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Autore: nekoruya    28/11/2014    4 recensioni
«“Puoi scrivere qualcosa per me, poeta?”
Kou mi guarda, come se capisse cose sta succedendo in questo esatto momento sotto la mia pelle, dietro i miei occhi e in un punto indefinito nel mio petto.
Ed è Ruki a rispondergli, con voce chiara e decisa.
“Lo sto già facendo.”»
[AOIHA]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ruki, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per Anna.

Il soffitto non è mai stato tanto interessante.

Mi premo i polpastrelli sugli occhi, con uno sbadiglio, dopo quella che penso sia almeno un’ora passata a pancia in su sul divano, a girarmi i pollici e ripetermi che, davvero, dovrei lavorare. Ho un paio di canzoni arretrate da rimettere apposto, e più della metà dei testi da scrivere. Siamo nel periodo clou dell’anno, in cui i fan richiedono a gran voce qualcosa e i manager, che somigliano più che altro a diavoli risaliti su dalla profondità di chissà quale inferno per punzecchiarci continuano a ricordarci, forconi alla mano e ghigno stampato in faccia, che le lancette dell’orologio ticchettano anche per noi. Non abbiamo più tempo da perdere, e quello che a inizio anno, durante la canonica riunione per decidere il concept del nuovo album e tutto il resto, ci sembrava un ammontare di mesi ragionevole durante il quale lavorare, se ne è andato via con una velocità incredibile. L’inverno ha lasciato il posto alla primavera, i fiori di ciliegio hanno sostituito la neve candida sulle strade e più tardi, come per un tacito accordo, anche la primavera stessa ha fatto fagotto e se n’è andata, permettendo a questa estate torrida e secca di venire a farci visita. È appena iniziata, e ogni giornata che completa il suo ciclo naturale e arriva alla sera, con luna e sole che portano avanti la loro battaglia millenaria per la supremazia sul nostro cielo in un continuo nascere e morire, io mi rendo conto di quanto sia maledettamente indietro in quello che teoricamente dovrebbe essere il mio lavoro, che in questo periodo sto parecchio trascurando. Mi chiedo come mai… E se almeno non avessi ispirazione potrei mettermi l’anima in pace e usare la solita scusa che fa sempre comodo in certi momenti, ovvero che le cose scritte per forza e per dovere non mi rispecchiano, Ruki se la prenderebbe a morte con me e non tornerebbe a farmi visita per un po’ e via così.
Però, diamine, l’ispirazione io ce l’ho eccome. La sento, quella piccola stronza. Mi si agita nel petto come una serpe, diventando talvolta un macigno, talvolta una bolla d’aria che mi mozza il respiro prima di liquefarsi e salirmi agli occhi, che irrimediabilmente finiscono per bagnarsi e pizzicare. Ed è così snervante non riuscire ad avere nemmeno più il controllo sul mio corpo, sui miei sentimenti, guardarmi mentre mi lascio schiacciare sempre di più da una situazione che riesco a malapena a concepire e alla quale sto cominciando anche io ad arrendermi. Ma non sono lacrime di tristezza, quelle che mi stanno scorrendo sulle guance anche in questo momento mentre, frustrato, mi metto a sedere e mi asciugo il viso con un gesto stizzito, come se ci fosse qualcuno nascosto a guardarmi e pronto a rinfacciarmi la mia debolezza. No, no. Sono lacrime di pura, semplice e cruda rabbia, che mi ribolle nelle vene con una violenza tale che per un istante rimango quasi accecato.
Ho allontanato tutti, in questo periodo, e più ci penso più mi congratulo con me stesso per una scelta saggia e decisamente azzeccata. Come potrei guardare in faccia qualcuno, in un momento del genere? Mentre vedo il mio sogno sfuggirmi dalle mani senza che nemmeno io, uno degli artefici principali, riesca a tenerlo stretto a me, come farebbe una madre con il proprio figlio? Mi incolpo per ciò che non sto facendo e, quando il veleno che corre sotto la mia pelle diventa veramente troppo amaro e insostenibile perché io possa riuscire a trattenermi ancora, comincio a fare la stessa cosa anche con loro. Loro che dovrebbero essere parte integrante del mondo che abbiamo creato insieme, che dovrebbero combattere per riaverlo come era prima… mentre invece si limitano a guardarsi indietro, malinconici, e sospirare.

