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EPILOGO:
«Chelsea, tesoro! Sei
pronta?».
Sentii la voce di
Chris provenire dal piano inferiore, così terminai di mettere il mascara e
risposi: «Arrivo, ho quasi finito! Hai caricato la macchina?».
«La macchina è pronta
e sono pronti anche Danielle e Buster. Forza, abbiamo un viaggio di quattro ore
che ci aspetta!».
Frettolosamente,
terminai l’operazione trucco e afferrai la piccola borsa nera poggiata sul
letto, dopodiché scesi le scale fino ad arrivare all’ingresso, in cui Chris mi
attendeva con la nostra bambina tra le braccia.
«Te l’ho mai detto
quanto mi fai impazzire quando indossi abiti rossi?» mi disse il ragazzo.
Riuscivo perfettamente
a capire dalla luce che aveva negli occhi quanto in quel momento avesse voglia
di lasciare nostra figlia nel girello, stracciarmi il vestito e portarmi al
piano di sopra, ma proprio non poteva farlo. Eravamo appena in tempo per la
tabella di marcia.
«Muoviti, altrimenti
arriveremo in ritardo. Sai quanto mia madre si irrita quando cucina e il cibo
si fredda se qualcuno fa tardi».
«Ma tu sei sexy»
protestò lui.
«Vuoi vedertela con
le ire di mia madre?».
«Mmm… no».
«Esatto. Su,
andiamo».
Detto questo uscimmo
di casa e una volta nel vialetto incontrammo Ryan e Gale che si preparavano per
andare a fare una passeggiata con il piccolo Nicholas, prima di recarsi al
pranzo di Natale a casa dei genitori di Gale, al quale erano invitati
anche il signor Kenyon e Ben.
«Ehi, ragazzi! Buon
Natale!» ci salutò Ryan, agitando un braccio sopra la testa.
«Buon Natale a voi!»
ricambiai attraversando la strada per abbracciare i miei amici.
«In partenza per
Phoenix?» chiese Gale, sorridendo e tenendo ben salda l’impugnatura del
passeggino di Nicholas.
«Già. Di preciso i
tuoi genitori dove stanno adesso, Gale?».
«Si sono trasferiti
dall’Alabama a Los Angeles. Da quando è nato Nicholas, sai com’è… sono del
tutto impazziti per il nipotino e non potevano stargli lontano».
«Oh, ti capisco
benissimo. Anche i miei hanno attraversato una fase simile dopo la nascita di
Danielle. Adesso però dobbiamo andare ragazzi, altrimenti faremo tardi».
«Certo, vi lasciamo.
Buone feste!».
«Anche a voi!»
Ecco, adesso eravamo
sicuramente in ritardo.
Grazie al cielo in
autostrada non trovammo traffico dato che i giorni critici per gli spostamenti
erano già passati. Il venticinque dicembre ormai tutti erano arrivati a
destinazione, perciò Chris poté guadagnare del tempo e alla fine riuscimmo a
giungere giusto in tempo a casa dei miei genitori.
Non scaricammo la
macchina dal momento che poi saremmo rimasti a dormire dai genitori di lui, ma
pranzi e cene si sarebbero tenuti a casa di mamma e papà, per ovvi motivi dato
che mamma non avrebbe mai lasciato che un pranzo importante si tenesse al di
fuori della sua casa.
Quell’anno ci sarebbe
stata anche mia sorella. Avevo saputo che si era lasciata con Jared, stavolta
definitivamente, così sarebbe rimasta con noi. C’era qualcosa di diverso in
Shereen, era cambiata, e lo aveva fatto in meglio.
Era più dolce, più
comprensiva, più… umana. Aveva
abbandonato il suo modo di fare altezzoso ed ora potevo dire di avere davvero
una sorella che potesse essere definita tale. Mi telefonava spesso, non aveva
rancori nei confronti miei o di Chris e soprattutto amava incondizionatamente
Danielle.
Quando suonammo,
Chris teneva il passeggino con nostra figlia e il guinzaglio di Buster, mentre
io portavo le borse con i regali.
Venne ad aprirci mia
madre, raggiante, e subito ci invitò ad entrare.
E io che pensavo di
essere in ritardo, per fortuna erano solo arrivati i miei zii, quell’anno da
soli perché la figlia maggiore, già madre del piccolo Chuck, ora aspettava un
altro bambino, mentre il minore si era appena sposato ed ora era in luna di
miele in Europa.
Mio zio mi abbracciò
felice e strinse la mano di Chris, che ormai sembrava aver accettato nonostante
la diffidenza iniziale.
Papà invece arrivò
dalla cucina poco dopo e, dopo averci salutato, prese in braccio una Danielle
scalpitante che continuava a lanciare urletti contenti.
Quella bambina era
una vera gioia. Il giorno dopo avrebbe compiuto otto mesi ed io mi sorpresi a
pensare quanto velocemente fosse passato il tempo. Il giorno prima la vedevo
chiusa in un’incubatrice, mentre il giorno dopo aveva ormai quasi un anno.
Mi sarebbe scivolata
via dalle mani prima di quanto potessi mai rendermene conto.
Danielle passò dalle
braccia di mio padre a quelle di mia madre, per poi andare ai miei zii. Tutti
la coccolavano come una principessa.
Qualche minuto dopo
arrivò Shereen, splendida come sempre in un abito blu scuro, scendendo le scale
che portavano al piano di sopra e venne subito ad abbracciare prima me e poi
Chris.
«Vi trovo bene,
ragazzi» disse con un sorriso sincero.
Inizialmente avevo
creduto che quel suo cambio d’atteggiamento fosse tutta una farsa, ma poi mi
diedi dell’idiota e mi sentii cattiva ad essere tanto restia nel credere al
vero cambiamento di mia sorella.
Forse era stato per
l’estate precedente, per le svariate volte in cui avevo rischiato di morire.
Forse aveva capito che il legame che univa me e Chris era unico e
imprescindibile, che ci amavamo senza riserve e incondizionatamente. Forse era
stato il fatto di avermi quasi persa nuovamente alla nascita di Danielle, o
magari l’arrivo stesso di mia figlia, ma ciò che davvero m’importava era che
adesso avevo davvero una sorella.
