Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Clira    27/11/2014    1 recensioni
DAL CAPITOLO 11:
«Hai capito bene, Chelsea. Io… io non lo so. Viviamo sotto lo stesso tetto da tre settimane ormai, ancora un’altra e poi torneremo alle nostre vecchie vite e forse ci lasceremo alle spalle queste assurde vacanze, ma io ricorderò. Io ricorderò ogni singolo istante quando ci incontreremo nei corridoi, in atrio o alla mensa. Ricorderò la tua voce, la musica e la paura. Ricorderò com’è restare senza fiato. Ricorderò il tuo aspetto appena ti svegli la mattina e i tuoi pigiami improponibili. Ricorderò l’odore della tua pelle dopo una doccia e la luce nei tuoi occhi. Ricorderò la ruga che ti si forma sulla fronte mentre ti concentri su qualcosa e il modo buffo che hai di toglierti i capelli dalla faccia soffiandoci sopra. E per me sarà impossibile dimenticare queste settimane. Ma se tu lo vuoi, io farò finta di dimenticare».
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Uploaded with ImageShack.us
Epilogo  






EPILOGO:

 

«Chelsea, tesoro! Sei pronta?».

Sentii la voce di Chris provenire dal piano inferiore, così terminai di mettere il mascara e risposi: «Arrivo, ho quasi finito! Hai caricato la macchina?».

«La macchina è pronta e sono pronti anche Danielle e Buster. Forza, abbiamo un viaggio di quattro ore che ci aspetta!».

Frettolosamente, terminai l’operazione trucco e afferrai la piccola borsa nera poggiata sul letto, dopodiché scesi le scale fino ad arrivare all’ingresso, in cui Chris mi attendeva con la nostra bambina tra le braccia.

«Te l’ho mai detto quanto mi fai impazzire quando indossi abiti rossi?» mi disse il ragazzo.

Riuscivo perfettamente a capire dalla luce che aveva negli occhi quanto in quel momento avesse voglia di lasciare nostra figlia nel girello, stracciarmi il vestito e portarmi al piano di sopra, ma proprio non poteva farlo. Eravamo appena in tempo per la tabella di marcia.

«Muoviti, altrimenti arriveremo in ritardo. Sai quanto mia madre si irrita quando cucina e il cibo si fredda se qualcuno fa tardi».

«Ma tu sei sexy» protestò lui.

«Vuoi vedertela con le ire di mia madre?».

«Mmm… no».

«Esatto. Su, andiamo».

Detto questo uscimmo di casa e una volta nel vialetto incontrammo Ryan e Gale che si preparavano per andare a fare una passeggiata con il piccolo Nicholas, prima di recarsi al pranzo di Natale a casa dei genitori di Gale, al quale erano invitati anche  il signor Kenyon e Ben.

«Ehi, ragazzi! Buon Natale!» ci salutò Ryan, agitando un braccio sopra la testa.

«Buon Natale a voi!» ricambiai attraversando la strada per abbracciare i miei amici.

«In partenza per Phoenix?» chiese Gale, sorridendo e tenendo ben salda l’impugnatura del passeggino di Nicholas.

«Già. Di preciso i tuoi genitori dove stanno adesso, Gale?».

«Si sono trasferiti dall’Alabama a Los Angeles. Da quando è nato Nicholas, sai com’è… sono del tutto impazziti per il nipotino e non potevano stargli lontano».

«Oh, ti capisco benissimo. Anche i miei hanno attraversato una fase simile dopo la nascita di Danielle. Adesso però dobbiamo andare ragazzi, altrimenti faremo tardi».

«Certo, vi lasciamo. Buone feste!».

«Anche a voi!»

Ecco, adesso eravamo sicuramente in ritardo.

Grazie al cielo in autostrada non trovammo traffico dato che i giorni critici per gli spostamenti erano già passati. Il venticinque dicembre ormai tutti erano arrivati a destinazione, perciò Chris poté  guadagnare del tempo e alla fine riuscimmo a giungere giusto in tempo a casa dei miei genitori.

Non scaricammo la macchina dal momento che poi saremmo rimasti a dormire dai genitori di lui, ma pranzi e cene si sarebbero tenuti a casa di mamma e papà, per ovvi motivi dato che mamma non avrebbe mai lasciato che un pranzo importante si tenesse al di fuori della sua casa.

Quell’anno ci sarebbe stata anche mia sorella. Avevo saputo che si era lasciata con Jared, stavolta definitivamente, così sarebbe rimasta con noi. C’era qualcosa di diverso in Shereen, era cambiata, e lo aveva fatto in meglio.

Era più dolce, più comprensiva, più… umana. Aveva abbandonato il suo modo di fare altezzoso ed ora potevo dire di avere davvero una sorella che potesse essere definita tale. Mi telefonava spesso, non aveva rancori nei confronti miei o di Chris e soprattutto amava incondizionatamente Danielle.

Quando suonammo, Chris teneva il passeggino con nostra figlia e il guinzaglio di Buster, mentre io portavo le borse con i regali.

Venne ad aprirci mia madre, raggiante, e subito ci invitò ad entrare.

E io che pensavo di essere in ritardo, per fortuna erano solo arrivati i miei zii, quell’anno da soli perché la figlia maggiore, già madre del piccolo Chuck, ora aspettava un altro bambino, mentre il minore si era appena sposato ed ora era in luna di miele in Europa.

Mio zio mi abbracciò felice e strinse la mano di Chris, che ormai sembrava aver accettato nonostante la diffidenza iniziale.

Papà invece arrivò dalla cucina poco dopo e, dopo averci salutato, prese in braccio una Danielle scalpitante che continuava a lanciare urletti contenti.

Quella bambina era una vera gioia. Il giorno dopo avrebbe compiuto otto mesi ed io mi sorpresi a pensare quanto velocemente fosse passato il tempo. Il giorno prima la vedevo chiusa in un’incubatrice, mentre il giorno dopo aveva ormai quasi un anno.

Mi sarebbe scivolata via dalle mani prima di quanto potessi mai rendermene conto.

Danielle passò dalle braccia di mio padre a quelle di mia madre, per poi andare ai miei zii. Tutti la coccolavano come una principessa.