Non siamo più i ragazzini di una volta, Taka. Cerca di capirlo.

Bastano poche parole, o meglio, il ricordo di esse, a strapparmi un basso ringhio gutturale, quasi animalesco, che mi muore in gola sostituito da un leggero singhiozzo. Mi prendo la testa fra le mani e chiudo gli occhi, con le labbra strette fra i denti.
Vorrei odiarli, ma non ci riesco. Vorrei detestarli per il loro continuo accampare scuse, per l’aver lasciato a me tutto il carico di lavoro, le canzoni da comporre, le pratiche noiose e inutili da sbrigare, ma non ci riesco. Perché in fondo so che non dipende da loro.
Lo so, e questo mi rende ancora più impotente.
E non posso neanche sfogarmi come farei normalmente, ovvero prendendo carta e penna e buttando tutti i miei pensieri su un foglio bianco e immacolato, che aspetta solo di essere sporcato e marchiato dalle mie sofferenze. Dai miei sogni che stanno andando in fumo, dalle speranze spezzate. Dalle promesse svanite e da quei giorni che ormai sono solo l’ombra dei nostri sorrisi. Finirei per comporre canzoni tutte uguali, frustrate, disilluse e così inutili da essere quasi nauseanti. E non posso permettermi di scendere a patti con quella parte di me che ancora combatte con le unghie e con i denti per dimostrare quanto davvero vale.
Ho scritto così tanti testi pregni di questo malessere che mi sembra di essere caduto schiavo del giochetto perverso a cui ci hanno costretti a partecipare. Ci stanno tarpando le ali, me ne rendo conto, portandoci all’esasperazione e strappandoci via anche il piacere che provavamo nel fare musica, quello selvaggio che come un fiume in piena investiva chiunque, trascinando con sé ogni cosa. Era il nostro orgoglio, quella forza.
Cosa ci è rimasto ora? Stanchezza, un vago senso di sottomissione, noia. E, nonostante abbia solo voglia di ribellarmi e spezzare queste assurde catene per salvarci tutti, riesco solo a sfogare la mia rabbia così. Fumando, distribuendo occhiate velenose al mondo e chiudendomi in un silenzio rabbioso.
Quindi, in definitiva, sono solo una primadonna indelicata e viziata, che predica bene e razzola male.

Cerco a tentoni il pacchetto di sigarette, con mani tremanti, e sto per abusare di nuovo dell’effetto calmante della nicotina, con tanti saluti ai molti rompicoglioni che mi ripetono che fumare così mi rovinerà solo la voce, quando il campanello suona. Un unico trillo, come se la persona dall’altro lato della porta si stesse timidamente chiedendo se non sia il caso di lasciar perdere, girare i tacchi e andarsene, lasciando perdere ogni buon proposito di intavolare una discussione pacifica e sensata con me. Questo consapevolezza mi riporta indietro di anni, a quando questa casa era praticamente un porto di mare. Era un continuo entrare e uscire da quell’ingresso, e più di una volta questo stesso salotto è stato occupato da altre quattro persone che, sedute chi sul pavimento chi sulle poltrone morbide e chiare che potrebbero battere ogni altra cosa in fatto di comodità, ridevano e scherzavano come se niente potesse toccarle. C’era davvero la famosa corazza invisibile fatta di fiducia negli altri e nelle proprie capacità di cui tutti spesso parlano, in quel periodo? Era quella che ci proteggeva? Forse. Ma adesso deve essere andata in mille pezzi, visto che non mi sono mai sentito così indifeso in vita mia.
Ad ogni modo, nonostante abbia sentito quel suono fino allo sfinimento, soprattutto in questo ultimo periodo in cui ho arbitrariamente deciso di chiudermi in casa e tanti saluti, questa volta mi sembra diverso. Più limpido, dolce, più gentile. Mi sta chiamando, e mi scuote nel profondo, risvegliando una parte di me che fino a questo momento era rimasta accoccolata al buio, da qualche parte. È proprio lei che si alza, sorride e si muove verso l’ingresso, trascinandomi ad aprire, impaziente. Raramente quando mi succede qualcosa del genere poi non segue un evento se non meraviglioso almeno degno di nota, e non mi sentivo così da tanto. È come se delle scariche di adrenalina mi attraversassero da cima a fondo, e quando stringo il pomello della porta avverto una leggera scossa. Eccitato mi affretto ad aprire, senza domandare nemmeno chi sia.
 
