Gli si avvicina
piano, quatto, come da sempre è abituato a fare. Subdolo, silenzioso, sfuggente,
così che la preda non se ne accorga e non scappi. Del resto è lì che medita il soldatino russo ad occhi chiusi. Non si
accorgerebbe manco dell’apocalisse piombatagli in testa a tradimento.
Si ferma qualche
secondo Draco e non sa se sia titubanza, remora o livore.
Sa solo che si
ferma a guardarlo un po’ ad occhi socchiusi. Tenta di guardarlo con gli occhi
di lei.
Un esercizio
malsano di perversione, certamente. Non ha niente della stolta purezza degli
occhi di una donna. Non ha manco nulla di quel particolare scandaglio dorato
che è lo sguardo di Hermione Granger.
Ma è inevitabile,
giunti a quel punto, esercitarsi in quel volo pindarico di immedesimazione illogica.
Ormai fa ogni cosa
solo per ricavarne il maggior male possibile. Il bene, quel poco rimasto, quello
che sopravvive come un pesce di basso fondo che sguazza nel limo e nel fango, ha
il sapore del polistirolo.
Solo il male, solo
quello, solo il cuore spaccato, la mente
a pezzi e le ossa rotte, lo fanno sentire davvero vivo, facendogli cuocere
il sangue nelle vene.
Lo guarda ancora,
notando i particolari apparentemente più sciocchi ed asettici della sua
persona, e non ne ricava granché impressione di sorta. È molto più alto di lui,
d’accordo. Ma ha spesso le spalle piegate come se portasse un peso enorme, il martire. Come se portasse ancora
sulla schiena la colpa della moglie morta. Quindi la sua altezza sparisce, si
dissolve, si umilia al confronto dei suoi menti sollevati, delle sue spalle
larghe e della sua schiena dritta. Sebbene
io, di morti sulla schiena, ne abbia ben più di te. Sa che è più grande di
lui di quattro anni, ma questo non gli conferisce chissà che aria di saggezza
posata e conquistata a caro prezzo: non ha un reticolo di rughe affascinanti
attorno agli occhi, né tantomeno movenze più studiate o capelli tinti d’argento
come a voler sminuire il tempo che scorre.
E
che dannazione sono quattro anni, in fondo? Non sono niente. Non può essere
questo.
Lo studia ancora,
freme di dannazione e d’inferno: lei c’ha un modo tutto suo di guardarlo. Ci
ripensa, lo insegue nella testa, lo prefigura e dipinge davanti agli occhi così
da trovare una risposta. Non l’ha mai vista guardare nessuno così… tantomeno
lui. Non saprebbe neanche descriverlo.
Non è uno sguardo
incantato, perso, dolce di miele e profumato di vaniglia: così guarda lui e ci
mancherebbe che guardasse Radcenko così. Lei ha un altro modo di guardarlo. E
lui non lo sopporta. Manco dovrebbe guardarlo a dirla tutta… manco dovrebbe
saper distinguere uno sguardo per sé ed uno per Radcenko.
Di
te, tutto è sempre stato mio. Non azzardarti ad inventare, a scoprire altro…
per un altro.
Ma Hermione Granger
se n’è sempre fregata di lui: si spartisce anima e cuore in tutto, facendo
proporzioni e divisioni di sé stessa come se esistessero sempre nuove riserve
segrete di lei che lui non conosce. Se gli ha dato duecento… e lui pensa che sia tutto… un giorno scopre che Potter
aveva cento di lei, Weasley cento e due, Thomas centocinquanta. Punteggi di sorrisi, gesti, parole che lei si
inventa giorno per giorno e riserva di sfumature per persone specifiche. A lui,
a Draco Malfoy, destina ormai patine incolori di sorrisi, occhi baluginanti di lacrime
dorate e parole monche e fosche di ricordo e rimpianto. Però almeno preserva
ancora uno sguardo solo per lui. Le sfugge per un attimo, un secondo solo, come
se la memoria le facesse cortocircuito e ci impiegasse qualche secondo a
riavviare il sistema.
Solo per qualche
secondo lo guarda come è abituata a fare.
Con quegli occhi
che profumano persino tanto la sente vicina: con le iridi spalancate ed
attente, dolcissime, eppure abbandonate in una sorta di languido sconforto e di
feroce rassegnazione. Qualcuno direbbe: “Ti
mangia con gli occhi”, qualcuno direbbe “Se
uno sguardo potesse uccidere…”… e lui direbbe soltanto che finché Hermione
Granger lo guarda con un misto tra voglia
di saltargli addosso e voglia
ugualmente di saltargli addosso ma per assassinarlo… allora il mondo se ne sta davvero fermo sul
suo asse e lui può essere contento.
È quando quello
sguardo si putrefà in lei, quando lei ricorda, quando d’improvviso sussulta un
po’ e contrae le spalle, quando abbassa gli occhi e per un attimo sembra voler
solo scappare… è quando poi, alla fine, orgogliosa leonessa di stoppa e paglia,
torna a guardarlo ed ha quello sguardo slavato, sbiadito, disattento ed appeso
ad un filo di malessere intimamente indispensabile… è allora che si mette a
contare e a classificare gli sguardi che ha per gli altri.
Forse solo Alex è
sovrano eterno e totale di lei, e di lei ha tutto.
Ogni
cosa. Andrebbe
bene, figurarsi: darebbe lui stesso tutto a suo figlio.
Pur
non potendo più, pur non potendo mai.
Ma lei ha un’altra
porzione di sé, un’altra piccola meravigliosa fetta di sé stessa, inesplorata
come la terra nuova per il pigro navigatore. E quella landa non scoperta ha
stampato sopra il nome di Ilai Radcenko.
E non capisce
ancora perché.
Perché
lo guarda così?
