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Autore: The Writer Of The Stars    29/11/2014    4 recensioni
Trunks stava col capo chinato sul prato. Aveva le gambe incrociate e tra le mani si rigirava nervosamente un filetto d’erba staccato pochi secondi prima. “So che non è vero. Anche se non mi abbracci mai, io lo so che mi vuoi bene. E so che ne vuoi anche alla mamma.” A Vegeta si strinse il cuore. Gli scappò un flebile sorriso, e a vederlo, il cuore di Trunks si fece un pochino più leggero. Ecco, iniziavano a tirare il filo. Rimasero per altri attimi in silenzio. Il vento scompigliava loro i capelli e la luce del sole, che andava a tramontare, si divertiva a comporre giochi di luce sui volti di un padre e di un figlio tanto uguali quanto diversi. “Papà?” Trunks richiamò nuovamente suo padre. “Mh?” mugugnò Vegeta, segno che gli stava prestando la sua attenzione. Il bambino alzò gli occhi dal filo d’erba con cui stava giocherellando, puntando le iridi azzurri in quelle del padre. “Perché loro non riescono a comprendere il modo in cui io e te ci capiamo?"
One shot su Vegeta e Trunks, ambientata subito dopo la sconfitta di Majin Bu. ;)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Trunks!” il bambino dai capelli color glicine si voltò verso la provenienza di quella voce infantile. A pochi passi da lui, scorse il suo migliore amico, grattarsi la zazzera scompigliata con un gesto impacciato. Lo squadrò un attimo, sorridendo leggermente, nel constatare quanto fossero diversi. Goten era uguale a suo padre, una piccola miniatura di quell’uomo che gli avevano spiegato essere il salvatore della terra. aveva conosciuto Goku poco tempo prima, il giorno del torneo tenchaichi, avvenuto ormai neanche una settimana prima. Gli era subito parso simpatico, quando si era presentato a loro con quella vecchia tuta arancione indosso, così simile a quella che il suo amico indossava sempre. Immediatamente, senza nemmeno rendersene conto, aveva fatto il confronto con il suo di padre; Goku era l’esatto opposto di Vegeta. aveva osservato attentamente ogni gesto che l’uomo dai capelli a forma di palma compiva. Aveva spiato anche tutti gli abbracci, le pacche sulle spalle, le scompigliate di capelli che Goku aveva dispensato al piccolo Goten, durante quella giornata di festa. Per un attimo, il fatto che Majin Bu fosse davvero stato sconfitto, era passato in secondo piano, quando aveva visto Goku prendere in braccio la sua mini copia e lanciarla scherzosamente in aria. Tutto il combattimento, le botte, i lividi e le cicatrici che sarebbero rimasti di quell’avventura che aveva rischiato non avere fine, erano stati oscurati da uno strano sentimento che era certo non aver mai provato prima. Era un fastidio all’altezza della cassa toracica, che si insinuava all’interno delle ossa, corrodendogli l’anima. Non sapeva come chiamarla, e non sapeva nemmeno per quale motivo lo facesse stare così male. Sapeva però che vedere Goku ridere e scherzare così affettuosamente con suo figlio, gli dava fastidio. Gli dava fastidio, perché lui non riceveva mai gesti del genere. Certo, sua madre lo coccolava e lo viziava ogni giorno, fino alla nausea ma … “Trunks?” lo richiamò nuovamente il bambino dai capelli corvini. Trunks scosse leggermente il capo, tornando alla realtà. Quei pensieri erano assurdi. “Cosa c’è Goten?” chiese, cercando di riacquistare il solito tono beffardo. La bocca di Goten si aprì in un largo sorriso. “Io e papà andiamo a giocare giù al fiume.” Cominciò. All’udire quelle parole, il nodo allo stomaco di Trunks si strinse maggiormente. “Vieni anche tu?” Trunks avrebbe tanto voluto urlare che no, non gliene importava niente di dove Goten e suo padre andassero. “No, resto un po’ qui.” Rispose invece semplicemente. Goten annuì, e senza fare domande, si defilò con un rapido “okay, come vuoi”,che si perse nel vento, mentre il piccolo correva in direzione di suo padre. Trunks osservò padre e figlio allontanarsi insieme, allegramente, e per un attimo, gli venne