Non so bene perché, ma me lo aspettavo.
Vestito con una semplice maglietta azzurra e un paio di jeans chiari, Kouyou mi saluta con un piccolo sorriso imbarazzato. Per quanto abbia cercato di isolarmi dal mondo, lui è in ogni caso una delle poche persone per cui avrei potuto fare una piccola eccezione anche se non fosse stata quella strana sensazione a costringermi ad alzare il culo dal divano per andare a vedere chi fosse a richiedere la mia presenza, quindi direi che tutto sommato è un buon inizio. Almeno sono sicuro di non dover passare la prossima mezz’ora a cercare di liberarmi di qualche noioso moralista venuto a salvare me, il mio gruppo e la mia carriera. Mi guarda attraverso gli occhiali neri e enormi per cui, tempo fa e quando ancora avevamo lo spirito giusto per farlo, ci divertivamo tutti a sfotterlo bonariamente, e nell’istante in cui i nostri occhi si incontrano mi sento completamente messo a nudo. Non sono l’unico a stare male. Ad essere stanco, a voler solo uscire da questa situazione e tornare ad essere quello di sempre… perché in quelle iridi color cioccolato vedo una tristezza che mai avrei pensato di incontrarvi. Siamo tutti sulla stessa barca in fondo, no? E ognuno reagisce a modo suo. Anche se beh, in effetti lui è un pochino più avvantaggiato di me in questo senso.
Ha Yuu, da sempre. Hanno avuto i loro alti e bassi, certo, ci sono stati momenti in cui si sono reciprocamente sbattuti fuori di casa con valige annesse e sono stati costretti a passare una notte da qualcun altro ma, nonostante tutto, sono sempre stati una cosa sola. Prima come rivali, poi come fratelli, infine come complici assoluti.
E mentre guardo Kou che ancora mi osserva incerto, con una mano in tasca e l’altra intenta a giocherellare con una ciocca un po’ più lunga delle altre nel suo taglio di capelli asimmetrico, mi ritrovo a provare un’incredibile invidia nei suoi confronti. E a sperare con tutto me stesso che una persona come lui mai, mai si ritrovi sola come il sottoscritto.
Anche perché so che, in questo senso, non sta passando proprio un bel periodo.
“Ehi!” esclamo, dopo essermi ripreso un momento “non… non aspettavo visite, sono in delle condizioni pietose. Vieni, entra pure.”
Ci accomodiamo sul divano su cui io passo ormai la maggior parte delle mie giornate, mentre cerco di tenere a bada l’animale che ruggisce dentro di me chiedendo a gran voce di uscire, e con in mano qualcosa da bere –rigorosamente analcolico, come è proprio Kou a farmi notare non appena gli metto in mano un bicchiere di Orangina- mi permetto finalmente di guardarlo con aria interrogativa. Le sue visite improvvise mi hanno sempre fatto piacere in realtà, ma adesso più del solito. Mi sento tranquillizzato dalla sua presenza, e mi sembra di tornare a respirare nel modo giusto dopo secoli… e la parte di me che normalmente rimane in silenzio ad osservare ciò che gli succede attorno per poi saltare fuori solo quando le va, adesso si affaccia da un angolino della mia mente e lo guarda con attenzione, prima di sorridere.
Ha qualcosa di interessante.
Sento quella voce rimbombare nella mia testa come se qualcuno avesse accostato le labbra al mio orecchio e mi avesse sussurrato quelle poche parole. E forse, in un certo senso, è proprio così.
Ruki è una presenza veramente molto scomoda, a volte… ma ha una sensibilità tutta sua, e questo è innegabile. Quindi, in via del tutto eccezionale, decido di fidarmi della sua parola non richiesta.
“Kou… sei venuto qui per un motivo in particolare o solo per farti offrire da bere a scrocco?” Domando divertito, ridendo con lui e osservandolo attentamente mentre si china ad accarezzare Koron prima di voltare il viso verso di me e guardarmi con una certa attenzione. Per un istante sembra indeciso, sul punto di chiedermi qualcosa. Apre bocca, corruga la fronte, scrolla le spalle e alla fine si limita ad una buffa smorfia.
“In realtà sì. Prendi il portatile, devo farti sentire una cosa.”
Ammicca, tirando fuori una piccola penna usb nera. Per poco non gli salto in collo, ma non mi trattengo dall’esultare in modo anche un po’ indecente mentre mi alzo e volo di sopra a prendere il mio fedele Mac.
Ha composto qualcosa, di sua spontanea volontà, e soprattutto è venuto da me per farmelo sapere. Questo è un miracolo autentico, altroché. Kouyou è sempre stato probabilmente il più introverso del gruppo, e da quando suoniamo insieme ho imparato a conoscerlo abbastanza bene da sapere quanto lui ami passare le sue giornate con la chitarra in braccio a comporre. Come io mi libero delle mie preoccupazioni o ansie scrivendo testi, lui lo fa suonando. Tuttavia in questo periodo ha avuto anche lui un blocco non indifferente, e ciò ha contribuito a renderlo più chiuso, silenzioso e irritabile del solito. Non ho difficoltà a capire per quale motivo ultimamente lui e Yuu a malapena si guardano, in studio… e so per certo che sono di più le notti in cui uno di loro finisce a dormire sul divano che le altre. In realtà è tutto un circolo vizioso, e non si sa bene da cosa derivi cosa, ma solo un fatto è certo, purtroppo: le pressioni che tutti, dai piani alti, stanno esercitando su di loro. Qual è una delle prime regole messe in chiaro appena abbiamo firmato il contratto con la nostra attuale casa discografica? Niente relazioni? In quel periodo, quando siamo entrati a far parte del piccolo Olimpo a cui avevamo sempre aspirato, quei due erano poco più che ragazzini ma stavano comunque insieme da un paio d’anni. Si sono opposti con forza a quel divieto assurdo, continuando a comportarsi come al solito, fino a quando dopo un paio di passi falsi sul palco che non sarebbero stati scambiati per semplice e falso fanservice nemmeno con una buona dose di impegno e immaginazione, i pezzi grossi hanno cominciato ad alzare davvero la voce e farci notare che la nostra intera esistenza, così come la conoscevamo, era effettivamente nelle loro mani.
Da lì sono cominciati i guai.
Eravamo già un gruppo di un certo spessore, il carico di lavoro aumentava portandoci a raggiungere livelli di stress improponibili… e in tutto questo sono stati aggiunti, per quei due poveretti, continui rimproveri, richiami e assurdità. E le cose si sono spinte tanto oltre che una volta mi sono dovuto chiudere nello squallidissimo bagno di un autogrill con Yuu per fargli una feroce lavata di capo e costringerlo a rimangiarsi ciò che aveva osato dire nemmeno un’ora prima riguardo ad una sua intenzione di farla finita con quella storia e occuparsi solo del gruppo, senza mischiare le due cose.
Quella è stata la prima volta che ho visto Kouyou piangere, e ho preso la faccenda così sul personale che, quando siamo tornati dagli altri, quel testone del mio secondo chitarrista era bianco come un cencio. Sì, sono stato crudele in quell’occasione, ma adesso non è il caso di pensarci troppo. Alla fine si è risolto tutto nel modo migliore, no? Si sono scambiati il sorriso più timido e dolce che abbia mai visto, e tutto è tornato al proprio posto in un secondo. Non hanno avuto bisogno di baci, abbracci o dichiarazioni piene di inutili ti amo, è bastato un semplice sfiorarsi perché il loro piccolo mondo ricominciasse a girare nel verso giusto. E il nostro di conseguenza, chiaramente.

