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Autore: Mary934    28/11/2014    2 recensioni
Salve a tutti!! Questa è la prima One Shot che scrivo. Diciamo che questo è quello che la mia piccola testolina elabora quando studio fino alle 23, guardo una puntata di Sanctuary e non ho sonno. Allora mi sono chiesta: "cosa succederebbe se Magnus si prendesse una piccola vacanza?" Beh lo leggerete voi stessi e spero che vi piaccia!! Ringrazio Fabiola che ha avuto la pazienza di prendere la mia One Shot e tradurla in italiano!! XD che dire, è la mia roccia :) Detto ciò, buona lettura!! e non siate timidi, recensite :)
Tratto dalla One Shot:
"Helen era entusiasta di questa sua scelta in fondo, ma il suo temperamento molto analitico e cerebrale la portava anche in questo caso a controllare l’emozione e valutarla in relazione a quello che semplicemente era: un tentativo estremo di riprendere in mano le redini della sua vita."
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Helen Magnus, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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UNA MERITATA VACANZA...O QUASI!
Un nuovo giorno nella vecchia vita. Questo pensava Helen Magnus. Ormai aveva vissuto cinque vite diverse, ma tutte legate da un unico obiettivo: la salvezza degli Anormali, di coloro che più di tutti avevano bisogno di protezione, coloro che, ormai, vivevano Esiliati ai confini della società. Abbandonati a se stessi.
 Ma, in fondo al suo cuore, Helen sapeva che non poteva mollare; non poteva lasciarli soli al loro destino. Il suo lavoro si era completamente impossessato di lei.
“Ma tu non vai mai in vacanza?”. Ricordava bene le parole che Will le aveva rivolto una volta, durante una missione. Sperò che Will non si accorgesse, quanto l’avesse scossa quella domanda. A volte si fermava a pensare che forse una vacanza sarebbe stata più che meritata. Non il solito week-end che poteva permettersi di trascorrere ogni 7 anni sempre in Italia, a Capri, ma qualcosa di più concreto, una vera vacanza appunto.
Fu allora che decise: Helen Magnus andrà in vacanza!
In fondo Will, Kate, Big Foot e Henry potevano cavarsela per un po’ senza di lei.
  • Magnus, ma ne sei sicura? Insomma noi, qui, soli … sai come si dice: quando il gatto non c’è i topi ballano, e Big foot farà sicuramente il topo mentre tu non ci sarai!-
 