Lo mette a fuoco
finalmente, acquisisce chiarezza e definizione con un retrogusto di amarognolo
e dolciastro assieme che gli dà la sensazione di un brutta fitta nello stomaco.
La ricorda, se la vede di fronte, aveva appena sentito tramite le parole
dell’Empatica che Radcenko potrebbe morire. Se la rivede davanti mentre
reagisce come se le stessero strappando qualcosa di dosso a forza.
Se la rivede
davanti mentre dice: “Io… non ti
permetterò di rischiare la vita per me…”.
Si concentra solo
sui suoi occhi.
Ha uno sguardo di
resa gentile quando lo guarda.
Lo guarda e sempre,
dopo, un po’ respira, un po’ rilassa le spalle, un po’ prende fiato.
Bella.
Dio,
quanto è bella quando lo guarda.
È
mai stata così bella vicino a me?
Molla
le difese, ecco che fa. Si, ecco… si lascia andare. Abbassa i muri. Fremono le
palpebre, le ciglia, freme anche lei… ma d’improvviso, d’un tratto, non ha più
quella tensione sconvolta dei tendini a tenerla sempre tesa sull’abisso. Come
quando guarda me. Fulminea, sa di languore. Repentina, sa di un abbandono a
braccia spalancate verso un precipizio con la coscienza che c’è qualcuno che
l’afferra.
Si
fida di lui. Poche parole in fondo: si fida di lui. E si affida a lui. Lui non
le farà mai del male… come me.
In verità… lei non
lo guarda più. E, contraddizione, fa più schifo questo che il resto. Magari
continuasse a guardarlo: si fida di lui, va bene. Pure di un cane uno si fida.
Chi cazzo se ne frega. Di quello con cui ha fatto un figlio non si è mai
fidata, ok, soprassediamo. Non è che le può fare una colpa… forse manco lui
stesso si è mai fidato di lei. È persino bello non fidarsi… e sorprendersi
sempre per il buono e restare inermi di fronte al male.
È tipo una polizza
a vita per le cazzate.
… ma lei non lo
guarda più Radcenko. Neanche per sbaglio. Neanche per errore. Neanche perché
segue una mosca con gli occhi e quel bastardo le capita nel campo visivo. È
maniacalmente attenta a non guardarlo più. Ci fa attenzione come quando cammini
per strada e temi le buche nell’asfalto.
Radcenko
è la sua buca nell’asfalto:
una sorpresa fonda che manda su e giù il cuore. Un sobbalzo, un picco di
emozione… e allora ci stai attento.
Draco lo sa, cazzo
se lo sa: Hermione non lo guarda più perché non lo guarderebbe più come prima. Avrebbe
uno sguardo nuovo che teme più di Adamar, più della morte, più della morte di
lei.
E pure quello
sguardo chissà dove ce l’aveva nascosto.
È
successo qualcosa.
L’ha capito subito
appena l’ha vista.
Due più due fa
quattro pure alla fine del mondo.
Lei non parla, lei
non glielo dice, invoca le omissioni e la pace universale. E Draco, per un
attimo, pensa persino che stavolta sarebbe bello rispettarla, sarebbe bello
affidarsi a lei e dirsi che va bene così, che sono decisioni e pensieri suoi,
che ha diritto ad un perimetro di cazzi suoi, visto che non stanno più assieme.
Potrebbe anche sposarsi con Radcenko e lui potrebbe aprire bocca solo se avesse
intenzione di chiedere se gli hanno riservato un tavolo vicino alla finestra, o
di fronte alle casse della musica.
E lui, eccome se la
rispetta, figurarsi… c’ha il sangue
marcio a furia di rispettarla.
Si affannano tutti
per rispettare la bella principessa
mezzosangue.
E lui, difatti, la
lascia a salutare i suoi amici, mentre sfugge come una lepre gli occhi di
Radcenko. E si limita solo a guardarlo quel bastardo. Mica a spaccargli la
faccia, o spezzargli le gambe. No: lo guarda e basta. Si limiterà a capire così
perché lei adesso non lo guardi più. A suon di supposizioni stiracchiate e di
commenti stantii, verrà fuori da quell’enigma.
Non
hai smesso di fidarti di lui, figuriamoci: è così meravigliosamente onorevole
che non ti ferirà mai.
…
e allora è altro.
Allora…
magari… non lo guardi più perché…
Si secca la gola,
si chiude la faringe, per un attimo li immagina assieme e sembra così sbagliato
e contronatura da fargli venire voglia di rimettere. È tutto scomodamente
ridotto ad un pensiero delle dimensioni di una capocchia di spillo. Punge pure
nello stesso fastidioso ed irritante modo… tanto per essere gentili e non dire
piuttosto che lo lacera dall’interno.
È semplice vero?
Radcenko deve
averla avuta in qualche modo.
Si sono detti addio
mentre lui era con Serenity.
Non c’era nessuno
in giro.
Tutto taceva in
casa.
Certo: se l’è
portata a letto. Le è piaciuto, le piace, se lo vorrebbe scopare ancora.
… e fanculo allora al rispetto. Lui può anche
non rispettarla e scoparsela dietro un albero. Io devo rispettarla, certo… e
guardarmela dormire addosso sapendo che morirò a breve e non l’avrò mai più.
Lo
sfizio è prerogativa dei principi e dei puri di cuore.
Non
degli stronzi come me che non riescono neppure a darle più un bacio.
L’ha
fatta godere così, una volta sola. Tanto per dirsi addio.
Il rispetto non dà
da mangiare: certo non dà pace, tregua, riposo.
E si ritrova a
voltarsi verso di lei mentre parla ancora con la Weasley e la Mc Donald. Spia
il suo viso, e lei è un mistero di cera liquida che non fornisce risposte. Ha
gli occhi torbidi e sporchi, ma stanno dicendo addio al mondo, alla vita, al
loro figlio, a sé stessi. Lei non gli darà la verità.
