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Autore: miss dark    29/11/2014    1 recensioni
Margherita, che cerca di mantenere sempre le distanze. Raffaele, che non perde mai il sorriso e la determinazione. Due cani, un parco, un malinteso.
E il resto, come si dice, è storia.
[Storia partecipante al concorso "La vita è una rete di piccoli, invisibili appuntamenti" indetto da OttoNoveTre]
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La giornata non era decisamente stata una delle migliori.
Si era svegliata con uno di quei torcicolli che ti stendono prima ancora che tu possa alzarti dal letto e fare un passo. Gli antidolorifici avevano avuto qualunque effetto - collaterale -, meno quello per cui erano stati inventati, roba da chiedersi se quelle pasticche vengano sperimentate davvero. Si era quindi trascinata per tutta la giornata come uno zombie incapace di svegliarsi o di morire, con il collo di legno e l'umore sottoterra. In ufficio aveva finto di lavorare per le sue buone otto ore, cercando perlomeno di mantenere un certo decoro e di non svenire collassata sulla scrivania. Nonostante tutto, era sopravvissuta.
Mentre tornava a casa con la sciarpa che la strozzava e soffocava da tutta la giornata, senz'alcun beneficio per il torcicollo, beninteso, non pensava ad altro che alla sua vasca da bagno. Una visione di bolle perlacee e calore la avvolgeva e le dava la forza per trascinarsi di metro in metro. Mancava poco, poteva vedere già il portone di casa, il lampione rotto del marciapiede, il 6 bllixima graffitato sul muro. Era lì, casa.
Non appena fece scattare la serratura, però, il caldo bagno che aveva pregustato per quasi dieci ore scoppiò, proprio come una di quelle splendide bolle di sapone.
Akira.
La sua docile coinquilina a quattro zampe le saltò addosso, con la foga del suo affetto incondizionato e illimitato. I suoi occhioni neri dicevano tutto quello che mille parole non avrebbero potuto dire, qualcosa come ti amo, ti aspettavo da tutto il giorno, ti amo, che bello che sei tornata, ti amo, come sei bella, ti amo, sei la migliore del mondo, ti amo, devo proprio fare la pipì.
Margherita si liberò dalle enormi zampe della sua adorata labrador e le lanciò un'occhiata decisamente meno affettuosa.
- Perché, Akira, perché? -
La cagnona la guardava scodinzolante, cieca davanti a qualunque cattiveria negli occhi di Margherita, seduta compostamente con il guinzaglio in bocca.
Ti amo, facciamo una passeggiata?
Ovviamente cedette, nonostante il suo cervello fosse definitivamente in tilt e il suo collo bloccato a vita, perché ad Akira non si poteva dire di no. O, se lo si faceva, si doveva essere pronti a subirne le conseguenze. Meglio una passeggiata di dieci minuti piuttosto che una notte insonne tra guaiti e pisciatine sul letto.
- Dieci minuti, Akira, dieci minuti. Poi mamma deve proprio tornare a casa, perché oggi non hai idea di quanto sia stata una giornata schifosa. Tu non sai cosa vuol dire avere male al collo, Stefano dice che i cani non guardano mai in su, è vero? Tu guardi in su, Akira? -
- Certo che guardano in su, i cani - la interruppe una voce alle sue spalle.
Margherita si voltò di scatto, maledicendosi immediatamente dopo averlo fatto.
- Acc... - si lasciò sfuggire involontariamente.
- Ho detto qualcosa che non va? - proseguì la voce nella penombra della sera.
- No, non è quello, è che... - cominciò Margherita cercando con gli occhi una figura umana. Sentì dei passi avvicinarsi a lei e fu costretta a voltarsi di nuovo.
- Scusa, ma dove sei? - chiese ormai infastidita dalla situazione: tutte quelle giravolte le avevano fatto ingarbugliare il guinzaglio e anche un po' l'intestino.
- Sono qui, sono qui - ridacchiò la voce, mentre un volto maschile le si palesava ad una distanza poco raccomandabile.