quasi l’istinto di distruggere tutto ciò che lo circondava. Sentiva le voci di sua madre, di Chichi e di tutti gli altri risuonare nel giardino della casetta sui monti Paoz, dove si erano riuniti tutti ormai da diverse ore, dopo la sconfitta del mostro rosa. Sentì un peso piombargli sul cuore, e per poco non si sentì soffocare. Prese un profondo respiro, scuotendo lentamente il capo. Un po’ d’aria, aveva solo bisogno di un po’ d’aria, pensò. A piccoli passi, si incamminò verso la grande distesa di alberi che si espandevano a macchia d’olio, a pochi metri dalla piccola casa dove la comitiva brindava alla vittoria. Si addentrò nel boschetto a testa bassa, riflettendo su quanto era accaduto. Ci pensò, e capì che quel peso che gli opprimeva il cuore non era nato solo alla vista di Goku e Goten. Cioè, non solo per quello. Si rese conto, che quel peso lo aveva accompagnato durante tutti quei giorni di lotta e agonia. E si rese anche conto, che non sapeva perché. Continuava a camminare a testa bassa, non capendo più niente ormai. Non si rese quasi nemmeno conto di essere inciampato su qualcosa e di essere caduto in terra. Non se ne rese conto, almeno fino a quando non fu una voce burbera a rimproverarlo. “Trunks!” aprì gli occhi, trovandosi a pochi centimetri da un ciuffo d’erba. “Si può sapere che diavolo stai facendo? Ma dove hai la testa?!”  si decise finalmente a voltare un po’ il capo, giusto quel poco che bastava per scorgere colui che lo aveva rimproverato tanto duramente. Gli occhi di suo padre lo fissarono seri, senza accennare un minimo cambiamento d’espressione. Vegeta stava appoggiato al tronco di un albero, seduto in terra e con le gambe distese dinnanzi a sé. Ecco in cos’era inciampato, pensò Trunks. Non si accorse di quanto tempo passò da quando aveva cominciato a fissare suo padre. Forse minuti, forse secondi, non lo sapeva. Si era semplicemente incantato, rimasto immobile a fissare il riverbero della luce solare, ormai calante, negli occhi d’antracite di suo padre. “Trunks! Ti ho fatto una domanda, esigo una risposta! Sai che odio essere ignorato …” ma Trunks non lo stava più ascoltando. Era ancora rimasto disteso in terra, con il capo voltato di lato, a fissare un uomo che sin da piccolo aveva imparato a chiamare papà. e perso nelle pozzi di petrolio di suo padre, aveva capito tutto. Era stato un pensiero fulminante, giunto come una scossa; aveva sentito il peso sul cuore appesantirsi ancora di più e una sensazione di disagio lo aveva inondato. E aveva capito. Aveva capito che la colpa di tutto era di suo padre. Vegeta era l’estremità di quel groviglio che lui si portava dentro, attorcigliato dagli anni di indifferenza sopportati in silenzio. Non se ne era mai accorto, ma quel groviglio, ce lo aveva sempre avuto dentro di lui. Forse lo aveva sommerso con strati e strati di sfacciataggine, con quell’atteggiamento burlone e sfrontato, che agli occhi di tutto lo rendevano un bambino a dir poco vivace, un monello, come diceva Chichi. E che forse, non se ne era reso conto nemmeno lui, ma in realtà nel profondo si sentiva triste. A sette anni il massimo della disperazione poteva essere causato dalla rottura di un giocattolo. Trunks invece era molto più maturo dei suoi coetanei, e in realtà, nonostante ostentasse una sicurezza ineccepibile, dentro di sé si sentiva vuoto. Quella strana sensazione quindi c’era sempre stata, lo aveva sempre accompagnato dal giorno in cui i suoi occhioni azzurri si erano posati sulla figura austera di suo padre. Lui lo adorava e lo venerava quasi fosse un dio, e i continui rifiuti e i mancati gesti d’affetto da parte del genitore, avevano fatto sì che la delusione inghiottita come un boccone amaro, si agglomerasse e solidificasse in quegli anni. Senza accorgersene, in lui viveva l’anima di un bambino tormentato e deluso, in un certo senso, dalla mancanza di affetto di un padre diverso da come si aspetterebbe. C’era poi stato l’arrivo di Majin Bu, e forse un po’ per la paura di morire, un po’ per tutto quello