  • Oh andiamo Henry, adesso usi questa scusa così dozzinale ma vedrai che ve la caverete benissimo! Ho già dato disposizioni a Will e Kate è partita per una missione al rifugio di Dubai. È arrivato il momento che anche tu ti prenda cura di questo rifugio senza di me … in fondo prima o poi doveva accadere no? E poi Big foot starà attento che tu non faccia danni in mia assenza.-
 Helen era pronta per partire. Destinazione: Isole Canarie!
 Indossava un giubbotto di pelle, un paio di jeans e una camicia bianca sottile che lasciava intravedere più di quanto lei volesse.
Helen era entusiasta di questa sua scelta in fondo, ma il suo temperamento molto analitico e cerebrale la portava anche in questo caso a controllare l’emozione e valutarla in relazione a quello che semplicemente era: un tentativo estremo di riprendere in mano le redini della sua vita. Certo anche se si trattava di una semplice vacanza di un paio di settimane, Magnus non poteva fare a meno di pensare a quello che sarebbe potuto succedere. Anche la cosa più insignificante come ad esempio Bigfoot che bruciava la cena o Will che invitava Ebbie al rifugio per un pomeriggio romantico.
“A volte so essere proprio paranoica” Pensava Helen con un sorriso sulle labbra mentre preparava la valigia con cura e si faceva investire dai pensieri come un treno.
“ NO HELEN. Questa volta andrà tutto bene. A volte tocca anche a te, non sempre, ma a volte è il tuo turno.”
 Il viaggio fu quello di una normalissima turista: volo in partenza da Boston, in economy. Niente elicottero privato questa volta. Non avrebbe permesso al lavoro di intralciarla.
Arrivò a Santa Cruz in 10 ore di viaggio. Era una città in cui lei si era recata decine di volte. Ma mai come quel giorno aveva notato il cielo splendente, il sole cocente che le regalava una sensazione di benessere istantanea. Come inizio non era affatto male.  Il suo albergo si trovava in riva al mare, la “perla del mar”. Era un albergo semplice, dall’architettura in stile new age, le pareti erano color avorio. Ad accoglierla all’ingresso vi era un ampio salone e finestre ampie che lasciavano filtrare la luce e quel fantastico tepore di una giornata primaverile, che si era lasciata il gelido inverno alle spalle. Il profumo di gelsomino e lavanda le fece chiudere gli occhi e inspirare fino in fondo, assaporando quel momento che tanto aveva agognato e che finalmente poteva godersi. Si avviò alla reception e diede i suoi dati alla receptionist, la quale chiamò il portiere per accompagnare Magnus alla sua stanza. La stanza si trovava al terzo piano dell’hotel ed era modesta ma accogliente. Esplodeva in un turbinio di colori caldi che fecero strabuzzare gli occhi a Helen.
-Santo cielo! È meraviglioso!- Esclamò Magnus con gli occhi ancora sbarrati e le labbra schiuse.
 Era fatta! Niente lavoro. Niente preoccupazioni. Niente pericoli e nessuna disavventura!! Adesso c’erano solo lei, le escursioni, lo snorkeling, la pesca subacquea, le arrampicate e il più totale relax.
O almeno così sembrava.
Dopo aver sistemato i vestiti nell’armadio si diresse alla terrazza che dava sul mare. Aprì la porta a specchio scorrevole e la brezza marina la travolse. Il rumore delle onde del mare, il suono dei gabbiani, il vento che danzava con i suoi lunghi capelli castani che fino a un secolo prima erano stati biondi. Le ricordò i suoi saltuari week-end a Positano, dove possedeva una delle sue tante ville. Si lasciò cullare da quelle sensazioni che troppo raramente di prendeva il lusso di provare.
Tornò in stanza, si fece una doccia, si fiondò sul letto e osservò il soffitto. Si concentrò principalmente sulle pale del ventilatore che danzavano a mezz’aria, smuovendo l’aria e donando a Helen un po’ di sollievo da quel caldo che, appena arrivata in città, aveva apprezzato ma che ora iniziava a essere soffocante.
 Si era APPENA  addormentata quando una chiamata al cellulare la destò improvvisamente.
 Era Will. “Oh no … cosa diavolo sarà successo ora?” pensò mentre rispondeva al telefono.
- ¿Buenas tardes Magnus!! Cómo estas?-
 -¿ Buenas tardes Will, muy bien, qué pasa?-
 - OK, la mia conoscenza dello spagnolo si esaurisce qui, PURTROPPO. Mi dispiace interrompere la tua vacanza da subito ma ho brutte notizie-
Lei respirò esasperata  - Santo cielo Zimmerman, sono appena arrivata!! Cos’è successo? Nikola infastidisce Henry? Kate si è innamorata di un indiano? Purché non si tratti di questioni di vita o di morte non voglio essere disturbata!-
  • Ok calmati!- disse lui sulla difensiva  - Ho intercettato un carico clandestino di anormali. Indovina dove sono diretti?-
  • NON DIRMELO!-
  •  BINGO! Saranno li tra 30 minuti, all’hotel “Las Venturas”… a un chilometro a sud-est dalla tua posizione attuale-
Possibile che più volesse evadere dai problemi e più se ne trovava invischiata? Aveva fatto un viaggio di 10 ore per prendersi una pausa, e non aveva avuto nemmeno il tempo di schiacciare un pisolino, che doveva partecipare a una missione pericolosa e mortale. “Bella la mia vita eh?”
  • E’ una delle notizie peggiori che tu mi abbia dato negli ultimi 4 anni Will -
  • Magnus sono armati e pericolosi. Ti mandiamo  una squadra e..-
  • No. - lo interruppe perentoria lei -  Will, non c’è tempo. Andrò da sola. Sai quanti sono?-
Lui sospirò. Sapeva che, quando Magnus prendeva decisioni così drastiche, non c’era modo di farle cambiare idea. Specialmente dopo quanto era successo. Dunque rinunciò al tentativo di convincerla ad essere affiancata da una squadra e continuò: - Stando alle scansioni direi 8. –
  • Perfetto e Will non preoccuparti, ho vissuto esperienze peggiori nel 44 quando …”
  • Si Magnus, lo so, me lo hai già raccontato. Va bene … ma sii prudente. Sono mercenari, non scherzano-
  • Non lo fanno mai Will. Ti contatterò quando arrivo li. -
 Chiuse la chiamata. Davvero aveva osato sperare che sarebbe riuscita a godersi una vacanza senza problemi? No. Se lo era aspettato. Aveva  già previsto che sarebbe stato impossibile. Dopotutto dopo così tanti anni su questo mondo aveva imparato a conoscere la natura imprevedibile degli eventi. E inoltre ad essere il capo della Rete di Rifugi* non si stava mai con le mani in mano, ne tantomeno ci si poteva permettere una pausa. Non a  caso nella valigia con il doppio fondo, erano stipati due glock , un silenziatore e  quattro caricatori da 16 colpi. E tra i vestiti c’era anche la sua “uniforme”: pantaloni neri, maglia nera e giubbotto di pelle nero. Lei sapeva  perfettamente il perché di quel suo gesto:  sapeva che la sua vita non sarebbe mai stata normale;  non sarebbe mai stata lontana dalla perenne ombra che il Rifugio proiettava su di lei; ne, tantomeno, avrebbe vissuto senza la continua minaccia che le procurava stare al comando.
 Indossò il cambio, prese le pistole, le cartucce e, con la freddezza di un killer, partì per il luogo dell’incontro.
 