Dopo aver
chiacchierato con noi per qualche minuto, si avvicinò a mia zia, che stava
tenendo Danielle in braccio e la prese un po’, dandole un bacio delicato sulla
guancia chiara e liscia. La pelle di quella bambina era incredibile: era così
bianca e morbida che sembrava una bambola di porcellana.
Poi Shereen le
strofinò velocemente il naso contro il viso, facendole il solletico e la
piccola iniziò a ridere come una matta.
Chiesi a mia madre se
avesse bisogno di una mano mentre gli altri si accomodavano nel salotto, così
io la seguii in cucina mentre tutti erano troppo impegnati a spupazzarsi mia
figlia.
«Ti vedo radiosa,
amore mio».
«Lo sono, mamma. Non
sono mai stata così felice in tutta la mia vita».
«E tu non hai neanche
la vaga idea di quanto queste parole rendano felice me. Hai avuto due anni
davvero duri e… poterti guardare adesso così… appagata, realizzata e
soprattutto amata, mi riempie il cuore di gioia».
«Amata… lo sono
veramente. Chris mi ama più di qualunque cosa al mondo e Danielle si illumina
ogni volta che mi vede e che vede lui. Credevo che non avrei mai potuto provare
così tanto amore in una vita sola».
Mia madre sorrise,
posandomi una mano sulla guancia, poi iniziammo a portare in tavola aperitivi e
quant’altro.
Dopo un po’ sentimmo
di nuovo il campanello suonare, stavolta doveva per forza essere la famiglia
Williams. Mio padre andò ad aprire e infatti udii le voci familiari dei
genitori di Chris e dei suoi fratelli provenire dall’ingresso.
Sentii il trambusto iniziale
e i movimenti per spostarsi fino alla sala da pranzo. Lì aumentarono le
esclamazioni festose, probabilmente a causa di Danielle e infatti dopo qualche
istante udii diverse voci esclamare il suo nome.
Mi figlia stava
venendo su un po’ troppo viziata e coccolata, ma che giudizi potevo dare
proprio io che ero la prima a tenermela stretta e baciarla ad ogni occasione?
Poi ci riflettei… ok, non proprio la prima; Chris era peggio di me: Danielle
era davvero la sua principessa e lui non riusciva fisicamente a starle distante
troppo a lungo, era più forte di lui, come se ne avvertisse il bisogno.
«Vai di là a salutare
la famiglia di Chris, tesoro, qui ci penso io, arrivo tra un minuto».
Avevo notato come da
qualche mese anche mia madre avesse iniziato a chiamarlo Chris e non più
Christian.
Così mi avviai in
salotto muovendomi agilmente nonostante le scarpe che indossavo. Erano un paio
di decolté nere, scamosciate con dodici centimetri di tacco a spillo e il
plateau per sostenere la parte davanti. Avevano un cinturino sottile che allacciava
la caviglia e la fibbia dorata.
L’abito invece era
rosso, in tipico stile natalizio, aderente, fasciava perfettamente le mie forme
e arrivava poco sopra il ginocchio.
«Chelsea!» esclamò
Jenna correndomi incontro. Fu la prima ad accorgersi di me e mi abbracciò con
impeto.
«Jenna… che bello
rivederti» la strinsi forte.
La ragazza mi era
mancata veramente molto.
«Sorella… si può
sapere come puoi avere un fisico così dopo aver partorito?» mi chiese lei, con
un’occhiata che sondò il mio corpo dall’alto in basso.
I genitori di Chris
vennero ad abbracciarmi subito dopo, mentre Danielle li guardava contenta,
ancora tra le braccia di mia sorella e, un attimo dopo, fu subito presa da
nonna Constance. Dopo un momento arrivò la piccola Holly, che mi abbracciò
forte e io la sollevai tra le braccia, dandole un bacio sulla guancia morbida.
Pete e Adam furono
gli ultimi che salutai; Megan e Jethro non erano riusciti a venire perché la
piccola Sarah aveva l’influenza e non se
l’erano sentita di spostarla.
«Chelsea… che bello
rivederti… » disse Adam, abbracciandomi forte.
«Già, sono contenta
anch’io. Come stai?».
«Me la passo bene,
sì, non c’è male. Inutile chiederlo a te perché… beh, sei bellissima e il tuo
sorriso dice tutto».
«Non è che ci stai provando
con lei, vero? Perché sarai anche mio fratello, ma questo non mi impedirebbe di
spezzarti le braccia» disse Chris, arrivando e cingendomi la vita con le
braccia.
Quando eravamo tutti
insieme, queste scene erano all’ordine del giorno.
Adam sorrise.
«Sto al mio posto,
fratellino, sta’ tranquillo».
Dopo un po’, Danielle
cominciò a lamentarsi, segno che aveva fame, così la presi dalle braccia del
nonno paterno per portarla su in quella che per tanti anni era stata la mia
camera da letto.
Era ancora piccola
per svezzarla, ma avrei cominciato a provarci tra l’ottavo e il nono mese.
Guardai la mia
bambina cercando di trasmetterle tutto l’amore possibile e lei mi sorrise,
osservandomi con quei suoi occhioni azzurri e gioiosi.
Dopo un po’, Chris
portò su il passeggino e la prese in braccio, camminando avanti e indietro per
la stanza per cercare di farla addormentare.
Nel frattempo io
tornai al piano inferiore e mi unii agli altri per mangiare, che ormai avevano
cominciato.
«Si è addormentata?»
chiese mia madre, seduta qualche posto alla mia destra.
«Ci sta pensando
Chris» risposi sorridendo.
Dopo un paio di
minuti, il ragazzo ci raggiunse.
«Possiamo stare
tranquilli per le prossime due ore» disse prendendo posto al mio fianco e
stringendomi leggermente una mano.
Il pranzo trascorse
tra chiacchiere e risate, era da tempo che non mi sentivo così felice e
completa, ma sentivo ancora come se mancasse qualcosa, un altro minuscolo
dettaglio.
Lanciai un’occhiata
alla mia sinistra e capii: lì c’era il pianoforte su cui mi ero esercitata per
interi anni della mia vita, quello strumento aveva un gran valore per me.
Tra i discorsi che
ognuno stava portando avanti in piccoli gruppi mi alzai. Chris stava parlando
con Adam e Jenna, Holly chiacchierava con Pete e Shereen, mentre i miei
genitori parlavano con quelli di Chris e con gli zii.