Si volta di scatto,
veloce, fulmineo: allora lo farai tu,
Radcenko.
Lo afferra fulmineo
per la spalla, costringendolo a sussultare e ad aprire gli occhi confuso e
disorientato. Ha una patina diffusa di nebbia negli occhi, chissà a che cazzo
pensava il bastardo. Poi lo riconosce, sospira e fa per chiudere gli occhi
daccapo. Draco allora affonda le unghie nella pelle sottile della scapola come
se gliela volesse strappare di dosso. Lui, ancora, non si muove, non fa una
mossa.
Immobile
come una maledetta montagna che il vento non può toccare.
Sicuro,
certo: le piace anche questo di te.
Non riesce più a
trattenersi a quel punto, glielo sputa fuori come se avesse ingurgitato del
veleno: “Te la sei scopata?”.
Ilai trasale per un
secondo, riapre gli occhi e lo guarda in viso come se sperasse solo con quello
di metterlo a tacere. Illuso. È il
cavaliere delle onore delle donne, lo legge nel suo sguardo mesto e sopraffino
di grazia ed educazione. Difatti, damerino fino in fondo, non gli risponde
affatto, limitandosi a sospirare a lungo apparentemente solo esasperato. Non
gli sbatterebbe nulla in faccia al solo gusto di colpirlo se indirettamente potrebbe
ferire lei di fuoco amico. Coglione.
Grandissimo coglione. Lo fanno talmente incazzare quelli così, che la presa
sulla sua spalla si fa così forte da strattonargli la camicia che porta. Solo
allora Radcenko getta uno sguardo distratto alla sua mano: con un gesto
volatile, violento, la stacca da sé stringendo i denti.
Draco, per un
attimo, si sorprende persino, lo guarda ad occhi spalancati mentre si solleva
eretto e fa per allontanarsi. È un attimo che rinnega subito, un attimo a cui
non lascia presa nel fondo di sé. Ma è un attimo di sorpresa. È incazzato Radcenko. Esattamente come me.
Che cazzo c’ha lui per essere incazzato?
Torna però subito
alla carica, non lasciandosi distrarre dal pensiero dell’affinità con il
rivale.
Nulla
hanno in comune, niente: manco quella furia angosciante di saperla di tutti e
due.
“Avanti su…” lo
incalza bonario, arrivandogli alle spalle e costringendolo a fermarsi “Non fare
il maledetto nobile prezioso… te la
sei scopata?”.
Ilai si volta verso
di lui, sbigottito, stupito. Ha ancora gli occhi lontani, foschi: sembra non
vederlo neppure, sembra parlare da un’altezza smisurata, come un fottuto Mosè
che scende dal Sinai con le tavole della legge. Coglione: due volte coglione.
“Illustrami in base
a quale principio dovrei adesso risponderti…” sibila senza emozione con il tono
di una vera ed autentica domanda. Esasperante
nella sua logica.
Draco non l’ha mai
sentito parlare con lui, questa effettivamente è la prima volta che si
rivolgono davvero la parola escludendo la sera in cui lo vide prendere in
braccio Hermione e portarla in casa.
Sei
il marito di Hermione?
Sarà
lei a dirti quello che sono.
Due frasi: e già lo
voleva prendere a cazzotti.
Però lei se ne
stava lì tra le sue braccia. Ed allora il resto andò simpaticamente a farsi
benedire. Era lì dopo cinque anni… con un altro. Chi se ne fotte chi era
quell’altro… non lo degnò che di mezzo sguardo storto. C’era… e tanto bastava.
Ora, però, lo vede
e lo sente. E si chiede come non ha mai visto e non ha mai sentito.
Ecco
che altro vedi in lui. Cazzo… ha lo stesso tuo tono di voce.
Parla
come te, mi guarda come te… ha lo sguardo che avevi tu ad Hogwarts quando mi
incrociavi nei corridoi. Superiore, lontano, distratto: sono polvere di scarpe,
e tu Pangea d’Universo.
Non
mi guardi più così: come la regina del bene.
Ma
lui sì.
Ecco
che altro vedi in lui: siete due profeti dall’anima mortale.
Due
sacerdoti della verità assoluta. Solo a voi si rivela il Verbo, non sia mai che
lo veda anche io.
La rivelazione
penalizza un po’ di lucidità, difatti lascia che Radcenko prosegua noncurante:
“Magari, sai, magari… mi spieghi
perché dovrei risponderti e mi evito persino di fare quello che avrei dovuto
fare dal primo momento in cui ti ho visto…”.
Ma il bastardo c’ha
anche altro dentro: qualcosa di sorprendentemente stridente con la razionalità
cesellata del bravo ragazzo e con la pacatezza affinata del salvatore di
principesse mezzosangue. Qualcos’altro… Draco
sogghigna tra sé. Naturale che ci sia anche altro. Si era quasi dimenticato di
quel piccolo particolare. Si ricorda
persino i nomi: Irina, Shura, Dominika.
È un fianco
scoperto che lo candida improvvisamente più simile a sé di quanto si aspetti:
ed allora è facile colpire. È facilissimo. Deve essere davvero in debito di
intelligenza e in eccesso di rispetto
per essere stato zitto fino ad ora. Fino a quando somiglia a lei… c’è poco da
fare. Se somiglia a lui, c’è pure troppo da fare.
“Vorresti… ammazzarmi, Radcenko?” glielo chiede
diretto, insinuante, con un’ombra di sorriso bieco sul volto. Il sottotesto ben
chiaro persino mentre ancora non ha finito la frase, è che può persino fingere
disinteresse. Ma anche per lui vale la stessa regola: non possono vivere se l’altro sopravvive.