****
 
Arrivò in 20 minuti circa, addirittura in anticipo rispetto all’orario prestabilito per il l’incontro. Insomma era la situazione perfetta per guastare le feste ai mercenari, dato che poteva fare un sopralluogo e decidere come meglio agire.  Un attacco frontale sarebbe stato un gravissimo errore. Doveva muoversi in maniera furtiva. Mentre perlustrava la zona, notò che  3 mercenari sorvegliavano il parcheggio all’interno del quale si trovava un furgone. Dedusse che quello fosse il carico di Anormali. Si avvicinò di soppiatto al primo mercenario finché non gli fu alle spalle: lui non fece in tempo a voltarsi che lei gli assestò un colpo preciso alla tempia con il calciolo dell’arma. Fu così rapida che il soldato fu a terra in pochi secondi, senza aver emesso alcun suono. Spostò il corpo in modo che nessuno notasse la sua assenza e, anche, per evitare che, in caso di scontro a fuoco, potesse essere coinvolto e ferirsi.
“Il primo è fuori gioco, ne restano 2”.  
Cercò di fare lo stesso con il secondo soldato. Camminò accucciata per circa 15 metri finché non gli fu dietro, ma questa volta non andò altrettanto bene. L’ uomo si voltò con uno scatto fulmineo e puntò l’M16 contro Magnus, ma con l’esperienza accumulata negli anni di guerra, lei lo aveva già anticipato afferrandogli il braccio sinistro, disarmandolo e assestandogli un gancio destro che lo mise in ginocchio. Gli puntò la pistola alla testa:
  • Non muovere un muscolo o potranno raccogliere il tuo cervello con un cucchiaino chiaro? – l’uomo annuì mesto, facendole capire che aveva recepito il messaggio. Cosi continuò - Dove sono gli altri uomini?-
 
  • E tu chi cazzo sei?- rispose lui
 
  • Risposta sbagliata. – gli assestò un calcio allo stomaco, facendolo piegare ancor di più in due. Poi lo afferrò per i capelli e lo riportò su puntandogli questa volta la glock alla gola.
 
  • Ti ripeto la domanda: dove sono gli altri uomini-
 
 
  • Maledetta puttana!!- sputò lui ancora ansimante per il colpo. – Tu non hai la vaga idea di chi siamo-
Lei rise della sua provocazione. Gli uomini se feriti nell’orgoglio fanno i duri, anche quando sono appesi per le palle.
  • Certo che so chi siete. Degli sporchi mercenari che oltre che mettere a dura prova la mia pazienza, mi stanno anche rovinando la vacanza. Ora..-  gli puntò la pistola proprio in mezzo alle gambe -.. se davvero ci tieni al tuo giocattolino, è meglio che mi dici dove sono i tuoi uomini.-
  • Mai.-
Un colpo partì.
L’uomo urlò e se la fece sotto per la paura.
Silenzioso ma letale, il proiettile aveva colpito l’asfalto accanto all’uomo. 
  • Il primo colpo è di avvertimento, il secondo non mancherà il bersaglio.- 
L’uomo pallido come uno spettro, deglutì più volte prima di rispondere.
  • Va bene. Due sono appostati sul tetto, gli altri invece attendono nell’atrio.-
 
  • Chi è il compratore? Voglio il nome!-
 
  • Non lo so-. Nell’aria non si sentì altro rumore se non dell’arma di Magnus che veniva caricata. Pronta per un altro colpo. L’uomo lo senti e cominciò a piagnucolare.
 