Nessuno mi prestò
particolare attenzione ed io presi posto allo sgabello squadrato del pianoforte
e alzai il ripiano che copriva i tasti.
Fu come tornare
indietro nel tempo e in un istante rividi ogni momento: il giorno in cui mio
nonno mi fece sedere sulle sue ginocchia mentre lui, con l’infinita pazienza
che ci vuole per spiegare la musica ad una bambina di cinque anni, mi
indirizzava verso quel mondo magico e meraviglioso.
Rividi i pomeriggi
passati china su quei tasti suonando
dolci melodie di grandi compositori passati. Rividi il mio primo saggio e nonno
Daniel che si alzava in piedi una volta finito il mio pezzo per applaudire
prima ancora dei miei genitori, dicendo a persone estranee sedute vicino a lui
che quella “bambina prodigio”, come amava definirmi, era sua nipote.
Ogni singolo momento
fu come riviverlo in quell’esatto istante ed io fui presa da un’improvvisa
ispirazione.
Pensai a mia figlia.
Pensai a ciò che provavo guardandola e tenendola tra le braccia. Pensai alle
emozioni che ogni suo sorriso e risata mi donavano.
Pensai a quanto l’amavo.
Le mie dita
cominciarono a muoversi veloci sui tasti. Quei tasti bianchi e neri e non potei
non pensare ad una citazione tratta da
uno dei miei film preferiti: “La leggenda del pianista sull’oceano”.
“Ora tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano,
i tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non
sono infiniti loro, sei tu che sei infinto... e dentro quegli 88 tasti la musica
che puoi fare è infinita. Questo a me piace, in questo posso vivere”.
E io ci avevo vissuto. Ci avevo
vissuto con tutta la mia anima, per anni la musica era stata la mia massima
espressione e questo io lo dovevo a mio nonno.
Il suo volto gioviale mi passò
davanti agli occhi; i suoi baci, le sue carezze, le sue grandi mani esperte che
insegnavano alle mie, più imprecise e meno sicure, l’arte della musica.
Mi sentii annullata, quella melodia
ben presto divenne una preghiera straziante, ma al contempo piena di vita, fino
ad innalzarsi al cielo, alle nuvole, alle stelle.
Fu un messaggio. Un messaggio che
speravo nonno Daniel avrebbe recepito, capendo che io non lo avevo abbandonato.
Che non lo avevo mai dimenticato e mai lo avrei fatto. E mia figlia lo avrebbe
conosciuto attraverso me e attraverso la musica e avrebbe saputo il perché del
suo nome.
Daniel Richard McDiamond non sarebbe
mai stato dimenticato. Quel nome avrebbe sempre avuto un’importanza
fondamentale nella mia storia e in
quella della mia famiglia. Perché io avrei raccontato di lui e Danielle ne
avrebbe parlato ai suoi figli con altrettanta passione.
Presa dai miei pensieri, non mi resi
conto del silenzio che regnava tutto attorno a me. La stanza era ammutolita
improvvisamente, ma io continuavo a suonare e suonare e suonare. Nient’altro
importava.
Quelle note sgorgavano dal mio cuore
come il sangue che viene pompato in tutto il resto del corpo e non mi fermai.
Non mi fermai finché la mia energia non si esaurì. Era la mia prima
composizione originale ed era come se fosse sempre stata impressa nella mia
mente, aspettando pazientemente che si presentasse l’occasione di uscire con
impeto, attraverso le mie dita.
Respirando piano, mi voltai
lentamente verso il resto della sala, erano tutti in piedi.
Papà stringeva la mamma da dietro,
cingendole la vita con le braccia mentre lei, ad occhi chiusi, se ne stava
appoggiata contro il suo torace. I genitori di Chris mi guardavano, tenendosi
per mano. Adam e Jenna erano l’uno vicino all’altra, gli sguardi attoniti,
mentre Holly era tenuta per la mano sinistra da Pete e per la destra da
Shereen. I miei zii mi osservavano ammutoliti, gli sguardi persi.
E poi c’era Chris. Chris che mi
fissava con occhi pieni di amore e passione. Chris che mi stava dicendo in silenzio
quanto mi amasse. Chris… felice come solo poche altre volte lo avevo visto
nella mia vita. Chris che… venne verso di me, fino a trovarsi a pochi
centimetri dal mio volto.
«Buster… » chiamò voltandosi verso il
nostro cane che, placidamente, ci si avvicinò e Chris si chinò leggermente fino
a sfilare qualcosa che sembrava legato sul suo collare.
Rimasi pietrificata quando capii che
l’oggetto in questione era una piccola scatola di velluto blu scuro ed il
ragazzo s’inginocchiò di fronte a me.
Il silenzio divenne ancora più
totale.
«Chelsea… » iniziò con voce tremante,
ed il mio cuore perse un battito. «Io ti amo. Amo te più di quanto abbia mai
amato chiunque altro su questa Terra e in questa vita. Tu sei la mia roccia, la
mia confidente e la mia migliore amica. La mia amante e la mia amata. E ora che
con noi c’è Danielle non c’è altro che io possa volere, perché tu mi hai già
donato tutto. Solo una cosa, Chelsea. Solo l’ultima cosa: diventa mia moglie.
Diventa mia moglie e passa il resto della tua vita al mio fianco».
Non riuscivo più a capire niente.
Chris era lì di fronte a me, con la scatoletta blu aperta davanti ai miei occhi
a rivelare un meraviglioso anello di fidanzamento, esattamente uguale ad uno
che avevo visto da piccola insieme a mia madre e mia sorella. Da quel momento
avevo sempre pensato che, semmai mi fossi sposata, avrei voluto proprio
quell’anello. E Chris ora lo teneva tra le mani, esattamente come il suo cuore,
che in quel momento mi stava offrendo.
Mi portai le mani alla bocca, gli
occhi lucidi per la commozione. Non me lo aspettavo davvero.
Emozionata, feci solo cenno
affermativo con la testa, incapace di parlare, e Chris mi prese la mano
sinistra per infilare l’anello al mio anulare.
Un momento dopo si alzò di nuovo in
piedi e mi strinse a sé, baciandomi, incurante del fatto che le nostre famiglie
al completo ci stessero osservando.