Qualche minuto dopo arrivò Shereen, splendida come sempre in un abito blu scuro, scendendo le scale che portavano al piano di sopra e venne subito ad abbracciare prima me e poi Chris.

«Vi trovo bene, ragazzi» disse con un sorriso sincero.

Inizialmente avevo creduto che quel suo cambio d’atteggiamento fosse tutta una farsa, ma poi mi diedi dell’idiota e mi sentii cattiva ad essere tanto restia nel credere al vero cambiamento di mia sorella.

Forse era stato per l’estate precedente, per le svariate volte in cui avevo rischiato di morire. Forse aveva capito che il legame che univa me e Chris era unico e imprescindibile, che ci amavamo senza riserve e incondizionatamente. Forse era stato il fatto di avermi quasi persa nuovamente alla nascita di Danielle, o magari l’arrivo stesso di mia figlia, ma ciò che davvero m’importava era che adesso avevo davvero una sorella.

Dopo aver chiacchierato con noi per qualche minuto, si avvicinò a mia zia, che stava tenendo Danielle in braccio e la prese un po’, dandole un bacio delicato sulla guancia chiara e liscia. La pelle di quella bambina era incredibile: era così bianca e morbida che sembrava una bambola di porcellana.

Poi Shereen le strofinò velocemente il naso contro il viso, facendole il solletico e la piccola iniziò a ridere come una matta.

Chiesi a mia madre se avesse bisogno di una mano mentre gli altri si accomodavano nel salotto, così io la seguii in cucina mentre tutti erano troppo impegnati a spupazzarsi mia figlia.

«Ti vedo radiosa, amore mio».

«Lo sono, mamma. Non sono mai stata così felice in tutta la mia vita».

«E tu non hai neanche la vaga idea di quanto queste parole rendano felice me. Hai avuto due anni davvero duri e… poterti guardare adesso così… appagata, realizzata e soprattutto amata, mi riempie il cuore di gioia».

«Amata… lo sono veramente. Chris mi ama più di qualunque cosa al mondo e Danielle si illumina ogni volta che mi vede e che vede lui. Credevo che non avrei mai potuto provare così tanto amore in una vita sola».

Mia madre sorrise, posandomi una mano sulla guancia, poi iniziammo a portare in tavola aperitivi e quant’altro.

Dopo un po’ sentimmo di nuovo il campanello suonare, stavolta doveva per forza essere la famiglia Williams. Mio padre andò ad aprire e infatti udii le voci familiari dei genitori di Chris e dei suoi fratelli provenire dall’ingresso.

Sentii il trambusto iniziale e i movimenti per spostarsi fino alla sala da pranzo. Lì aumentarono le esclamazioni festose, probabilmente a causa di Danielle e infatti dopo qualche istante udii diverse voci esclamare il suo nome.

Mi figlia stava venendo su un po’ troppo viziata e coccolata, ma che giudizi potevo dare proprio io che ero la prima a tenermela stretta e baciarla ad ogni occasione? Poi ci riflettei… ok, non proprio la prima; Chris era peggio di me: Danielle era davvero la sua principessa e lui non riusciva fisicamente a starle distante troppo a lungo, era più forte di lui, come se ne avvertisse il bisogno.

«Vai di là a salutare la famiglia di Chris, tesoro, qui ci penso io, arrivo tra un minuto».

Avevo notato come da qualche mese anche mia madre avesse iniziato a chiamarlo Chris e non più Christian.

Così mi avviai in salotto muovendomi agilmente nonostante le scarpe che indossavo. Erano un paio di decolté nere, scamosciate con dodici centimetri di tacco a spillo e il plateau per sostenere la parte davanti. Avevano un cinturino sottile che allacciava la caviglia e la fibbia dorata.

L’abito invece era rosso, in tipico stile natalizio, aderente, fasciava perfettamente le mie forme e arrivava poco sopra il ginocchio.

«Chelsea!» esclamò Jenna correndomi incontro. Fu la prima ad accorgersi di me e mi abbracciò con impeto.

«Jenna… che bello rivederti» la strinsi forte.

La ragazza mi era mancata veramente molto.

«Sorella… si può sapere come puoi avere un fisico così dopo aver partorito?» mi chiese lei, con un’occhiata che sondò il mio corpo dall’alto in basso.

I genitori di Chris vennero ad abbracciarmi subito dopo, mentre Danielle li guardava contenta, ancora tra le braccia di mia sorella e, un attimo dopo, fu subito presa da nonna Constance. Dopo un momento arrivò la piccola Holly, che mi abbracciò forte e io la sollevai tra le braccia, dandole un bacio sulla guancia morbida.

Pete e Adam furono gli ultimi che salutai; Megan e Jethro non erano riusciti a venire perché la piccola Sarah aveva l’influenza  e non se l’erano sentita di spostarla.

«Chelsea… che bello rivederti… » disse Adam, abbracciandomi forte.

«Già, sono contenta anch’io. Come stai?».

«Me la passo bene, sì, non c’è male. Inutile chiederlo a te perché… beh, sei bellissima e il tuo sorriso dice tutto».

«Non è che ci stai provando con lei, vero? Perché sarai anche mio fratello, ma questo non mi impedirebbe di spezzarti le braccia» disse Chris, arrivando e cingendomi la vita con le braccia.

Quando eravamo tutti insieme, queste scene erano all’ordine del giorno.

Adam sorrise.

«Sto al mio posto, fratellino, sta’ tranquillo».

Dopo un po’, Danielle cominciò a lamentarsi, segno che aveva fame, così la presi dalle braccia del nonno paterno per portarla su in quella che per tanti anni era stata la mia camera da letto.

Era ancora piccola per svezzarla, ma avrei cominciato a provarci tra l’ottavo e il nono mese.

Guardai la mia bambina cercando di trasmetterle tutto l’amore possibile e lei mi sorrise, osservandomi con quei suoi occhioni azzurri e gioiosi.

Dopo un po’, Chris portò su il passeggino e la prese in braccio, camminando avanti e indietro per la stanza per cercare di farla addormentare.

Nel frattempo io tornai al piano inferiore e mi unii agli altri per mangiare, che ormai avevano cominciato.

«Si è addormentata?» chiese mia madre, seduta qualche posto alla mia destra.