  • Davvero non lo so. Ti prego basta.-
 
Gli sorrise di nuovo. Crudele. Spietata.
Non potevi non esserlo dato quello che stavano facendo. Era già orribile che sequestrassero gli Anormali e li strappassero alle loro vite. Ma che lo facessero per estrarne gli organi e poi rivenderli ai collezionisti? Questo era inaccettabile. Ai limiti dell’umano.
E lei che credeva che l’umanità sarebbe cambiata in qualche modo. In tutti questi anni, le si era solo rafforzato l’idea che il mondo potesse solo  andare peggio. Specialmente dopo che li aveva persi entrambi... il mondo non era ancora pronto per capire che gli anormali non erano dei mostri, o degli animali come spesso venivano trattati.
Niente avrebbe potuto migliorare la razza umana, ne lei aveva intenzione di vivere così a lungo da volerlo ammirare. Per ora aiutare chi era come lei, ed era in difficoltà, era la sua unica missione. Che poi ne fosse uscita viva, quella era  un’altra variabile a cui non dava peso. Non le importava più di vivere dopotutto.
E se non avesse avuto la risposta che voleva subito, l’avrebbe fatto desiderare anche all’uomo.
  • Hai tre secondi, dopo di che saprai come si sente una cane una volta castrato-
Lui, incredibilmente, sbiancò ancora di più. Era ormai cinereo e le lacrime fin da prima trattenute, trasbordarono. Non era altri che un uomo ridotto ad un verme piagnucoloso ormai, eppure ancora non cedeva. Se non avesse risposto alla sua domanda, avrebbe dovuto attuare quanto detto.
  • Tre..
  • No ti prego- la supplicò lui in lacrime.
  • Due..
  • SI CHIAMA CARLOS FUENTES! IL SUO NOME È CARLOS FUENTES!-
Lei sorrise sollevata. Non valeva la pena avere la coscienza sporca per un essere insignificante come lui. Poi ancora con il riso sulla bocca gli disse:
 - Ottima scelta la tua.
Dopo di che  gli diede un frontale in piena faccia che lo fece stramazzare a terra.
Tuttavia quello scambio aveva fatto saltare la sua copertura poiché, per quanto il silenziatore avesse attutito il colpo, le urla del mercenario avevano messo in allerta il suo compare, appostato nel parcheggio.
Lui la raggiunse di corsa e una volta guardata la scena, ed il suo compagno a terra, digrignò i denti  e fece una mossa avventata e alquanto stupida. Nonostante fosse armato la rabbia lo aveva portato a fare delle scelte sbagliate e poco ponderate. Infatti le tirò un gancio destro, che le fece cadere la pistola, e che seppur ben piazzato e molto doloroso, le diede la scarica di adrenalina giusta. Sentiva la guancia destra pulsarle, ma rimase  in equilibrio, schivò il diretto successivo e contrattaccò con un  montante.
Peccato non avesse calcolato il fatto che lui fosse quindici centimetri più alta di lei e con una massa muscolare tre volte superiore alla sua.  E che lei si trovasse in svantaggio senza armi.  L’uomo incassò il colpo e senza nemmeno darle il tempo di allontanarsi da quella posizione che le lasciava troppi punti scoperti, le assesto un calcio nel fianco sinistro, facendola cadere di schiena. Magnus boccheggiò in cerca di aria, e provò a strisciare via avvicinandosi verso l’arma, o comunque  cercando di allontanarsi da lui, ma l’uomo le fu subito sopra con un coltello. Sollevò la mano puntando dritta alla sua gola, ma intercettò il braccio di lui, lo bloccò in quello che sembrava un braccio di ferro infinito. Magnus però ebbe un idea. Volontariamente, allentò la forza nel braccio facendo avanzare la lama verso la sua pelle, e facendo si che lui si piegasse sempre di più in avanti. Magnus mise su una faccia sofferente nella speranza che l’uomo troppo arrogante non si rendesse conto del trucco. E cosi fu! Mentre lo scagnozzo ormai completamente piegato,  già sghignazzava,  esultando per la vittoria,  lei gli assestò una testata sul naso che lo disorientò quel tanto che bastava per afferrare la pistola e sparare al petto di lui.
Tenendosi le costole incrinate, si alzò a fatica e zoppicò vero il furgone. Gli Anormali avevano la priorità. Eppure non si sarebbe mai aspettata di avere il camioncino completamente vuoto.
Ma che diavolo..”.
Non fece in tempo a finire la frase, che un dolore lancinante le colpì alla nuca e nonostante il sole fosse ancora alto, le ombre calarono su di lei.
 