Peggio
di Potter e Voldemort.
Radcenko lo guarda
inarcando scettico un sopracciglio, limitandosi ad uno sbuffo di sconcerto
rabbioso: “Perché tu no?”.
“La mia tendenza
all’omicidio è largamente paragonabile alla preferenza della gente comune per
il caffè, il tè o lo scotch dopo una cena di lavoro…” commenta lui allora
infinitamente annoiato nel dovergli spiegare una cosa così scontata e semplice
“Ti sto persino rendendo onore così. Sei tu quello… nobile tra noi due, Radcenko”. Sottolinea con una marcata
inflessione della voce l’aggettivo nobile,
così che si stacchi dal resto della frase e gli giunga nelle orecchie come
un dardo infuocato. Radcenko, simultaneamente, sembra comprendere che non si
libererà facilmente da quella situazione: sospira ancora, a lungo, a disagio.
Ha un moto nervoso delle mani che, forse, vorrebbero solo stringere il suo
collo.
Invece, alla fine,
le calma, le rilassa, le lascia cadere lungo i fianchi. Perché lui non farebbe mai niente di meno di quello che sia giusto.
Coglione.
“L’aggettivo nobile
detto da te suona come la descrizione dell’idiozia…” chiosa serio con un
sorriso sghembo e storto “Quindi mi abbasserò ben felice ai tuoi istinti,
Malfoy…”.
Come
pronuncia il mio cognome… come lo pronuncia lei, quando mi vuole ferire.
Come
se ci mettesse dentro tutte le parole peggiori: stronzo, bastardo, Mangiamorte,
traditore, spergiuro.
Continua,
Radcenko. Continua. Dammi il colpo di grazia, figlio di puttana, somigliandole
come uno specchio gemello al contrario.
So
perfettamente come chiamare te per farti sentire la metà di come vuoi far
sentire me.
“Se lo sapesse lei,
dubito che ti amerebbe così tanto…” mormora preoccupato, mellifluo, come se
fosse sinceramente impensierito da un sentimento malriposto di lei verso di
lui.
Sa che lei non lo
ama. Sa che sono tutte puttanate sorte a causa sua. Sa che, se loro due fossero
davvero quelli che sempre sono stati, Ilai Radcenko non avrebbe avuto alcun
impatto su di lei.
Vagheggia della donna
che faceva l’amore con lui tra le rose sotto la pioggia… e sa che quella non
l’amerebbe mai.
Ma poi Radcenko gli
risponde malinconico, spavaldo, incazzato come se volesse fare a pezzi il
mondo, eppure sorprendentemente freddo, asettico, impersonale. Volta la testa
verso di lei, non lo guarda neppure. Ed ha uno sguardo pure lui diverso, uno
sguardo che non ha mai visto.
Se
la guardi ancora ti spacco la faccia.
“… se lei avesse
una capacità migliore di giudizio, dubito che amerebbe te così tanto…” commenta con voce bassa, roca, profonda “Non che tu
abbia una capacità migliore di giudizio… altrimenti non faresti supposizioni su
quello che lei prova per me. Ma ti concentreresti su quello che non smetterà
mai di provare per te… nonostante tutto quello che le hai fatto…”.
Quella
tra le rose non lo amerebbe mai: ma questa che lui adesso guarda lo potrebbe
amare? Amerebbe che parla esattamente come lei, amerebbe che trova sempre il
modo di arrivare al nocciolo delle questioni oltre i miei ragionamenti elusivi
e sarcastici? Amerebbe che si taglia fuori dai discorsi, non esibendo
l’importanza che io invece voglio fargli rimangiare a forza, come se me la
nascondesse, come se ne fosse schivo, come se alla fine non ci fosse nemmeno e
io, invece, per quello, di più ancora, me la vedo scavata addosso?
Lo
ameresti… Hermione?
Ilai fa ancora un
lungo grosso sospiro mentre Draco distoglie i pensieri, mormorando amaro e
sarcastico, la voce un po’ più carica di tensione: “Vogliamo fare un sondaggio
d’opinione tra questi patetici sciocchi? Che dici? Consegniamo questionario e
matite rosse, una bella domanda in grassetto Chi ama Hermione Granger? Secondo me parti anche
avvantaggiato, hai sicuri i voti dei Potter e dei Weasley… ci potremmo fare su
anche un bel reality show…”.
Ilai lo guarda
autenticamente sconcertato, una nube si sposta e compare un raggio di sole che
gli taglia a metà lo sguardo. Ha un’incredulità quasi infantile, infranta di
impossibilità disgustata che dilata a dismisura la dimensione di quello sguardo
livoroso. Scuote il capo, poi sentenzia greve come se stesse pronunciando una
condanna capitale: “Sei un coglione”.
Draco ridacchia un
po’ incrociando le braccia, compiaciuto del linguaggio meno formale e forbito
del ragazzo di fronte a lui. Un po’ è come aver premuto sui pulsanti giusti
sapendo che l’implosione finale, comunque, è ben lontano da avergliela indotta:
dirsi quasi che è stato così facile farlo scendere ai suoi livelli che, quando
calerà l’asso finale, probabilmente lo farà fuori del tutto. Un po’ è la
consapevolezza rancorosa, immarcita, deteriorata e sfilacciata… che non è così
perfetto come sembra. Non è così posato, fermo, immobile, valoroso… come un principe. E se ne dovrà accorgere
anche lei alla fine.
La polvere sotto il
tappeto, un giorno, viene sempre a pungerti il naso e gli occhi.
Sebbene
lei non farà in tempo ad accorgersene: moriremo ora, adesso, tra poco.
Resterà
intangibile d’avorio e d’oro nella sua memoria mentre lascia il suo corpo.
…
ed io resterò di fango e sporcizia tra i suoi ricordi, ad insozzarle il
tracciato degli ultimi pensieri.