Quando torno in salotto praticamente saltellando e con il computer sottobraccio, trovo Kou seduto sul pavimento con Koron che, sdraiato a pancia in su, si prende la sua dose di coccole da buon cane ruffiano quale è. Immagino che vedere gente nuova sia una soddisfazione anche per lui, visto che non abbiamo ricevuto molte visite in questi giorni, e io mi sono a malapena preso la briga di portarlo a fare una passeggiata. Sarà la presenza di quell’uomo alto e un po’ strano a farmi prendere coscienza di certe cose, ma mi sento davvero in debito col mondo. Avanti, che persona di merda sono stata nell’ultimo periodo? Solo un codardo che non è riuscito ad affrontare la situazione di petto, facendo esattamente ciò che continuava a rinfacciare agli altri. Sono vergognoso, e per un momento un’immagine si sovrappone a quella che ho davanti agli occhi. Come se avessi passato la mano sulla superficie opaca di uno specchio rendendola di nuovo limpida, adesso mi vedo in piedi nel mio salotto, con un’espressione quasi sconcertata sul viso. Non è bello… ma almeno i contorni che prima risultavano fumosi in mezzo a tutto questo marasma di sensazioni che si agitano dentro di me, adesso sono chiari e nitidi. Delineati, perfetti. Lo specchio è tornato a riflettere un’immagine chiara e fedele, su cui finalmente posso lavorare. Posso migliorarla, mutarla completamente, piegarla al mio volere o chiederle di assecondarmi. Posso farlo, e mi rendo conto solo ora che in realtà ho sempre potuto.
Un’altra piccola scossa, che questa volta parte dal basso e mi arriva dritta al cuore, mi risveglia da quel torpore durato sicuramente non più di una manciata di secondi.
“Kou, lascia stare il cane sono curioso!” rido, sedendomi a gambe incrociate accanto a lui e accendendo frettolosamente quell’aggeggio che, nonostante sia l’ultimo modello e mi sia costato un occhio, in questo momento mi sembra troppo lento, preso come sono dalla situazione. Ci mette meno di un minuto ad accendersi, ma a me sembra che sia passata almeno un’ora.
“Taka vuoi calmarti?” mi risponde lui, tirandomi una leggera e amichevole botta sulla nuca. Vedo brillare per un momento un piccolo anellino d’argento all’anulare della sua mano sinistra, e non posso trattenermi dal sorridere. Come è naturale né lui né Yuu lo indossano durante live, interviste o video “ufficiali”, ma quando non ci sono telecamere in giro lo sfoggiano con un certo orgoglio, anche nei corridoi della stessa Psc che li guarda con disprezzo. Il resto del mondo invece conosce bene la loro storia, e li segue con un pizzico di sana invidia e divertimento negli occhi. Sì, perché non sono certo una coppia che si presta a smancerie, scene dolci o passeggiatine mano nella mano… anzi. I loro litigi sono famosi, e anche le discussioni divertenti e piene di sottilissime battutine spesso anche parecchio cattive, che fanno capire chiaramente quale sia il grado di affiatamento fra loro. Si appartengono, si vede lontano un miglio, e guardarli fare anche solo le cose più normali è un piacere. È come se i movimenti di uno dipendessero da quelli dell’altro, e viceversa. È qualcosa su cui ho provato spesso a riflettere, non come amico ma più come artista, senza riuscire a trovare però una descrizione giusta e capace di rendere giustizia a ciò di cui ormai sono testimone da un po’. Il loro continuo cercarsi con gli occhi, ad esempio, senza però dare mai l’idea di essere pesanti o indiscreti. Il non avere segreti di nessun tipo, e la conoscenza approfondita che uno ha del corpo dell’altro, che si manifesta con gesti semplicissimi. Ad esempio, capita spesso che Yuu si innervosisca per qualche idiozia scritta su Twitter o roba varia, e quando questo succede nessuno riesce a togliergli il suo caratteristico broncio dalla faccia prima che sia passata almeno mezz’ora. Però, se Kou gli si avvicina e quasi casualmente lo sfiora, allora lui torna a sorridere. Ogni muscolo del suo corpo sembra rilassarsi, e i suoi occhi si fanno più chiari e profondi. Come riescano ad arrivare a tanto è un autentico segreto per me, che loro custodiscono gelosamente.  Probabilmente, se riuscissi ad avere un’affinità di questo genere con una persona, allora potrei dirmi davvero felice. Sono stato innamorato anche io, naturalmente, più di una volta e in alcune occasioni in modo veramente serio, ma non ho mai trovato nessuno capace di capirmi in quel modo, e non sono mai riuscito a provare quella sensazione di cui una volta è stato proprio Yuu a parlarmi, aiutato da una buona dose di alcool. Un po’ farneticando e un po’ facendo il serio mi ha spiegato di come lui non si senta più solo, in nessuna situazione. Mai. È come se una parte della sua anima, parole testuali, avesse scelto di vivere con Kouyou piuttosto che con lui. E quando gli ho chiesto se allora non si sentisse vuoto, quasi dimezzato, lui ha sorriso e mi ha guardato.
“No…” si è limitato a rispondere, come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo “perché anche una parte dell’anima di Kou ha scelto me, sai?”
Ricordo ancora quanto sia rimasto colpito da quelle parole. Quella scena è ben impressa nella mia mente nonostante sia passato almeno un anno, così come quello che è seguito. Mi ricordo benissimo di aver tolto il bicchiere di mano a Yuu e averlo abbracciato a lungo, cosa che non avevo praticamente mai fatto. Non c’è nessuno fra i ragazzi a cui voglia più o meno bene, ma con lui le scene di affetto sono davvero sempre mancate… quindi quella è stata una piccola eccezione. Un ringraziamento per aver aperto per me, anche se forse senza volerlo, le porte di un mondo magico e meraviglioso.