 
Quando riaprì gli occhi, l’unica cosa che sentiva era  il sapore del sangue in bocca e un dolore acuto alla testa. Non vedeva nulla. Una benda le copriva la visuale ma sentiva il nastro adesivo stringerle i polsi e le caviglie. L’avevano legata ad una sedia. Non sapeva esattamente quanto tempo fosse passato, l’unica cosa che sapeva è che era una trappola in cui era cascata in pieno.
“Brutti figli di puttana”
Passarono circa tre minuti e una porta della stanza si aprì. Dei passi, molti passi riempirono la stanza ma solo uno le si avvicinò. D’improvviso le tolsero la benda e la luce soffusa di una camera d’albergo riempì la sua visuale. Insieme alle figure di molti scagnozzi in nero. Solo uno spiccava fra loro. Un uomo alto dal fisico asciutto, sulla quarantina circa, la cui figura slanciata indossava perfettamente l’abito grigio e dal taglio elegante. Sarebbe sembrato un brillante oltre che affascinante uomo d’affari se  non fosse stato per il coltello con la lama da 13 cm appeso alla cintura.
  • Deduco che lei sia il signor Fuentes- disse lei lanciandogli un occhiata in tralice. Lui non sembrò nemmeno farci caso.
  • E lei deve essere Helen Magnus, capo del Rifugio.- un bisbiglio al suono del suo nome si levò tra le file nemiche. Molti infatti si meravigliavano che a capo di un’organizzazione tanto potente quanto sconosciuta ci fosse una donna.
Gonfiò il petto e lo guardò con uno degli sguardi più glaciali che potesse permettersi, dato il fatto che fosse legata. Poi rispose:
  • Vedo che la mia fama mi precede.-
L’uomo rise sguaiatamente poi la guardò con una strana luce sadica negli occhi; - È da tanto che aspetto questo momento!-
  • Posso chiederle come mai si è preso tanto disturbo per farmi questa imboscata? Cosa vuole da me?-  
Fuentes si allontanò dal cerchio di uomini che lo affiancavano e si avvicino alla donna, con lo stesso ghigno che lei aveva visto al mercenario  del parcheggio. Il ghigno di una persona che sapeva di aver vinto.
  • Vede Magnus, tu mi ha fatto un torto. Trent’anni fa all’incirca. Allora ero solo un bambino ma tu? Tu non sei cambiata affatto. In effetti non sei invecchiata di un giorno, sei esattamente come ti ricordavo!-
 
Magnus guardò attentamente, per la prima volta, Carlos. Un uomo dalla pelle olivastra, dagli occhi neri come la pece incorniciati da un volto spigoloso e duro e dei capelli scuri con qualche sprazzo di grigio. Aveva tutte le caratteristiche tipiche di un Ispanico. Eppure dopo tutti gli anni passati, non ricordava di averlo mai visto.
 - Signor Fuentes, mi dispiace, ma io non capisco di cosa..- Non fece in tempo a finire la frase che  le assestò un manrovescio alla guancia, spaccandole il labbro con uno degli anelli che portava alla mano.
 
