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Autore: Switch    28/11/2014    5 recensioni
Raccolta di OS ispirate dai nuovi comics IDW, un nuovo universo in cui spaziare.
I personaggi sviluppati saranno un po' tutti, i temi ispirati dalle nuove situazioni in cui si muovono.
Nuove storie, nuove sensazioni, ma i nostri mutanti preferiti di sempre.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Dedicata a Sarajane,

senza la quale,

questa raccolta

non esisterebbe.

Grazie di cuore, musa.





Il suo primo ricordo era un fazzoletto di cielo, una linea sottile schiacciata tra due alti palazzi. Azzurro e luminoso, e benché limitato nella sua forma, gli aveva dato la sensazione di infinito e libertà.
A volte, se strizzava gli occhi con forza, il negativo di quell'immagine si formava dietro le palpebre, e rimaneva per alcuni istanti a osservare dettagli che non sapeva nemmeno di aver assimilato, come una maglia rossa messa a stendere nel filo che correva tra i due palazzi, che garriva nel vento, comparendo nella porzione di cielo con arroganza e impedendogli di ammirare per bene quella meraviglia.

Però quel colore gli era istintivamente piaciuto.


Si acquattò dietro il cassonetto, scrutando da dietro il suo riparo con paura, le orecchie tese: doveva tenere d'occhio quel piccolo gruppo che si era infilato in fretta e di sorpresa nel vicolo dove lui si trovava in cerca di cibo; aveva avuto appena il tempo di nascondersi, non ce n'era stato abbastanza per scappare.
Erano quattro ragazzi, con piercing e creste colorate, che trascinavano un quinto al riparo da occhi indiscreti, strattonandolo con poca grazia. Quello tremava tantissimo, incapace di reagire alle angherie subite.
Uno dei quattro lo afferrò per il bavero della giacca e lo sbatté contro il muro, sovrastandolo come un predatore in piena caccia, alitandogli contro con astio.

Come sarebbe a dire che non ci darai più soldi? Papino ti ha tagliato i fondi? O tutt'un tratto ti sei fatto coraggioso, stronzetto?” gridò, facendo ridere il resto del suo gruppo.

Lui si contorse dalla rabbia, lì nascosto dietro il cassonetto.
Una delle cose che aveva fatto più fatica ad imparare, era stato parlare e capire il linguaggio umano. Le parole non avevano avuto senso all'inizio, erano suoni e rumori che si intersecavano e si univano, ma che non gli trasmettevano niente; era stato più il modo in cui venivano pronunciate, che gli aveva fatto capire cosa l'interlocutore volesse dire.
E quelli lì non volevano solo spaventare il ragazzino, ma anche ripassarlo e umiliarlo, se non avesse dato loro ciò che volevano; c'era poco da scherzare.

Saltò fuori dal suo riparo con rabbia, con i pugni in alto per affrontare quei quattro bastardi, ma bastò la sua sola vista a decidere l'esito dello scontro: i quattro urlarono di paura con gli occhi sbarrati, poi scapparono a rotta di collo, sparendo dal vicolo in un lampo.
Rimase un attimo attonito con lo sguardo sulla luce tra i due palazzi, sulla piccola fessura che portava alla via principale dove lui non osava avventurarsi, mentre la rabbia sembrava in un certo senso affievolirsi e al contempo rinascere, per un motivo differente.

Si riscosse, girando il capo verso destra.
Stai bene?” chiese con voce stentata al ragazzino. Non era ancora bravo a parlare, non rivolgeva mai la parola a nessuno.
Al sentire la sua voce rauca, quello spalancò ancora più gli occhi e si rialzò tremante tenendosi contro il muro.
Lui gli si avvicinò, temendo che cadesse, ma il ragazzino scartò a destra, allontanandosi con paura.

No-non mi toccare, mostro!” urlò con l'orrore nello sguardo e la voce, spronando le gambe malferme ad allontanarsi da lui, senza voltarsi indietro.