In quel momento la tensione attorno a
noi si sciolse e tutti si aprirono chi in applausi e chi in esclamazioni
festose.
Restai stretta al mio fidanzato per
minuti interi, con le braccia allacciate al suo collo e la testa nascosta
nell’incavo della sua spalla, mentre lui mi accarezzava schiena e capelli,
sussurrandomi quanto mi amasse.
Ci fu il momento delle
congratulazioni generali e per almeno dieci minuti io capii poco di ciò che
stava succedendo intorno a me. I miei genitori e i miei zii mi abbracciarono
forte, poi fu la volta di Jenna, che mi strinse con una forza di cui non
l’avrei creduta capace e dopo vennero i genitori di Chris, Shereen, Pete e
Holly e infine Adam.
Lo strano sguardo negli occhi di
quest’ultimo mi colpì. Sembrava così felice, ma mi parve di scorgere anche un
velo di malinconia in lui.
«Ora sarai finalmente mia sorella a
tutti gli effetti… » disse abbracciandomi.
Annuii e un momento dopo fui risucchiata di
nuovo in un vortice che non lasciava scampo.
Quando la situazione si fu
acquietata, tornammo tutti a sederci, Chris mi fece accomodare sulle sue gambe,
prendendo posto sul divano.
«Tesoro… » cominciò mia madre «… quel
brano… quello che hai suonato… cos’era? Non lo avevo mai sentito prima».
«Neanch’io» risposi, spiazzando
tutti. «Io… ho pensato a Danielle e poi al nonno e… la musica è arrivata. La
musica mi è arrivata da dentro e mi ha guidata».
«Stai dicendo che l’hai composta sul momento?»
prese parola zio Andrew.
«Perché tutti così sorpresi? Io ho
sempre pensato che mia sorella fosse un genio… anche se non l’ho mai detto»
quelle parole, a sorpresa, vennero da Shereen e tutti la guardammo. Lei,
semplicemente, si limitò a fare spallucce. «Non chiedetemi di ripeterlo perché
non lo farò», aggiunse poi, facendoci ridere tutti.
Un momento dopo osservai l’anello
attorno al mio dito e guardai Chris.
«Chris come facevi… come potevi
sapere che ho sempre desiderato un anello proprio come questo?».
Il ragazzo sorrise. «Ho avuto un
piccolo aiuto» disse guardando poi in direzione di mia sorella e tutti passammo
lo sguardo dall’uno all’altra, stupiti.
«Sarai anche un genio, sorellina, ma
lo sono anch’io. E in più ho anche una memoria fotografica, nonostante ne sia
passato di tempo da quel giorno nella gioielleria in centro».
Senza nemmeno pensarci, mi alzai
dalle ginocchia di Chris e di slancio abbracciai mia sorella.
In un primo momento lei restò rigida,
non se lo aspettava, poi ricambiò il gesto.
«Grazie» sussurrai.
«Ne hai passate tante a causa mia… mi
sembra sia giunto il momento di cominciare a rimediare» rispose in modo che
solo io potessi sentire.
Stavo per riprendere posto sulle gambe del mio
futuro marito quando udimmo il pianto di Danielle provenire dal piano
superiore, così mi avviai lungo le scale.
La piccola si stava agitando tutta,
ma non appena mi vide parve calmarsi.
«Ehi, amore mio… tranquilla, la mamma
è qui» dissi prendendola tra le braccia e cullandola per calmarla. «La mia
bambina dolce… » sussurrai dandole un bacio sulla fronte.
Danielle si acquietò subito, poi
tornai giù con lei.
Chris venne immediatamente verso di
noi, facendo una lieve carezza sul viso di nostra figlia, bianco e liscio come
il marmo.
Sapevo che tutti scalpitavano per
tenerla un po’ tra le braccia, ma prima me la strinsi al cuore per qualche
minuto, guardandola negli occhi, poi la deposi delicatamente tra le braccia
dello zio Adam, che la cullò osservandola pieno d’amore.
Era anche merito suo se oggi mia
figlia era lì. Se non fosse stato per il suo tempestivo intervento, l’anno
prima, a quest’ora avrei potuto perderla.
Le ore trascorsero velocemente,
aprimmo i regali e poi ci salutammo, riprendendo ognuno la strada di casa.
Io, Chris e Danielle saremmo rimasti
fino al giorno di capodanno, poi saremmo ripartiti per tornare a Santa Barbara.
Quella sera nessuno mangiò, eravamo
ancora troppo pieni a causa del pranzo, così restammo a chiacchierare tutti
insieme nel salotto di casa Williams, mentre una placida Danielle se ne stava
tranquilla tra le braccia del padre, giocherellando con i bottoni della sua
camicia e lui la riempiva di baci e coccole.
A mezzanotte nutrii nuovamente la
bambina, poi ce ne andammo tutti a letto. Constance mi aveva rimediato una
culla di quando i suoi figli erano piccoli e per quei pochi giorni sarebbe
andata bene.
«Adesso te lo posso togliere il
vestito?» sussurrò Chris al mio orecchio, quando la casa divenne silenziosa e
nostra figlia si fu addormentata.
«Chris, Danielle dorme a mezzo metro
da noi!» lo ripresi, anche se la scia di baci bollenti che il ragazzo aveva
iniziato a lasciarmi lungo il collo fece vacillare la mia volontà non poi così
ferrea.
«Ha preso il sonno pesante da me,
sotto questo punto di vista non è così simile a sua madre come nell’aspetto
fisico» disse baciandomi la clavicola e cominciando a tirare giù la zip del mio
abito.
Se c’era una cosa a cui non riuscivo
a resistere oltre agli occhioni dolci della mia bambina, quelli erano proprio i
baci di Chris e non riuscii a trattenermi dall’affondare le mani tra i suoi
capelli, attrarlo a me e baciarlo con impeto.
Lui emise un basso gemito dal fondo
della gola e lasciò scivolare il vestito
lungo il mio corpo, che ben presto si trovò schiacciato tra lui e il muro,
coperto solo dalla lingerie in pizzo nero che indossavo.
Il ragazzo mi osservò, bramoso.
«Chelsea, non puoi indossare questo
genere di cose e dirmi di no» disse contro le mie labbra.
