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Autore: Mayth    30/11/2014    6 recensioni
Erik va a trovare in ospedale Charles dopo gli avvenimenti di Cuba.
[ X-men: First Class; Cherik; Missing moment ]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: X-men
Title: All about us is unearthly and radiant.
Chapter: 1/1
Rating: Giallo
Pairing: Erik/Charles
Genere: Introspettivo, romantico, angst, fluff, slice of life
Words: 2000+
Warning: Slash, missing moment
Summary: [ X-men: First Class; Cherik; Missing moment ] Erik va a trovare in ospedale Charles dopo gli avvenimenti di Cuba.


Okay, allora, non so da dove iniziare, ma questa è la prima cherik che scrivo e sono molto agitata, poiché la coppia mi ha preso davvero tanto, ultimamente. Ho scelto di descrivere un momento tanto dolce quanto ricolmo di sofferenza, e mi dispiace! Ad ogni modo, non c’è correzione e quindi i commenti di qualsiasi tipo sono più che graditi.
Dedico la storia a Lù ( <3 ), che ha la bacheca sempre piena di Fassy e mi fa felice, e a Psy, il mio spacciatore e con cui un giorno dovrò fare una lunga conversazione su questi due idioti.
 
DISCLAIMER: Non mi appartengono, non ci guadagno nulla.

 
 
 
All about us is unearthly and radiant
 
 
Il vaso fa un rumore ovattato alle sue orecchie quando si posa sul mobile. I fiori colorati, un insieme di specie differenti e allegre, tremano al contatto e oscillano per qualche secondo. Charles osserva in silenzio i petali di una delle due rose che compongono il mazzo, una goccia d'acqua sta percorrendo il contorno di uno di essi, arrivando a raggiungere l'estremità del gambo e viaggiando verso l'interno del vaso, dove non può più essere osservata.

Per forza di cose alza lo sguardo su Moira, che dolcemente gli sorride e sistema il suo stesso regalo - afferra i fiori e li sposta in una composizione personale di cui solo lei ne conosce il significato. “Dovresti riposarti un po'” gli mormora, sfoggiando quella piccola espressione preoccupata che lo fa sempre intenerire.

Charles annuisce. Dovrebbe dormire, effettivamente. Dovrebbe smetterla di pensare, di rimestare nei meandri della sua mente spezzata (il dolore di una moneta simbolica che lo trapassa, la consapevolezza che Erik lo abbia abbandonato) e compiangere un futuro che non si sarebbe mai avverato e un passato oramai perso.
Moira si tende verso di lui e gli posa un leggero bacio sulla fronte, bisbigliando sulla sua pelle un trattenuto “Ci vediamo domani” ed uscendo silenziosamente dalla stanza d'ospedale. La sua fragranza - profuma di fiori, erba appena tagliata e frutta - aleggia per un po’ nella camera, s'insinua ovunque nel vano tentativo di rendere un poco più rada quella nuvola di negatività che Charles stesso ha formato intorno a sé.

A lui piacciono i profumi, comunque, e non gli dà alcun fastidio sentire la presenza di Moira in tutto ciò che lo circonda, anche perché lei è sicuramente meglio dell'odore stantio d'ospedale. Sente se stesso sospirare, rilasciare anidride carbonica e ossigeno, tendere i muscoli delle braccia, cercare di tendere i muscoli delle gambe, fallendo miseramente. Non v'è più nulla che si possa muovere, un ammasso di carne morta, ecco cosa gli è rimasto.
Hank ha detto che si rimetterà velocemente, che lui cercherà di fare del suo meglio per trovare una soluzione e riuscirà a tirarlo nuovamente in piedi.

Charles ha una cieca fiducia nei suoi confronti e, in più, ha bisogno di camminare, non importa con quali compromessi.

Una folata di vento penetra dalla finestra, scomponendo le tende perlacee e facendo rimbalzare un ciuffo di capelli sulla sua fronte. Si sente così solo, Charles.
Erik era, è. Esisteva nella sua quotidianità, si era insinuato fra le piaghe della sua vita, nolente, a causa di Charles stesso, permettendogli di scorgere tutto ciò che fosse presente nella sua mente. Era una tempesta di rabbia e una marea di sofferenza, eppure coltivava in sé l'amore, quello incontrollato, quello che quando si sviluppa non muore mai; piccola fiamma nell'oscurità. Aveva riposto in Charles la stessa fiducia con cui lui lo aveva ricambiato; e forse, proprio poiché erano sempre stati soli, infine si erano ritrovati nel mezzo di quel dedalo.

Gli occhi di Charles si chiudono lentamente, cullati da ricordi tanto soffici quanto amari. Eppure dormire non è un'opzione.

(“La pace non è mai stata un'opzione”).

Gli aghi nel braccio gli danno fastidio, ma tenta di ignorarli, concentrandosi unicamente sul profumo di fiori ed aria fresca.
Non dura molto.
Terra, sale, sangue.
Li percepisce immediatamente. Ricorda vividamente, come fosse un particolare oramai stampato nel suo DNA, a chi appartiene quell' aroma.
Charles serra gli occhi, mentre la finestra si spalanca senza essere toccata, e con grazia risuona nella stanza il rumore di un corpo che entra passando da essa e ritorna coi piedi sul pavimento.