«Ci sta pensando Chris» risposi sorridendo.

Dopo un paio di minuti, il ragazzo ci raggiunse.

«Possiamo stare tranquilli per le prossime due ore» disse prendendo posto al mio fianco e stringendomi leggermente una mano.

Il pranzo trascorse tra chiacchiere e risate, era da tempo che non mi sentivo così felice e completa, ma sentivo ancora come se mancasse qualcosa, un altro minuscolo dettaglio.

Lanciai un’occhiata alla mia sinistra e capii: lì c’era il pianoforte su cui mi ero esercitata per interi anni della mia vita, quello strumento aveva un gran valore per me.

Tra i discorsi che ognuno stava portando avanti in piccoli gruppi mi alzai. Chris stava parlando con Adam e Jenna, Holly chiacchierava con Pete e Shereen, mentre i miei genitori parlavano con quelli di Chris e con gli zii.

Nessuno mi prestò particolare attenzione ed io presi posto allo sgabello squadrato del pianoforte e alzai il ripiano che copriva i tasti.

Fu come tornare indietro nel tempo e in un istante rividi ogni momento: il giorno in cui mio nonno mi fece sedere sulle sue ginocchia mentre lui, con l’infinita pazienza che ci vuole per spiegare la musica ad una bambina di cinque anni, mi indirizzava verso quel mondo magico e meraviglioso.

Rividi i pomeriggi passati  china su quei tasti suonando dolci melodie di grandi compositori passati. Rividi il mio primo saggio e nonno Daniel che si alzava in piedi una volta finito il mio pezzo per applaudire prima ancora dei miei genitori, dicendo a persone estranee sedute vicino a lui che quella “bambina prodigio”, come amava definirmi, era sua nipote.

Ogni singolo momento fu come riviverlo in quell’esatto istante ed io fui presa da un’improvvisa ispirazione.

Pensai a mia figlia. Pensai a ciò che provavo guardandola e tenendola tra le braccia. Pensai alle emozioni che ogni suo sorriso e risata mi donavano.

 Pensai a quanto l’amavo.

Le mie dita cominciarono a muoversi veloci sui tasti. Quei tasti bianchi e neri e non potei non pensare ad una citazione  tratta da uno dei miei film preferiti: “La leggenda del pianista sull’oceano”.

Ora tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano, i tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti loro, sei tu che sei infinto... e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita. Questo a me piace, in questo posso vivere”.

E io ci avevo vissuto. Ci avevo vissuto con tutta la mia anima, per anni la musica era stata la mia massima espressione e questo io lo dovevo a mio nonno.

Il suo volto gioviale mi passò davanti agli occhi; i suoi baci, le sue carezze, le sue grandi mani esperte che insegnavano alle mie, più imprecise e meno sicure, l’arte della musica.

Mi sentii annullata, quella melodia ben presto divenne una preghiera straziante, ma al contempo piena di vita, fino ad innalzarsi al cielo, alle nuvole, alle stelle.

Fu un messaggio. Un messaggio che speravo nonno Daniel avrebbe recepito, capendo che io non lo avevo abbandonato. Che non lo avevo mai dimenticato e mai lo avrei fatto. E mia figlia lo avrebbe conosciuto attraverso me e attraverso la musica e avrebbe saputo il perché del suo nome.

Daniel Richard McDiamond non sarebbe mai stato dimenticato. Quel nome avrebbe sempre avuto un’importanza fondamentale  nella mia storia e in quella della mia famiglia. Perché io avrei raccontato di lui e Danielle ne avrebbe parlato ai suoi figli con altrettanta passione.

Presa dai miei pensieri, non mi resi conto del silenzio che regnava tutto attorno a me. La stanza era ammutolita improvvisamente, ma io continuavo a suonare e suonare e suonare. Nient’altro importava.

Quelle note sgorgavano dal mio cuore come il sangue che viene pompato in tutto il resto del corpo e non mi fermai. Non mi fermai finché la mia energia non si esaurì. Era la mia prima composizione originale ed era come se fosse sempre stata impressa nella mia mente, aspettando pazientemente che si presentasse l’occasione di uscire con impeto, attraverso le mie dita.

Respirando piano, mi voltai lentamente verso il resto della sala, erano tutti in piedi.

Papà stringeva la mamma da dietro, cingendole la vita con le braccia mentre lei, ad occhi chiusi, se ne stava appoggiata contro il suo torace. I genitori di Chris mi guardavano, tenendosi per mano. Adam e Jenna erano l’uno vicino all’altra, gli sguardi attoniti, mentre Holly era tenuta per la mano sinistra da Pete e per la destra da Shereen. I miei zii mi osservavano ammutoliti, gli sguardi persi.

E poi c’era Chris. Chris che mi fissava con occhi pieni di amore e passione. Chris che mi stava dicendo in silenzio quanto mi amasse. Chris… felice come solo poche altre volte lo avevo visto nella mia vita. Chris che… venne verso di me, fino a trovarsi a pochi centimetri dal mio volto.

«Buster… » chiamò voltandosi verso il nostro cane che, placidamente, ci si avvicinò e Chris si chinò leggermente fino a sfilare qualcosa che sembrava legato sul suo collare.

Rimasi pietrificata quando capii che l’oggetto in questione era una piccola scatola di velluto blu scuro ed il ragazzo s’inginocchiò di fronte a me.

Il silenzio divenne ancora più totale.

«Chelsea… » iniziò con voce tremante, ed il mio cuore perse un battito. «Io ti amo. Amo te più di quanto abbia mai amato chiunque altro su questa Terra e in questa vita. Tu sei la mia roccia, la mia confidente e la mia migliore amica. La mia amante e la mia amata. E ora che con noi c’è Danielle non c’è altro che io possa volere, perché tu mi hai già donato tutto. Solo una cosa, Chelsea. Solo l’ultima cosa: diventa mia moglie. Diventa mia moglie e passa il resto della tua vita al mio fianco».

Non riuscivo più a capire niente. Chris era lì di fronte a me, con la scatoletta blu aperta davanti ai miei occhi a rivelare un meraviglioso anello di fidanzamento, esattamente uguale ad uno che avevo visto da piccola insieme a mia madre e mia sorella. Da quel momento avevo sempre pensato che, semmai mi fossi sposata, avrei voluto proprio quell’anello. E Chris ora lo teneva tra le mani, esattamente come il suo cuore, che in quel momento mi stava offrendo.

