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Autore: Gnana    03/12/2014    0 recensioni
Giada vuole solo festeggiare il suo compleanno passando una giornata felice e spensierata con i suoi compagni, ma presto scoprirà che la sua vita da adolescente é messa in pericolo dal vasto universo che ci circonda formato da tanti mondi diversi tra loro. Giada e i suoi amici si troveranno per sbaglio in uno di questi e sarà terribile. Un giovane uomo, estroverso e alquanto irritante si dimostrerà forte e tenace abbastanza da promettere di portarli in salvo, ma ci riuscirà?
*Storia revisionata*
Genere: Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NotHuman
 
 
Sono una povera donna dal passato burrascoso, ho un segreto che non potrei rivelare a nessuno e che avrei portato con me nella tomba. Ora è tutto diverso, ormai, da quando ho saputo che vivono dentro di me dei geni corrotti. Non ci sono arrivati lì per caso e non sono venuti da questa terra. La causa di tutto questo è un posto nascosto alla maggior parte degli umani, che io purtroppo ho dovuto attraversare, non so se per fato o per volere sadico di un’entità. Dopo quella tremenda esperienza, ho vissuto i miei anni con sollievo, nonostante portassi dentro il mio cervello, un grande trauma. Tuttavia ero relativamente felice di essere scampata a una disgrazia immensa. Adesso, invece, mi ritrovo a maledire quel posto e a volte anche me stessa perché pur di scansare l’accaduto, avrei preferito non nascere affatto.


Ricordo quel giorno, si ricostruisce vivido nella mia mente, con tutte le sue ombre e i suoi rumori.

Era un giorno di Marzo, da poco inoltrata la primavera, ed io e i miei cari amici eravamo diretti verso il monte Lauro per un picnic, per festeggiare il mio compleanno. 
Salimmo con i nostri cesti e i nostri bastoni che ci facevano da guida e ci sorreggevano, alcuni avevano portato regali, altri solo da mangiare. Io ero contenta solo del fatto che fossero venuti tutti.
Non eravamo mai saliti su quel monte, quindi trascorse molto tempo prima che trovassimo un posto dove posare i nostri lenzuoli. Stavamo camminando per il sentiero che usavano gli eremiti tanto tempo prima e in un battito di ciglia, senza nemmeno accorgercene, arrivammo in un posto tetro e buio. 
Era uno spiazzo quasi tutto verde, con degli alberi molto alti e nodosi. Le loro chiome, grandi e fitte, rendevano tutto più oscuro. Ma quando uno di noi si accorse del paesaggio, ci eravamo già inoltrati troppo e non vedevamo la strada per tornare indietro. L’unica cosa da fare era andare avanti.
Ma più si andava avanti e più la vegetazione si infittiva, così provammo a cambiare direzione e a zigzagare tra gli alberi. Dopo un po’ riuscimmo a uscire da quella specie di giungla e ci trovammo in un posto completamente nuovo. 

Non sembrava il monte Lauro, affatto. Di fronte c’era un'immensa pianura, mentre dietro c’era il fitto bosco. Ancora una volta l’unica soluzione era andare avanti.
L’atmosfera era surreale: il prato era di un verde omogeneo, ogni filo d’erba era identico all’altro e si estendeva per parecchi chilometri; il sole era in una posizione sbagliata rispetto all’orario che segnavano i nostri orologi, secondo i quali era trascorsa solo mezz’ora, mentre noi eravamo sicuri che fossero passate ore; i fiumi che si vedevano in lontananza erano luccicanti come se fossero completamente limpidi e ogni sasso che incontravamo era perfettamente liscio. 
Ma tenevamo segreti ogni giudizio o impressione, per non sembrare pazzi. 
Quanto eravamo ingenui.

Camminammo ancora per un po’ e ci sedemmo per assaporare le prelibatezze che avevano preparato i nostri genitori ed io cominciai a scartare regali. 
Fu dopo pochi minuti che lo incontrai. Sarebbe meglio dire che ci scontrammo perché venne di corsa in mezzo a noi come se fosse furioso, ma aveva uno sguardo disperato e i suoi occhi indagatori incontravano i nostri uno alla volta. 