- Ah, ecco - balbettò lei, costringendo la propria colonna vertebrale ad un ulteriore scatto all'indietro.
- Accidenti - si trovò a dire di nuovo.
- Come, scusa? - chiese l'uomo allontanandosi di qualche centimetro.
- No, non ce l'ho con te, è che ho un torcicollo infernale... - riuscì infine ad articolare Margherita, mentre sbrogliava il guinzaglio e liberava definitivamente Akira nel parco.
- Mi offro per un massaggio, se può servire. -
Margherita si impietrì. Squadrò l'uomo dalla testa ai piedi per cercare di capire da dove spuntasse un essere così totalmente privo di filtri. O era un maniaco o era un maleducato.
Aveva un guinzaglio in mano, quindi probabilmente aveva anche un cane. Si guardò attorno e vide che Akira annusava curiosamente il didietro di un pastore tedesco. Ok, il cane c'era. Quindi quel tizio non era un maniaco che andava in giro di notte ad importunare le donne. Era solo un cafone.
- No, grazie... - tagliò corto lei, distogliendo lo sguardo e preparandosi ad allontanarsi.
- Guarda che stavo scherzando, non volevo mica farti davvero un massaggio! Era una battuta - ridacchiò di nuovo lui, con un tono impertinente da far saltare i nervi a Maria Teresa.
- Comunque - continuò, spostandosi nel raggio della visuale di Margherita, - comunque i cani guardano in alto, per rispondere alla tua domanda. -
- Veramente io stavo parlando col mio cane - chiosò lei con freddezza, - ma grazie comunque. -
- Prego - squillò lui sornione.
Lei fece qualche passò verso i due cani che giocavano e richiamò Akira.
- Ve ne state già andando? - chiese la voce ormai familiare di quell'uomo così insopportabile.
- Sì, non sto bene, voglio andare a casa - spiegò Margherita, telegrafica.
- Anche noi, andiamo, allora, vieni Harry! - urlò quasi nell'orecchio della ragazza.
- Senti, ma non puoi andare un po' più in là?! - sbottò lei, ormai insofferente.
- Ehi, principessa, se ti sono antipatico basta dirlo, non c'è bisogno di incazzarsi - ribattè lui, con quel sorriso fastidioso sulle labbra.
Margherita ignorò deliberatamente le sue parole e riagganciò il guinzaglio al collare di Akira, sussurrandole piano: - Su, andiamo, tesoro, che qui finisce male. -
Cercò di evitare di incrociare lo sguardo con quello sconosciuto, ma non potè fare a meno di notare come quello stesse per andarsene tranquillamente, senza curarsi di raccogliere ciò che il suo cane aveva lasciato dietro di sé.
Non potè trattenersi, a tutto c'era un limite.
- Scusa? - gridò in direzione di quell'uomo.
Questi si girò divertito, evidentemente soddisfatto di aver recato fastidio ad una persona in più nella sua vita.
- Sì, tesoro, dimmi? - chiese candidamente.
- Non raccogli? - ribattè lei, piccata.
- Cosa? - chiese lui, ignorando seriamente ciò a cui la ragazza si riferiva.
- La cacca del tuo Harry - spiegò lei con tono supponente, come quello che si usa con i bambini un po' scemi e disobbedienti.
Lui scoppiò in una sonora risata e fece qualche passo verso Margherita e Akira.
- Tua mamma non te l'ha mai detto che non si raccolgono le cosa cadute a terra? - chiese sarcastico.
Margherita sgranò gli occhi, incredula davanti a tanta maleducazione.
- Peccato che quella non sia caduta a terra, ma sia stata deposta lì dal tuo cane - articolò lei, trattenendo il tono di voce.
- Allora dovrebbe essere il mio cane a raccoglierla, non trovi? - reiterò lui, sfidandola con gli occhi.
- Il tuo cane, che è sicuramente più educato di te, ti ha fatto il favore di non fartela nelle scarpe, la cacca, anche se io gli consiglierei di non ripetere la cortesia, visto il padrone che si ritrova - rispose lei, senza trattenere più nulla di quello che pensava.