Non ne è poi così sorpreso: le entrate spettacolari sono per Erik quasi un bisogno primario.
Con la stessa calma con cui l'altro ha colmato della sua presenza la camera d'ospedale, Charles riapre gli occhi e li posa sulla figura rigida che si trova a qualche metro dal suo letto.
Lo incontra subito, lo sguardo di Erik, ed è come un fulmine che compare nella quiete e propone caos. Nessuno dei due sente però la necessità di parlare, entrambi conoscono la spiegazione del perché Erik sia lì; le domande sarebbero futili sprechi di energia.

Erik non porta l'elmetto, non ne ha bisogno. La morfina ha inibito le capacità telepatiche di Charles, e lui ne è contento mentre con gli occhi disegna tutto il profilo di Erik, quello reale, quello sfumato da un leggero strato di preoccupazione e non coperto da una massa di metallo, la stessa che lo ha allontanato e chiuso fuori. Il mantello scarlatto gli ricade sulla schiena e oscilla leggermente. È buffo. Non lo dice ma lo pensa.

Erik spezza la tensione avvicinandosi di qualche passo, torreggiando sul suo corpo per metà morto e posando una mano sul suo ginocchio. Lentamente gli percorre la gamba, dal piede sino al limitare della coscia, imprimendo una leggera pressione, mentre gli occhi seguono i suoi stessi movimenti e poi navigano sul corpo di Charles fino a trovare il suo viso e il suo sguardo di apprensione.

“Non lo sento” risponde Charles al quesito che aleggia negli occhi di Erik. Quel tocco, vorrebbe percepirlo, ma può solo immaginare che gusto abbia.
Un conato di vomito si fa strada nella sua gola.

(“Le gambe, non le sento più”).

Erik non dice scusa. Lo pensa. Questo Charles lo sa anche se non riesce a leggergli nel pensiero. Lo si nota dalle spalle tese, dagli occhi lucidi che indugiano su di lui, dalle labbra che tremano e la mano che si chiude sul suo ginocchio in un disperato bisogno che Charles non abbia perso l'uso delle gambe a causa sua.
“Amico mio, non sono arrabbiato”.
Come potrebbe? Lo odia. Lo picchierebbe fino a farsi pregare di smettere, se potesse, ma sarebbe solo il mero bisogno di sfogo, non rabbia.

La linea che separa odio e amore è sottile, e Charles sa da che parte pende il suo cuore.

“Come sta lei?” cerca nuovamente di spezzare il silenzio. L'uomo di fronte a lui annuisce, rilassandosi un po'. “Sta bene. Si comporta come una bambina entusiasta” dice, accennando all'ombra di un sorriso.
“Le manchi, Charles”
“E lei manca a me”
“Non è una porta chiusa, potresti sempre -”
“Non funzionerebbe mai. Io e te, siamo troppo distanti l'uno dall'altro”.

Nuovamente, Erik annuisce. La risposta, in fondo, già la conosceva.
“Recupererai mai l'uso delle gambe?” chiede in un sospiro trattenuto, come se quelle parole lo esponessero ad un pericolo e lui non avesse alcuna protezione per aiutarsi, come se Charles potesse essere l'unico suo punto debole di cui non dovrebbe preoccuparsi, ma che inevitabilmente lo è.
“Confido nella scienza, nei progressi medici e in Hank” la risposta fa sbuffare Erik, le sue sopracciglia si accartocciano in uno sguardo tanto diffidente quanto farsesco. Charles sa di non dover fare certi pensieri, ma per forza di cose lo trova carino.

“Mi rimetterò presto, comunque” la voce gli fuoriesce roca, corde di violino mal suonate. “E credo di voler aprire una scuola per mutanti, per insegnare a tutti a controllare il proprio potere, a trovare un posto nell'universo” Erik distoglie lo sguardo dal suo, girandosi ad osservare le persone che passano di fronte alla stanza e talvolta lanciano strane occhiate alla sua tuta ed al suo mantello. Con uno scatto fa chiudere le tapparelle della finestra che dà sul corridoio, restando ad osservarla per un po', con la scusa di poter rimuginare.

“Lo sai, Charles, non ci sarà mai un luogo, in questo mondo, dove un mutante potrà sentirsi al sicuro, se stesso, accettato”.
Charles alza il braccio e posa la mano sul gomito di Erik, attirando la sua attenzione e facendo in modo che giri nuovamente il volto nella sua direzione. Nel momento in cui i loro sguardi si incontrano, ancora, Charles tende le labbra in un principio di sorriso.
“Io farò in modo che ci sia un luogo del genere. C'è già stato, ricordi? Tu stesso lo hai provato sulla tua pelle” l'allusione ai momenti trascorsi insieme nella villa, la sicurezza che vi ci si percepiva al suo interno, è un coltello conficcato nel petto per entrambi.

Nessuno dei due vuole ricordare. Nessuno dei due vuole dimenticare.

