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Autore: Nezu    01/12/2014    1 recensioni
"Quando l'aveva rivisto, per la prima volta dopo quei quattro terribili anni di guerra, segnati da tante sofferenze e da tanto sangue sparso, non l'aveva nemmeno riconosciuto; non aveva molti ricordi del moccioso, durante la sua permanenza a Winterfell il giovane Stark non aveva fatto altro che scorrazzare qua e là con il suo meta-lupo e sorridere costantemente a Myrcella e Tommen. E arrampicarsi, ovviamente. Su e giù, ovunque, su un muro di pietra, su un tetto di legno, su alberi enormi, così alti da sembrare le torri del castello reale."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Bran Stark, Jaime Lannister
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Push you down from the edge

Quando l'aveva rivisto, per la prima volta dopo quei quattro terribili anni di guerra, segnati da tante sofferenze e da tanto sangue sparso, non l'aveva nemmeno riconosciuto; non aveva molti ricordi del moccioso, durante la sua permanenza a Winterfell il giovane Stark non aveva fatto altro che scorrazzare qua e là con il suo meta-lupo e sorridere costantemente a Myrcella e Tommen. E arrampicarsi, ovviamente. Su e giù, ovunque, su un muro di pietra, su un tetto di legno, su alberi enormi, così alti da sembrare le torri del castello reale.

Quando l'aveva rivisto, il suo sguardo era scivolato inevitabilmente sulle sue gambe: inerti, immobili, morte. Contro ogni sua aspettativa, aveva provato un leggero rimorso, un sottile sentore di malessere all'altezza dello stomaco; il ricordo di quel corpo così leggero ed fragile sotto le sue mani, quella semplice ed improvvisa spinta, l'urlo che ne era seguito... non ci aveva più pensato. Troppe questioni ben più urgenti da risolvere, i problemi con Ned Stark, la guerra, la sua cattura... Anche quando aveva ammesso di fronte a lady Stark di aver tentato di uccidere il suo beneamato figliolo, ma non aveva mai veramente ricordato quel momento: le sue erano semplici parole, quasi un automatismo, visto che sapeva che quel che diceva era il vero.

Aveva provato quella sensazione solo il giorno prima della sua partenza da Winterfell, quando, per rispettare i convenevoli, si era presentato al capezzale del moccioso per confortare Catelyn Stark. Il ragazzo pareva morto, proprio come avrebbe dovuto essere secondo il suo piano: Jaime era combattuto tra il desiderio di soffocare quel ficcanaso con il cuscino o tornare indietro nel tempo e trovare un'alternativa, una qualsiasi altra scelta. Ma nessuno dei suoi due desideri era realizzabile.

Dopo quattro anni di guerra, finalmente, la ribellione era stata stroncata; a Joffrey era succeduto Tommen, molto più manipolabile del fratello e strettamente controllato da Cersei. Nessuno Stark a minacciare la sua famiglia, nessun falso re che si autoproclamava legittimo erede al trono. Nessun lupo pronto ad azzannarlo alla gola. Jaime aveva tirato un sospiro di sollievo quando gli era stato concesso di tornare, dopo tanto tempo, a Castel Granito.

Avrebbe dovuto aspettarsi, però, che lì fossero finiti molti dei prigionieri di guerra - suo padre odiava gli sprechi, perché disfarsi di così tante braccia forti? Di certo non si aspettava, invece, di trovare in mezzo a loro Bran Stark. Lord Tywin avrebbe voluto eliminarlo, uno storpio non poteva certo produrre qualcosa; che il ragazzo fosse uno Stark, suo padre non l'aveva capito. E probabilmente, se Jaime non si fosse fatto avanti, lo scheletro del ragazzino sarebbe finito in una buca, assieme a tanta altra gente sconosciuta e priva d'importanza.

Tywin non aveva fatto domande - dopo la guerra si era allontanato ancor di più da suo figlio, per quanto possibile - e il ragazzo era stato portato nelle stanze dello Sterminatore. Quando l'uomo entrò nella stanza, Bran Stark lo trafisse con uno sguardo così serio che per un attimo gli sembrò di ritrovarsi di fronte al vecchio Ned.