Lo guardò un'ultima volta, come si guarda chi si disprezza, si chinò e raccolse lei i rifiuti di quel maiale. Poi, senza voltarsi più, si diresse verso il cestino e gettò il sacchetto con un gesto tanto plateale da aspettarsi un applauso. Lui, per tutta risposta, rideva in sottofondo e, quando lei fu quasi entrata nel portone, adiacente al parco, le urlò: - Buonanotte, principessa. -



 
*  -  *  -  *



Margherita scendeva i gradini il più lentamente possibile. Dopo una giornata come quella, non poteva permettersi di incontrare di nuovo quello stronzo. Akira saltellava allegra, impaziente di vivere il momento più felice della sua giornata.
- E magari tu hai pure voglia di rivedere quello stupido cane che si porta appresso - accusò la ragazza con acidità. Akira, forse sentendo il tono alterato, forse addirittura capendo il senso della frase, voltò il muso e la guardò severamente.
- Scusa, hai ragione - ritrattò Margherita, - ad essere stupido è il padrone, non il cane. -
Aprì il portone ed uscì in strada, con gli occhi già puntati verso il recinto dei cani, dove si aspettava di veder sbucare da un momento all'altro l'uomo della sera prima.
- Sembra che ci siamo salvate, Aki - sussurrò piano, per non cantar vittoria troppo presto.
Attraversarono la strada ed eccoli lì, Harry e l'umano-senza-cervello che le guardavano come se non avessero aspettato altro per tutto il giorno.
- Eccole, Harry, te l'avevo detto che sarebbero venute! - esultò l'uomo parlando al cane, ma fissando Margherita. - Sai - continuò una volta che la donna gli fu vicino, parlando come se non potesse farsi sentire, - è tutto il giorno che guaisce in attesa di rivedere... Alice? - chiese lui, con fare complice.
- Akira - corresse lei, al limite della sopportazione.
- Pardon - disse lui, facendo un piccolo inchino verso la cagnolona.
Questa, divertita dal fare giocoso di quell'uomo, gli abbaiò allegramente di rimando e prese a strattonare il guinzaglio per andare a giocare con Harry, già libero.
Margherita la guardò incredula, possibile che non si rendesse conto di quanto fosse stupido quell'uomo? Doveva ringhiare, la sua piccola, ringhiare, spaventarlo e far tornare la pace in quel giardino di solito deserto.
- Vai, Aki, vai col tuo amico... - concesse Margherita liberandola.
- Un bel nome esotico per un bel cane... Anche la sua bellissima padrona ha un bellissimo nome? - s'intromise lui, parlando con voce suadente alle spalle di Margherita.
Lei si voltò stupita e lo guardò come si guarda un'opera post-moderna dal senso totalmente oscuro.
- Io non sono la sua padrona, lei non è la mia schiava e tu dovresti avere un po' più di rispetto - proclamò inviperita.
Questa volta fu lui a rimanerci di sasso. Evidentemente quella battuta doveva avergli procurato non poche soddisfazioni in passato.
- Cos'è? Ti aspettavi che cadessi ai tuoi piedi al suono di parole tanto dolci, tesoro? - rincarò lei, assumendo una posa da vera maestra bacchettona.
Lui mutò improvvisamente espressione, cogliendo finalmente dell'ironia in quella voce prima sempre gelida. Sorrise e si aggiusto il colletto del giubbotto.
- Ti è passato il torcicollo e ti è venuto il bruciore di stomaco, per caso? - chiese infine, guardandola fissa negli occhi, con uno sguardo che stonava completamente con le parole che aveva appena pronunciato.
Aveva gli occhi verdi.
Margherita non riuscì a rispondere in tempo utile per non sembrare una cretina, quindi decise di non rispondere affatto, andando a sedersi su una panchina poco distante. Perché la vita aveva messo sulla sua strada un uomo simile? E nemmeno in ufficio o sul pullman o dal panettiere, no, nell'unico posto in cui lei poteva stare da sola in pace, a giocare con la sua Akira, a riflettere, a rilassarsi dopo una giornata di lavoro. Nell'unico posto dove non doveva esistere un essere tanto presuntuoso e fastidioso. E con degli occhi così verdi e profondi.