  • il fatto che tu non ti ricordi di me è un insulto, ma sicuramente ricorderai mio padre: Juan Castillo. Una notte lo ammazzasti davanti ai miei occhi. Ero solo un bambino!- le tirò un diretto in pieno stomaco che la fece piegare in avanti, per quanto la sedia glielo permettesse,  mozzandole il fiato. Fu in quel momento che ricordò.
Riprese il fiato, lo guardò negli occhi e rispose:  
-Ah Carlos, ricordo bene tuo padre. Un uomo senza scrupoli che ha molti innocenti nonché uno dei principali esponenti del mercato di  organi di Anormali! Sai in verità per quanto non volessi ucciderlo, credo che il mondo stia meglio con un assassino in meno. Mi dispiace solo, che tu abbia dovuto assistere a ciò-.
Lui la guardava con occhi iniettati d’odio e quasi digrignando le urlò contro.
- Pagherai per questo Magnus. Ho aspettato per trenta anni e adesso che ti ho in trappola, me lo godrò fino in fondo!-. Lui cominciò a girarle attorno come fanno gli squali con le prede. E lei sentiva il panico salire ad ogni giro che lui faceva.
 - I miei uomini manderanno rinforzi.-
 Lui rise ancora, e oltre il panico montò in lei anche l’angoscia.
  • Si, ma non arriveranno prima di 4 ore. Giusto in tempo per trovare il tuo cadavere e contemplare il mio operato.-
A Helen vennero i brividi, mentre la reale possibilità di non uscire di li viva la colpiva con la stessa durezza dei pugni del suo carnefice. Carlos aveva ragione: anche se Will avesse intuito il pericolo e avesse deciso di mandare i rinforzi, non sarebbero mai riusciti a rintracciare la posizione esatta, ne tantomeno avrebbero fatto in tempo ad arrivare. Se voleva sperare di salvarsi, doveva farlo da sola.
Fuentes scivolò come un serpente alle sue spalle, la afferrò i capelli dietro la nuca, rovesciandole la testa all’indietro e puntandole la lama al collo per poi alitarle in un orecchio:
- Sai, mi sono sempre chiesto,  si sarà mai resa contro che danni avrà portato ad un bambino, la morte del padre?-
Mentre le parlava, premeva sempre di più il coltello sulla sua giugulare, finché non le fece uscire un rivolo di sangue. Helen deglutì rumorosamente. - Carlos ti prego ascoltami, sei ancora in tempo per redimerti. Ma se mi ucciderai ora, ti prometto che la mia squadra ti troverà e tu perirai nel peggiore dei modi. –
  • Andiamo Magnus, davvero speri che le tue minacce servano a qualcosa? Riescono solo a farmi innervosire.  Ma non preoccuparti, ho speso così tanti anni e immaginato così tanti modi diversi di ucciderti che adesso non ho intenzione di lasciarmi condizionare dalle tue suppliche o dalle tue minacce. Ne tantomeno ti ucciderò velocemente. No, tu soffrirai, e tanto.-
Detto ciò mollò violentemente la presa e uscì dalla stanza.
 Lo sentì dire:
“Sorveglia la stanza, nessuno deve entrare, né uscire! Tornerò tra poco con qualche giocattolo” e sentì i suoi passi allontanarsi. Perfetto, quello era il momento! Con una forte spinta si rovesciò  dalla sedia lanciandosi verso destra. Andò a sbattere contro un mobile facendo così cadere un vaso, che si andò a infrangere al suolo. Per quanto il suo piano avesse funzionato, però non poté attutire la caduta date le mani legate alla sedia.  Fortunatamente la moquette era abbastanza sottile da permettere al vaso di rompersi ma di rendere l’impatto meno assordante. O almeno così dedusse poiché l’uomo che si trovava all’esterno non spalancò la porta cominciando a sparare alla cieca.
Ritrovatasi a terra e ricoperta di cocci  non fu difficile farsene scivolare uno dietro la schiena per iniziare a tagliare il nastro adesivo. Dopo  nemmeno  un paio di minuti riuscì a liberarsi  mani e piedi.  Mai comprare del nastro di pessima qualità, per quanto messo in abbondanza.