Draco digrigna i
denti, li spacca quasi in bocca dalla frustrazione ed indora dell’ sguardo
incancrenito di rancore Ilai Radcenko. Allargando le braccia commenta quindi
statico, incalzandolo di nuovo: “Non sono così coglione da non capire che è
successo qualcosa tra te e lei…”, il viso di Ilai a quel punto ha un fulmineo
moto di impazienza nervosa, una contrazione febbrile di un muscolo della
mascella che, per Draco, è un’ammissione, una prova, una condanna. Un altro solo e maledetto bacio devi averle
dato, e ti faccio fuori, figlio di puttana.
Dentro, l’acido
liquido che corrode ogni cosa, riducendolo in grumi insignificanti di sospetto
e gelosia.
Fuori, la maschera
fredda del demonio per cui tutto scivola incolume di lascivia e di indifferenza
solo per procurare diletto a lui e ferite ad altri.
Aggiunge quindi
casuale come se stesse parlando delle condizioni atmosferiche, e non fossero
davvero alla fine di tutto, di me, di te,
e persino di lei, ed allora che cazzo chiedo a fare, a che cazzo serve? Moriamo
lo stesso tutti e tre, no? Ma sì, invece, conta. Si che conta. Mi hai strappato
già troppo di lei, pezzi che hai creato tu, Radcenko, e manco sapevano che
esistessero. Almeno questo… che resti mio. Almeno questo… che lei abbia deciso
che, in un modo o nell’altro, me lo meritavo solo io. E non tu.
Scoparmela.
Anzi: farci l’amore. Perché se te la sei scopata, ti ammazzo e basta.
Se
ci hai fatto l’amore… se per un momento l’ha pensata e fatta quella parola
attraverso te…
…
Adamar dovrà farsi una ragione. Non posso andarmene prima di averti fatto
rimangiare di averla avuta. Ed aver passato duemila vite, duemila secoli e duemila
ere a riprendermela pezzo per pezzo.
“Le ho fatto una
domanda diretta di tale tipo anni fa… e mi sono beccato un ematoma. Non sono
così desideroso di ripetere l’esperienza…” riprende apparentemente distaccato,
ricordando con una nostalgia feroce e nascosta la mattina del suo ritorno dalla
prova con Adamar quando le chiese di Dimitri, e lei si incavolò come una faina,
una prova di Adamar, lei che è rimasta
sola, io che l’ho lasciata sola, un altro che le vuole entrare dentro… e quella nebbia di remore e pensieri di
saperla altrove… è un fottuto gioco di marionette, specchi e burattini, questa
vita di merda.
Picchiami
di nuovo perché ho osato chiedere, perché nessuno sarà me.
Portala
alla fine di nuovo questa commedia, al suo lieto fine di saperti solo mia.
Non
cambiare il finale… non lo cambiare.
“Quindi siccome tu
sei così nobile e gentile e dolce… lo chiedo a te…” la voce assume un colore cortese,
meravigliosamente soave e delicato, come il veleno della serpe che cala nella
pelle, frastornando ed inducendo la resa. Poi arrivano i denti, il morso, la
carne lacerata, il sangue: “Te la sei scopata, Radcenko?”.
Ilai Radcenko,
però, è venuto al mondo immunizzato da quel veleno: non gli fa effetto, neanche
da lontano. È nato con un codice impresso dentro il calco delle ossa, dei
denti, del cuore. Non prova niente, non lo ferisce neanche di striscio. Piega
le spalle, le scrolla e basta come se così scivolasse tutto addosso, fuori,
altrove. Draco lo guarda fremendo crudele, con la voglia di saltargli alla giugulare,
attentando a quella calma come se fosse un insulto personale a lui, alla vita,
al mondo stesso.
“Non dire
stronzate, Malfoy” sussurra solamente ovvio, incomparabilmente lontano da lui.
E
forse è perché ce l’hai dentro anche adesso, fino ad un punto così nascosto e
lontano che neanche io ci posso arrivare più. Dove me l’hai nascosta, bastardo?
Dove credi che sia al sicuro? Nel cuore, nella pelle, nella mente? Illuso:
bastardo illuso. Te lo mangerò come un cane quel cuore per tirarla fuori da lì.
Per
riprendermela.
La rabbia gli
acceca gli occhi, la mente, le mani, i pensieri. In tre passi, copre la
distanza che gli separa. Gli arriva a muso duro di fronte, fregandosene che sia
più basso di lui, fregandosene che può attirare l’attenzione di lei, se vieni qui a metterti tra me e lui, l’avrò
questa fottuta risposta una volta per tutte. Avanti, vieni, Granger… vienitelo
a riprendere anche tu. Te lo strapperò da dentro, come tu mi hai strappato da
te.
Gli afferra il
colletto della camicia strattonandolo forte, mentre Ilai contrae i pugni e
respira profondamente come a volersi ancora trattenere. Gli sibila addosso con
durezza esibita ad arte, incespicando nelle parole come se fossero ostacoli di
fumo tra lui e le sue mani: “Sei tu che non mi devi dire stronzate. Lo vedo che
non riesce a guardarti in faccia, che ti sfugge e scappa. Te la sei fatta, non
è vero? Te la sei scopata? Sei così buono, carino, dolce, sensibile… e le hai
fatto pena, pietà. E ti è cascata tra le braccia e ti ha aperto le gambe per
puro istinto di compassione…”, può essere solamente così, lui deve sapere che
potrebbe essere solo così, che non potrebbe andare in altro modo, in nessun
Universo, in nessun tempo, in nessun luogo.
Ma Ilai, ancora, si
limita ad un’occhiata da sotto le ciglia nere, che suona quella di un padre, di
un fratello, di un amico.
Ci
mette persino la pena, la pietà. Il bastardo pure quelle ci mette.