Il rumore dei suoi passi frettolosi che rimbombava in quello stretto viottolo scomparve, e gli rimase solo il silenzio.
Rimase a guardare il vuoto, con quella rabbia graffiante nel petto, che gli faceva tremare il corpo, di disgusto. Si accorse di aver stretto le mani a pugno forte, dalla rabbia, e che si stava facendo del male con le sue stesse unghie. Le aprì e osservò il palmo arrossato e i segni dei due solchi, gonfi e pulsanti, ma senza farci caso davvero.
Mostro.
Quella parola la conosceva benissimo. Era stata la sua prima parola.

Ricordava bene quel fazzoletto di cielo, la prima volta che aveva aperto gli occhi alla vita. Tutto il suo mondo allora era un vicolo oscuro e puzzolente e uno straccio di azzurro lassù.
E suoni spaventosi. E cose che non capiva. E fame, anche se non sapeva cosa fossero quel vuoto e quel rombo dentro di sé, allora.
Tutto intorno a lui era nuovo e spaventoso, ma mai come quel grido che lo terrorizzò al punto di fuggire: una donna che si era affacciata per ritirare i panni stesi lo aveva scorto e aveva gridato come se la morte l'avesse presa, urlando quella parola come se fosse una maledizione.

Mostro. Mostro. Mostro.

Le sue grida sempre più alte e terrorizzate lo avevano inseguito per tutta la fuga, oltre il viottolo, oltre la recinzione in metallo, oltre le persone che aveva superato con tutta la sua velocità mentre cercava un riparo da tutti quegli occhi crudeli e spaventati da lui, che non aveva fatto loro niente, che non capiva.
Si era fermato solo quando era stato sicuro di essere solo, quando tutto ciò che lo circondava fu solo spazzatura e piccoli topolini innocui, che pure erano fuggiti quando lui si era lasciato cadere al suolo, riprendendo fiato con disperazione, con fitte lancinanti per tutto il corpo.
Aveva artigliato il terreno polveroso con disperazione e rabbia e le aveva viste, le sue mani: verdi, a tre dita. Ancora non sapeva cosa fossero, ma era certo che non dovessero avere quell'aspetto.
Come se in qualche modo sapesse o ricordasse che un tempo non aveva avuto mani come quelle.

Si era alzato con fatica e il suo sguardo era stato catturato da un manifesto consunto appiccicato secoli prima alla vetrina di un negozio abbandonato, con i vetri così pieni di sporco che non si poteva vedere l'interno: due ballerini stinti compivano una presa al volo, statici nella loro posa.
Aveva guardato con attenzione la loro carnagione pallida, le loro mani a cinque dita, i loro sorrisi patinati, ma perfetti, le acconciature impeccabili. Poi aveva poggiato la sua strana mano verde contro il vetro della vetrina e con una strofinata poderosa aveva scrostato uno strato di sporco, rivelando la superficie riflettente sepolta al di sotto.

E li aveva visti. I sui occhi scuri ricolmi di paura e meraviglia, che rimandavano il suo sguardo sorpreso. La mano era scivolata sulla superficie ancora, portandosi via altro sporco, e poi di nuovo, scoprendo pezzo per pezzo la sua figura: carnagione verde, piedi con due dita, uno spesso piastrone sul davanti e un durissimo guscio sulla schiena, appena visibile oltre le sue spalle; e quella testa dalla forma strana.
Non ricordava nemmeno quanto tempo era rimasto a guardare la sua immagine riflessa nel vetro pieno di strisciate di sporco e poi il manifesto, e poi di nuovo sé stesso e il manifesto, in circolo.
Perché lui non era per niente come quelle persone ritratte sopra e lo aveva capito, istintivamente, che non era giusto. E quella parola gli era saltata in mente, benché non ne avesse capito il significato, allora. Ma il suono con cui la donna lo aveva pronunciato era stato peggio che una coltellata nel cuore, peggio della sensazione di fame che lo attanagliava.