Cominciò a cercare il più in fretta e il più silenziosamente possibile nella stanza un’arma, ma l’unica risorsa a disposizione erano i pezzi di ceramica ancora sparsi sulla moquette. Ne strinse uno forte nella mano, mentre con l’altra libera scelse un oggetto a caso tra il mobilio;  abbastanza grande da poter fare  il più rumore possibile. Scelse l’abatjour. La soppesò e poi la scagliò con tutta la forza che aveva contro la finestra prima di nascondersi dietro la porta d’ingresso.
Il piano prese forma nel momento in cui l’uomo destato dal forte rumore entrò perentoriamente nella stanza.
 Pessima mossa.
Con uno scatto felino Helen afferrò l’uomo, facendolo girare e così da avere una perfetta visuale sul suo bersaglio. Da li colpì. Ferì la sua mano destra andando a recidere i tendini che gli permettevano di tenere salda la presa sulla pistola. Da li con il palmo gli sferrò un violento colpo al naso, che produsse un orribile “crack” prima di iniziare a sanguinare copiosamente. Glielo aveva rotto. Bene a questo punto era innocuo. Con un altro strattone lo mandò a sbattere contro il mobiletto accanto al letto facendogli perdere subito conoscenza.
Afferrò la pistola dell’uomo dopo avergli controllato il polso.
Lo aveva stordito questo era vero, ma questo significava che avrebbe dato l’allarme tra breve, quindi non aveva più senso agire furtivamente.
Uscì dalla stanza e percorse un ampio corridoio in cui alla fine vi era una scalinata che conduceva direttamente all’atrio. “Possibile che Fuentes fosse così sicuro della mia resa da non aver messo altre guardie oltre quella di fronte la porta?”.
Mentre scendeva la scalinata non trovò alcun scagnozzo del suo aguzzino, ne segni di telecamere.
“la cosa mi puzza”
Arrivò alla reception senza alcun preavviso ma avrebbe dovuto immaginare che era una trappola. Non appena varcò la soglia delle scale, almeno una decina di uomini, posti a semicerchio le puntarono addosso dei fucili di precisione.
Era circondata
“Cazzo”
Puntò la pistola in ogni direzione,  ma Fuentes che si trovava in mezzo non poteva far altro che sorridere.
  • Devo riconoscerlo Magnus, sei in gamba. Le voci su di te sono vere, sei un osso veramente duro da rosicchiare; ma come vedi, sei in trappola. Sei sola, la tua arma è quasi scarica e noi siamo in dieci. Che cosa speri di fare? -
 In cuor suo Helen sapeva che Carlos aveva ragione. Non avrebbe potuto uccidere tutti quegli uomini, con una semplice pistola quasi scarica. Inoltre aveva poco margine di fuga. Però poteva almeno tentare. Aveva vissuto troppe vite e sapeva perfettamente in quali modi avrebbe preferito morire, e essere uccisa da un pugno insignificante di mercenari guidati da un pazzo sanguinario non era sulla lista.
Senza il minimo preavviso sparò due colpi a bruciapelo verso gli scagnozzi alla sua sinistra. Li abbatté entrambi e avendo così la strada libera verso l’unico rifugio sicuro in tutta la stanza.
Il bancone della reception.
Fece un balzo verso di esso, mossa ormai dalla sola adrenalina, mentre i colpi dei fucili  le facevano fischiare le orecchie. Un proiettile le colpì di striscio il braccio. Un altro il fianco, ma riuscì a raggiungere il suo ”posto sicuro” quasi illesa. Per essere stata sotto tiro da otto uomini armati era quasi un miracolo che fosse ancora viva.
Per quanto possedessero fucili così potenti, non erano degli ottimi tiratori. Questo andava a suo vantaggio.  Adesso però doveva prendere tempo, e pensare alla prossima mossa.
 