che suo padre aveva combinato, un po’ per la responsabilità di sconfiggere quel mostro piombatagli addosso da un momento all’altro, il gomitolo era venuto fuori. O forse, era riemerso nel momento in cui suo padre lo aveva abbracciato. In quel momento, a dire il vero, si era sentito un completo idiota. Aveva bramato per anni quel contatto, atteso sin da quando aveva cominciato a pronunciare le prime parole di essere stretto a quelle braccia muscolose. E quando finalmente era accaduto, quando prima di morire suo padre aveva voluto donargli ciò che mai gli aveva dato, lui cosa aveva fatto? Si era limitato a dire un assurdo “smettila papà, mi fai diventare rosso …” eppure quell’abbraccio aveva risvegliato tutto. E adesso aveva capito, aveva capito che c’era un complicato groviglio incastrato tra le sue arterie e il suo cuore. E se c’era ancora una possibilità di scioglierlo, un modo per allentarlo, era tirando quel capo che adesso stringeva tra le dita. Boccheggiò qualche attimo, prima di riuscire a riacquistare il pieno possesso delle proprie capacità mentali. “N – niente …” riuscì a balbettare infine. Vegeta continuò a fissarlo, infastidito. “Hai intenzione di restare lì per terra per tutto il giorno?” domandò poi brusco. Trunks scosse il capo, andando poi a rialzarsi. Si inginocchiò dinanzi a suo padre, fissandolo intensamente negli occhi. Lui rimase impassibile, ricambiando lo sguardo del figlio. Alla fine, Trunks decise che potevano anche smetterla di fissarsi come due perfetti estranei. Si avvicinò così a suo padre, sedendosi anche lui con la schiena poggiata al tronco della quercia secolare. Puntarono entrambi lo sguardo al bosco dinanzi a sé, senza muoversi minimamente. Trunks voleva parlare, ma la verità è che non sapeva cosa dire. Pensò di poter cominciare il discorso con un “sai papà, è tutta colpa tua …” ma poi pensò che però non era giusto. Pensò anche che in realtà, proprio colpa di suo padre non era, e pensò anche che alla fine nemmeno lui sapeva davvero cosa volesse. “Si può sapere che ti prende?” sbottò alla fine Vegeta, dopo aver ascoltato il rumore del silenzio. Trunks sobbalzò leggermente. Puntò gli occhi sulla chioma dell’albero che faceva loro ombra, e si ritrovò a fissare le foglie verdi e larghe che ricoprivano lo scheletro nodoso, la struttura frattale dei rami. “N – niente.” Si ritrovò a balbettare. Il viso di Vegeta si contrasse in una smorfia indecifrabile. “Non prendermi in giro, Trunks. Dimmi cosa ti prende.” Tuonò imperioso. Trunks deglutì a fatica, mandando giù un grosso groppo di saliva, che si era fermato proprio al centro dell’epiglottide. Continuò a fissare i rami sopra di sé, interessandosi poi agli squarci di cielo offerti tra una fronda e l’altra. “Non ne ho idea …” sussurrò, ed era vero. “Trunks, finiscila di fare il bambino …”  “Io sono un bambino, papà!” Trunks non si rese nemmeno conto di aver urlato, né tantomeno di aver contradetto suo padre. Dal canto suo, Vegeta rimase immobile. Spalancò le iridi color della notte, e uno strano stato di confusione lo avvolse. Quasi non si era accorto di aver detto a suo figlio di smetterla di fare il bambino. Solitamente non pesava molto le parole, raramente le ascoltava. Gli era venuto quindi spontaneo rivolgersi così a suo figlio, quasi stesse parlando ad un guerriero sayan. Che a pensarci bene, Trunks era un guerriero, mezzo sayan, ma indubbiamente più potente di tutti coloro appartenenti alla sua stessa razza, si ritrovò a pensare il Principe. Trunks racchiudeva in sé tutte le doti che un buon guerriero deve possedere, e che non è solo la forza fisica. Trunks è intelligente, furbo, coraggioso, scaltro e ingegnoso. Metterlo in difficoltà era tanto difficile quanto riuscire a batterlo. Ma Trunks era anche un mezzo terrestre e inevitabilmente il gene di Bulma si era insinuato nel cromosoma genetico del piccolo, rendendolo a sette anni, un concentrato di egocentrismo, forza, intelligenza e coraggio senza precedenti. Probabilmente, se in un’assurda ipotesi Vegeta