M-mostro” aveva balbettato incerto alla sua figura, piena di confusione e ferita.

Persino col suo tono malfermo, quella parola gli aveva fatto rabbia e terrore, tanto da fargli perdere il controllo e battere i pugni contro il vetro finché le sue mani non avevano preso a sanguinare e la vetrina non si era rotta, mandando in pezzi anche il suo riflesso.
Era stato il suo primo giorno sul mondo e aveva sperimentato sia il dolore fisico che quello dell'anima, e nessuno dei due gli era piaciuto.

Da allora aveva ascoltato e ripetuto centinaia e poi migliaia di parole, nascosto nelle ombre, affamato di conoscenza, eppure spaventato dal chiederla o cercarla presso quelli che aveva capito essere umani, diversi da lui.
Si riscosse e sollevò le spalle con nonchalance, per far finta che quei ricordi e quelle sensazioni non gli importassero, anche se in realtà gli ferivano il cuore e la mente ogni istante. Fare finta era l'unico modo che aveva e conosceva per andare avanti.

Si allontanò a grandi passi, diretto verso il cassonetto dove stava cercando da mangiare prima di venire interrotto, e prese a frugare tra gli scarti della cucina della pizzeria del quartiere: riusciva a trovare sempre qualcosa, da quelle parti.
Agguantò una scatola mezza acciaccata dal fondo e la aprì, senza molta speranza: gli scappò un sospiro al vedere due fette di pizza un po' bruciacchiate, gettate come se fossero spazzatura. Le trangugiò in un secondo, divorato dalla fame, con gli occhi fissi sul cielo già scuro sopra di sé.

Le giornate si stavano accorciando e sentiva freddo sempre più spesso negli ultimi tempi, avrebbe fatto meglio a cercare un riparo al più presto.
Se avesse poi trovato altri come lui o una spiegazione di cosa fosse non sarebbe stato male, ma in quei mesi in cui aveva vagato senza tregua in ogni parte della città, non si era mai imbattuto in niente del genere, perciò forse non esistevano altri come lui. Aveva scoperto che c'erano umani di molti colori diversi, che coesistevano più o meno pacificamente, ma in quella tavola variopinta non c'era il verde. Nessuno era verde come lui.

Forse era unico al mondo. Solo al mondo.
Ma allora cosa era e perché era nato? A volte se lo chiedeva, nelle sue scorribande solitarie per cercare di sopravvivere, per cercare cibo e riparo dagli occhi che lo guardavano con disgusto. E allora sollevava lo sguardo al cielo e ricordava quello stralcio azzurro che aveva visto, il suo primo ricordo, quella sensazione di paura eppure eccitazione, per essere vivo.

Il suo primo ricordo era un fazzoletto di cielo, una linea sottile schiacciata tra due alti palazzi.
E se era nato sotto quel cielo, come chiunque altro, doveva pur esserci una ragione.



Note:
Buona sera!

Eccoci ad un nuovo progetto, una raccolta di OS ispirate dai nuovi comics IDW. Ne sono entrata in contatto da poco, sono solo al quarto, eppure mi hanno ispirata moltissimo, ho già prodotto cinque OS e spero che continuino a darmi idee.

Le Os non sono lineari, sono nell'ordine in cui mi sono venute in mente o in cui le ho scritte.

Questa è ispirata al periodo in cui Raphael vaga da solo, senza sapere cosa sia in realtà, prima ancora del numero 1, quindi.
Voglio giocare con questa raccolta, perciò non assicuro che nel futuro io non decida di sperimentare in prima persona o anche con altre forme narrative. Chissà, vedremo.
Per questa Os in particolare, non ho mai messo il nome di Raphael, perché lui non sa il suo nome, ancora, e noi siamo con lui nella sua ignoranza.

Spero vi piaccia!
Un uragano di abbracci!

Un disegno della bravissima Sarajane92, dedicato al capitolo! Grazie, tesoro! E' stupendo!


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