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Autore: indiceindaco    01/12/2014    4 recensioni
"- Hey, they say it’s five centimeters per second.
- What do you mean?
- The speed at which the sakura blossom petals fall: five centimeters per second."
Storia di una distanza.
Storia di una domanda, e di una risposta che, alla fine, arriva.
Storia che è un regalo, per una persona speciale.
Storia destinata solo a quella persona, che è così magnanima d'avermi concesso di condividerla anche con voi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica, Più contesti
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Note: 

1) Dedicato immensamente ad ale93, per il suo compleanno. Opera postuma, ovviamente, previo suo consenso, perché è profondamente sua. Leggasi, ringraziate quest'autrice sommergendola di commenti, che vi assicuro saranno più che meritati. 
Inspirato all'Anime "5cm per second" da cui ho preso in prestito, in ordine sparso: Titolo, citazione, soundtrack. 
Dedicato alle rette parallele, alle rette incidenti ed agli incidenti -che ci fanno inciampare meravigliosamente su persone uniche-, agli insiemi di punti, ed infine alla perfezione delle circonferenze. 
Dedicato a Remus e a Sirius, quelli di ale93 però, non i miei, che sarebbe un'offesa al buon gusto. 

2) Qui, l’OST dell’anime. Ne consiglio l’ascolto, durante la lettura, nel seguente ordine:

1. Cherry Blossom Extract;
8. Poem of Sky and Sea;
9. The Feeling that doesn’t Reach;
2. Distant Everyday Memories;
11. One more time, one more chance; 4. Snow’s Station;

Così, perché sono –anche- pedante.

https://www.youtube.com/watch?v=7zRwHNbWOJI&list=PL0E0498 B5367E627F&index=8

Ah, quasi dimenticavo! La citazione, in corsivo nel testo e seguita da *, è di S.J. Lec. 
 

5 centimeters per second. 

Storia di una distanza. 

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- Hey, they say it’s five centimeters per second.

- What do you mean?

- The speed at which the sakura blossom petals fall: five centimeters per second.
 



...turn your scars into stars



 

Ci sono persone che nella vita nascono come su due binari differenti.
Non ricordava più dove lo avesse letto, Remus, il che non era affatto da lui. Eppure aveva quell’immagine ben impressa nella mente.
Due persone, come due rette parallele, due binari per un solo treno, diretto verso un’unica meta. Due persone che passavano la propria esistenza scorrendosi accanto.

Per tutta la sua vita, prima di allora, Remus si era sentito semplicemente un insieme di punti, sparsi a caso a riempire lo spazio, punti tenuti insieme da vecchie e nuove cicatrici. Forse per quello, l’immagine era penetrata così a fondo nella sua coscienza.

Si sentiva una retta, sola, che scorre all’infinito, occupando indebitamente una porzione del piano, quella vita che si trascinava dietro. Non dopo allora, no.

***

Cercava di appiattirsi quanto più poteva, contro il sedile soffice di quel treno confortante. Aveva paura, Remus, tremante nei suoi undici anni, si allontanava per la prima volta da casa, portandosi dietro più di un baule colmo di libri e di una divisa stropicciata. Il peso che aveva sul cuore, cresceva come l’ombra di una Luna che, sapeva, non gli avrebbe lasciato scampo.

Teneva gli occhi bassi, le maniche del maglione strette fra le dita, a coprire lo scempio sui dorsi delle sue mani. La testa era sotterrata da qualche parte tra le spalle, a nascondere un’espressione di cui si vergognava, come di chi non avesse diritto di essere al mondo.

Poi l’orecchio si tese, inconsciamente, al rumore dello scorrere della porta, che riecheggiava nell’angusto scompartimento, l’unico isolato che Remus avesse potuto trovare. Passi, tre, il rumore delle suole sul pavimento, non poté fare a meno di contarli. Poi un rumore ovattato, un leggero sbuffo del sedile, immaginò, senza mai alzare lo sguardo. E il suono dell’esistere di qualcun altro, lì dentro, di fronte a lui.

-Cos’hai lì, sulla guancia?
Una voce cristallina, dai toni infantili, lo trafisse tradendolo, e lo portò ad alzare il volto di scatto, gli occhi del colore del panico. Che stessero parlando proprio a lui? Quando ebbe il coraggio di mettere a fuoco il ragazzino di fronte a sé, cercò di reprimere il terrore che la sua timidezza gli imponeva. E si arrese, per un paio di occhi color mercurio.

-Pazzesco! È una cicatrice!- la voce era raggiante, esaltata quasi, ammirata, - Anch’io ne ho sempre voluta una!
La paura era evaporata adesso, senza spiegazione, s’era dileguata silenziosa, per far posto al suo opposto: curiosità.

-Io sono Sirius! Tu come ti chiami?

***

Cinque centimetri di distanza, fra due rette.
Parallele, che non si toccheranno mai.
Remus voleva credere, con tutto se stesso, a quel tale che disse: “
Due rette parallele s’incontrano all’infinito, e ci credono*. Voleva crederci anche lui, in quell’infinito.

