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Autore: emmevic    01/12/2014    3 recensioni
Cit. Si sa, in questi casi, quando le cose pare vadano un poco meglio, pensare che tutto sia finito è l'errore più grande.
Ambientazione italiana, WWII.
Prima classificata all'Historical Contest - Perle dal Passato indetto da BlAcK_pAnTeR_94 sul forum di EFP
Premio Contemporanea
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Boom



Da quando la sirena aveva dato il suo primo vagito, un grido metallico che strisciava tra le strade e rimbalzava contro le pareti degli edifici di Milano, arrivando in alto, sino alle guglie bianche del Duomo, non erano passati che sette mesi.
Dopo il primo allarme, che stordiva e faceva fischiare le orecchie, ne suonava un altro, subito prima che la terra tremasse e il frastuono delle bombe riecheggiasse. Quando il secondo si alzava come uno squillo di tromba, preannunciando l'inevitabile, era troppo tardi per scappare.

Tutta questione di fortuna, comunque.

Ma la parte peggiore era indubbiamente l'attesa. Ciò che Vittoria odiava di più era non sapere se quelli sarebbero stati gli ultimi istanti o solo degli spaventosi minuti a cui ne sarebbero seguiti degli altri.

La prima volta che era scesa nel rifugio aveva pianto. Era stato inevitabile, gli occhi verdi le si erano riempiti di lacrime e la bocca si era serrata. Il suo petto di bambina, in quella notte di giugno, aveva continuato ad alzarsi e abbassarsi a ritmo di singhiozzo. L'abbraccio di sua madre non le era stato di nessun conforto.
Il mese peggiore era stato agosto, un susseguirsi di incubi a occhi aperti. In quel periodo la realtà si era mescolata facilmente alla fantasia.
Poi c'era stata una pace illusoria, Milano era tornata tranquilla, grigia nella sua nebbia, e la morsa del freddo assieme alla fame mai saziata le avevano fatto dimenticare la paura delle bombe. Dicembre era arrivato e si era già quasi concluso.

A Vittoria il terrore degli aerei cominciò così a sembrare qualcosa di lontano, troppo irreale, avendo altro di cui preoccuparsi: le cene sempre meno consistenti e il brodo via via più annacquato, per esempio.
Ma si sa, in questi casi, quando le cose pare che vadano un poco meglio, pensare che tutto sia finito è l'errore più grande.
Forse è solo l'inconscio che cerca di cullarci nell'illusione. Forse.
Perché Vittoria, quando si era detta che, no, dopotutto non stava andando troppo male, aveva commesso un enorme sbaglio. Vittoria aveva sbagliato, e su tutta la linea.
Il momento in cui la sirena prese a squillare, interrompendo la quiete della notte, l'undicenne considerò per un attimo la possibilità d'essersi sognata tutto, poi sentì le dita di sua sorella maggiore stringersi attorno al suo braccio e strattonarla.

Non era un incubo.

«Flavia, Vittoria!» gridava dal soggiorno sua madre, con una candela accesa e la vestaglia per metà sbottonata. Non appena Vittoria uscì dal letto, rimpianse quel calore tiepido. Il gelo invernale la cinse e un crampo allo stomaco le fece tornare alla mente la misera minestra di qualche ora prima. Aveva ancora fame, ma quello, al momento, era sicuramente il minore dei problemi, così come il freddo pungente che le ghiacciava il sangue.

Muoviti, fai in fretta, celere: queste le parole che le diedero la forza di infilare le scarpe. L'allarme continuava a suonare.
Sul pianerottolo incontrarono Maria del piano superiore e il piccolo Angelo assieme alla zia; urlava, mentre la donna lo trascinava per una mano; si precipitavano verso il rifugio, verso la salvezza dei piani inferiori, sottoterra. Correvano per nascondersi come topi, lontano dalla luce, nel sottosuolo.
Veloci.

La botola si chiuse sopra le loro teste, lasciando fuori la guerra. Vittoria sospirò e Flavia l'abbracciò, carezzandole la testa castana. Le dita della maggiore si incastravano fra i capelli morbidi e arruffati della minore; qualcuno pregava.
Si azionò la seconda sirena e Angelo, in braccio a Maria, prese a singhiozzare con più forza, borbottando di tanto in tanto parole indecifrabili. Lo scantinato rimbombava i suoi lamenti, poi Vittoria, nella luce tremula di una candela, lo vide coprirsi improvvisamente le orecchie e tacere. Le iridi castane del bambino rilucevano nell'ombra.

«Finirà mai?» biascicò poi, nel miglior italiano che un marmocchio di sei anni potesse avere. L'undicenne lo guardò sconcertata.
Finirà mai? Mai? Vittoria chiuse gli occhi e nascose la testa tra le ginocchia: provò a riaprirli.
Voglio svegliarmi.



Le bombe toccarono terra.


   
 
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