all'idea – alla
certezza, cioè – che qualche ora prima l'unica fuori di testa era stata lei,
mentre Sasuke doveva ricordare oscenamente bene tutto
quello che era successo.
Sakura
decise di alzare di nuovo qualche preghierina a tutti
i kami affinché la sua vita potesse essere
dignitosamente breve, diciannove anni era una giusta età per sparire dalla
circolazione e rifugiarsi sotto terra per sempre. Mosse un passo avanti,
incerta, e tentando di non fare rumore.
«Che
fai?»
Siccome
era abituata a vivere di vane speranze, nemmeno si stupì che Sasuke l'avesse sentita. Ma se poteva morire un po' più
coperta, per la verità, non sarebbe stata così infelice. «Vado a prendere il
tuo mantello».
Sasuke di
tutta risposta accese una candela sulla scrivania, liquidando i suoi buoni
propositi senza nemmeno darsi la pena di commentarli. «Leggi qui».
Sakura
gli si avvicinò con circospezione, fermandosi alle spalle della poltrona
girevole. Appoggiò le braccia allo schienale e si sporse quel tanto che bastava
a dare un'occhiata al libro che Sasuke aveva appena
sollevato. Era un piccolo manuale sugli shogi, da
quel poco che poteva vedere. Ma la luce della candela era troppo fioca per
farle distinguere le parole. Oltretutto in quel momento era in preda a ben
altri pensieri. «Perché non mi hai tramortita, vorrei sapere! Proprio ora che
avrebbe fatto comodo anche a me...» Se pensava che Sasuke
si ricordava delle buone maniere solo quando non doveva, la sua situazione non le sembrava solo tragica, ma
anche tristemente beffarda.
«...
era il tuo compleanno».
«E
allora?»
«Naruto ha detto che volevi passarlo con me», le rispose con
semplicità. Sembrava molto convinto del suo argomento, e a Sakura quasi
dispiaceva fargli notare che mai una volta in vita sua aveva fatto quel che
diceva Naruto o quello che voleva lei. E non le
sembrava molto carino cominciare in una situazione simile, cioè quando Naruto parlava a sproposito e lei non sapeva nemmeno ciò
che voleva.
«Cosa
c'entra Naruto?»
«L'ho
incontrato per strada mentre vi cercavo. E mi ha portato al fiume. Era
preoccupato. Cercava disperatamente una bottiglia d'acqua e si chiedeva se i
caffè potessero uccidere».
Sakura
trattenne a stento una risatina, immaginando l'isteria di Naruto
e l'agitazione con cui aveva trafficato per le vie di Konoha.
«Dovrò scusarmi anche con lui».
Sasuke non
parve registrare il commento, preso com'era dalla lettura. Aveva di nuovo
sistemato il libriccino sulla scrivania davanti a sé e una volta aveva anche
lanciato un'occhiata pensierosa alla scacchiera stipata in un angolo.
«Ti
piacciono gli shogi?»
«Ci
giocavo con Itachi da piccolo».
All'improvviso
la faccenda le sembrò molto più interessante. Era raro ascoltarlo parlare del
suo passato, per di più di sua iniziativa. Con un lampo di ritrovato ottimismo,
Sakura si disse che poteva anche posticipare di un po' il suo ritiro nella
tomba. Afferrò con interesse libro e candela, portandoli alla sua altezza, dato
che non aveva nessuna intenzione di calarsi in quelle condizioni.
La
pagina che aveva rapito l'attenzione di Sasuke
esponeva una strategia per arrivare allo scacco in sei mosse consecutive. E
invitava il lettore a trovare una falla nel gioco.
«E io
come dovrei leggere?»
«Tu hai
già letto, Sasuke-kun», gli rispose, tuffandosi nella
spiegazione dettagliata delle mosse. Per qualche minuto studiò attentamente
ogni singola parola, prendendosi il tempo necessario ad assimilarla, a
figurarsi le pedine sulla scacchiera.
«Ma non
eri tu a dire che un atteggiamento troppo sulla difensiva è offensivo?»