e Bulma avrebbero ricorso alla fusione, il guerriero nato sarebbe stato esattamente come Trunks. Che poi, a pensarci bene, era un pensiero stupido. Era stupido, perché Trunks era già il frutto di un’unione; l’unione tra la scienziata più tediosa, irritante, egocentrica, fastidiosa, intelligente, dolce, coraggiosa e bella mai esistita; e tra il megalomane, presuntuoso, burbero, orgoglioso, scontroso, tenace, testardo, bello e forte Principe di una razza di guerrieri alieni ormai estinta. L’unione tra due anime difficili da comprendere, ma complementari, come una frazione a cui manca il suo intero. L’unione tra Bulma e Vegeta. Trunks era stramaledettamente imperfetto, ma in mezzo a tutta quell’imperfezione, c’era qualcosa di impeccabile, di perfetto; l’anima di un bambino. E l’anima dei bambini sono la cosa più pura mai generata dalla natura. Le anime dei bambini sono intoccabili, perché sono innocenti, colpevoli solo a volte di essere nati in un mondo in cui non c’è spazio per la loro purezza, per la loro spontaneità, per il loro modo così imperfettamente perfetto di essere bambini. Vegeta l’aveva capito solo adesso. Non aveva mai considerato Trunks come un bambino; un guerriero, il figlio del Principe dei Sayan, il frutto della sua unione con la donna che amava. Ma mai si era soffermato su quel dettaglio fondamentale, scontato; Trunks era un bambino. Suo figlio gli piaceva. Gli piaceva, perché gli somigliava terribilmente. Prima di quella settimana, suo figlio gli piaceva e basta. Si era reso conto di amarlo, nel momento in cui ha dato la sua vita per salvarlo. E glielo aveva anche detto, a modo suo. Lo aveva stretto a sé, cingendo la figura minuta di suo figlio con un solo braccio, imbarazzato, perché in realtà non era mai stato in grado di abbracciare nessuno.  E gli aveva anche detto cosa davvero pensava di lui; gli aveva detto che era orgoglioso di lui. Certo, poco importa che dopo nemmeno un secondo lo aveva colpito alla nuca, stordendolo. L’importante era che glielo avesse detto. Ma forse, pensò il Principe, quella sola volta non era bastata a colmare un vuoto causato da sette anni di indifferenza. Quasi come Trunks, anche lui d’un tratto sentì qualcosa gettarsi a peso morto sul suo cuore. Sentì anche lui quel groviglio che si era insinuato nell’animo di suo figlio, e si rese conto di avere lui in mano l’estremità del filo invisibile. Toccava a lui tirarla. Trunks intanto era rimasto a fissare le fronde degli alberi. Aveva spalancato gli occhi nel sentire la propria voce rispondere così duramente al padre, e adesso aspettava una qualunque reazione dal genitore. Voltò leggermente il capo in direzione del genitore, scoprendolo fissare un punto indefinito dinanzi a sé con la solita espressione dura di sempre. Impossibile dire a cosa stesse pensando. Boccheggiò per qualche attimo, indeciso sul da farsi. “P – papà scusa, non volevo …”  “Hai ragione.” Lo interruppe invece Vegeta. Trunks fissò suo padre come se avesse dinanzi a sé un fantasma. “Hai ragione, sei un bambino. Il fatto è che spesso tendo a dimenticarlo …” disse Vegeta, sorridendo amaramente. Trunks era rimasto con la bocca aperta e gli occhi spalancati. Non seppe spiegarsi come trovò il coraggio di parlare. Lo fece e basta. “Papà … è colpa tua.” Disse solamente. Vegeta non si mosse, incassando quelle parole con la solita indifferenza. Giusto un leggero tremolio delle sopracciglia fece da riverbero al fastidio causato dalle parole del figlio. Sapeva a cosa si riferisse, era stata colpa sua se Majin Bu si era risvegliato. Da quando era ritornato nel mondo dei vivi, da poco tempo a dire il vero, nessuno aveva accennato al come quell’incubo avesse avuto inizio. Non avevano voluto parlare proprio dinanzi a lui, infierire ricordandogli che la ragione per cui la terra aveva rischiato di lasciare un vuoto nell’immenso spazio, era stata risvegliata da lui. Tutti lo sapevano che era stata colpa sua, sua e di quello stupido orgoglio che si portava dietro e indossava come la maschera di