Dopo un attimo, le sue mani corsero
lungo i miei fianchi nudi ed io gli sbottonai velocemente la camicia bianca,
sfilandola dalle sue braccia muscolose.
In un minuto eravamo già sotto le
coperte, completamente senza vestiti e cercando di fare meno rumore possibile
dal momento in cui Danielle dormiva a pochi passi da noi.
Le labbra di Chris scesero lungo il
mio collo, continuando verso il petto e allora gli presi il volto tra le mani,
trascinandolo nuovamente sulla mia bocca.
«Chris… lo so che lo vuoi, ma non
possiamo farlo mentre Danielle è qui accanto e per di più nella casa dei tuoi
genitori. Quando torneremo a Santa Barbara la piccola dormirà nella sua camera
e noi avremo i nostri spazi».
Lo sentii sbuffare insoddisfatto e
potei immaginare benissimo l’espressione
del suo viso, anche se era completamente buio.
«Dannazione… » sussurrò ed io
ridacchiai.
Certo che stare nudi sotto le
lenzuola e non potersi toccare, almeno non nel senso in cui avrei voluto in
quel momento, era davvero frustrante.
Prima di stringermi a lui, m’infilai
una camicia da notte. Il contatto pelle contro pelle sarebbe stato troppo per
entrambi.
Restammo abbracciati in silenzio,
finché non presi parola.
«Chris?» bisbigliai piano.
«Sì?».
«Te lo ricordi l’anno scorso? Io ero
incinta e ancora tu non ne sapevi nulla».
«Lo ricordo bene quel Natale. Ho
preferito questo mille volte di più. Quel giorno ero così… abbattuto, triste e
arrabbiato insieme. E geloso».
«Geloso?» chiesi sorpresa.
«Sì. Di Adam. So che vi volete bene e
adesso so che la cosa si ferma lì, ma c’è stato davvero un periodo in cui
pensavo che tra voi due ci fosse qualcosa di più».
Alzai un braccio fino al suo viso e
lo accarezzai lievemente.
«Io amo te. Ho sempre amato solo te.
È vero, voglio bene a tuo fratello… è un po’ come se fosse anche il mio».
«Presto lo sarà».
Disse scendendo a prendere la mia
mano sinistra e sfiorando l’anello che portavo al dito.
Avvicinai il mio volto al suo e lo
baciai.
«Avevi messo l’anello addosso a
Buster… » dissi divertita.
«Volevo renderlo partecipe. Temevo
che altrimenti potesse sentirsi escluso, sai com’è… è un po’ permaloso. E poi…
fa parte della famiglia anche lui, no?».
«Assolutamente» risposi con un
sorriso.
Passò qualche altro minuto nel
silenzio più totale, si sentiva solo in lontananza il lieve russare del signor
Williams, poi stavolta fu Chris a parlare.
«Oggi hai suonato. Hai suonato di
nuovo, Chelsea. Io… non ti avevo mai sentita suonare così. Era dal giorno… ».
«Era dal giorno della sepoltura del
nonno che non aprivo un pianoforte. Sì».
«Come mai oggi?».
«Non lo so. Forse per compensare il
dolore di quel giorno, doveva esserci una gioia altrettanto grande».
Lui mi strinse più forte.
«Allora dovevi sentirti veramente
disperata perché quella musica… Dio mio, Chelsea, non avevo mai sentito nulla
di più meraviglioso».
«Ero disperata. Non avevo mai sentito
una disperazione tanto grande nella mia vita».
«Avrei voluto starti più vicino, quel
giorno».
«Lo so».
La quiete tornò nella stanza e questa
volta rimase tale.
I giorni passarono velocemente,
arrivò l’ultimo dell’anno, in cui ci ritrovammo tutti insieme, stavolta anche
Megan e la sua famiglia. Così, conobbi di persona la piccola Sarah. Era una
vera meraviglia con quegli occhioni azzurri del padre e i capelli biondi della
madre.
Io, Chris, Danielle e Buster
ripartimmo il giorno dopo capodanno, con i mille pensieri per organizzare il
matrimonio.
Avremmo dovuto dirlo a Ryan e Gale e
poi… beh, c’erano da decidere un mucchio di cose, ma io ero felice. Non ero mai
stata tanto felice in tutta la mia vita.
I mesi trascorsero così velocemente
che solo mia figlia, che cresceva a vista d’occhio, riusciva a ricordarmelo.
I preparativi per le nozze mi avevano
completamente risucchiata e tra location, fiori, catering e ricerca dell’abito,
non avevo mai un attimo di tregua.
Appena dopo il suo compleanno,
Danielle mosse i suoi primi passi, mentre io ero seduta al tavolo in salotto a
sfogliare riviste su riviste con Gale che teneva in braccio il piccolo Nicholas
e, quando mi resi conto che si era alzata in piedi da sola, strillai i nomi di
Chris e Ryan, nell’altra stanza, che accorsero preoccupati.
Restammo tutti a fissarla col fiato
sospeso, vedendola avanzare in modo buffo, barcollando fino a che non si fermò vicino al
divano e si sedette di nuovo a terra, ancora traballante.
Chris la alzò tra le braccia
sorridendo, riempiendola di baci.
«La mia bambina… » disse con occhi
accesi di gioia e orgoglio.
Passò di volata anche il mio
compleanno e, in men che non si dica, arrivò il trenta giugno, giorno delle
nozze.
Le
nostre famiglie erano arrivate da Phoenix il giorno prima e, in un modo
o nell’altro, eravamo riusciti a sistemarci tutti, anche se i miei e Shereen
erano andati a stare a casa di Ryan e Gale. Jenna non ne volle sapere e, la
notte prima del gran giorno, spedì da loro anche Chris, che fece il cambio con
mia sorella, che venne da me senza mollare mia figlia neanche per un momento.
Mi sorprendevo ogni volta nel constatare
l’amore che Shereen provava nei confronti di Danielle, ma era sincero, lo
capivo dalla luce nei suoi occhi.
La mattina delle nozze ero così
agitata che nemmeno i dolci sorrisi della mia bambina riuscivano a calmarmi.
Volevo solo Chris al mio fianco, ma non avrei potuto vederlo fino al momento in
cui ci saremmo incontrati sull’altare.