- Senti - riprese lui, avvicinandosi alla panchina, - io non so perché tu ce l'abbia tanto con me, evidentemente ti ricorderò tuo padre o l'ex che ti ha mollata, non lo so... Ma non potremmo fare giusto due chiacchiere, così, per passare il tempo? Mi sembrerebbe stupido essere nello stesso parco e non... -
- Sei un maleducato - sentenziò Margherita interrompendolo e lasciandolo con un palmo di naso.
- Come, prego? - chiese lui colto alla sprovvista.
- Sei un maleducato - ripetè lei, con lo stesso tono e con la stessa espressione.
Lui scosse la testa e si sedette affianco a lei.
- Sì, avevo capito, sarò maleducato, ma non sono sordo... - tentò di ironizzare, - posso sapere perché merito questo giudizio? -
Margherita si scostò leggermente e prese un respiro, pronta a lanciarsi in una lunga lezione sulla sua mancanza assoluta di rispetto, rispetto per le persone, per gli animali, per il senso civile, per le convenzioni sociali, per qualunque cosa. Lui, che dall'espressione di lei aveva previsto uno sfogo del genere, mise le mani avanti: - Non sarà per la questione di ieri, vero? -
- Questo è piuttosto ovvio - rispose lei, delusa di essere stata interrotta prim'ancora di aver cominciato.
- Vuoi parlare ancora della cacca del mio cane? - chiese lui, sinceramente stupito da tanta testardaggine.
- Perché, c’è qualcos’altro di cui valga la pena parlare? - rispose lei, convinta.
- Beh - iniziò lui, riacquistando l'aria sorniona che a lei tanto era mancata, - a mio parere ci sono molte altre cose di cui valga la pena parlare... Non so, la vita, la morte, la filosofia, l'arte, il teatro, il cinema, i libri... Anche i cani, se ti va... Ma proprio la cacca... -
Margherita si sorprese a ridere. Del tutto involontariamente si era lasciata sfuggire una piccola risata e questa subito si era ingigantita fino a scoppiare in uno scroscio fragoroso. Anche lui rideva, ora davvero, non più per prenderla in giro, anche se, in realtà, entrambi ridevano di lei e della sua ostentata serietà.
- Io sono Raffaele - disse lui semplicemente, interrompendo tanta ilarità.
- Io sono Margherita - fece lei, di rimando, ancora con la risata sulle labbra.
- Bene, Margherita, sono contento di scoprire che anche tu possa ridere, ero sinceramente preoccupato dalla tua serietà - continuò lui, portando avanti la discussione su un tono di scherno.
- Io sono seria quando si tratta di questioni serie... - rispose lei, sentendosi di nuovo punta sul vivo.
- Oh, per favore, non ricominciare. Ok, per essere chiari - esclamò Raffaele, alzandosi in piedi, - io raccolgo sempre i rifiuti del mio cane, non so di chi fosse la cacca che hai raccolto ieri sera. -
Le guance di Margherita di accesero di vergogna. Si sentiva così stupida, in quel momento, così colta in fallo, da non saper cosa dire. Abbassò lo sguardo e si aggiusto le maniche del grosso maglione.
Raffaele si voltò e si mise a guardare i due cani che scorrazzavano allegri da una parte all'altra del parco.
- Scusami - articolò infine la ragazza, alzandosi dalla panchina e dirigendosi verso i due animali.
- Akira! - chiamò a gran voce, ancora rossa in viso, - Akira, su, vieni, chè dobbiamo andare da Ric! -
Raffaele si avvicinò a lei, con un espressione serena e rilassata, come se, per lui, lei fosse proprio la persona di cui aveva bisogno, e nel posto giusto.
- Guarda che io non mi sono mica offeso, eh - le disse sporgendosi oltre la recinzione per arrivare a guardarla negli occhi, che lei teneva fissi su un punto lontano.