un commediante a cui è stata affidata una parte da recitare. Lui doveva recitare per tutta la vita. c’era voluto un bambino a dirglielo, anche se già lo sapeva. Non aveva considerato però quel tono così ingenuo, candido e allo stesso tempo macchiato dalla sofferenza che un bambino di sette anni non dovrebbe MAI provare, accusarlo che si, la colpa di tutto era stata sua. E non aveva nemmeno pensato a quello strano fastidio all’altezza del petto scatenatosi nel sentire proprio suo figlio dirgli quella semplice verità. E pensò anche che quel dolore interiore, quel senso di malessere e di colpa, se lo era solo immaginato. “Lo so.” Disse solamente, ostentando quel tono freddo e quello stupido orgoglio che lo aveva portato a vendere la propria anima ad uno schiavo da quattro soldi. Trunks rimase zitto. “Lo hanno detto loro.” Disse alla fine. Vegeta aggrottò le sopracciglia. “Loro chi?” chiese con tono inquisitorio. Trunks scrollò le spalle. “Tutti. Al palazzo del supremo, lo dicevano sempre. Bisbigliavano sottovoce, perché avevano paura che potessi sentirli. Ma io li ho sentiti …” confessò con innocenza Trunks. “Sola la mamma non diceva niente.” Riprese poi. Una luce saettò negli occhi di Vegeta. “Cosa faceva lei?” chiese infatti il Principe. Trunks sorrise amaramente. “Piangeva.” Disse con l’ingenuità che solo un bambino di sette anni può possedere. A Vegeta mancò un battito. Non diede a vederlo, ma adesso quella notizia gli aveva squarciato l’anima. Aveva avuto il sospetto che sua moglie avesse pianto, dopo la sua morte. ma venirlo a sapere così, dalle piccole labbra innocenti di suo figlio, gli fece salire un groppo alla gola che non riuscì ad inghiottire. “Papà?”si sentì richiamare da suo figlio. “Cosa?” chiese duramente. Trunks abbassò lo sguardo, puntandolo sull’erba su cui era seduto. “Loro dicevano anche che non eri cambiato. Dicevano che eri rimasto lo spietato sayan di un tempo. Dicevano che non ci amavi, che di me e della mamma non ti importa niente.” Il sayan strinse i pugni con rabbia. Era ovvio, loro non sapevano che si era sacrificato per le due uniche persone importanti della sua vita … ad essere sinceri, non lo sapevano nemmeno loro due. Avevano una vaga idea di quanto accaduto, ma lui non aveva lasciato trapelare una sola rivelazione, emozione o altro nelle poche parole pronunciate quel giorno. “Ma io non li ho ascoltati.” Per un attimo, i pugni smisero di tremare dalla rabbia, e la chiusura ferrea si allentò. Voltò con lentezza la testa verso suo figlio. Trunks stava col capo chinato sul prato. Aveva le gambe incrociate e tra le mani si rigirava nervosamente un filetto d’erba staccato pochi secondi prima. “So che non è vero. Anche se non mi abbracci mai, io lo so che mi vuoi bene. E so che ne vuoi anche alla mamma.” A Vegeta si strinse il cuore. Gli scappò un flebile sorriso, e a vederlo, il cuore di Trunks si fece un pochino più leggero. Ecco, iniziavano a tirare il filo. Rimasero per altri attimi in silenzio. Il vento scompigliava loro i capelli e la luce del sole, che andava a tramontare, si divertiva a comporre giochi di luce sui volti di un padre e di un figlio tanto uguali quanto diversi. “Papà?” Trunks richiamò nuovamente suo padre. “Mh?” mugugnò Vegeta, segno che gli stava prestando la sua attenzione. Il bambino alzò gli occhi dal filo d’erba con cui stava giocherellando, puntando le iridi azzurri in quelle del padre. “Perché loro non riescono a comprendere il modo in cui io e te ci capiamo?” gli chiese con voce tremante, e per un attimo a Vegeta parve anche di vedere l’ombra delle lacrime negli occhioni blu di suo figlio. Rimase interdetto per diversi attimi, senza sapere cosa dire. Gli occhi di suo figlio lo fissavano imploranti, come se dalla risposta di sui padre dipendesse tutta la propria vita. E effettivamente, era così. Vegeta adesso aveva in mano l’altra estremità del groviglio. E stava a lui decidere se tirare o meno. “Sai, loro non si fidano di quello che non riescono a spiegarsi …” rispose ambiguo. Trunks