Mi portai le mani alla bocca, gli occhi lucidi per la commozione. Non me lo aspettavo davvero.

Emozionata, feci solo cenno affermativo con la testa, incapace di parlare, e Chris mi prese la mano sinistra per infilare l’anello al mio anulare.

Un momento dopo si alzò di nuovo in piedi e mi strinse a sé, baciandomi, incurante del fatto che le nostre famiglie al completo ci stessero osservando.

In quel momento la tensione attorno a noi si sciolse e tutti si aprirono chi in applausi e chi in esclamazioni festose.

Restai stretta al mio fidanzato per minuti interi, con le braccia allacciate al suo collo e la testa nascosta nell’incavo della sua spalla, mentre lui mi accarezzava schiena e capelli, sussurrandomi quanto mi amasse.

Ci fu il momento delle congratulazioni generali e per almeno dieci minuti io capii poco di ciò che stava succedendo intorno a me. I miei genitori e i miei zii mi abbracciarono forte, poi fu la volta di Jenna, che mi strinse con una forza di cui non l’avrei creduta capace e dopo vennero i genitori di Chris, Shereen, Pete e Holly e infine Adam.

Lo strano sguardo negli occhi di quest’ultimo mi colpì. Sembrava così felice, ma mi parve di scorgere anche un velo di malinconia in lui.

«Ora sarai finalmente mia sorella a tutti gli effetti… » disse abbracciandomi.

 Annuii e un momento dopo fui risucchiata di nuovo in un vortice che non lasciava scampo.

Quando la situazione si fu acquietata, tornammo tutti a sederci, Chris mi fece accomodare sulle sue gambe, prendendo posto sul divano.

«Tesoro… » cominciò mia madre «… quel brano… quello che hai suonato… cos’era? Non lo avevo mai sentito prima».

«Neanch’io» risposi, spiazzando tutti. «Io… ho pensato a Danielle e poi al nonno e… la musica è arrivata. La musica mi è arrivata da dentro e mi ha guidata».

«Stai dicendo che l’hai composta sul momento?» prese parola zio Andrew.

«Perché tutti così sorpresi? Io ho sempre pensato che mia sorella fosse un genio… anche se non l’ho mai detto» quelle parole, a sorpresa, vennero da Shereen e tutti la guardammo. Lei, semplicemente, si limitò a fare spallucce. «Non chiedetemi di ripeterlo perché non lo farò», aggiunse poi, facendoci ridere tutti.

Un momento dopo osservai l’anello attorno al mio dito e guardai Chris.

«Chris come facevi… come potevi sapere che ho sempre desiderato un anello proprio come questo?».

Il ragazzo sorrise. «Ho avuto un piccolo aiuto» disse guardando poi in direzione di mia sorella e tutti passammo lo sguardo dall’uno all’altra, stupiti.

«Sarai anche un genio, sorellina, ma lo sono anch’io. E in più ho anche una memoria fotografica, nonostante ne sia passato di tempo da quel giorno nella gioielleria in centro».

Senza nemmeno pensarci, mi alzai dalle ginocchia di Chris e di slancio abbracciai mia sorella.

In un primo momento lei restò rigida, non se lo aspettava, poi ricambiò il gesto.

«Grazie» sussurrai.

«Ne hai passate tante a causa mia… mi sembra sia giunto il momento di cominciare a rimediare» rispose in modo che solo io potessi sentire.

 Stavo per riprendere posto sulle gambe del mio futuro marito quando udimmo il pianto di Danielle provenire dal piano superiore, così mi avviai lungo le scale.

La piccola si stava agitando tutta, ma non appena mi vide parve calmarsi.

«Ehi, amore mio… tranquilla, la mamma è qui» dissi prendendola tra le braccia e cullandola per calmarla. «La mia bambina dolce… » sussurrai dandole un bacio sulla fronte.

Danielle si acquietò subito, poi tornai giù con lei.

Chris venne immediatamente verso di noi, facendo una lieve carezza sul viso di nostra figlia, bianco e liscio come il marmo.

Sapevo che tutti scalpitavano per tenerla un po’ tra le braccia, ma prima me la strinsi al cuore per qualche minuto, guardandola negli occhi, poi la deposi delicatamente tra le braccia dello zio Adam, che la cullò osservandola pieno d’amore.

Era anche merito suo se oggi mia figlia era lì. Se non fosse stato per il suo tempestivo intervento, l’anno prima, a quest’ora avrei potuto perderla.

Le ore trascorsero velocemente, aprimmo i regali e poi ci salutammo, riprendendo ognuno la strada di casa.

Io, Chris e Danielle saremmo rimasti fino al giorno di capodanno, poi saremmo ripartiti per tornare a Santa Barbara.

Quella sera nessuno mangiò, eravamo ancora troppo pieni a causa del pranzo, così restammo a chiacchierare tutti insieme nel salotto di casa Williams, mentre una placida Danielle se ne stava tranquilla tra le braccia del padre, giocherellando con i bottoni della sua camicia e lui la riempiva di baci e coccole.

A mezzanotte nutrii nuovamente la bambina, poi ce ne andammo tutti a letto. Constance mi aveva rimediato una culla di quando i suoi figli erano piccoli e per quei pochi giorni sarebbe andata bene.

«Adesso te lo posso togliere il vestito?» sussurrò Chris al mio orecchio, quando la casa divenne silenziosa e nostra figlia si fu addormentata.

«Chris, Danielle dorme a mezzo metro da noi!» lo ripresi, anche se la scia di baci bollenti che il ragazzo aveva iniziato a lasciarmi lungo il collo fece vacillare la mia volontà non poi così ferrea.

«Ha preso il sonno pesante da me, sotto questo punto di vista non è così simile a sua madre come nell’aspetto fisico» disse baciandomi la clavicola e cominciando a tirare giù la zip del mio abito.

Se c’era una cosa a cui non riuscivo a resistere oltre agli occhioni dolci della mia bambina, quelli erano proprio i baci di Chris e non riuscii a trattenermi dall’affondare le mani tra i suoi capelli, attrarlo a me e baciarlo con impeto.