La voce
di Sasuke penetrò nella cortina di schemi e
simulazioni in cui si era rifugiata come un dardo, rendendola consapevole del
fatto che avrebbe potuto colpirla sempre, in ogni momento, non importava dove
si rifugiasse, come tentasse di proteggersi. «Ero fuori di me».
«Ma non
così lontana».
Sollevò
lo sguardo su di lui nel momento in cui il suo viso era più esposto, e fece in
tempo a cogliere una scintilla di disagio, nei suoi occhi, un mostro antico che
però Sasuke sapeva sempre tenere a bada. Solo, a
volte, se lo trascinava dentro di sé, ad affogare in un oceano di rimpianti.
«Posso
avvicinarmi?» provò a chiedergli, con un'emozione strana a chiuderle la gola.
La domanda però le sembrò subito molto stupida. Sasuke
era rimasto anche ora che il suo compleanno era finito, le era stato accanto
tutta la notte, e prima ancora aveva trascorso un'intera settimana con lei,
permettendole di avvicinarsi pian piano, a colazione quando voleva fargli
assaggiare qualcosa di dolce, di giorno quando tentava di sistemargli i
capelli, e tagliarglieli un po' sul collo, di sera, prima di andare a dormire,
davanti al fuoco, Sasuke aveva condiviso la coperta
con lei e di notte – certe notti, com'erano state belle – quando lei gli
parlava a voce bassissima, Sasuke aveva allungato un
po' il braccio verso di lei e attirato a sé il suo sacco a pelo. «Mi fai spazio
sulla sedia, Sasuke-kun? Così puoi leggere anche tu».
Sorprendentemente,
mentre si avvicinava a lui, lo sentì sbuffare. Il momento dopo, si sentì tirare
in basso da un pugno stretto attorno all'orlo della felpa. E mentre il cuore le
balzava in gola, e la testa le girava per il movimento brusco, si rese conto di
dov'era finita.
«Voglio
sapere se sai come evadere la strategia».
Sulle
gambe di Sasuke si stava molto comodi, ragionò,
sistemandosi appena un po' meglio. Non sapeva nemmeno come, o dove, ma
l'imbarazzo di poco prima era completamente sparito nel nulla, spazzato via da
una specie di naturalezza che fino a quel momento aveva solo potuto immaginare,
o accarezzare timidamente ogni volta che era Sasuke a
fare un passo verso di lei.
Sasuke
avvicinò ancora un po' la sedia alla scrivania, così da farle poggiare tutto
sul piano di legno. E poi si mise composto alle sue spalle, ad attendere, col
viso appena inclinato in avanti, verso di lei.
«So
come evadere la strategia, ma solo intervenendo prima della terza mossa».
«Itachi diceva che c'erano due modi».
Sakura
ne sorrise, osservandolo tutto intento a studiare le figure sul libro. «Dimmi
se prima mi hai creduto e ti do qualche indizio su come fare».
Sasuke le
rifilò uno sguardo colmo di risentimento, e per ripicca – che gli riusciva
sempre benissimo – riprese a leggere senza degnarla di una risposta.
«Preferisci
non saperlo invece di darmi un piccolo cenno?»
«Posso
capirlo anche da solo».
Sakura
sbuffò, riprendendo a leggere per non cedere al nervosismo. Certo che Sasuke poteva arrivarci anche da solo, non era mai stato
uno stupido, ma quella doveva essere la sua arma per fargli confessare cosa ne
pensasse del discorso di prima. Se lo aveva convinto del fatto che la sua vita
non le sembrava sofferenza, ma prima di tutto aspettativa, bellissima.
Naturalmente, c'erano delle volte in cui si abbatteva, e lui le mancava così
tanto che le sembrava di impazzire, ma poi chiudeva gli occhi, si lasciava
cullare dalle sue promesse. E sorrideva, sempre.