< Sembra proprio che tu sia cresciuto, dall'ultima volta che ci siamo visti.>

Era un esordio banale, ma il ricordo di quell'ultima volta - e soprattutto di cosa stavano facendo i due gemelli Lannister - affiorò prepotentemente nella mente del ragazzo e le guance gli divennero improvvisamente rosse. Il suo sguardo, però, non vacillò per un istante.

< Mio padre ti ha ceduto a me. D'ora in avanti sei sotto la mia protezione. Per il momento resterai in questa stanza, più avanti cercherò qualcuno che ti aiuti a muoverti.>

< Perché?> La voce del ragazzino risuonò forte e decisa. Jaime sollevò un sopracciglio, accennando brevemente alle sue gambe.

< Credo tu sappia meglio di me perché.> Ribatté glaciale, non capendo dove il ragazzo volesse andare a parare.

< No, intendo dire perché mi hai portato qua. Perché hai fermato tuo padre.>

La risposta fu una semplice scrollata di spalle, mentre con un sorrisetto l'uomo si riempiva un calice di vino.

< Nessuna ragione in particolare.>

< C'è sempre una ragione.>

< No, non c'è. C'era una ragione per spingerti giù da quella torre. C'era una ragione per far credere ai tuoi genitori che fosse tutto un incidente. Non c'è una ragione per cui tu non debba sparire dalla faccia della terra, come i tuoi fratelli e il tuo lupo.>

Fu in quell'istante che lo sguardo di Bran Stark mutò. Se avesse potuto uccidere con quegli occhi, il corpo di Jaime Lannister sarebbe stato trovato riverso sul pavimento dalla prima septa di passaggio; Jaime odiava quello sguardo, lo stesso che aveva visto in Ned, in Robb, in Catelyn e in tutto gli Stark in cui era incappato. Avrebbe voluto fare due passi avanti, colmare la distanza che lo separava dal moccioso e levargli quell'aria altezzosa e superiore di dosso, quell'orgoglio così fastidioso.

Avrebbe voluto afferrargli i capelli lunghi, stringere così forte da farlo gridare - poteva immaginare quanto fosse fragile quel corpicino così deperito - costringerlo ad implorare di smettere. Non l'avrebbe fatto, lo sapeva; avrebbe resistito come tutti quei testardi dei suoi parenti, ancorato al proprio onore come ad uno scoglio, un appiglio prima della caduta. Ma l'avrebbe fatto cadere, una volta ancora. Avrebbe assaporato il sapore delle sue labbra, l'avrebbe divorato come un leone divora la propria preda, un lupo ferito, destinato a soccombere, incapace di fuggire. Poteva già sentire i suoi gemiti, le sue preghiere, le sue mani contro il petto, che cercavano di allontanarlo disperate. Poteva sentire le sue dita scivolargli sulla pelle, in alto, per ancorarsi alle spalle, stringergli i capelli, il fiato sul suo collo, guancia contro guancia, i loro bacini che si scontravano, le gambe come un peso morto, inerti e abbandonate come quelle di una bambola di pezza.

L'avrebbe sentito urlare e pregare, ammettere che ora, solo al mondo, non poteva che dipendere da lui, da un leone. Gli ululati di quel cucciolo sarebbero stati solo ed unicamente per Jaime Lannister.

Stava per fare un passo avanti, come da proposito, quando la voce del ragazzo lo bloccò.

< Osha.>

< Come, scusa?>

< Osha. Dovrebbe essere assieme agli altri prigionieri. Se vuoi qualcuno che mi aiuti a spostarmi, lei è la più adatta.>

Jaime sorrise, cercando di calmare il tumulto che sentiva dentro di sé. Non rispose, ma uscì dalla stanza lasciando il ragazzo in balia della solitudine e di un futuro incerto. Si tranquillizzò con dei profondi respiri: era solo questione di - poco - tempo, prima della resa. Prima che l'ultimo lupo cadesse una seconda volta.

   
 
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