- Meno male - rispose lei semplicemente, con un tono piatto e neutro.
- Ci mancherebbe solo che qualcuno si offenda per così poco! -
Lei si vergognò intimamente per essersela presa tanto con lui per una questione così sciocca, per averlo trattato male per così poco, per averla presa così sul personale, quando bastava stare ad ascoltare un po'di più e tirarsela un po' di meno. Riuscì tuttavia a dissimulare con un leggero sorriso.
- Senti - ricominciò lui, ritornando in posizione eretta al suo fianco, - io non so se questo Ric sia il tuo ragazzo o tuo marito - lei si voltò verso di lui, pentendosi di essersi rimangiata tutti i pensieri sulla faccia tosta di quell'uomo, e fissandolo con occhi sconcertati, - ...cosa c'è, cos'ho detto di nuovo? - chiese lui, allarmato, cambiando il tono e il tema delle sue parole.
- Ma tu davvero non hai un minimo di rispetto! Come ti passa per la testa di chiedere ad una perfetta sconosciuta se sia fidanzata o sposata?! - chiese lei, dando voce ai suoi pensieri. E che voce.
- Perché sei una bellissima donna, sei intelligente, spiritosa e mi interessa sapere se posso continuare a pensare a te per tutto il giorno o se sia arrivato il momento giusto per arrendermi - disse lui, con quel tono sornione e pacato a cui Margherita si stava lentamente abituando.
Lei deglutì e distolse lo sguardo.
Akira era affianco a lei che scodinzolava senza capire nulla, Harry dietro di lei che studiava la situazione. Margherita le agganciò il guinzaglio e poi si tirò su, acconciandosi i capelli in disordine.
- Ric è un nostro amico, lui ha... - cominciò lei, imbarazzata in ogni sua cellula, - ...ha adottato il fratello di Akira e quindi, ogni tanto, andiamo a trovarli per... - si schiarì la voce ed alzò lo sguardo - per mantenere il legame. -
Raffaele la guardava divertito, ascoltando le sue parole come si ascolta il compagno di classe leggere il proprio tema da 10 davanti a tutti e inciampare in ogni parola.
- E poi lui cucina bene, conosce anche delle ricette strane per i cani, non so dove le abbia trovate, quindi noi ne approfittiamo per stare un po' in compagnia, no? É un amico, una brava persona... Un amico, ecco - continuava lei, abbandonandosi al fiume di parole che la travolgevano, annebbiando il senso della realtà.
- Quindi non c'è niente di male se vi accompagniamo, giusto? - la interruppe Raffaele, intenerito da tanto imbarazzo.
- No, direi di no - concluse lei, dandogli le spalle e avviandosi.
Raffaele scosse la testa e ridacchiò.
- Ecco, una sola cosa - proruppe Margherita, la voce già un po' lontana, - non ridacchiare, è davvero fastidioso. -
- D'accordo, madame - rispose lui obbediente, agganciando il guinzaglio di Harry e incamminandosi alle sue spalle. Prima di raggiungerla, sussurrò piano, quasi tra sé e sé: - Che tipa, Harry... Che tipa... -


 
*  -  *  -  *



- Non per essere più fastidioso di quanto già non sia, andare in giro per la città senza una meta può essere anche divertente, ma, spannometricamente, quante volte sono ogni tanto? - chiese Raffaele in un tono tra il serio e il faceto, - giusto per sapere quante probabilità ci sono di arrivare davvero da qualche parte. -
Lui, Margherita, Akira ed Harry camminavano ormai da mezz'ora e non erano ancora arrivati a casa di nessun Ric.
- Senti, amico - sbottò lei, nervosa all'inverosimile, - non è colpa mia se quel tipo è un imbecille e mi ha dato delle indicazioni sbagliate! E non è nemmeno colpa mia se mi si è rotta la macchina e non ho potuto fare la solita strada, che, per tua informazione, saprei fare ad occhi chiusi - continuò senza prendere mai fiato.