Lui emise un basso gemito dal fondo della gola e lasciò scivolare il  vestito lungo il mio corpo, che ben presto si trovò schiacciato tra lui e il muro, coperto solo dalla lingerie in pizzo nero che indossavo.

Il ragazzo mi osservò, bramoso.

«Chelsea, non puoi indossare questo genere di cose e dirmi di no» disse contro le mie labbra.

Dopo un attimo, le sue mani corsero lungo i miei fianchi nudi ed io gli sbottonai velocemente la camicia bianca, sfilandola dalle sue braccia muscolose.

In un minuto eravamo già sotto le coperte, completamente senza vestiti e cercando di fare meno rumore possibile dal momento in cui Danielle dormiva a pochi passi da noi.

Le labbra di Chris scesero lungo il mio collo, continuando verso il petto e allora gli presi il volto tra le mani, trascinandolo nuovamente sulla mia bocca.

«Chris… lo so che lo vuoi, ma non possiamo farlo mentre Danielle è qui accanto e per di più nella casa dei tuoi genitori. Quando torneremo a Santa Barbara la piccola dormirà nella sua camera e noi avremo i nostri spazi».

Lo sentii sbuffare insoddisfatto e potei immaginare benissimo  l’espressione del suo viso, anche se era completamente buio.

«Dannazione… » sussurrò ed io ridacchiai.

Certo che stare nudi sotto le lenzuola e non potersi toccare, almeno non nel senso in cui avrei voluto in quel momento, era davvero frustrante.

Prima di stringermi a lui, m’infilai una camicia da notte. Il contatto pelle contro pelle sarebbe stato troppo per entrambi.

Restammo abbracciati in silenzio, finché non presi parola.

«Chris?» bisbigliai piano.

«Sì?».

«Te lo ricordi l’anno scorso? Io ero incinta e ancora tu non ne sapevi nulla».

«Lo ricordo bene quel Natale. Ho preferito questo mille volte di più. Quel giorno ero così… abbattuto, triste e arrabbiato insieme. E geloso».

«Geloso?» chiesi sorpresa.

«Sì. Di Adam. So che vi volete bene e adesso so che la cosa si ferma lì, ma c’è stato davvero un periodo in cui pensavo che tra voi due ci fosse qualcosa di più».

Alzai un braccio fino al suo viso e lo accarezzai lievemente.

«Io amo te. Ho sempre amato solo te. È vero, voglio bene a tuo fratello… è un po’ come se fosse anche il mio».

«Presto lo sarà».

Disse scendendo a prendere la mia mano sinistra e sfiorando l’anello che portavo al dito.

Avvicinai il mio volto al suo e lo baciai.

«Avevi messo l’anello addosso a Buster… » dissi divertita.

«Volevo renderlo partecipe. Temevo che altrimenti potesse sentirsi escluso, sai com’è… è un po’ permaloso. E poi… fa parte della famiglia anche lui, no?».

«Assolutamente» risposi con un sorriso.

Passò qualche altro minuto nel silenzio più totale, si sentiva solo in lontananza il lieve russare del signor Williams, poi stavolta fu Chris a parlare.

«Oggi hai suonato. Hai suonato di nuovo, Chelsea. Io… non ti avevo mai sentita suonare così. Era dal giorno… ».

«Era dal giorno della sepoltura del nonno che non aprivo un pianoforte. Sì».

«Come mai oggi?».

«Non lo so. Forse per compensare il dolore di quel giorno, doveva esserci una gioia altrettanto grande».

Lui mi strinse più forte.

«Allora dovevi sentirti veramente disperata perché quella musica… Dio mio, Chelsea, non avevo mai sentito nulla di più meraviglioso».

«Ero disperata. Non avevo mai sentito una disperazione tanto grande nella mia vita».

«Avrei voluto starti più vicino, quel giorno».

«Lo so».

La quiete tornò nella stanza e questa volta rimase tale.

 

I giorni passarono velocemente, arrivò l’ultimo dell’anno, in cui ci ritrovammo tutti insieme, stavolta anche Megan e la sua famiglia. Così, conobbi di persona la piccola Sarah. Era una vera meraviglia con quegli occhioni azzurri del padre e i capelli biondi della madre.

Io, Chris, Danielle e Buster ripartimmo il giorno dopo capodanno, con i mille pensieri per organizzare il matrimonio.

Avremmo dovuto dirlo a Ryan e Gale e poi… beh, c’erano da decidere un mucchio di cose, ma io ero felice. Non ero mai stata tanto felice in tutta la mia vita.

 

I mesi trascorsero così velocemente che solo mia figlia, che cresceva a vista d’occhio, riusciva a ricordarmelo.

I preparativi per le nozze mi avevano completamente risucchiata e tra location, fiori, catering e ricerca dell’abito, non avevo mai un attimo di tregua.

Appena dopo il suo compleanno, Danielle mosse i suoi primi passi, mentre io ero seduta al tavolo in salotto a sfogliare riviste su riviste con Gale che teneva in braccio il piccolo Nicholas e, quando mi resi conto che si era alzata in piedi da sola, strillai i nomi di Chris e Ryan, nell’altra stanza, che accorsero preoccupati.

Restammo tutti a fissarla col fiato sospeso, vedendola avanzare in modo buffo,  barcollando fino a che non si fermò vicino al divano e si sedette di nuovo a terra, ancora traballante.

Chris la alzò tra le braccia sorridendo, riempiendola di baci.

«La mia bambina… » disse con occhi accesi di gioia e orgoglio.

Passò di volata anche il mio compleanno e, in men che non si dica, arrivò il trenta giugno, giorno delle nozze.

Le  nostre famiglie erano arrivate da Phoenix il giorno prima e, in un modo o nell’altro, eravamo riusciti a sistemarci tutti, anche se i miei e Shereen erano andati a stare a casa di Ryan e Gale. Jenna non ne volle sapere e, la notte prima del gran giorno, spedì da loro anche Chris, che fece il cambio con mia sorella, che venne da me senza mollare mia figlia neanche per un momento.