Gli
faccio pena. Come fanno pena i bambini di tre anni che spaccano un giocattolo e
poi si mettono a piangiucchiare inconsolabili. Gli faccio pietà al figlio di
puttana… perché ho fatto tutto da solo.
Io
me la sono cercata. E lui invece se l’è cercata e l’ha trovata.
…
così trovata, così presa dentro, così avuta…
…
che ora ce l’ha dentro in tutto… anche in questi occhi.
La
pena dei buoni, la pietà degli eroi.
Continua
a guardarmi come lei. Non smette di essere lei. Non smettono di essere la
stessa fottuta cosa.
Con
me, per me, davanti a me… una sola maledetta cosa inestinguibile.
Ed allora, ferino,
luciferino, demone e diavolo di anime, decide di macchiarlo, decide di
sporcarlo, decide di trascinarlo al suo livello come fece con lei anni fa. Di
farlo diventare come sé stesso, così che la sputi fuori da sé rinnegandola.
Ride con un angolo della bocca che trema,
assume occhi da samaritano misericordioso e sibila melenso: “Le hai
anche raccontato la tua patetica storiella… Cesarevič?”.
L’appellativo
infrange corazza e calma, freddezza e fascino, lealtà e licenziosità, schermo e
sé stessi rilucenti di luce. Sibila nell’aria come una freccia dalla punta
affamata ed affilata, giungendo a colpire Radcenko nella polpa morbida del
cuore. Ha un contraccolpo nervoso ed ansioso che gli fa fare qualche passo
indietro, mentre lo lascia andare. Spalanca le palpebre, gli occhi diventano
due enorme pozze scure. Lui stesso diventa un buco nero: sparisce tutto
l’innocente candore, la mestizia rassegnata, la tristezza autoinflitta come
giusta punizione di vita vissuta senza i morti, e della morte approcciata a
dispetto dei vivi. Ilai, per un attimo, lo fissa come si fissa l’assassino che
fa scintillare caparbio il coltello, spingendolo di più dentro la carne, dentro
gli organi, dentro i muscoli, dentro i tendini.
Incredulo.
Perché
di fondo, quelli come te e lei ve lo aspettate sempre il bene: mai il male.
Tu
me l’hai portato via il mio bene… ed eccotelo in ricompensa il male.
Si
chiama contrappasso, Radcenko.
La reazione
sconvolta di Ilai, lo sbigottimento, la sorpresa, il dolore pulsante e
fiammeggiante in un punto quasi visibile alla sinistra del petto, soddisfano
Draco come se stesse mangiando un frutto dal sapore di vaniglia e dall’odore di
tè nero. Hermione gli evapora dallo sguardo come se non fosse esistita mai. Si
rapprendono fantasmi di pena, spettri di angoscia, pianti di bambini, cuscini
sulle orecchie, sangue sulle lenzuola, catene inesauste di morti e nascite che
si accavallano senza senso, senza scopo, senza volontà di salvezza. Le mani di
Ilai Radcenko tremano, sussultano. Il suo respiro si affanna, si mescola, si
accende e spegne, come la gola agonizzante di un impiccato. Draco ancora crede
di sorridere, fuori lo sta facendo sul serio, a piene mani sembra nutrirsi
della pena dello sguardo dell’uomo davanti a lui. Ma dentro, oltre, in qualche
punto che non conosce, sorge una pena nuova: gli specchi si infrangono,
rovinano, cascano di frammenti spigolosi e taglienti. E scopre che non c’è
salvezza, sollievo, mai: perché non è
meglio che Ilai Radcenko gli paia simile a sé stesso, piuttosto che simile ad
Hermione. Non è meglio saper leggere quel dolore e riconoscerlo come simile al
proprio: quello di ere infinite fa, quello che avrebbe detto eterno ed
inesauribile, se non avesse provato il dolore di perdere Hermione Granger.
Scopre, di fondo,
che anche lui ancora ce l’ha dentro quella donna maledetta che lo fa sentire in
colpa, distrutto, inutile, codardo come sempre è stato.
Non
potevo colpirlo con altro: e quindi sono arrivato a questo.
La
solita storia. La solita vita.
Non
fa più male ormai Radcenko: è la solita minestra che serve la vita da anni,
questa puttana di una sguattera rognosa.
A
me ormai fa bene solo il male.
Il
bene ormai non smette mai di fare male.
Ilai lo afferra di
malagrazia da un avambraccio, stringendo con foga. Sanguina il labbro inferiore
della empietà efferata con cui si morde per non sentire altro dolore. Non
riconosce la sua voce Draco. Se ne compiace, esalta, glorifica. Dovresti vederlo adesso Hermione. Lo
ameresti adesso?
“Che cazzo vuoi,
eh? Eh?” ripete Ilai, sordo, muto, con il respiro affannato dal panico. La voce
resta bassa ancora per rispetto di lei e Draco per quello non smette di
odiarlo, di detestarlo.
Non smette di
detestarlo, e lo odia di più, e lo odia sempre, quando si accorge che lei si è
accorta che sono vicini, si è accorta che stanno parlando. E li guarda entrambi
e ha lo stesso sguardo di Ilai Radcenko.
I
buoni non si aspettano mai il male.
Ride ancora Draco,
a lui e a lei: ma pure i buoni lo sanno
cavare fuori il male. Lo vedi adesso come vuole farmi a pezzi? Lo vedi adesso
come tu mi hai fatto già a pezzi?
“Cos’è esattamente
che vuoi, Malfoy?!” Ilai glielo chiede daccapo e sembra chiedergli di tutto,
del contrario di tutto, di che cosa ha voluto da quando ha venuto al mondo. È
cieco, folle: occhi di demonio, di morto, di vecchio.