«Ti
credo», mugolò Sasuke. La sua voce le arrivò come
ovattata, attutita dalla felpa contro cui Sasuke
aveva soffocato le sue parole. «Ma non devi parlare dei tuoi problemi come se
fossero niente». Aveva poggiato la fronte al centro della sua schiena, proprio
dove doveva essere lo stemma degli Uchiha e le aveva
stretto un po' il busto, con le dita sul ventre, quando lei aveva tentato di
voltarsi. L'aveva trattenuta così per un lungo momento, probabilmente
crogiolandosi nella strana sensazione di essere un suo problema, e questo doveva essere doloroso, ma sarebbe stato
doloroso anche il contrario. Il che, immaginava Sakura, lo faceva soffrire
ancora di più. Ricordava pochi momenti in cui Sasuke
si era concesso un pieno abbandono, e come aveva imparato a dodici anni, in
quella foresta spaventosa, in genere quando accadeva Sasuke
stava cascando in un inferno di cui nessuno poteva dire di conoscerne le
fiamme. Eppure era così stanca di vederlo afflitto dai suoi sensi di colpa, e
immaginare di averli ancora alimentati la distruggeva.
«Se
dessi più importanza ai problemi invece che alle aspettative che ho per il
futuro... rischierei di perdermi. Non mi riconosceresti più, al tuo ritorno».
«Saresti
sempre tu».
«Mi
aiuteresti?» Sakura scoprì di potersi voltare, finalmente, e quello che trovò
sul suo viso le fece tremare le gambe per l'orrore. Sasuke
era spaventato, forse atterrito dalla prospettiva di trovarla diversa e di non
saperla aiutare. «Ma non credo ce ne sarà bisogno», lo rassicurò,
sorridendogli. «Forse… l’unico problema è che sono
troppo abituata a pensare al futuro invece che al presente, ad aspettare qualcosa… ma è un problema che hai anche tu, non è vero? Ci
penseremo insieme, a risolverlo». Si lasciò cadere contro di lui, posandosi con
la spalla sul suo petto, e intrufolando la testa nella piega del suo collo.
Aveva un buon profumo, di cui serbava dentro di sé un ricordo vaghissimo, che
aveva sempre coccolato rievocandolo di notte, prima di addormentarsi, nella speranza
di non dimenticarlo prima che Sasuke fosse ritornato.
Gli accarezzò il viso sentendolo rabbrividire appena sotto le sue dita, e ne
sorrise ancora, intenerita, posandogli un bacio lievissimo sulla punta della
clavicola. Gli solleticò la nuca, attardandosi a giocherellare coi suoi capelli
– erano di nuovo cresciuti, un po' più lisci di come li ricordava... forse Sasuke aveva preso a spazzolarli come aveva tentato di fare
lei una volta, beccandosi un nemmeno per
idea che solo dopo qualche giorno aveva ceduto il passo alla rassegnazione,
e al pettine, che lei aveva inforcato con sguardo compiaciuto, pieno di
soddisfazione.
Gli
baciò ancora il collo – le piaceva veramente tanto, quella sottile tensione
sotto le labbra, stargli così vicino da poter distinguere le linee dei muscoli
che si tendevano un po' ogni volta che lui tirava un respiro interrompendolo a
metà quando lei gli inumidiva la pelle. Lo trasse a sé con una leggera
pressione dei polpastrelli, senza forzarlo, e chiuse gli occhi quando lo sentì
saggiare con la punta del naso il profilo del suo viso fino allo zigomo,
sospingendola ad appoggiarsi completamente contro lo schienale della poltrona.
Lo abbracciò di slancio, accogliendo il suo viso contro la propria spalla, e un
lungo sospiro che dalla bocca di Sasuke le accarezzò
la pelle accaldata, intrufolandosi nel collo slargato della felpa. Gli poggiò
il mento sulla linea dura della mandibola, strofinando appena e lasciandosi
grattare da un principio di barba. Quando le ciglia di Sasuke
le solleticarono il collo, lo strinse a sé più forte di prima, perché le
sembrava che stessero diventando finalmente il rifugio uno dell'altra e non ce
la faceva, non ce la faceva a pensare che quel momento potesse finire.
«Sei
calda, non hai bisogno del mantello».
«Non ne
ho bisogno», confermò. Le sembrava surreale la sola idea di aver bisogno di
altro quando aveva lui. Aveva bisogno solo di lui, lo sentiva. Distintamente.