Feci una doccia rilassante e poi mia
sorella, Megan, Jenna e Gale si occuparono di trucco e capelli e fu per
miracolo che riuscii a resistere fino alla fine del trattamento. Avrei voluto
schizzare dall’altra parte della strada, irrompere in casa di Ryan e Gale e
nascondermi tra le braccia del mio futuro marito, prendere mia figlia e
scappare a Las Vegas per sposarci lì lontano da tutto e tutti, ma non potevo
certo farlo.
La fase successiva sarebbe stato il
vestito. L’abito era semplice, fin da piccola lo avevo sempre immaginato così,
non volevo nulla di troppo elaborato. Aveva due spalline strette
all’attaccatura del tessuto che copriva il seno che si allargavano di qualche
centimetro sulle spalle, il corpetto leggermente a pieghe e si stringeva in
vita, mentre la gonna ricadeva morbida. Nulla di ampio, niente strascico e
niente velo.
I capelli erano stati acconciati in
boccoli morbidi, con qualche piccolo fermaglio bianco di qua e di là, a
trattenere delle ciocche, ma comunque ricadevano lucenti sulla schiena.
Sulle palpebre, Jenna aveva steso un
ombretto rosa, accentuando l’effetto e il colore con una matita verde sotto gli
occhi, il mascara nero e il rossetto poi erano immancabili.
«Tesoro, sei un incanto… » disse mia
madre non appena mi vide.
Sorrisi tesa e lei venne ad
abbracciarmi. Nella stanza in quel momento c’eravamo solo io e lei.
Papà doveva essere di sotto, Gale era
tornata da Ryan, così come i genitori di Chris, per controllare lo stato del
figlio e le ragazze che fino a prima si erano occupate di me, adesso erano
uscite dalla mia camera da letto.
«Sono così nervosa… ».
«Lo so, Chelsea ed è giusto che tu lo
sia».
«E se inciampo?» chiesi preoccupata.
Mia madre rise leggermente.
«Tuo padre non lo permetterà. Ora su,
tesoro, dobbiamo cominciare ad avviarci» e detto questo, mi posò un lieve baciò
sulla guancia e mi offrì il braccio per camminare al suo fianco.
Lo afferrai e, muovendomi a piccoli
passi, scesi le scale che portavano all’ingresso, dove tutti ci stavano
aspettando.
Mio padre, vicino alla porta, stava
parlando con Adam, quando improvvisamente si bloccò vedendomi.
«Oh, santo cielo… » sussurrò.
Non appena anche Adam mi scorse, per
un momento restò a fissarmi a bocca aperta.
«Chelsea sei… stupenda» prese parola
papà.
Io mi limitai a rivolgere un sorriso
sia a lui che a Adam, che sembrava non fosse ancora riuscito a recuperare l’uso
della parola.
Mi voltai verso mia sorella, che
teneva in braccio Danielle e protesi le braccia verso di lei.
«Ti prego, fammi tenere un po’ mia
figlia. In questo momento è la sola che
sia in grado di calmarmi».
Sorridendo, Shereen mi porse la
bambina ed io la presi con delicatezza, stringendomela al cuore.
«Ciao, amore mio… » sussurrai,
posandole un bacio sui radi capelli ramati e soffici come una nuvola.
Restai un po’ così ferma, inspirando
il suo profumo, fino a che mia madre suggerì di avviarci alla macchina, ormai
era quasi ora.
Il breve tragitto da casa mia alla
chiesa mi parve mostruosamente lungo, ero certa che sarei impazzita se non
fossimo arrivati presto.
Danielle se ne stava quieta tra le
mie braccia, giocherellando con il ciondolo della mia collana ed emettendo di
tanto in tanto gridolini contenti. Per l’occasione indossava un vestito azzurro
pastello che metteva in risalto i suoi occhioni chiari.
Una volta giunti a destinazione,
finalmente, scesi dall’auto e misi la mia bambina tra le braccia della nonna,
mentre tutti gli altri, a parte mio padre, entravano in chiesa per raggiungere
gli altri invitati.
L’uomo si mise di fronte a me e mi
prese per le spalle.
«Sei pronta, tesoro?».
«Sono pronta».
«Bene. Andiamo allora».
«Solo… non farmi cadere, ok papà?»
lui sorrise divertito ed io vidi una luce gioiosa e malinconica al contempo in
quei suoi occhi chiari. Chiari come i miei. Chiari come quelli di Danielle. Lei
aveva i suoi occhi.
Ci incamminammo verso l’ingresso
della chiesa e, quando la marcia nuziale cominciò, attendemmo che prima
entrasse la piccola Holly, che con un cestino in vimini, sparse petali di rosa per tutta la navata,
arrivando fino all’altare e prendendo posto poi vicino ai genitori. Dopo di lei
entrarono le mie tre damigelle: Jenna, Gale e Shereen, nei loro abiti color
lavanda.
“Respira, Chelsea… respira”
continuavo a ripetermi ad occhi chiusi.
«Tesoro… è il momento» la voce di mio
padre mi riportò alla realtà.
Riaprii gli occhi di scatto e mi
strinsi maggiormente al suo braccio.
Non appena voltato l’angolo, mi
ritrovai di fronte tutti gli invitati e per un attimo m’irrigidii. Poi lo vidi.
Vidi Chris, lì, a diversi metri da
me, con un sorriso estasiato sulle labbra e tutte le mie preoccupazioni
improvvisamente sparirono. Si volatilizzarono come se non fossero mai esistite
ed io sorrisi di rimando.
Stretta a mio padre, attraversai la
navata senza accorgermi del fatto che tutti gli invitati si fossero alzati e mi
stessero guardando con aria incantata. L’unica cosa di cui riuscii a rendermi
conto erano gli occhi azzurri di Chris e il suo sorriso meraviglioso che in
quel momento mi stava dicendo quanto mi amasse e quanto a lungo avesse
aspettato quel momento.
Radiosa, raggiunsi finalmente il mio
sposo, posizionandomi al suo fianco, senza nemmeno accorgermi delle espressioni
di Ryan, Adam e Pete alle sue spalle: i suoi testimoni.
La cerimonia proseguì senza intoppi e
quando il prete disse: «Ora può baciare la sposa», Chris mi strinse a sé con
impeto e tutta la chiesa si lasciò andare in applausi e congratulazioni.