Mi sorprendevo ogni volta nel constatare l’amore che Shereen provava nei confronti di Danielle, ma era sincero, lo capivo dalla luce nei suoi occhi.

La mattina delle nozze ero così agitata che nemmeno i dolci sorrisi della mia bambina riuscivano a calmarmi. Volevo solo Chris al mio fianco, ma non avrei potuto vederlo fino al momento in cui ci saremmo incontrati sull’altare.

Feci una doccia rilassante e poi mia sorella, Megan, Jenna e Gale si occuparono di trucco e capelli e fu per miracolo che riuscii a resistere fino alla fine del trattamento. Avrei voluto schizzare dall’altra parte della strada, irrompere in casa di Ryan e Gale e nascondermi tra le braccia del mio futuro marito, prendere mia figlia e scappare a Las Vegas per sposarci lì lontano da tutto e tutti, ma non potevo certo farlo.

La fase successiva sarebbe stato il vestito. L’abito era semplice, fin da piccola lo avevo sempre immaginato così, non volevo nulla di troppo elaborato. Aveva due spalline strette all’attaccatura del tessuto che copriva il seno che si allargavano di qualche centimetro sulle spalle, il corpetto leggermente a pieghe e si stringeva in vita, mentre la gonna ricadeva morbida. Nulla di ampio, niente strascico e niente velo.

I capelli erano stati acconciati in boccoli morbidi, con qualche piccolo fermaglio bianco di qua e di là, a trattenere delle ciocche, ma comunque ricadevano lucenti sulla schiena.

Sulle palpebre, Jenna aveva steso un ombretto rosa, accentuando l’effetto e il colore con una matita verde sotto gli occhi, il mascara nero e il rossetto poi erano immancabili.

«Tesoro, sei un incanto… » disse mia madre non appena mi vide.

Sorrisi tesa e lei venne ad abbracciarmi. Nella stanza in quel momento c’eravamo solo io e lei.

Papà doveva essere di sotto, Gale era tornata da Ryan, così come i genitori di Chris, per controllare lo stato del figlio e le ragazze che fino a prima si erano occupate di me, adesso erano uscite dalla mia camera da letto.

«Sono così nervosa… ».

«Lo so, Chelsea ed è giusto che tu lo sia».

«E se inciampo?» chiesi preoccupata.

Mia madre rise leggermente.

«Tuo padre non lo permetterà. Ora su, tesoro, dobbiamo cominciare ad avviarci» e detto questo, mi posò un lieve baciò sulla guancia e mi offrì il braccio per camminare al suo fianco.

Lo afferrai e, muovendomi a piccoli passi, scesi le scale che portavano all’ingresso, dove tutti ci stavano aspettando.

Mio padre, vicino alla porta, stava parlando con Adam, quando improvvisamente si bloccò vedendomi.

«Oh, santo cielo… » sussurrò.

Non appena anche Adam mi scorse, per un momento restò a fissarmi a bocca aperta.

«Chelsea sei… stupenda» prese parola papà.

Io mi limitai a rivolgere un sorriso sia a lui che a Adam, che sembrava non fosse ancora riuscito a recuperare l’uso della parola.

Mi voltai verso mia sorella, che teneva in braccio Danielle e protesi le braccia verso di lei.

«Ti prego, fammi tenere un po’ mia figlia. In questo momento è la  sola che sia in grado di calmarmi».

Sorridendo, Shereen mi porse la bambina ed io la presi con delicatezza, stringendomela al cuore.

«Ciao, amore mio… » sussurrai, posandole un bacio sui radi capelli ramati e soffici come una nuvola.

Restai un po’ così ferma, inspirando il suo profumo, fino a che mia madre suggerì di avviarci alla macchina, ormai era quasi ora.

Il breve tragitto da casa mia alla chiesa mi parve mostruosamente lungo, ero certa che sarei impazzita se non fossimo arrivati presto.

Danielle se ne stava quieta tra le mie braccia, giocherellando con il ciondolo della mia collana ed emettendo di tanto in tanto gridolini contenti. Per l’occasione indossava un vestito azzurro pastello che metteva in risalto i suoi occhioni chiari.

Una volta giunti a destinazione, finalmente, scesi dall’auto e misi la mia bambina tra le braccia della nonna, mentre tutti gli altri, a parte mio padre, entravano in chiesa per raggiungere gli altri invitati.

L’uomo si mise di fronte a me e mi prese per le spalle.

«Sei pronta, tesoro?».

«Sono pronta».

«Bene. Andiamo allora».

«Solo… non farmi cadere, ok papà?» lui sorrise divertito ed io vidi una luce gioiosa e malinconica al contempo in quei suoi occhi chiari. Chiari come i miei. Chiari come quelli di Danielle. Lei aveva i suoi occhi.

Ci incamminammo verso l’ingresso della chiesa e, quando la marcia nuziale cominciò, attendemmo che prima entrasse la piccola Holly, che con un cestino in vimini,  sparse petali di rosa per tutta la navata, arrivando fino all’altare e prendendo posto poi vicino ai genitori. Dopo di lei entrarono le mie tre damigelle: Jenna, Gale e Shereen, nei loro abiti color lavanda.

“Respira, Chelsea… respira” continuavo a ripetermi ad occhi chiusi.

«Tesoro… è il momento» la voce di mio padre mi riportò alla realtà.

Riaprii gli occhi di scatto e mi strinsi maggiormente al suo braccio.

Non appena voltato l’angolo, mi ritrovai di fronte tutti gli invitati e per un attimo m’irrigidii. Poi lo vidi.

Vidi Chris, lì, a diversi metri da me, con un sorriso estasiato sulle labbra e tutte le mie preoccupazioni improvvisamente sparirono. Si volatilizzarono come se non fossero mai esistite ed io sorrisi di rimando.

Stretta a mio padre, attraversai la navata senza accorgermi del fatto che tutti gli invitati si fossero alzati e mi stessero guardando con aria incantata. L’unica cosa di cui riuscii a rendermi conto erano gli occhi azzurri di Chris e il suo sorriso meraviglioso che in quel momento mi stava dicendo quanto mi amasse e quanto a lungo avesse aspettato quel momento.