- Ok, tranquilla, era solo per chiedere, non volevo causare una... -
- E non mi interrompere, perché non ho ancora finito! Non è colpa mia nemmeno se quel cartello era incomprensibile! E poi cosa vuol dire "Segui le indicazioni per il supermercato fino al bar e poi quelle per la biblioteca fino al ferramenta"? o era... -
Raffaele cercava di trattenersi dal ridacchiare, ma gli era quasi impossibile. Quando gli sfuggiva un risolino si costringeva a tossire per non alimentare quel fiammifero che era la moretta affianco a lui.
- Certo che tu hai una buona parola per tutti - constatò intromettendosi nel suo flusso incontenibile di parole.
Lei si voltò di scatto e lo fulminò con uno sguardo. Lui rise apertamente e poi continuò: - Scommetto che ieri sera me ne avrai dette di tutti i colori dietro! -
Margherita arrossì e si morse il labbro inferiore.
- Tranquilla, non è il caso che tu mi chieda di nuovo scusa - disse lui paternamente, cingendole le spalle con un braccio. Un braccio forte e allenato. Margherita trasalì.
Lui sciolse la presa e ridacchiò.
- Basta, non ti sopporto più! - scoppiò lei, all'apice del nervosismo.
Raffaele si arrestò in mezzo al marciapiede e si coprì la bocca con una mano. - Scusami, hai ragione, ma non posso farci niente, sei troppo divertente. Ma guardati! - le disse indicandola con l'altra mano, attorno alla quale era legato il guinzaglio di Harry, - Guarda come te la prendi per nulla. Non puoi chiamare il tuo amico e dirgli che ti sei persa? Lui ce l'avrà una macchina, no? Ti potrà pure venire a prendere! -
Parlava e non smetteva mai di sorridere. Com'era possibile, come faceva?
Margherita chiuse la mano davanti alla bocca, valutando il suggerimento, poi si lasciò sfuggire: - E tu? -
Raffaele la guardò sinceramente sorpreso dalla domanda.
- Io, beh, io me ne torno a casa, no? Non abbiamo mai avuto intenzione di rovinare la riunioncina di famiglia, giusto Harry? - disse dando un leggero strattone al guinzaglio del cane, nello stesso modo in cui si dà di gomito ad un amico.
- Ma cosa vuol dire rovinare?! Non è questione di rovinare... - iniziò lei, imbrogliandosi prima ancora di iniziare il discorso.
- Senti, tesoro, - la interruppe lui, avvicinandosi.
Lei alzò lo sguardo e non potè trattenersi.
- Prima che tu vada avanti - disse velocemente, - ti prego solo di un'ultima cosa: smettila di chiamarmi tesoro, lo faceva mia nonna e lo fa mia madre, ma da te proprio non riesco a sopportarlo - concluse con una piccola risata.
Raffaele scosse la testa, era diventato un movimento quasi automatico nel parlare con lei.
- Ok, allora senti e basta - riprese, parlando ormai ad una distanza di pochi centimetri dal viso di Margherita, - Se non vuoi andare da questo tuo amico, io posso riaccompagnarti a casa... O in qualunque altro posto tu voglia andare... -
Lei lo guardava come si guarda una persona a cui non si riesce a resistere. Dentro di sé bruciava per essere stretta da lui, e si vergognava addirittura di quel sentimento così assurdo. Come poteva mettersi a fantasticare di punto in bianco su un perfetto sconosciuto? Poteva essere un maniaco davvero, poteva essere un uomo crudele, poteva essere chiunque: lei non lo conosceva. Come poteva una persona che fino a un'ora prima aveva detestato farle provare ora delle emozioni assopite dai tempi del liceo? Era ridicolo, si sentiva ridicola. Se fosse stato un film, un libro, una qualsiasi opera di fantasia, in quel momento lei lo avrebbe guardato con occhi sognanti, lui avrebbe letto nei suoi pensieri e l'avrebbe baciata. Con la scusa di accompagnarla a casa, sarebbe salito fino all'appartamento, poi una cosa tira l'altra, sei tutta sola a casa, sono solo anche io, blablabla, sarebbero finiti a letto e poi chissà.