Tutto quell'appagamento. E quanto le sembrasse giusto. Sfregò le unghie contro
la sua schiena, risalendo la scapola con un lento massaggio. E lui la lasciava
fare fin quando non si muoveva troppo dalla posizione in cui l'aveva costretta,
tra sé e la spalliera, col braccio posato sul bracciolo, intorno a lei, come se
avesse voluto impedirle di scappare, come se lei potesse mai lasciarsi sfiorare
dall'idea di farlo. «Qualche ora fa ti avrei di nuovo accusato di aver bevuto.
Molto. Più di me sicuramente», gli disse, quasi tentata dall'idea.
«E
adesso?»
«Adesso…» cominciò, pensierosa. Non sapeva proprio cosa
dire.
Una
parte di sé trovava ancora un po' strano questo Sasuke,
quasi incredibile. Ma era solo più completo, un intero universo di bellezza
di cui fino a poco prima aveva esplorato solo qualche ombra.
Scoprì
che Sasuke la guardava accigliato quando non sentì
più il calore del suo viso contro il collo. Evidentemente si aspettava una
specie di stupida accusa da un momento all'altro.
«Magari
sei solo brillo», scherzò lei, accontentandolo, soffiandogli via un ciuffo che
gli era caduto sugli occhi.
Sasuke le
restituì uno sguardo oltraggiato. «Novantasette», disse, con un tono che in
genere da piccolo usava per le sfide importanti quando sfogava il suo cattivo
umore vincendo contro Naruto.
«Che
cosa?»
«Cerotto
fiocco kunai».
Sakura
rise, cogliendo il messaggio. Sasuke doveva
ricordarsi con un certo orrore anche dei test psicometrici che gli aveva
sottoposto.
«Ventinove
marzo».
«Ma
allora mi ascolti sul serio quando ti parlo!», esultò, felice. Lo sapeva già,
ma si rallegrava quando a modo suo Sasuke cercava di
dimostrarglielo, facendone pure un punto d'onore.
Infatti
la guardava con un filino di disappunto, come se fosse strano, dubitare di lui.
«E parli anche troppo», aggiunse, per darsi il credito che pensava di meritare.
«Direi
che...»
Qualsiasi
cosa avesse voluto dirgli, Sasuke, molto
coerentemente, decise che non era il caso di ascoltarla. Aveva labbra morbide,
e quando le poggiò sulle sue, con cautela, e una delicatezza che Sakura pensava
appartenesse solo a un mondo di cui sognano i bambini, anche lei smise di
curarsi di ciò che stava per dirgli.
Il
primo bacio di Sasuke fu come una carezza. Calda,
lieve. Bella come una favola della buona notte che ti induce a socchiudere gli
occhi, e a pensare che tutto il mondo sia parte di essa. Sakura ricambiò
saggiando con tenerezza il profilo della sua bocca. Timidamente strofinò un po'
un angolo, e quando Sasuke la socchiuse, sorrise
contro di lei. Poi le inumidì la pelle, attardandosi coi denti sul suo labbro
inferiore, e Sakura si lasciò trattenere così vicino poggiandogli le dita sul
mento, per assicurargli che non si sarebbe tirata indietro, che le piaceva,
quella strana dolcezza, e quel dolore minuscolo che l'aveva fatta esitare solo
un istante in più, prima di tirare fuori la punta della lingua per richiamare
la sua attenzione e attirarlo nella propria bocca. Sapore di menta.
«Grazie»,
lo sentì dire, del tutto sconclusionato.
«Per
cosa?»
Ma Sasuke riprese a baciarla e il modo in cui lo faceva,
piano, pianissimo, le sembrava troppo bello per essere vero, ma al tempo stesso
Sakura sentiva, con una nuova consapevolezza, che solo una cosa tanto vera
poteva essere così bella. «Nemmeno stavolta me lo dici perché mi ringrazi?»
Però poi riprese a baciarlo lei, senza dargli un altro momento di tregua.
***
«Me l'hai data di proposito la foglia di
menta?»
***
«Grazie di cosa?»
***
«E torni presto?»
«Tra qualche mese».
«A volte ho paura che…
il mondo è così bello, lo so anche io che l’ho visto solo da Konoha. E se viaggiando scoprissi qualcosa più bella di me,
e di Naruto, e sarei felice, un po’, perché mi piace
saperti preso da qualcosa di bello. Però…se quella
cosa dovesse tenerti lontano da noi...»