Radiosa, raggiunsi finalmente il mio sposo, posizionandomi al suo fianco, senza nemmeno accorgermi delle espressioni di Ryan, Adam e Pete alle sue spalle: i suoi testimoni.

La cerimonia proseguì senza intoppi e quando il prete disse: «Ora può baciare la sposa», Chris mi strinse a sé con impeto e tutta la chiesa si lasciò andare in applausi e congratulazioni.

La giornata fu indimenticabile. Dopo la cerimonia ci spostammo al ristorante e lì fu una risata dietro l’altra fra cibo, danze e discorsi dei testimoni.

A sera tornammo a casa distrutti, le nostre famiglie sarebbero ripartite il giorno seguente e poi noi saremmo andati in luna di miele in Australia, per due settimane.

Sarebbe stata una vacanza straordinaria, Danielle naturalmente sarebbe venuta con noi, mentre avremo lasciato Buster alle cure di Gale e Ryan.

 

«Amore!».

Chris si sbracciava per salutare me e Danielle, mentre noi lo guardavamo dalla spiaggia bianca. Mio marito nuotava come un delfino nell’Oceano Indiano, a Broome, in Australia.

La nostra luna di miele, purtroppo stava per giungere al termine. Erano state due settimane incredibili. Ogni posto che avevamo visto era magnifico e mai nella mia vita avrei potuto immaginare di visitare luoghi simili.

«Guarda, Danielle! Dì ciao a papà» dissi prendendo la sua piccola manina bianca e muovendola verso Chris in un cenno di saluto.

Il ragazzo nuotò verso la riva e uscì da quelle acque cristalline, venendo verso di me e prendendo in braccio nostra figlia.

Lei rise felice, era pazza di suo padre, proprio come lo ero io. Chris le dedicava tutte le attenzioni che ogni bambina potrebbe desiderare.

«Pa… pà!» esclamò la piccola, mentre mio marito la sommergeva di baci.

“Papà” era stata la sua prima parola, l’aveva detta appena pochi giorni prima e a Chris quasi era andato di traverso il cibo che stava mangiando.

«Brava, Danielle! Chi sono io?».

«Papà!» ripeté lei, ora con più sicurezza.

Sorridendo, ci avviammo tutti e tre verso il mare aperto. Chris cercava di insegnare a nuotare a nostra figlia, ma io protestavo: lei era ancora troppo piccola, avevo paura che bevesse o che andasse sott’acqua.

Mio marito continuava a dirmi che ero troppo apprensiva. Lui adorava nuotare, aveva imparato da piccolissimo ed era sempre stata una sua grande passione. Ricordai un discorso fatto con Jenna più di un anno prima, quando Traver aveva avuto un attacco cardiaco e lei mi confessò che Chris aveva avuto l’opportunità di frequentare il college grazie ad una borsa di studio per la squadra di nuoto, ma aveva rifiutato per mettersi a lavorare e contribuire a pagarle il college.

Solo ora che lo vedevo nuotare libero nell’Oceano riuscivo a capire appieno il suo talento, così come potevo capire la sua passione che voleva trasmettere a nostra figlia.

Così, rassegnata, mi fidai di lui, certa del fatto che non avrebbe mai messo in pericolo Danielle e lo lasciai fare. Io intanto nuotavo languida in quell’acqua così azzurra da sembrare quasi irreale, immergendomi e facendo vorticare i miei lunghi capelli attorno a me.

Solo dopo un po’ udii le parole che Chris stava rivolgendo a nostra figlia: «Guarda, Danielle… guarda la mamma. Guarda quanto è bella. Tu diventerai proprio come lei, amore mio».

Mi volta, sorridendo, e mi avvicinai a lui per baciarlo. Fu un bacio umido e salato a causa dell’acqua, ma fu meraviglioso come sempre. Quei gesti che scambiavo con Chris… avevano ogni volta qualcosa di nuovo e di elettrizzante.

Dopo un po’ tornammo sulla spiaggia e, mentre io ero sdraiata a pancia in giù a prendere il sole, continuavo ad osservare mio marito e nostra figlia mentre costruivano strani castelli di sabbia. Era una visione perfetta.

Tutto, in quel momento, fu perfetto.

 

«Mammina!».

La vocetta squillante di mia figlia mi distrasse dal libro che stavo leggendo.

«Cosa c’è, tesoro?».

«Sono le tre, devi aiutarmi!» continuò lei, ostinata.

Sorrisi.

Avrebbe potuto essere il giorno del giudizio, ma anche se lo fosse stato, mia figlia alle tre spaccate del pomeriggio, sarebbe venuta a reclamarmi per cominciare la nostra lezione di pianoforte.

Osservai la mia bambina: i capelli lisci e ramati scendevano quasi fino a metà della sua schiena esile, formando leggeri boccoli verso le punte, gli occhi di un azzurro brillante, sempre acceso, che mi ricordava ogni volta il mare della California che tanto amavo e che ormai solo in estate potevo vedere.

Ci eravamo trasferiti da Santa Barbara a New York quando Danielle aveva poco meno di due anni. Era stata una scelta sofferta, amavo la vecchia casa nella quale avevo vissuto per gli ultimi anni e in cui avevo trascorso ogni estate della mia vita insieme al nonno. Inoltre, adesso potevo vedere di rado Ryan e Gale e la cosa mi faceva stare male, ma Chris… beh, lui aveva fatto per me una cosa per cui lo avrei amato per il resto della vita.

Mio marito, infatti, mi aveva registrato a mia insaputa mentre suonavo il pezzo che avevo composto per Danielle un giorno che lo stavo suonando al pianoforte del salone, dopodiché aveva mandato il cd alla Julliard School, che proprio in quel periodo stava cercando un’insegnante di pianoforte dopo il pensionamento della precedente e loro mi avevano accettata. Erano rimasti a dir poco stupiti nel vedere quanto fossi giovane una volta che mi presentai per il colloquio. Inutile dire quanto fossi agitata quel giorno.

Ebbene, dopo una serie di colloqui e altri esami, mi avevano assunta, così ci eravamo trasferiti a New York tutti e cinque. Sei, contando Buster.

Eh sì, poco dopo il rientro dalla nostra luna di miele, avevo scoperto di essere di nuovo in dolce attesa e… beh, avevo avuto due gemelli, entrambi maschi: Devon e Stephen, che adesso avevano ormai due anni e mezzo.