“Non era un luogo” mormora Erik, ricambiando le lacrime che si fanno inesorabilmente strada negli occhi di entrambi, ma che sono trattenute dall'orgoglio che li accomuna. Eri tu è un pensiero che aleggia intorno alle sue labbra e che non ha bisogno di essere pronunciato.
“Mi mancherai, amico mio”
“Mi mancherai, Charles”.

Ed è perfetto quando Erik posa le proprie dita sulla sua fronte e sposta quel ciuffo ribelle, rimettendolo in ordine. La sua mano indugia, eppure è così naturale sentire quelle carezze sulla propria nuca, vedere quegli occhi blu trapassarlo ed arrivare alla sua anima, sentire il suo fiato solleticargli la punta del naso prima che le loro labbra si uniscano in un bacio che non è né un addio né un per sempre.
Loro convivono in una via di mezzo, d'altronde.

Il letto si inclina di lato quando Erik ci si siede sopra, all'altezza del suo petto, e si allunga per trovare la posizione più comoda per baciarlo. Una mano gli accarezza ancora i capelli, mentre l'altra gli risale il collo e si sofferma sulla sua guancia, dirigendo il volto di Charles in modo da poter introdurre al meglio la  lingua nella sua bocca e accarezzargliela con riverenza.
Charles mugugna contro quelle labbra morbide, circondando con le braccia il busto di Erik e attraendolo, quasi involontariamente, contro di sé.

Le loro labbra si muovono in un ballo scomposto e caotico, così intenso che le leggi terrestri, in quel momento, sono svincolate dal tempo e dallo spazio. Non c'è più nulla intorno a loro, e per un attimo tendono entrambi a dimenticare i doveri e le volontà, riponendo in quel profondo contatto tutta la propria essenza. Non sono più Charles ed Erik, ma divengono Charles ed Erik insieme, amalgamati in un unico miscuglio di necessità l'uno per l'altro.

Quando si staccano, bisognosi d'aria e col petto che pare andare a fuoco, Erik rallenta il ritmo delle carezze sulla sua nuca, ma non lascia la presa. Ogni volta che muove la mano con fluidità, Charles sente un brivido lungo la spina dorsale, spezzato laddove invece sarebbe dovuto arrivare. Erik posa la fronte sulla sua e rimangono così, avvolti da un velo di silenzio, le dita di Charles che percorrono lentamente la schiena dell'uomo che lo spinge contro il letto, i loro respiri che si mischiano in quel piccolo spazio che li divide, gli occhi di uno che non osano abbandonare quelli dell'altro.

Erik gli sospira sulle labbra e dopodiché si distacca, rialzandosi dal letto, facendo scivolare il mantello increspato sulle coperte al suo fianco. Poco prima di salire sul davanzale della finestra e uscire, si gira un'ultima volta e sorride, con sincerità. Charles ricambia, non riuscendo però a trattenere la nostalgia che già lo imprigiona; la tristezza di vedere quella schiena piegarsi e scavalcare una finestra, come se fosse stato tutto un flebile sogno. Il pensiero, la vista, di Erik che svanisce gli procurano un nodo alla gola, eppure la certezza che sono ancora qualcosa – forse amici, forse nemici, forse un’anima separata in due pezzi ben distinti, come lo Yin e lo Yang, che però hanno bisogno l’uno dell’altro per sopravvivere – lo rincuora.
 
Erik, in fondo, non è venuto a trovarlo per dirgli addio, ma per mostrargli che fra di loro va tutto bene, qualsiasi scelta abbiano fatto e qualsiasi fato abbiano deciso di percorrere per il loro personale futuro ideale. Questo, è più di quanto Charles poteva desiderare. Era l’incentivo che cercava per poter andare avanti, almeno per ora.
 
Il romanzo della loro antica avventura si va rapidamente dileguando, aprendo le porte ad un futuro incerto, ma che tenteranno, sia lui che Erik, di costruire con le proprie mani.
 
Velocemente, Charles allunga il braccio verso il distributore manuale di morfina. Ne abbassa la dose e percepisce immediatamente il dolore alla schiena schiacciargli i muscoli in una morsa ferrea. Digrigna i denti e si porta due dita alla tempia destra, sperando che Erik non sia troppo lontano o non abbia indossato nuovamente l’elmetto.
Un’ultima volta. Solo un’ultima volta.
La trova, l’affascinante e notevole mente di Erik, che volteggia fra la folla in procinto di tornare ovunque alloggi.
Erik pare accorgersene, lo sapeva che lui avrebbe perlomeno tentato di sbirciare, e concentra tutti i suoi pensieri in un’unica frase diretta a Charles e che solo Charles può capire.
 
(“Che cosa sai di me?”. “Tutto”).
 
E quello è l’unico pensiero capace di far scoppiare Charles in una disperata risata liberatoria, che gli fa cedere per un istante il peso sul cuore e gli fa ammettere, con tutto se stesso, che nella sua vita non ci sarà mai più nessuno che prenderà il posto di Erik Lehnsherr.
 
 
 
“Alles ist gut”.
  
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