***

Ricordava un candido piattino da thè, dai contorni sbeccati, abbandonato su quel tavolo cigolante e storto, sporco di sfumature grigiastre e cenere, un vapore denso e soffocante che ancora zizzagava indugiando sulla porcellana. Gli sembrava ancora di vedere quella casa storta e di sentirsi inghiottire da quel silenzio contorto che la permeava. Se solo avesse chiuso gli occhi un po’ più a lungo, avrebbe potuto sentirsi ancora lì, vivo tra i suoi ricordi di quindicenne.

Poi il rumore di qualcosa che cadeva, la sedia che s’infrangeva su assi di legno gonfie d’umidità, alla deriva. Ricordava il bordo della tazza straripare, un fluido ambrato dolcemente spargersi sul piano, il frantumarsi del thè tiepido sulla superficie incrinata e porosa del tavolo. Era strano saper disegnare i contorni di tutti quei dettagli così bene.

Poi una mano, sulla sua, la presa salda, ruvida ed il calore sulle guance. E se Remus avesse aperto gli occhi, in quell’istante, avrebbe trovato il respiro di Sirius su di sé, ansante, spezzato, ma in equilibrio.

In bilico, come la tazza colma di thè che si era appena rovesciata, come la sedia prima di rovinare sul pavimento, come il fumo di una sigaretta spenta troppo velocemente e senza attenzione.
Quel fumo che adesso si stringeva sulle sue labbra.

***

Ci sono persone che nella vita nascono come su due rette parallele.
Questo Remus lo sapeva, ne era certo.
Quel che non sapeva è che esistono rette che sanno incontrarsi, incrociarsi in un punto e intersecarsi. Rette che scorrono in direzione opposta, ostinate, decise, finché non abbiano raggiunto quel punto.

Che fosse quello l’infinito in cui le parallele riuscissero finalmente a prendersi per mano? O forse era qualcos’altro, con già il sapore di un addio?
Se lo chiese spesso, in seguito.

***

Poi venne la guerra, e si portò via la loro giovinezza.
Riempì gli occhi di Lily, così belli, di angoscia. Prese per mano James, e gli fece stringere al petto quel battito tremulo e giovane, il cuore di un uccellino. Inchiodò gli occhi di Peter sulla punta delle sue scarpe, troppo fragili per riuscire a muovere un passo.

Vennero le responsabilità, e travolsero Remus, e le preoccupazioni, i doveri. E lui che mai li aveva messi a tacere, desiderava solo silenzio, solo un attimo di silenzio, adesso. Vennero i dubbi, l’inquietudine sul fondo degli sguardi, le domande lasciate a metà, le risposte assenti ma troppo pesanti per non essere ascoltate. Vennero le paure, il sangue e un odore che nessuno di loro avrebbe mai dimenticato.

Non c’era più il tempo di guardare le stelle, di preoccuparsi della Luna.
Non c’era più niente.
La guerra si era portata via tutto: le rose del giardino di Godric’s Hollow, e Lily dai capelli dello stesso colore. Il Sole, delle domeniche pomeriggio passate nella cucina dei Potter, e James dal sorriso ugualmente raggiante. Il pigolio scoppiettante di meraviglia nei nidi, per la sorpresa che esistesse ancora, tenace, la vita, ed Harry rimasto un pulcino in inverno. Le incertezze e le voci titubanti, docili, scivolate da tutte le dita di Peter, tranne uno soltanto.
La guerra si era portata via ogni cosa, lasciando a Remus un pugno di nulla.

Solo una cosa era rimasta, una sola: il sorriso di Sirius.
Anche allora, con quella sua ombra grottesca, con una sfumatura di follia, sulla prima pagina del Profeta.

***

Ci sono persone che sono destinate a scorrersi per sempre accanto, come quelle due rette parallele, i binari di un treno che, Remus aveva finito per crederci, non sarebbe mai arrivato.

Ce ne sono altre che sono destinate a scorrere, con tutta la forza possibile, verso un unico momento, persone destinate ad incontrarsi una volta sola, in quell’unico punto, un incrocio, e poi ognuna procede per la propria strada, verso il proprio infinito, lasciandosi l’altra alle spalle.

Cos’erano lui e Sirius?
Non smise mai di chiederselo, Remus.

***

E ci fu di nuovo quel sorriso, contro la clavicola di Remus, e l’odore della stanchezza, dell’annichilimento, della distruzione e insieme della rinascita di un uomo. Ci furono quelle braccia magre, deboli, che lo trattenevano, nella piega delle mani tremanti, aggrappate alla sua schiena.

Non ci fu spazio per le parole, per le scuse, ed i perdonami. Non ci fu spazio per le fustigazioni della coscienza, e nemmeno per la coscienza. Remus sentiva che non ci fosse abbastanza tempo, che se avesse infranto quel silenzio, anche solo con il graffio di una sillaba, con le cicatrici dei rimorsi, quella stella sarebbe implosa, aprendogli un buco nero nel petto.