  • Ascolta Carlos, richiama i tuoi uomini, arrenditi, e forse ti lascerò vivere!! - urlò lei
 
La sua risata rimbombò sulle pareti dell’ampio atrio - Mi prendi in giro? Sei ferita,senza munizioni, sola, e ti permetti il lusso di minacciarmi? Questo è davvero troppo!! Fate fuoco a vista ragazzi, non mi importa se muore velocemente, voglio la sua testa come trofeo-
Detto ciò, nell’aria si sentì solo il rumore  dei fucili mentre venivano di nuovo caricati. Sospirò affranta e contò quanti colpi le erano rimasti.
Sei.
Aveva solo sei fottuti colpi per otto  fottutissimi uomini.
Aveva solo un tentativo di abbattere più della metà degli uomini restando coperta dal bancone, poi avrebbe dovuto improvvisare e cercare di combattere a mani nude o di recuperare le armi da chi era caduto sotto la sua pistola.
Sentì il cuore pomparle nelle orecchie. Doveva farlo. Doveva uccidere per non lasciarsi uccidere.
 Come gli animali in natura.
Basta pietà.
E se fosse morta lo avrebbe fatto combattendo. I cari che già se n’erano andati almeno non sarebbero morti invano. E l’avrebbero perdonata per quello che stava per fare.
Sua figlia lo avrebbe fatto.
LUI forse prima,  ci avrebbe fatto una riflessione filosofica sopra ritendendo cosa fosse giusto o non giusto fare. L’avrebbe affascinata e irritata come al solito. Poi l’avrebbe baciata come era solito fare.
Prese un respiro profondo, chiuse gli occhi, focalizzò i bersagli e sparò.
Si alzò dal nascondiglio tanto quanto bastava per tenere  gli aguzzini sotto tiro e non esserlo a sua volta.
Sparò sei colpi e tutti e sei andarono a segno, facendo cadere i mercenari come se fossero birilli. Da li fece un altro balzo per cercare di prendere le armi dei suoi bersagli. Questa volta però un proiettile nemico non mancò il bersaglio. Lo stesso fianco ferito in precedenza subì un’ennesima fitta, cominciando a sanguinare copiosamente.  Ma l’adrenalina era tanta e lei riuscì nonostante il dolore a prendere un fucile ed a sparare all’impazzata contro gli ultimi due mercenari.
Anche loro caddero.
Alzò lo sguardo verso Carlos Fuentes, che la fissava allucinato.
Alzò il fucile al quale restava solo un colpo e puntò contro Carlos.  
  • Arrenditi Carlos! Hai altri uomini da mandare al macello? Ormai è finita! –
Disse lei con un sorriso trionfante
  • Maledetta! Pensi di avermi battuto? Non hai ancora capito con chi hai a che fare! -
 Improvvisamente armeggiò con la sua cintura,  alzò una delle glock di Helen e gliela puntò contro.
Helen ebbe il tempo solo il tempo di premere il grilletto mentre lui faceva lo stesso.
Ci fu un attimo di tensione in cui la ferita pulsava e sanguinava.
In cui continuarono a studiarsi, a cercare di capire chi avesse colpito chi.
Finché la glock di Fuentes  cadde a terra alla stessa velocità in cui, all’altezza del cuore di lui, si espandeva  una macchia rossa.
 
Pochi attimi in cui Helen assistette trionfante alla scena di Fuentes, che si lasciava cadere a terra per essere  catturato dalle più profonde e impetuose tenebre.
 Pochi attimi in cui Helen si lasciò scivolare nel buio anche lei mentre si rendeva conto che il proiettile di Carlos le aveva perforato la spalla destra.
Ma in fondo che le importava? Tutto ciò che desiderava era rivedere Ashley. Poter di nuovo riabbracciarla e inspirare il profumo dei suoi capelli fino in fondo. Quando chiuse gli occhi, lo fece con un sorriso.
********
 Quando si risvegliò, tutto si aspettava tranne che essere a bordo di un elicottero fin troppo familiare.
  • Ei Magnus, ben tornata tra noi! Dovevi per forza fare la James Bond li eh? Per fortuna ti avevo messo un localizzatore sulla giacca! Stare lontana dai guai è impossibile per te, vero? -
  •  … Henry … ciao - Disse Helen regalando a Henry uno dei sorrisi più grandi che gli avesse mai regalato, facendolo arrossire.
Tentò di alzarsi ma un dolore lancinante alla spalla e al fianco glielo impedirono.
  • AH- AH ferma li! Hai idea di quel che ho dovuto passare per ricucirti? In genere sei tu che rattoppi noi, ma c’è sempre una prima volta per tutto no? Ah e a proposito,  scusa se te lo dico ma la prossima volta, se proprio vuoi farti colpire, cerca di farlo in zone un po’ più facili da medicare! - disse lui, sorridendole dolcemente.
  •  Ti ringrazio, Henry. lo terrò bene a mente … -
 Detto ciò gli diede un altro sorriso, un po’ più tirato del precedente ma comunque sincero. Di certo quella non era stata una vacanza, ma almeno ne aveva ricavato qualcosa: forse era il caso continuare a regalarsi quel week-end in Italia ogni 7 anni come aveva sempre fatto, almeno sarebbe stata sicura che sarebbe stata una mini vacanza rilassante. I lunghi periodi di inattività non erano per lei, e quell’avventura ne era stata la prova.
“Una normalissima giornata di lavoro al Santuario”.
 
FINE
  
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