Mi piacerebbe sentire anche l’opinione di Kouyou stesso a riguardo, ma non trovo mai l’occasione giusta per farlo… lui è decisamente meno spigliato con le parole, e da ubriaco finirebbe solo per borbottare qualcosa di incomprensibile.
“È una canzone un po’ diversa dalle altre, in realtà… non so se ti piacerà.” Mormora, inserendo la pennina nel computer e guardandomi quasi imbarazzato dopo aver aperto il programma. Le prime note riempiono la stanza, e il suo viso si tinge di rosso.
Per quanto mi riguarda, invece, sento il mio cuore pompare furiosamente il sangue al cervello seguendo il ritmo esatto della meravigliosa melodia che mi avvolge, prendendomi per mano e portandomi in un posto che conoscevo, tanto tempo fa. Devo averlo dimenticato quando il peso di tutto ciò che mi hanno fatto diventare ha cominciato a gravarmi sulle spalle, e adesso mi sembra di essere tornato a casa.
Te l’avevo detto. Sussurra Ruki, per una volta colpito quanto me. Nella sua testa cominciano ad affiorare immagini che, sono sicuro, conserverà per me fino a quando non arriverà il momento di tradurre questi pensieri in parole.
Sorrisi, mani intrecciate, il vento che soffia in una notte di pioggia senza fine. E poi, semplicemente, due ombre che, abbracciate, camminano verso una luce che poco a poco le dissolve, facendole sparire per sempre.
Ma sono felici, vero?
Istintivamente annuisco, rispondendo alla domanda che, ancora una volta, mi è sembrato di sentire con chiarezza. Vengo lentamente pervaso da un senso di calore, dolcezza e malinconia, mentre una sola lacrima scende a bagnarmi una guancia.
È proprio Kou ad asciugarla con un sorriso, guardandomi negli occhi. E mi rendo conto solo in quel momento che la musica è finita, e le ombre si sono dissipate con lei. Ma torneranno a farmi compagnia ogni volta che ne avrò bisogno, giusto? Non se ne sono andate per sempre, lo so bene. Mi stanno ancora guardando da lontano, e aspettano soltanto che la loro storia venga raccontata. Voglio farlo al meglio, e non sono l’unico. Voglio parlare di un sentimento di cui sono testimone da sempre, che finalmente ho trovato le parole giuste per descrivere. Un viaggio lungo una vita, che un giorno o l’altro si concluderà… ma non è per forza un finale tragico, il loro. Anzi. Continuano a camminare verso quell’orizzonte comune, aspettando solo che la luce fredda della luna si tramuti nel rosa caldo dell’alba e le faccia diventare una cosa sola. Per sempre, senza che niente possa più toccarle.
Si guarderanno un’ultima volta, allora, e nel farlo si giureranno amore eterno prima di dissolversi insieme.