A Chris era venuto un colpo quando glielo avevo detto, ma subito dopo mi aveva abbracciata forte, riempiendomi di baci.

Era stato iperprotettivo dall’inizio alla fine della gravidanza, temeva che potessi avere complicazioni com’era successo per Danielle, ma, con i gemelli, non ebbi nemmeno problemi di anemia come invece era successo per la nostra primogenita.

Quando i bambini erano nati era stata una gioia per tutti. Le nostre famiglie erano venute a trovarci, anche se non riuscimmo a sistemare tutti in casa nostra. D’altra parte… tra il mio lavoro alla Julliard, l’eredità del nonno, i soldi che sia io sia mio marito avevamo messo da parte e il nuovo impiego di Chris, i soldi certo non ci mancavano. Proprio riguardo mio marito, un college piuttosto prestigioso lo aveva chiamato come allenatore per la squadra di nuoto, quindi anche lui infine era riuscito a fare ciò che più amava.

Eravamo felici. Eravamo veramente felici e ogni estate tornavamo a Santa Barbara: luogo in cui tutto aveva avuto inizio e dal quale non sarei mai riuscita a separarmi totalmente.

Inoltre rivedere Ryan e Gale era sempre bellissimo. Nicholas ormai aveva cinque anni proprio come Danielle, anche se era più piccolo di qualche mese e poi c’era Sharon, la secondogenita, che i due avevano chiamato come la madre scomparsa di Ryan.

Nella mia vita nulla era andato come avevo progettato, ma la realtà che stavo vivendo andava oltre ogni mia più rosea aspettativa e, nonostante i miei ventisette anni, potevo tranquillamente dire di aver già ottenuto tutto dalla vita: un marito meraviglioso che mi amava più di chiunque altro al mondo, tre figli che adoravo e che mi adoravano, una bella casa e una carriera appagante che mi permetteva di fare ciò che amavo.

Ripensai a quanto disastrosamente fosse iniziata l’estate che, ormai diversi anni prima, aveva segnato per sempre la mia vita e a come tutto ciò si fosse evoluto. Mio Dio, chi mai avrebbe potuto dirlo?

Osservai mio marito giocare con i nostri figli per qualche istante, poi raggiunsi Danielle al pianoforte. Se mio nonno chiamava me bambina prodigio, non oso immaginare cosa avrebbe detto di lei. Mia figlia si era seduta sullo sgabello di quello strumento a tre anni e da allora non lo aveva più lasciato.

Io le avevo spiegato la teoria, ma nella pratica di certo non aveva bisogno di aiuti perché era semplicemente strepitosa. Adoravo sentirla suonare, vedere le sue piccole dita muoversi con una rapidità impossibile per una bambina di soli cinque anni, eppure era così.

Danielle aveva il dono della musica dentro di sé, lei la sentiva. La sentiva nascere dentro il suo cuore e crescere in ogni singolo suono nell’ambiente esterno. Ogni cosa per lei veniva trasformata in musica, dal campanello di casa, al fruscio delle pagine di uno dei suoi libri che tanto amava leggere,  al traffico cittadino di una New York che non dorme mai.

Accarezzai i capelli della mia bambina e l’ascoltai suonare, dandole qualche piccolo suggerimento di tanto in tanto.

Passò un’ora senza che lei s’interrompesse, poi staccò le mani dallo strumento e mi fissò intensamente con quei suoi occhi chiari e determinati.

«Mammina?».

«Sì, amore?».

«Promettimi che tu e papà sarete sempre felici e continuerete a volere bene a me, Devon e Steph».

Rimasi sorpresa da quelle parole e spalancai gli occhi.

«Ma certo, tesoro mio, perché dici questo?».

«Perché io vi voglio tanto bene».

Strinsi forte la mia dolce, meravigliosa bambina e le posai un bacio tra i capelli.

«Te lo prometto, piccola».

«Adesso suoni la mia canzone?».

Sorrisi alla sua richiesta e mi sistemai meglio sullo sgabello, mentre lei si spostava leggermente di lato.

Era da tempo che non suonavo quel brano, ma Danielle sapeva che fosse per lei, Chris le aveva raccontato tutto.

In realtà erano ben poche le cose che lui non le avesse detto; mio marito era completamente perso per nostra figlia, non riusciva a resistere ai suoi meravigliosi occhioni azzurri e alla sua vocina trillante e delicata come candidi petali di rosa.

Non c’era nulla che l’uomo non avrebbe fatto per lei.

Quando sentii dei passi alle mie spalle, capii che mio marito era arrivato insieme ai gemelli. Non poteva fare a meno di avvicinarsi quando suonavo quel brano; lo aveva completamente stregato.

Così suonai. Suonai e suonai ancora, mettendoci tutta me stessa.

La musica era arte. L’arte era bellezza. Ricordai una celebre frase tratta da uno dei miei libri preferiti: “L’Idiota” di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”.

Io non sapevo se la bellezza avrebbe mai salvato il mondo, ma di una cosa ero certa: la bellezza, intesa in quel senso, aveva sicuramente salvato la mia vita.

 

 

Note dell’Autrice:

Saaalve a tutti! Eh sì, infine è arrivato il momento dell’epilogo, in cui tutto è tornato al suo posto: un matrimonio felice, una famiglia felice e che si ama. Chris e Chelsea hanno finalmente avuto il loro lieto fine e ci mancava soltanto il classico “E vissero tutti felici e contenti”.

Ebbene, spero che la conclusione vi sia piaciuta, credetemi, è stata combattutissima, c’erano cinque diversi finali che ho preso in considerazione e ognuno avrebbe completamente stravolto la storia.

Mi auguro che comunque vi sia piaciuto e vorrei ringraziare ognuno di voi per aver accompagnato i due protagonisti nel loro viaggio, nonostante tutto e specialmente nonostante i miei continui ritardi nell’aggiornamento XD

Ad ogni modo, veramente… grazie di cuore a tutti per avermi seguita fin qui, sia da lettori silenziosi sia da recensori.

Chelsea e Chris vi salutano e vi ringraziano insieme  a me…

Buona serata a tutti!

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Clira