Così era immobile, senza tempo e senza spazio, sulla porta di casa, una porta storta. Era immobile mentre raccoglieva la fatica, la disfatta, il dolore, raggrumati in quel corpo così stretto al suo. Statico, come quell’attimo che sarebbe evaporato troppo in fretta. E sentiva il battito dell’istinto che sembrava sussurrargli con ferocia di agire, di stringere le redini della sua vita, di ribellarsi, ribaltare la superficie della propria esistenza, di sconvolgere le regole di un mondo che gli si era attaccato addosso da troppo tempo, ormai. Andasse tutto in malora, solo per una volta. Un’unica volta.

Quando il mercurio lo travolse, Remus seppe che non sarebbe mai stato abbastanza. Quando, irruenti, i contorni delle labbra di Sirius combaciarono con i suoi, Remus si accorse di aver avuto sete, da sempre sete, e lo soffocò la consapevolezza che mai quella sete si sarebbe placata. Quando il tonfo della porta raggiunse il suo orecchio, Remus schiuse le labbra, e sentì la gravità attirarlo verso ogni oggetto di quella stanza storta.

Contro il muro, percepì il corpo fragile di Sirius colmarsi di un nuovo vigore, disperato, senza fiato. E quell’istinto che fino allora era stato accoccolato a godersi il pallido calore dell’abnegazione, rispose da prima timidamente, poi travolse ogni scampolo della rigida razionalità di Remus, di quella meticolosità asettica.

Tutto precipitò, e si fece precipitoso. Tra le mani di Sirius che strattonavano i suoi vestiti consunti, Remus conobbe l’impellente bisogno di esistere. Ogni movimento, ogni carezza furiosa, ogni lembo di pelle a contatto, si disegnava nella mente di Remus, imprimendosi a fuoco, e alimentando quella perenne ed angosciosa convinzione: non c’era abbastanza tempo. E più l’idea si faceva spazio dentro di lui, più i suoi movimenti erano frenetici, avviliti, scostanti. Strattonava, strappava la stoffa, graffiava, si avventava smanioso sulla pelle di Sirius, avido di ogni boccata di quel suo nuovo ossigeno. Respirava per la prima volta, ma in apnea.

Riusciva solo a percepire le dita di Sirius, sulla pelle, che correvano tra le sue cicatrici, e le labbra gonfie e mute, che esploravano indisturbate, il guizzo della lingua a lasciare scie umide. Remus si spingeva contro quel calore, dimentico di ogni pensiero logico, razionale, vittima dei singhiozzi dell’emozione, della corrente di un fiume che avrebbe finito per annegarlo.

Non opponeva resistenza, non lasciava spazio allo spirito di sopravvivenza. Poteva morirne. Voleva morirne. Solo quel pensiero continuava a tormentarlo, a trascinarlo a riva, a intimargli la fretta, l’urgenza. Tutto stava per farsi inconsistente, in un attimo, tutto stava per svanire. E Remus sentì le lacrime spingere dietro agli occhi, spalancati, sulla spalla di Sirius.

I gesti di Sirius si fecero docili, il suo sguardo cullò il viso di Remus, premuroso lo strinse contro di sé, senza smettere di accarezzare il cuore del desiderio che li aveva travolti, quel desiderio a lungo spezzato, sopito. Ma Remus era preda di quell’angoscia, della premura, e avvertiva la necessità di divincolarsi, di reclamare lo slancio, prima che fosse troppo tardi, prima del crollo. Sirius lo trattenne, fermamente, sussurrando parole gentili, salde, confortanti.

-Piano...Abbiamo tutto il tempo del mondo. Piano...

Quando Remus accolse, senza riserve, l’intrusione, capì quanto vuoto e freddo avesse sopportato, quanto l’assenza gli avesse fatto compagnia, fino a quel momento. Il momento in cui Remus si sentì finalmente completo, al suo posto. Ed il tempo smise di esistere, dilatandosi.

All’infinito.

***

Lì, sulla lapide di marmo, a proteggere la terra che culla una bara vuota, Remus ricorda quel vecchio rompicapo, quella vecchia domanda.

Ci sono persone che sono come rette parallele, scorrono vicine, o quasi vicine, perché non si toccheranno mai.
Ci sono persone che s’incrociano una volta ed una soltanto, si toccano in quell’unico punto, poi mai più.

E poi ci sono una serie di punti, infiniti, l’uno accanto all’altro, a formare una retta, che scorre veloce, con un’unica meta: la partenza.
Sempre alla stessa distanza, quella distanza, da un punto fisso, il proprio centro, senza il quale non esisterebbero.

Le circonferenze, e il loro centro. Concentrici, perfetti, equidistanti.

Persone così sono capaci di confondere l’inizio con la fine. Il via con l’arrivo. La vita con la morte. Sono capaci di sfidarle, rimanendo lì, a scorrere veloci, certe di partire per voler ricominciare, all’infinito.
E Remus, finalmente, trova la sua risposta.








"sakura chiru
hisae y
ūbe to
nari ni keri

 

in questo giorno
che tramonta
sono caduti i fiori di ciliegio"


 

Miura Chora 

 
  
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