La giornata fu indimenticabile. Dopo
la cerimonia ci spostammo al ristorante e lì fu una risata dietro l’altra fra
cibo, danze e discorsi dei testimoni.
A sera tornammo a casa distrutti, le
nostre famiglie sarebbero ripartite il giorno seguente e poi noi saremmo andati
in luna di miele in Australia, per due settimane.
Sarebbe stata una vacanza
straordinaria, Danielle naturalmente sarebbe venuta con noi, mentre avremo
lasciato Buster alle cure di Gale e Ryan.
«Amore!».
Chris si sbracciava per salutare me e
Danielle, mentre noi lo guardavamo dalla spiaggia bianca. Mio marito nuotava
come un delfino nell’Oceano Indiano, a Broome, in Australia.
La nostra luna di miele, purtroppo
stava per giungere al termine. Erano state due settimane incredibili. Ogni
posto che avevamo visto era magnifico e mai nella mia vita avrei potuto
immaginare di visitare luoghi simili.
«Guarda, Danielle! Dì ciao a papà»
dissi prendendo la sua piccola manina bianca e muovendola verso Chris in un
cenno di saluto.
Il ragazzo nuotò verso la riva e uscì
da quelle acque cristalline, venendo verso di me e prendendo in braccio nostra
figlia.
Lei rise felice, era pazza di suo
padre, proprio come lo ero io. Chris le dedicava tutte le attenzioni che ogni
bambina potrebbe desiderare.
«Pa… pà!» esclamò la piccola, mentre
mio marito la sommergeva di baci.
“Papà” era stata la sua prima parola,
l’aveva detta appena pochi giorni prima e a Chris quasi era andato di traverso
il cibo che stava mangiando.
«Brava, Danielle! Chi sono io?».
«Papà!» ripeté lei, ora con più
sicurezza.
Sorridendo, ci avviammo tutti e tre
verso il mare aperto. Chris cercava di insegnare a nuotare a nostra figlia, ma
io protestavo: lei era ancora troppo piccola, avevo paura che bevesse o che
andasse sott’acqua.
Mio marito continuava a dirmi che ero
troppo apprensiva. Lui adorava nuotare, aveva imparato da piccolissimo ed era
sempre stata una sua grande passione. Ricordai un discorso fatto con Jenna più
di un anno prima, quando Traver aveva avuto un attacco cardiaco e lei mi
confessò che Chris aveva avuto l’opportunità di frequentare il college grazie
ad una borsa di studio per la squadra di nuoto, ma aveva rifiutato per mettersi
a lavorare e contribuire a pagarle il college.
Solo ora che lo vedevo nuotare libero
nell’Oceano riuscivo a capire appieno il suo talento, così come potevo capire
la sua passione che voleva trasmettere a nostra figlia.
Così, rassegnata, mi fidai di lui,
certa del fatto che non avrebbe mai messo in pericolo Danielle e lo lasciai
fare. Io intanto nuotavo languida in quell’acqua così azzurra da sembrare quasi
irreale, immergendomi e facendo vorticare i miei lunghi capelli attorno a me.
Solo dopo un po’ udii le parole che
Chris stava rivolgendo a nostra figlia: «Guarda, Danielle… guarda la mamma.
Guarda quanto è bella. Tu diventerai proprio come lei, amore mio».
Mi volta, sorridendo, e mi avvicinai
a lui per baciarlo. Fu un bacio umido e salato a causa dell’acqua, ma fu
meraviglioso come sempre. Quei gesti che scambiavo con Chris… avevano ogni
volta qualcosa di nuovo e di elettrizzante.
Dopo un po’ tornammo sulla spiaggia
e, mentre io ero sdraiata a pancia in giù a prendere il sole, continuavo ad
osservare mio marito e nostra figlia mentre costruivano strani castelli di
sabbia. Era una visione perfetta.
Tutto, in quel momento, fu perfetto.
«Mammina!».
La vocetta squillante
di mia figlia mi distrasse dal libro che stavo leggendo.
«Cosa c’è, tesoro?».
«Sono le tre, devi
aiutarmi!» continuò lei, ostinata.
Sorrisi.
Avrebbe potuto essere
il giorno del giudizio, ma anche se lo fosse stato, mia figlia alle tre
spaccate del pomeriggio, sarebbe venuta a reclamarmi per cominciare la nostra
lezione di pianoforte.
Osservai la mia
bambina: i capelli lisci e ramati scendevano quasi fino a metà della sua
schiena esile, formando leggeri boccoli verso le punte, gli occhi di un azzurro
brillante, sempre acceso, che mi ricordava ogni volta il mare della California
che tanto amavo e che ormai solo in estate potevo vedere.
Ci eravamo trasferiti
da Santa Barbara a New York quando Danielle aveva poco meno di due anni. Era
stata una scelta sofferta, amavo la vecchia casa nella quale avevo vissuto per
gli ultimi anni e in cui avevo trascorso ogni estate della mia vita insieme al
nonno. Inoltre, adesso potevo vedere di rado Ryan e Gale e la cosa mi faceva
stare male, ma Chris… beh, lui aveva fatto per me una cosa per cui lo avrei
amato per il resto della vita.
Mio marito, infatti,
mi aveva registrato a mia insaputa mentre suonavo il pezzo che avevo composto
per Danielle un giorno che lo stavo suonando al pianoforte del salone, dopodiché
aveva mandato il cd alla Julliard School, che proprio in quel periodo stava
cercando un’insegnante di pianoforte dopo il pensionamento della precedente e
loro mi avevano accettata. Erano rimasti a dir poco stupiti nel vedere quanto
fossi giovane una volta che mi presentai per il colloquio. Inutile dire quanto
fossi agitata quel giorno.
Ebbene, dopo una
serie di colloqui e altri esami, mi avevano assunta, così ci eravamo trasferiti
a New York tutti e cinque. Sei, contando Buster.
Eh sì, poco dopo il
rientro dalla nostra luna di miele, avevo scoperto di essere di nuovo in dolce
attesa e… beh, avevo avuto due gemelli, entrambi maschi: Devon e Stephen, che
adesso avevano ormai due anni e mezzo.
A Chris era venuto un
colpo quando glielo avevo detto, ma subito dopo mi aveva abbracciata forte,
riempiendomi di baci.