Lei non voleva farsi ingannare così, non voleva cedere alle sue braccia, ai suoi occhi, non voleva cedere, punto. Quel bellimbusto parlava e si comportava come una persona che pensa di poter comandare tutti con le proprie parole, i propri toni suadenti; cosa voleva dire "Se non vuoi andare da questo tuo amico"? Certo che lei ci voleva andare, era lui che non voleva che lei ci andasse.
Quante seghe mentali per uno stronzo così.
- Ehm - si riprese Margherita dopo un tempo che era sembrato un'infinità. Si allontanò da quell'uomo e lo squadrò un'ultima volta. - Sì. Cioè, no. Insomma, non mi accompagnare da nessuna parte, io me la cavo da sola, sei tu che mi distrai - si morse la lingua subito dopo aver detto quelle parole, ma continuò, - andate a casa, tu ed Harry, io da Ric ci so andare, ora lo chiamo e mi viene a prendere. Ok? -
Raffaele non si scompose affatto, ignaro di tutti i pensieri che avevano attraversato Margherita, si strinse nelle spalle e disse solo: - D'accordo. Ci vediamo, allora. -
Margherita lo salutò con un gesto della mano e si allontanò nella direzione opposta a quella in cui avevano proceduto fino ad allora. Fatto qualche passo tirò fuori il telefono dalla borsa.
- Sì, Ric, sono Ita, non so bene dove sono e se venissi a prendermi un po' in fretta non sarebbe male. Sì, sono ad un angolo, c'è un cartellone pubblicitario gigante e sotto... Sì, grazie. -
Raffaele rimase a guardarla finché la macchina di Ric non arrivò a caricare Ita.
- Andiamo, Harry - disse allora.
 
 
 
*  -  *  -  *



- Margherita, sono io, Raffaele. -
Maniaco, decisamente era un maniaco.
- Come hai fatto a... - chiese lei, nervosa.
- Ho suonato ad altri dieci campanelli prima di beccare quello giusto. -
M A N I A C O.
- Beh, suonane altri dieci e vediamo chi ti risponde. -
Si allontanò dal citofono e restò a guardarlo per uno, due, tre... Bip Bip.
- Senti, Raffaele, se tu pensi che io ti faccia salire, sei più pazzo di quello che pensavo. Se pensi di suonare a questo citofono per tutta la notte, sei liberissimo, fino a che non chiamo la polizia. Se volessi andartene, mi faresti un favore. -
Lo sentì ridacchiare oltre i tre piani che li dividevano.
- Margherita, non essere ridicola, non sono pazzo e non sono nemmeno un maniaco, voglio solo parlarti. -
- Perché, cosa vuoi da me? Non ci conosciamo nemmeno! -
- Come fai a conoscere qualcuno se appena qualcuno ti rivolge la parola tu lo allontani?! - chiese lui, mostrando per la prima volta un tono alterato.
Margherita si allontanò di nuovo dal citofono.
Bip Bip.
Bip Bip.
- Allora, cosa vuoi? - chiese Margherita aprendo il portone.
- Ah, eccoti! - disse Raffaele, riacquistando la propria espressione canzonatoria.
- Dov'è Harry? -
- Beh, è un po' tardi per la sua passeggiata... -
- Sì, è decisamente tardi, Raffaele, per qualunque cosa. Sono le dieci di sera e, non so tu, ma io domani devo lavorare e non ho tempo per maniaci che citofonano ad un intero condominio per dirmi che cosa,
poi? - disse lei, tutto d'un fiato, fissandolo negli occhi con espressione severa.
Era stretta in un maglione di lana bordeaux che accentuava il nero dei suoi capelli.
Raffaele la guardava come ogni donna vuole essere guardata. Ed anche se era assurdo, forse anche spaventoso, e può darsi banale, Margherita sapeva che era così.