Irina,
Shura, Dominika: mi ricordo
ancora i loro nomi.
“Nervo scoperto
senza dubbio…” pigola Draco con un sorriso sarcastico guardandolo storto, le
spalle che rabbrividiscono per lo sguardo dorato e lontano di Hermione “Dio mi
rendi tutto troppo semplice, Cesarevič…”. Glielo dice daccapo,
soddisfatto: pugnale puntato alla gola.
Radcenko annaspa di
nuovo, il sangue perde definizione sotto le ossa, diventa pallido. La mano
corre alla bacchetta, mentre qualcun altro continua ad agonizzare nei suoi
occhi scuri ardendo assieme a lui.
“Chiamami un’altra
volta così… e ti faccio saltare in aria…” sibila minaccioso, le labbra bianche.
“E’ una
manifestazione di rispetto, perché
non dovrei chiamarti così?” asserisce Draco, usando quella maledetta parola
infelicitante della sua intera esistenza,
tu invece, Radcenko, ne hai sempre avuto a iosa di rispetto per tutti. Vedi che
se ne ricava? Un cazzo. Imparalo, bastardo. “C’è davvero ben poco rispetto a questo mondo…”.
“Che cazzo ne sai,
eh, tu?” chiede Ilai, la voce stanca e dimessa sfugge la barriera dei denti.
“Pensavo che fossi
suo marito quando sei arrivato...” risponde Draco sicuro, sogghignando con le
braccia incrociate “Cinque domande in giro tra Mangiamorte. Ci sono volute solo
un paio di ore… è diventato tutto così semplice dopo allora… hai un’aura diversa in fondo… chiaro che lei se ne
fosse invaghita. Aspettano tutte il principe azzurro, no?”.
È allucinato adesso
Ilai Radcenko: perso in un mondo di ombre solo vagamente tangenti con la vita
reale. Succhiata via l’anima come da un bacio di Dissennatore.
E Draco ne avrebbe davvero compassione persino sotto quel sorriso statico di
malvagità repressa. Se non fosse che la guarda daccapo: se non fosse che torna
a lei con gli occhi. Se non fosse che le chiede scusa con lo sguardo. Se non
fosse che le chiede di perdonarlo. Se non fosse che le chiede di colmarlo
daccapo di sé, e lei, seppure sicuramente non distingua i loro tratti da così
lontano, seppure non gli restituisca davvero lo sguardo, comunque lo fa,
comunque con il ricordo lo assolve, lo scusa, lo accetta.
Ci
fa l’amore assieme con lei in un modo che non ho saputo mai. Ed allora spero
davvero che se la sia scopata, spero davvero che sia stata solo carne nella
carne. Un orgasmo, una scopata dietro un albero, un paio di gemiti sudati. Se
lei non lo guarda più… se si somigliano anche in questo… se lo guarda come lui
guarda lei… se sono arrivati ad insegnarselo a vicenda, a trovarlo, a capirlo,
ad inventarlo…
…
allora faranno l’amore sempre solo sfiorandosi tra ciglia e palpebre.
Ed
io non ho tempo di strapparle occhi, palpebre e vista… per averle io.
Sarà
sua per sempre. In quel modo che io non ho saputo neanche che avesse.
L’odio, così come
era nato, si sgonfia, evapora, sparisce mortifero e letale nell’impotenza di
capire e non capire, temere e non temere, sapere e non sapere. Diventa solo una
conferma sentirlo parlare, perché adesso lo sa, adesso lo sente, adesso lo vede
con gli occhi di lei.
Non
ci ha fatto niente di quello che credevo e penso: la meccanica scurrile del
sesso che avrei voluto sapere solo mie. Possono anche essere davvero rimaste
solo mie, sarebbe stato meglio che si fossero tolti lo sfizio. Ci ha fatto
altro: tutto il resto. E non è ladro, non si è rubato niente.
Si
è inventata un’altra, lei, pur di essere in parte sua.
E
quell’altra, io, non la conoscerò mai.
Lo capisce adesso
quando parla, lo intende mentre gli sibila addosso, lo rispetta persino.
“Che cosa vuoi eh?
La verità? La fottuta e stramaledetta verità? O torturarmi mentalmente, Malfoy,
perché mi sono preso a cuore una donna che una volta era tua? Sì, eccotela la
verità. Fa male, figlio di puttana, che una volta era tua? Che ora non lo è
più? Che magari non lo sarà più solo per colpa tua? Non c’entro un cazzo io con
questa storia. Credimi… lei è stata cristallina in proposito. È del vostro
inconfessato e supremo amore che si parla. È del vostro unico figlio che si
parla. Io non c’entro niente con
questa storia, niente, maledetto bastardo. Quindi non uscirtene fuori con
queste stronzate… la verità è quella che vuoi? Potevo averla. Volevo
averla. La voglio ancora adesso. La
sogno e l’immagino mia in ogni maledetto momento in cui sono sveglio. Ma non
l’ho avuta, non l’avrò mai. Perché non è tua, adesso… ma è tua che sarà. In un modo o nell’altro. Se vive, è perché è te che
ama. Se muore, è perché è con te che doveva finire. E allora a che cazzo serviva,
eh? Non sarà mai mia. Esisti in questo mondo. Esisti dentro di lei. E fino a
quando sarà così, fino a quando non riscrivono il mondo e mandano indietro la
Terra per rendere tutto diverso… sarà sempre così. Tu che le stai dentro, io
che le sto attorno… con il pensiero che la sola cosa che posso davvero darle di
cui ha bisogno, è non obbligarla a fingere di scegliere. Perché è te che vuole.
È sempre te che vuole. Non salirò mai al grado di scelta, Malfoy. Devi essere
migliore di te stesso, non di me, per averla. Io non c’entro un cazzo con
questa storia…”.