Era stato
iperprotettivo dall’inizio alla fine della gravidanza, temeva che potessi avere
complicazioni com’era successo per Danielle, ma, con i gemelli, non ebbi
nemmeno problemi di anemia come invece era successo per la nostra primogenita.
Quando i bambini
erano nati era stata una gioia per tutti. Le nostre famiglie erano venute a
trovarci, anche se non riuscimmo a sistemare tutti in casa nostra. D’altra
parte… tra il mio lavoro alla Julliard, l’eredità del nonno, i soldi che sia io
sia mio marito avevamo messo da parte e il nuovo impiego di Chris, i soldi
certo non ci mancavano. Proprio riguardo mio marito, un college piuttosto
prestigioso lo aveva chiamato come allenatore per la squadra di nuoto, quindi
anche lui infine era riuscito a fare ciò che più amava.
Eravamo felici.
Eravamo veramente felici e ogni estate tornavamo a Santa Barbara: luogo in cui
tutto aveva avuto inizio e dal quale non sarei mai riuscita a separarmi
totalmente.
Inoltre rivedere Ryan
e Gale era sempre bellissimo. Nicholas ormai aveva cinque anni proprio come
Danielle, anche se era più piccolo di qualche mese e poi c’era Sharon, la
secondogenita, che i due avevano chiamato come la madre scomparsa di Ryan.
Nella mia vita nulla
era andato come avevo progettato, ma la realtà che stavo vivendo andava oltre
ogni mia più rosea aspettativa e, nonostante i miei ventisette anni, potevo
tranquillamente dire di aver già ottenuto tutto dalla vita: un marito
meraviglioso che mi amava più di chiunque altro al mondo, tre figli che adoravo
e che mi adoravano, una bella casa e una carriera appagante che mi permetteva
di fare ciò che amavo.
Ripensai a quanto
disastrosamente fosse iniziata l’estate che, ormai diversi anni prima, aveva
segnato per sempre la mia vita e a come tutto ciò si fosse evoluto. Mio Dio,
chi mai avrebbe potuto dirlo?
Osservai mio marito
giocare con i nostri figli per qualche istante, poi raggiunsi Danielle al
pianoforte. Se mio nonno chiamava me bambina prodigio, non oso immaginare cosa
avrebbe detto di lei. Mia figlia si era seduta sullo sgabello di quello
strumento a tre anni e da allora non lo aveva più lasciato.
Io le avevo spiegato
la teoria, ma nella pratica di certo non aveva bisogno di aiuti perché era
semplicemente strepitosa. Adoravo sentirla suonare, vedere le sue piccole dita
muoversi con una rapidità impossibile per una bambina di soli cinque anni,
eppure era così.
Danielle aveva il
dono della musica dentro di sé, lei la sentiva. La sentiva nascere dentro il
suo cuore e crescere in ogni singolo suono nell’ambiente esterno. Ogni cosa per
lei veniva trasformata in musica, dal campanello di casa, al fruscio delle
pagine di uno dei suoi libri che tanto amava leggere, al traffico cittadino di una New York che non
dorme mai.
Accarezzai i capelli
della mia bambina e l’ascoltai suonare, dandole qualche piccolo suggerimento di
tanto in tanto.
Passò un’ora senza
che lei s’interrompesse, poi staccò le mani dallo strumento e mi fissò
intensamente con quei suoi occhi chiari e determinati.
«Mammina?».
«Sì, amore?».
«Promettimi che tu e
papà sarete sempre felici e continuerete a volere bene a me, Devon e Steph».
Rimasi sorpresa da
quelle parole e spalancai gli occhi.
«Ma certo, tesoro
mio, perché dici questo?».
«Perché io vi voglio
tanto bene».
Strinsi forte la mia
dolce, meravigliosa bambina e le posai un bacio tra i capelli.
«Te lo prometto,
piccola».
«Adesso suoni la mia
canzone?».
Sorrisi alla sua
richiesta e mi sistemai meglio sullo sgabello, mentre lei si spostava
leggermente di lato.
Era da tempo che non
suonavo quel brano, ma Danielle sapeva che fosse per lei, Chris le aveva
raccontato tutto.
In realtà erano ben
poche le cose che lui non le avesse detto; mio marito era completamente perso
per nostra figlia, non riusciva a resistere ai suoi meravigliosi occhioni
azzurri e alla sua vocina trillante e delicata come candidi petali di rosa.
Non c’era nulla che
l’uomo non avrebbe fatto per lei.
Quando sentii dei
passi alle mie spalle, capii che mio marito era arrivato insieme ai gemelli.
Non poteva fare a meno di avvicinarsi quando suonavo quel brano; lo aveva
completamente stregato.
Così suonai. Suonai e
suonai ancora, mettendoci tutta me stessa.
La musica era arte.
L’arte era bellezza. Ricordai una celebre frase tratta da uno dei miei libri
preferiti: “L’Idiota” di Dostoevskij:
“La bellezza salverà il mondo”.
Io non sapevo se la
bellezza avrebbe mai salvato il mondo, ma di una cosa ero certa: la bellezza,
intesa in quel senso, aveva sicuramente salvato la mia vita.
Note dell’Autrice:
Saaalve
a tutti! Eh sì, infine è arrivato il momento dell’epilogo, in cui tutto è
tornato al suo posto: un matrimonio felice, una famiglia felice e che si ama.
Chris e Chelsea hanno finalmente avuto il loro lieto fine e ci mancava soltanto
il classico “E vissero tutti felici e contenti”.
Ebbene,
spero che la conclusione vi sia piaciuta, credetemi, è stata combattutissima, c’erano
cinque diversi finali che ho preso in considerazione e ognuno avrebbe
completamente stravolto la storia.
Mi
auguro che comunque vi sia piaciuto e vorrei ringraziare ognuno di voi per aver
accompagnato i due protagonisti nel loro viaggio, nonostante tutto e
specialmente nonostante i miei continui ritardi nell’aggiornamento XD
Ad
ogni modo, veramente… grazie di cuore a tutti per avermi seguita fin qui, sia
da lettori silenziosi sia da recensori.
Chelsea
e Chris vi salutano e vi ringraziano insieme
a me…
Buona
serata a tutti!