"E voi? Come diavolo siete arrivati qui?"
"Calma, biondino. Solo perché sei più grande di qualche anno, non vuol dire che devi trattarci con prepotenza." Dissi, irritata.

Lui moderò i toni, ma non si calmò.

"Mi scuso. Come siete arrivati?"
"E’ il mio compleanno e siamo venuti a fare un picnic."
"E…?" Si sgranchì le dita.
"Siamo venuti qui per stare in santa pace."

L’uomo sembrò calmarsi, ma era comunque disperato.
"Siete umani?"  Pronunciò quelle parole con un'alzata di ciglio, che venne ovviamente ricambiata da tutti noi.

"Tu sei pazzo." Mormorò Martin, il mio amico.
"Ma certo, come ho fatto a non riconoscervi?" 
Sciolse finalmente la postura, ci rivolse un gran sorriso e ci porse la mano.

"Mi chiamo Ryan e sono qui per dare una mano ad un’amica, ma a quanto pare qualcun’ altro ha bisogno di aiuto."
Tutti rimasero immobili e sconcertati.
"Parlavo di voi, ragazzini." Ci fece un sorriso triste e fece per andarsene, dandoci le spalle, ma dopo due passi si rivolse di nuovo a noi.
"Allora? Andiamo?"
"Ma dove?" Chiese la mia amica, scocciata.
Il pazzo sbuffò e tornò da noi a grandi falcate.

"Oh, insomma! Uno si offre per salvarvi la vita e voi vi comportate così? "
"Senti amico, perché non ci lasci in pace?" Disse il mio compagno.
"Perché se me ne vado, morirai. In questo momento vi trovate in un altro mondo e ci siete arrivati tramite un portale. I portali non si possono creare, esistono e basta e voi vi siete ficcati dentro senza saperlo. Sono qui perché la mia amica è in pericolo e voglio salvarla e ora che vi ho trovato, voglio salvare anche voi. Se volete morire, me ne andrò, ma se volete sopravvivere, seguitemi."

Quelle parole ci lasciarono senza fiato, tutti pensavamo che fosse pazzo. Anche se lasciavamo spazio a qualche risolino, dentro di noi s'insinuava il dubbio. Decidemmo, poi, di seguirlo solo per prenderlo in giro e assecondarlo ridendo alle sue spalle. Ma accadde una cosa che ci mise tutti d’accordo sul fatto che quello che diceva era assolutamente vero.

Stavamo camminando tranquilli per un sentiero perfettamente liscio quando uno stormo di creature volanti planò verso di noi, rosse come se fossero impregnate di sangue e forse lo erano perché l’uomo pazzo ci disse che erano carnivore. 
Appena le vide ci ordinò di stare vicini il più possibile. 

"Abbraccio di gruppo!" Urlò. E quando tutti ci stringemmo spaventati dietro di lui, trafficò col suo bracciale digitando qualche codice e vedemmo l’intero stormo schiantarsi a pochi metri sopra le nostre teste. 
"Campo magnetico." Disse. 
"Invisibile" Aggiunge a bassa voce e con gli occhi sbarrati, come per metterci paura, ma noi eravamo distratti da ben altro.
Era stranamente divertito, come se fosse tutto un gioco, come se avesse a che farci spesso.

Il campo magnetico era simile a una cupola di vetro, che rifletteva i nostri volti spaventati e inorriditi. Io e quasi tutti i miei amici ci dirigemmo verso i bordi per toccare con mano quella stranezza, ma d’un tratto i nostri riflessi si dissolsero nel nulla e le creature alate ci piombarono tutte addosso, morte. Ci ritrovammo a correre in tondo disperati, i nostri vestiti erano macchiati di sangue e avevamo nei capelli delle piume rosse.
"Ops. Non era previsto." Disse l’uomo pazzo, disgustato, ma molto più controllato.
Alcuni vomitarono e altri inciamparono nelle carcasse, finendo per terra a piangere dal disgusto.
Nonostante tutto, lui ci restò vicino e ci diede una mano a superare l’accaduto, restituendoci il sorriso. Come gli altri, all’inizio lo trovavo irritante, ma da quando capii che voleva davvero salvarci e gli importava davvero di noi, cominciava ad essermi simpatico. Ci prese sotto la sua ala e ci guidò all’interno di quel mondo crudele e spietato. Trascorrendo del tempo insieme, imparai a conoscerlo e a vederlo sotto un’altra luce. Credo che si fosse accorto di questo, perché per la prima volta iniziammo a conversare.
Percorrevamo un sentiero, camminando fianco a fianco, quando lui mi guardò con i suoi occhi profondi e misteriosi e sorridendo mi parlò.