«E sopportare a vita te che ti lamenti di
non potermi dare i regali di Natale?»
«… certe volte eri più gentile quando
parlavi poco. O niente affatto».
***
«Prima c’erano i tuoi genitori in giro».
E però c’era stato anche Sasuke a tapparle la bocca.
***
«È vero, ho visto alcune cose belle. Ho
visto tante cose. E a volte pensavo... che alcune di quelle avrei voluto farle
con te, o con Naruto».
«Ci sarà tempo».
«Lo so».
***
Quando
Sakura si svegliò, sul divano, lui era già ripartito. Aveva lasciato dietro di
sé il profumo di menta. E il mantello, e la felpa che le aveva lasciato
addosso. Sul tavolino basso lì davanti aveva poggiato le sue scarpe – chissà
dove le aveva recuperate – e un pacchettino involto in un fiocco rosso.
Con un
bigliettino che non diceva molto, ma non avrebbe potuto dire di meglio.
Grazie – perché faceva sentire fortunato
anche lui.
***
Nove mesi dopo
Al
sesto hokage era pervenuta una denuncia per
effrazione. Siccome aveva l’abitudine a vederci lungo, ma non troppo, spedì Naruto a dare un’occhiata alla situazione.
Naruto, dal
canto suo, che poteva essere avvezzo alle missioni ma non ai rapporti, dopo
aver appurato la natura dell’effrazione se ne andò allegramente da Sakura,
lasciando Kakashi a rosolare nei suoi presentimenti.
Sasuke era tornato, e gli
aveva anche mostrato l’atto di proprietà di una casa al centro di Konoha. Per quello che ne sapeva lui poteva anche essere
fuori posto, falsificato, o semplicemente posticcio, e poi Sasuke
aveva un’aria strana, gli aveva pure portato un sacco di libri e aveva
blaterato qualcosa riguardo il suo vecchio coprifronte.
Gli era scappato un sorriso e si era addirittura lasciato dare una manata bella
forte sulla spalla. Dopodiché aveva esitato per ben due secondi prima di
trovare l’offesa giusta quando Naruto gli aveva
proposto una festa di bentornato.
«Sembra
ancora asociale, ma sta bene», concluse, giulivo. «Ti lascio il suo indirizzo
di casa, se vuoi, però devi promettermi di farlo penare un po’. Come gli viene
in mente di tornare senza dircelo?».
Se lo
chiedeva anche Sakura, ma entrambi sapevano la risposta: come al solito, Sasuke doveva essere impegnato a ponderare.
Gli
preparò una tisana alla menta, crogiolandosi nell’idea di poterne fare due usi
ben diversi, a seconda di quello che avrebbe richiesto la situazione: avrebbe
potuto offrirgliela, o svuotargli il termos in testa al primo segnale di
delirio. Eppure era abbastanza ottimista perché le ultime volte che aveva avuto
sue notizie, Sasuke le era sembrato decisamente in
sé: ad esempio li aveva caldamente informati di essere sopravvissuto senza
danni quando poco tempo prima avevano di nuovo sfiorato la fine del mondo, e
poi un’altra volta, verso maggio, le aveva scritto di aver capito quale fosse
la seconda tattica di cui parlava Itachi – ci aveva
messo due mesi, ma ne sembrava pure particolarmente fiero, e Sakura non aveva
avuto il cuore di fargli presente che lei ci era arrivata il giorno stesso in
cui era ripartito, e poi era così bello, Sasuke,
quando le faceva capire che a lei ci pensava, pensava a loro, e ai ricordi.
Lo
trovò ai piedi della sua nuova libreria, seduto sul pavimento polveroso e circondato
da scatoloni e in maniche di camicia nonostante il freddo di dicembre. La
fasciatura intorno al braccio sinistro era un po’ ombrata, lacera, doveva
essere passato del tempo dall’ultima volta che l’aveva cambiata. In quei mesi
evidentemente non si era curato di tagliarsi di nuovo i capelli, e aveva
continuato a crescere, si era anche irrobustito e non aveva più l’aspetto un
po’ malaticcio di prima, nonostante le ombre sotto agli occhi ancora si
intuissero. Sakura odiava trovarlo cresciuto ogni volta, ma sapeva anche che ogni
volta riusciva ad amare subito, all’istante, ciò che era diventato.