Draco ha un sorriso
amaro, verecondo, immaturo. Sei un idiota:
pure me hai rispettato.
Esattamente
nel modo che volevo io: non te la sei scopata perché pensi che sia mia.
…
ma non nel modo che avrei dovuto volere.
Averci
fatto l’amore solo con lo sguardo, rendendola oltre che mia anche tua.
“Non te la saresti
fatta… solo perché esisto io?” la
tiene comunque in campo quella commedia, tanto vale andare avanti lo stesso,
tanto vale che lui non capisca fino in fondo. Ammanta le parole di incredulità
spavalda ed insoddisfatta, aggiungendo sprezzante: “Ora capisco che ci vede in
te… impotenza, probabilmente pure
eiaculazione precoce… ma adesso capisco molte cose… non te la sei fatta
perché esisto anche io. Logico… anzi… nobile,
ecco. Nobile…”, glielo dice di nuovo,
sperando di ferirlo, sperando di fargli male. Ma Radcenko è come lei. Assonanti alchemici: ecco mi ero dimenticato
anche di questo. Quindi capisce subito dove sta andando a parare. La
rabbia, il livore, la devastazione dello sguardo, si accucciano in un angolo di
lui, ed è di nuovo sé stesso.
Freddo, calmo,
impassibile: teso per una vita a tenere il ricordo fuori. Come me.
“Ti ringrazio davvero, Radcenko,
della tua franchezza…e del tuo infinito
onore… ” lo schernisce, lo insulta, ma stancamente, goffamente,
scioccamente. Sa che non avrà effetto. Sa che andrà oltre. Sa che ormai ci sta
oltre: a miglia di nuovo di distanza. Sopra una vetta di giustizia alta mille e
mille metri.
“Ecco, vedi…”
borbotta Ilai nervoso, scompigliandosi i capelli “Nobile. Idiota. Sono due
dannati sinonimi”.
“Lo sono per te, Cesarevič…”
non lo saranno mai per me , lo pensa
sul serio, poi si accorge di averlo di nuovo chiamato così e persino si affanna
a replicare nervoso: “Scusa, scusa,
deformazione da serpe. Difficile che non sfrutti qualcosa a mio favore… non mi
hanno mai insegnato etichetta.
Bigiavo le lezioni da bambino… ho un debito formativo da recuperare di
vent’otto anni e mezzo…”.
Radcenko lo guarda
di nuovo con espressione neutra, stupefatta, scuotendo il capo. Ha un barlume
di fioca luce nello sguardo. Persino chiamarlo
Cesarevič… adesso sembra rispetto.
Te
lo cavano fuori a forza il bene pure se stai cercando il male.
Sono
la stessa dannata e maledetta cosa.
E
con il bene, estraendotelo fuori, ti fanno più male di tutto il resto.
“Sei un coglione…”
commenta ancora Ilai, con voce incolore “Come cazzo fai a riderci su cose
simili?”.
“Sei stato educato
in un dato modo, Radcenko…” risponde Draco sintetico, guardandolo di sbieco “Io
in un altro. Semplicemente… è la sola
cosa che sappiamo fare. Tu l’idiota. Io il coglione. Paradossalmente… siamo
più simili di quello che sembra. Mi
sono fatto Raissa… che amava te. Ho un figlio con la Granger… che ama ancora
te. Sono fottuti gatti che si mangiano la coda…”, aggiunge canzonatorio con una
sola punta di amarezza nella voce: “Sei la mia adorabile nemesi”.
“Lei non mi ama,
Malfoy…” ribadisce Ilai, ed è di nuovo deciso, serio, implacabile “Non far
finta che non ci senti. Ti fa più paura che ami ancora te… piuttosto che ci sia io… fatti un travaso di autostima
qualche volta…”.
“Bé penso che la risposta, io e te, non l’avremmo mai, no?”
conclude alla fine Draco, allargando le braccia con un gesto di impotenza “Di
fondo lei appartiene ad un’altra vita…”, guarda Hermione, guarda Weasley,
guarda Potter. E li unisce idealmente in un’ellisse concentrica che li attacchi
assieme.
Ilai segue il suo
movimento delle palpebre, imitandolo a sua volta.
“Lei appartiene a quella vita…” riprende Draco,
enormemente più stanco “La stiamo rubando e basta da quello che sarebbe dovuta
sempre essere…”.
“Basta che la
riporti a casa…” sospira Ilai con calore, prima di soggiungere grave: “Cosa
sarà dopo… sarà solo affare e scelta sua. Saprà che fare. Anche con me e con
te…”.
“Lo sa sempre che
fare… non la trovi odiosa per questo?” borbotta Draco mettendo su un broncio
infantile, subito sostituito da un’espressione più fintamente remissiva e quasi
scandalizzata: “Giusto, giusto… io Malfoy. Tu Radcenko. Ho invertito per un
attimo i ruoli… troppa introspezione psicologica spiccia…”.
Ilai sorride, più
sinceramente stavolta.
Entrambi guardano
Hermione.
Intimamente con la
stessa domanda dentro.
Quella
che ho io, quella che amo io, quella che ama me…
…
sarà lei a tornare?
“Ho bisogno che tu faccia una
cosa per me, Malfoy”.
“Ormai siamo diventati migliori
amici, Cesarevič… sono colmo di rispetto per te… parla, che vuoi?”.
“Non voglio che Hermione veda che
cosa mi sta per accadere… n-non posso farlo da solo. Ho bisogno della mia forza
al massimo. Puoi… schiantarla?”.
“… magari se ti vede crepare si
dimentica di te”.
“… e magari se tu le permetti di
vedere, è te che si dimentica…”.
“Chiamiamo due Lepricani per fare una scommessa? Un’ultima soddisfazione
prima di crepare, no?”.
“Sei un coglione”.
“E tu un idiota”.