- Ok, non so che lavoro tu faccia, tes... Margherita, ma ti consiglierei di fare domanda per la Santa Inquisizione, perché il tuo sguardo inceneritore potrebbe tornargli comodo. -
Lei non rise, aveva paura. E non sapeva nemmeno lei perché, era un po' stronzo, certo, ma non era cattivo.
- Ok, arrivo al punto. Forse ieri sera hai travisato le mie intenzioni, forse in realtà hai capito male tutto dall'inizio, io non sono uno stronzo, anche se tu credi che sia così e non negare, perché te lo leggo in faccia. -
Margherita non aveva alcuna intenzione di negare.
- Io pensavo che, anzi, io sento che tra di noi può esserci qualcosa. E non sto dicendo che sia una storia, può essere un'amicizia, anche solo un'amicizia da giardino dei cani, non me ne frega niente, ma non mi va proprio che tu mi chiuda la porta in faccia come se fossi un... -
- Uno stronzo - intervenne lei, con un sorriso appena percettibile sulle labbra.
- Ecco, va beh. Insomma. Margherita, non posso lasciar perdere. Vorrei stare zitto, vorrei starti lontano e forse sarebbe davvero meglio se facessi così, ma non posso. Non posso stare zitto. Avrei dovuto farlo la prima volta che ti ho parlato, forse allora mi sarei salvato, ma adesso no, adesso proprio non posso lasciarti andare - disse lui, perdendo un po' del suo aplomb, un po' del suo fascino, ma anche un po' della paura che poteva incutere.
Margherita iniziava a divertirsi.
- Quindi mi stai dicendo che tu sei innamorato di me, stile colpo di fulmine e cavolate varie, giusto? -
Raffaele colse il cambiamento del suo stato d'animo e subito di adeguò, pronto a scalfire quella corazza in qualunque modo possibile. - Sai che usi molte più parolacce di me, principessa? -
Lei arricciò il naso all'ultima parola.
Lui sorrise sornione.
- Comunque no, non sto dicendo quello, o forse sì, se è quello che vuoi sentirti dire, ti sto dicendo
solo... - ma non potè finire la frase.
Margherita lo baciò.
Lì, in mezzo a quel discorso così sconclusionato; lì, sotto il portone di casa; lì, non si sa bene in che punto tra la sua razionalità e il suo sentimento. Fatto sta che anche lei sentiva quel qualcosa, che fosse un fulmine o il ronzio del lampione, poco importava.
Sapeva anche lei che non poteva chiudergli la porta in faccia.




















Mini sproloquio finale
Cari lettori, so che è raro vedermi in questa veste e in questa sezione, anzi, ultimamente è proprio raro vedermi, quindi sì, prendiamo questa storia come qualcosa di raro (nel bene e nel male)!
Per la gioia di voi, anime pie, che siete arrivati fino a qui e che avete anche voglia di leggervi queste mie paroline noiose, sarò breve. Come ho scritto nell'introduzione, questa storia partecipa al concorso "La vita è una rete di piccoli, invisibili appuntamenti" indetto da OttoNoveTre sul forum di EFP. Il concorso prevedeva l'utilizzo da tre a sei prompt, io ho scelto i seguenti:
1. Una strada ben indicata che non porta da nessuna parte
2. "Perché, c'è qualcos'altro di cui valga la pena parlare?"
3. Qualcosa che è caduto a terra
4. Avrebbe potuto stare zitto
5. Un posto dove non doveva essere
6. Quello giusto per arrendersi
Non so se interessi a qualcuno, ma mi pareva sensato indicarveli :)
Bene, ho finito.
Ah, il titolo è un'invenzione dell'ultimo momento, a me fa un sacco ridere, quindi l'ho tenuto, anche se non mi convince un granchè!
Ora vi lascio alla vostra vita, se vorrete lasciare un mini commento (anche un mega commento va benissimo!) ovviamente mi farete molto felice. So che fanno pena quelli che elemosinano commenti, ma io sono senza pudore e, soprattutto, voglio sapere cosa ne pensiate delle mie sciocchezzuole.
Vi abbraccio tutti forte forte,
sempre vostra,
Miss
  
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