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Autore: Kaspar Hauser    26/11/2014    2 recensioni
Uno sfogo scritto un po' di tempo fa. Ma visto che la situazione peggiora potrebbe essere interessante.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cercavo la neve per strada, ma non ce n'era. Neanche un po'. Eppure aveva appena nevicato... non era passato neanche un anno. Le foglie secche, morte, mi accarezzavano; mi sembravano calde. Gli sguardi della gente mi sferzavano. Mi facevano male.

Questo racconto è breve; e se ci fosse un modo per mettere su un foglio tutta la solitudine del mondo, lì ci sarebbero ancora molte meno parole.

Da molto tempo vago qui da solo, in questa landa desolata. Così tanto tempo che non ricordo neanche quanto. Le figure umane che vedo nella nebbia potrebbero essere compagni di sventura; ma quando mi avvicino a loro, ogni volta mi accorgo che non sono in realtà più umane di un albero pietrificato, eroso dal tempo infinito.

La landa desolata è perennemente avvolta in un assoluto silenzio, e io sono solo, completamente solo. E in questa landa l'aria, fredda e statica, è sempre avvolta in una fittissima nebbia, che rende impossibile vedere oltre qualche metro di distanza. La landa è fatta solo di roccia, di grandi sassi e di piccole pietre aguzze, tutte grigie, e anche se il terreno è piano non esistono sentieri, e il cammino è difficile e pericoloso. E queste pietre fredde e inospitali che mi tormentano sono chiamate disperazione, e quella nebbia, che mi impedisce di vedere e di respirare, e bagna le pietre, rendendole scivolose e infide, è chiamata malinconia. In quella landa, perfino fra quelle orribili rocce, nasce la vita, sotto forma di alcune piccole piantine verdi e secche, che spuntano dalle fenditure nel terreno, e si schiacciano strisciando fra le pietre; e queste piante sono chiamate speranza. A volte, su queste piante crescono degli strani piccoli fiorellini sgraziati, alcuni chiamati amore, altri amicizia, altri soddisfazione, altri divertimento; ma tutti questi fiori sono effimeri, e in poche ore, o in pochi giorni, si rinsecchiscono, cadono a terra e muoiono, senza lasciare altra traccia di loro se non una macchia scura sulla roccia. E io, perso in questo mondo, quando vedo le piante della speranza desidero camminare in mezzo a loro, affinché mi offrano un po' di riparo, un sollievo alla pelle intirizzita dal gelo e graffiata dalle rocce aguzze. E solo quando sono già bene in mezzo ad esse, mi rendo conto che i loro verdi fusti sono ricoperti da lunghe spine crudeli e acuminate, e io, che credevo di trovare sollievo, incontro invece solo altra sofferenza, e sono obbligato a continuare a camminare, così che le piante mi graffiano, mi scorticano e mi tormentano tanto quanto fanno le rocce aguzze, la nebbia e il gelo, e rendono il mio torturante cammino ancora più lungo e difficoltoso.

È per ironia, che lo chiamano mondo reale, questo posto fumoso e confuso?

Ora abbiamo paura degli organi genitali, del sesso. Una pudicizia atavica ci incatena.

Ne mondo ci sono tanti tipi di persone. Io sono quello che si masturba in un angolo. Sono quello che si nasconde nel'ombra, vergognoso (e di cosa, poi?). Sono un depravato disperato, che piange, piange.

Non faccio nulla di male. Dicono ch'io sia la rovina del genere umano. Ma io almeno ho un sogno. Non me l'hanno ancora tolto. È la felicità. Delle isole vergini sparse su un mare sconosciuto, a cui non arriverò mai.

Il mondo è composto solo da schiavi rabbiosi, terrorizzati dall'idea della libertà, che si crogiolano nella loro prostrazione mentale. Non fanno altro che mangiare fango tutto il giorno, e devono anche sorridere, nel frattempo. I peggiori sono quelli contenti, quelli sicuri di sé. Quelli che si appassionano a mangiare merda, che sono così felici di farlo che ormai lo bramano, ne vogliono sempre di più. “Io sono forte” dicono “io ho combattuto nella mia vita, sono un uomo fatto e finito”. A furia di mangiare merda, scavano nella terra. Scavano la loro stessa fossa.

Ma ormai mentono così bene che credono da soli alle loro stesse bugie, senza fare una piega. Scendono nella tomba sorridendo, convinti che gi altri li ammireranno per questo. E gli altri, infatti, subito tutti giù ad applaudire e complimentarsi.

E tu, lì nell'angolo, masturbatore, cosa ridi? Prendi in giro? Ridi, ridi, che oggi muori. Poi si buttano su di lui, che non ha fatto niente. Vogliono ucciderlo. Lui cerca di scappare, scalcia, bestemmia. E quelli, mentre si adoperano per la sua morte, in più lo rimproverano per la poca classe, per il poco onore.

Viviamo in un mondo perfetto: a reggerlo ci sono Onore e Giustizia. In pochi, quasi nessuno, conoscono ormai i loro veri nomi: Vergogna e Tirannia. La Libertà, la Bontà, sono già fuggite da tempo in terre molto lontane, impossibili da raggiungere. E con loro sono scappate l'Empatia e l'Amore, e ci hanno lasciati soli, soli con noi stessi.

Tutto quello che gli uomini dovrebbero fare è perdonare la notte. Dalla loro nascita essi hanno imparato a temere la notte, la notte tanto bella e dolce, nella quale però le ombre delle loro confuse e inquietanti menti si nascondevano e si nutrivano. Ed essi, anche quando hanno imparato a nascondere a loro stessi la paura, non hanno mai perdonato la notte: questo rancore è il peso che li ancora alle loro meschine vite, questa paura, ogni paura, è il nucleo più profondo di quella bestiale umanità, quella patetica condizione in cui tutti sono immersi, e che fa sì che si aggrappino a una falsa razionalità per sopravvivere alle loro sudicie esistenze, e che annacquino la loro mente con droghe spirituali e religiose.

La società nevrotica corre scompostamente in un deserto infinito e orribile, accecata dall'abbagliante sole delle bugie mediatiche e dell'autocompiacimento dissimulato. Quanto tempo passerà ancora, prima che cada nel baratro?

La rosa ipnotica durerà per sempre.

   
 
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