sentì il peso alleggerirsi ancora un po’ di più, ma non aveva ben capito cosa significassero le parole del padre. “C – che vuoi dire?” chiese infatti confuso. Vegeta sorrise amaramente, nel rispondere. “Vedi, loro continuano a vedermi come il Sayan assassino che era atterrato sulla terra con lo scopo di conquistarla e distruggerla … temono che li voglia ancora uccidere …” la boccuccia di Trunks tremò vistosamente. “E – e non è così, vero papà? Tu …” “Credi davvero che voglia farvi del male dopo essermi ammazzato per salvarvi?!” lo interruppe brusco Vegeta, quasi arrabbiato. Trunks spalancò gli occhi, e in quel momento sentì come una forte scossa, come se suo padre avesse tirato il filo tutto in una volta, con forza. Non seppe mai spiegarsi come accadde. Sa solamente che con quelle parole, il groviglio che sentiva all’interno del suo cuore si era quasi srotolato completamente. “Papà …” Vegeta intanto aveva voltato nuovamente la testa dall’altro lato, imbarazzato. “Cosa vuoi ancora?” rispose brusco. Trunks deglutì rumorosamente, consapevole che adesso l’ultimo passo da compiere era il suo, l’ultima mossa per disincastrare ed eliminare completamente quel groviglio, spettava a lui. “P – posso abbracciarti?” Al sentire la voce tremante di suo figlio dire così, il cuore di Vegeta subì uno scatto improvviso. Avrebbe tanto voluto rispondere che no, i sayan non si abbracciano, che è solo un gesto da femminucce e che si sarebbe dovuto accontentare di quell’unico gesto affettuoso ricevuto prima di morire, che per tutta la sua vita non ne avrebbe ricevuti altri. Ma quando si ritrovò il viso di suo figlio compresso contro il suo petto, tutto quello che riuscì a fare, fu restare immobile. Sentì la maglietta bagnarsi leggermente e appiccicarsi un poco alla sua pelle, e capì che Trunks stava piangendo, anche se non singhiozzava. Era un pianto liberatorio, uno sfogo, un pianto di gioia e dolore insieme. Era un pianto indecifrabile. In circostanze normali, lo avrebbe rimproverato, gli avrebbe detto che i Sayan non piangono, gli avrebbe intimato di smetterla di fare la femminuccia. Ma in quel momento, non fece nessuna di queste cose. Quasi involontariamente, si ritrovò a stringere piano il corpo di suo figlio a sé, che intanto continuava a piangere.  E non si sentì in colpa per questa sua debolezza, perché pensò che infondo glielo doveva. Che suo figlio era si un guerriero, ma prima di tutto era un bambino. E si, che quel bambino era suo figlio. Tuttavia, l’orgoglio dovette comunque farsi sentire, anche se in minima parte, nel momento in cui all’orecchio del figlio sussurrò un “ma vedi di non farci l’abitudine”. E Trunks, col viso schiacciato al petto muscoloso di suo padre, sorrise leggermente tra le lacrime. Sorrise felice, sentendosi libero. Adesso, tra le braccia di suo padre, il peso era scomparso, il cuore era tornato ad essere leggero. Tra le braccia di suo padre, il groviglio si era sciolto.
 

Nota autrice:
salve gente! Allora, ecco una nuova one shot! Non so che dirvi, ad essere sinceri. Mi è venuta in mente ascoltando la meravigliosa “You’ll be in my heart” di Phil Collins (colonna sonora del film Disney Tarzan) e come avete notato il titolo si riferisce proprio ad un verso di questo brano stupendo. E poi va beh, la storia l’ho scritta con la canzone in sottofondo, l’avrò rimessa almeno sette volte, e questo è quanto è venuto fuori. Non so, ma ho voluto immaginare un momento padre e figlio tra Vegeta e Trunks subito dopo la sconfitta di Majin Bu, in quanto solitamente si considera che Trunks abbia perdonato subito suo padre, così come se niente fosse. Boh, io ho immaginato una cosa del genere. Probabilmente risulterà un po’ OOC, ma personalmente mi sento piuttosto soddisfatta di questo lavoro. :) Ma lascio a voi l’ardua sentenza, perciò ringraziandovi già da ora per l’attenzione, vi invito a lasciare una recensione, sempre se ne avete voglia! ;) Bene, detto questo mi dileguo. ;)
Alla prossima!
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