Ho ancora gli occhi appannati di lacrime quando trovo finalmente la forza di allontanarmi da quelle immagini e guardare Kouyou che, imbarazzato, giocherella con un lembo del plaid abbandonato sul divano.
“È per Yuu?” mormoro, restituendogli lo sguardo. Lui scrolla le spalle, arrossisce e annuisce lentamente, come se stesse confessando un peccato grave più che dandomi conferma di una cosa fantastica come questa.
Mi avvicino un po’ a lui, fino a che le nostre spalle non si sfiorano.
“È che… è un periodo strano per noi” mormora incerto, scegliendo bene le parole e torturandosi le mani “ormai siamo adulti, no? Ed è chiaro piuttosto chiaro, arrivati a questo punto, che non c’è più nessun altro al mondo con cui potremmo passare la vita. Nessuno mi conosce come mi conosce in quel modo, Taka… e ogni volta che provo a guardarmi indietro, a cercare di capire dove finisca io e cominci lui, vengo preso da un tale senso di panico che devo lasciar perdere ogni cosa e ripetermi che no, non c’è più questa divisione fra di noi. Semplicemente non riesco nemmeno a concepirla, capisci? È… complicato. Mi spaventa, e allo stesso tempo mi rende la persona più felice al mondo. Ed è questo l’unico modo in cui posso spiegarglielo, e magari sperare di farglielo capire.”
Scrolla le spalle, e si passa una mano fra i capelli.
Io ho capito benissimo.
 “Sì, ho capito benissimo.” Sorrido, sentendo la testa girare leggermente sotto il peso di tutte le parole che stanno chiedendo a gran voce di uscire, quasi piangendo. Si lamentano, e fanno male. Non penso di poterle trattenere ancora a lungo.
“Puoi scrivere qualcosa per me, poeta?”
Kou mi guarda negli occhi, come se capisse cose sta succedendo in questo esatto momento sotto la mia pelle, dietro i miei occhi e in un punto indefinito nel mio petto.
Ed è Ruki a rispondergli, con voce chiara e decisa.
“Lo sto già facendo.”