Finse
di bussare alla porta dello studio nonostante fosse spalancata. Sasuke l’aveva di certo sentita da un pezzo, però impiegò
qualche momento in più per sollevare lo sguardo su di lei rigirandosi un libro
tra le dita. Lo vide indugiare un po’ sul suo collo e sorrise quando intuì la
sua linea di pensieri.
«Da
quanto sei qui?»
«Qualche
ora», le rispose, riprendendo a sistemare i libri secondo il suo ordine
mentale. Era già arrivato alla base della libreria, dopo aver riempito quasi
l’intero comparto.
«Potevi
passare a salutarmi, ti avrei aiutato», gli disse lei, avvicinandosi agli
scaffali e buttando un occhio all’interno dei grossi scatoli che Sasuke si era trascinato per il mondo chissà come.
«Eri in
ospedale».
«Mi
sono fatta sostituire» chiarì, pensando che Sasuke
probabilmente era consapevole che l’avrebbe fatto, ma che non si sentiva ancora
pronto a interferire con la sua vita al di fuori di lui. «Ti interessi di
politica ora?» indagò, per cambiare argomento e perché quei libri erano davvero
tanti e sembravano tutti molto simili
tra loro.
«Se Naruto vuole diventare hokage,
farebbe bene a informarsi, prima».
Ma Naruto glieli aveva generosamente lasciati tra i piedi.
Magari un giorno li avrebbero letti insieme, e avrebbero discusso su cosa fare,
perché finalmente sembrava interessare a entrambi; ma non era quello il giorno,
evidentemente.
«E a me
non hai portato nemmeno un libro?»
Sasuke
sollevò appena le spalle come se si fosse improvvisamente ricordato di
qualcosa. Poi si voltò verso la libreria, indicando con un piccolo cenno i
piani sopra la sua testa.
Le
bastò scorgere una scritta vaga, qualcosa come La rigenerazione cellulare e… altro che
al momento non le sembrava troppo importante. Era più importante sorridere – a Sasuke, e a tutti i libri che aveva sistemato in quella che
doveva diventare la loro libreria.
Sakura
si liberò del pullover a collo alto che aveva indossato quella mattina, e
quando Sasuke la guardò sospettoso – proprio al colmo
dell’orrore, per la verità – si ritrovò costretta ad assicurargli che non era
di nuovo sbronza, o fuori di testa… o al massimo solo
un pochino, perché era felice ed essere felici era un po’ come essere in preda
a un’ebbrezza delicata, ma pervasiva.
Si
scorciò le maniche della maglietta e si legò i capelli, e prima di mettersi al
lavoro con Sasuke – doveva proprio dargli un paio di
direttive – gli si avvicinò porgendogli allegramente il termos con la tisana. «Okaeri, Sasuke-kun». Attese
pazientemente che Sasuke distogliesse lo sguardo
dalla collanina che le pendeva dal collo, fingendo disinteresse con una
nonchalance da manuale.
«Tadaima».
***
Tredici anni dopo
«Papi!»
tuonò Sarada, precipitandosi all’ingresso prima che Sasuke partisse senza ascoltare la tirata che aveva
intenzione di fargli. «Ho saputo che a diciassette anni hai bevuto con Obito Uchiha.
È vero?»
Sasuke dal
canto suo drizzò le orecchie mettendo su un’espressione bellicosa. Non aveva
guardato così nemmeno Naruto ai tempi d’oro delle
scaramucce che gli erano costate un braccio e un paio di anni in giro per il
mondo. Chiaramente Sakura sapeva di essere il bersaglio di tutto quell’astio,
ma non poteva fare a meno di ridergli in faccia. Tuttavia, per precauzione,
decise di non azzardare passi avanti, accontentandosi di sostare contro la
cornice della porta, in una strategica posizione di fuga.
«Devi
contestualizzare le informazioni che ti vengono date, Sarada»,
azzardò Sasuke, quasi come se avesse voluto
impartirle una lezione molto importante.