Kouyou rimane con me ancora un’oretta e poi, dopo avermi stretto a lungo, torna a casa con gli occhi un po’ più luminosi di quelli con cui mi ha salutato prima. Forse è merito mio, forse della parte di anima che Yuu gli ha donato tanto tempo fa, non saprei. Tutto ciò che so in questo momento è che ho un lavoro da fare. Una promessa a cui non posso in nessun modo venir meno.
Racconto delle due ombre per tutta la notte, fino a che non sono proprio loro a voltarsi e, dopo un breve cenno, a lasciarmi scivolare in un sonno che comunque non vuole lasciarle andare.
E so che, da qualche parte, quelle figure cammineranno sempre dentro di me, mentre le loro orme vengono lavate lentamente via dalla pioggia che danza.
 
“Non dimenticare che questa non è la fine.”

***

/arranca faticosamente
Oi! Salve(?) Bene bene, se state leggendo queste parole (sembra l'inizio una lettera post-mortem(?), aiuto) vuol dire che siete arrivati in fondo, e come al solito vi ringrazio molto. Mh, vorrei sprecare qualche parolina per fic, anche perché credo ce ne sia bisogno. È da un sacco di tempo che penso a un modo per descrivere in modo diverso un rapporto che penso vada oltre lo spettacolo e la montatura (ma questi sono deliri da fangirl, ignoratemi) e soprattutto di farlo attraverso gli occhi di un 'personaggio' che ultimamente sto cominciando davvero ad adorare, come artista e persona. Scrivere di Ruki è stato complicato, divertente e appagante, perché lo spessore della sua personalità, o almeno di quella che mostra, è davvero impressionante. È un artista a tutto tondo, sul serio. Quindi è stato proprio un bell'esperimento, già già(?)
Non me ne vogliate per l'accenno al fatto che i restanti quattro del gruppo, nel periodo di cui si parla, non lavorassero molto.. è vero, ed è stato detto chiaramente in un'intervista, proprio da Ruki. Le vere motivazioni non le conosceremo mai, ma per un istante Division ha seriamente rischiato di diventare il nuovo album di Ruki, e non dei the GazettE. Lui ha fatto in modo che non succedesse, si è rifiutato di monopolizzare l'attenzione e far girare tutto attorno a lui, e per quanto mi riguarda è degno di una stima incredibile. Chiuso il discorso, non vorrei dilungarmi troppo lol.
Questa storia è stata un parto che avevo bisogno di scrivere, perché Kagefumi è una delle mie canzoni preferite.. e dentro ci vedo una dolcezza che, ops, mi fa costrantemente ripensare a quei due baka che sul palco nemmeno si sfiorano a momenti /flipp
E quindi niente, lasciatemi sognare ROFL
(ah, mi sono dimenticata di dire che l'ultima frase è presa pari pari dal testo, anche se immagino si capisse.. vabè.)
(ahx2, 'Calpestando le ombre' è la traduzione del titolo 'Kagefumi'. Niente, il concetto mi piace da impazzire.)

Bene, ho detto anche troppo.. grazie alla mia NekoannaH, senza la quale questa storia non sarebbe mai esistita. Tutta per te, mon amour(?)
Un bacio e grazie ancora!
R.


 
  
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