«Qual è
la tua versione?»
Sakura
osservò quel quadretto pensando che il karma aveva i suoi modi particolari per
colpire: Sarada su certe cose assomigliava a Sasuke in maniera perfino inquietante, ad esempio la
tendenza a giudicare e a emettere sentenze l’aveva presa tutta dal padre,
soprattutto riguardo certe questioni. Per
la precisione, alla rispettabile età di sette anni, aveva letto qualcosa
riguardo il passato degli Uchiha, e riguardo i
trascorsi di Sasuke, ma dopo un iniziale turbamento
aveva detto di ammirare molto come il suo papà si fosse ripreso, anche se aveva
fatto penare un po’ troppo la mamma; ma in quel momento lo guardava più che
scandalizzata: Sasuke aveva osato cedere a un
bicchierino di alcol, a uno dei vizi
da cui i ninja dovevano ben guardarsi. Suo padre! Quello tutto d’un pezzo che
dettava regole anche se a volte se le dimenticava – fortuna che lei le
ricordava sempre tutte perché le regole erano regole, diceva – e in questo,
pensò Sakura, era sinistramente simile alla se stessa in età accademica.
«Piuttosto
qual è la versione di tua madre?» sibilò Sasuke, con
uno sguardo che prometteva rappresaglie.
«Mami ha peccato di ingenuità. Su di te invece non mi ha saputo
dire molto».
Sakura
dal suo angolino prese ad annuire con espressione angelica, cosa che dovette
indispettire Sasuke all’inverosimile.
«Il
silenzio è un’ammissione di colpa», osservò Sarada,
con voce seria. «Ma ti perdono se finisci di fare i compiti con me».
Il
fatto era che Sasuke odiava anche solo l’idea di sedersi accanto a Sarada
per i compiti e per quel giorno aveva già consumato tutta la sua pazienza: era
passato a prenderla in accademia un po’ prima dell’orario di chiusura, perché
di pomeriggio sarebbe partito con Naruto e sarebbe
stato via qualche giorno, e Sarada aveva stabilito
che dovevano passare insieme almeno tre ore, per salutarsi bene. Al che Sasuke si era lasciato convincere a tirarla fuori in
anticipo da quell’inferno di mocciosi incapaci, progettando di trascorrere un
po’ di tempo con lei a giocare con l’arco – Sakura non aveva proprio il cuore
di definirli allenamenti, considerando che in genere si divertivano senza fare
molti progressi e perlopiù con l’arco se la spassava Sasuke.
Tuttavia Sarada era stata irremovibile: i compiti
prima di tutto. Così Sasuke era stato costretto ad
assisterla mentre lei compilava tutta seria i test che le erano stati
assegnati, ogni tanto gli faceva domande a bruciapelo ma nel giro di un minuto
si rispondeva da sola, molto fiera. E non era difficile immaginare come mai Sarada preferisse tenerlo incollato sui libri piuttosto che
andarci a giocare all’aperto: voleva fargli vedere quello che le riusciva
meglio, ci teneva particolarmente; allora in genere Sasuke
le sorrideva orgoglioso, buttava lì un complimento a caso e lo usava come scusa
per defilarsi ogni volta che sbatteva il muso contro l’evidenza di aver
dimenticato un sacco di cose, che invece sua figlia conosceva benissimo.
«La
prossima volta, Sarada», disse, tirandole un colpetto
sulla fronte, a cui la bambina rispose fumando come una teiera in ebollizione.
E
siccome Sasuke con gli anni qualcosa l’aveva pure
imparato, prima di andare via si inginocchiò di fronte a lei, scompigliandole affettuosamente
i capelli e mormorandole qualcosa all’orecchio, a voce bassissima.
«Mami!» tuonò Sarada, con uno
sguardo più scandalizzato di quello che aveva rivolto al padre poco prima.
Sakura
sobbalzò, apprensiva – suo malgrado sapeva che Sasuke
aveva fin troppi racconti imbarazzanti sul suo conto. Ma quando sollevò lo
sguardo su di lui, per promettergli ben più di qualche rappresaglia, notò che
era già sparito nel nulla.
Era
rimasto solo il profumo di menta.