" Come ti chiami, piccola?" 
"Giada"
"Giada, tu mi piaci. Sei coraggiosa, perciò ti racconterò cosa penso sia successo: vi siete caricati di energia positiva – era il tuo compleanno, ci credo, adoro i compleanni – e il portale si è nutrito di essa espandendosi e attirandovi al suo interno, dopodiché avete visto l’apparente calma e ci siete cascati in pieno, ma credimi… questo posto è terribile."
"Un portale può trasformarsi in un bosco orribile? Perché noi abbiamo attraversato quello prima di arrivare qui."
"Gli umani, in genere, non hanno il permesso di attraversare i mondi, quindi credo sia stata una reazione del portale alla vostra vista."
"Per te che sembianze ha preso?" 
"Nessuna. Sono passato e basta."
"Ma avevi detto che gli umani…"
" Non ho mai detto che io lo fossi."

Non volevo credere a quelle parole, pensavo stesse prendendomi in giro, ma non aveva la sua solita aria giocherellona. Mi venne la pelle d’oca ed ero tentata dallo scappare via da quello scherzo della natura, perché fino a quel momento avevo imparato che gli scherzi della natura non portavano altro che guai. Ma lui era diverso. Era più… umano.

Continuammo a camminare per ore, la sete si faceva sentire e anche la fame. Cercavamo di raggiungere le coordinate che vedeva sul suo bracciale luminoso, il messaggio che gli aveva mandato l’amica, e più ci avvicinavamo alla destinazione più il paesaggio si faceva tetro. Fu il cammino più lungo e difficile e spaventoso che abbia mai intrapreso, abbiamo perso alcune persone lungo il tragitto. Alcuni sono morti cadendo in pozze di catrame che crescevano in pochi secondi tra l’erba e che poi si ritiravano una volta che avevano risucchiato il corpo. Gli altri venivano acchiappati e squartati da quelle specie di aborti.  
Erano creature immonde che ci seguivano, spuntavano dai cespugli o incredibilmente si materializzavano dal nulla e ci attaccavano. Ne ho viste molte, troppe e non riesco quasi a descriverle, talmente raccapricciante ne è il ricordo. Avevano forme mai viste, corpi deturpati e colori tetri. Una di esse mi colpì particolarmente.
Al primo sguardo ero convinta che fosse un’unica informe creatura che si contorceva. In realtà era molto peggio: erano tre creature di stazza e forma diversa, fuse tra loro, coperte da stracci bianchi. Ci vide da lontano e subito si precipitò al nostro cospetto, credo, per portarci nel suo inferno. 


Ryan era stremato e frustrato, glielo leggevo negli occhi, perché aveva sempre lottato da solo. Ci aveva ordinato, infatti, di non muovere un dito, qualunque cosa fosse successa. Ma con la sua interminabile forza di volontà, ancora una volta, mise in gioco la sua vita per noi. Ci protesse con la sua figura esile ma imponente e trafficò con il suo bracciale pestando freneticamente sui bottoni. Più la creatura si avvicinava, più Ryan muoveva le dita velocemente e potevo vedere una goccia di sudore scendergli lungo la tempia. Gli altri continuavano a urlargli di muoversi e lui continuava ad avere gli occhi puntati sul piccolo schermo.
Quando ormai avevo perso la speranza e la creatura stava a pochissima distanza da lui, quasi a toccarlo, Ryan alzò di scatto la testa e protese il braccio. Dal suo bracciale esplose un'onda di luce viola che investì in pieno la creatura, facendola saltare via e cadere a terra priva di sensi. 

Fu silenzio e Ryan si avvicinò con calma al corpo. La vedemmo lamentarsi per lungo tempo e poi si sgretolò, fino a diventare cenere. 
"Pensavo di averle viste tutte" Dissi, senza fiato.
"Anch’io "rispose Ryan, in tono amaro.
Poi si girò per guardarci e si bloccò di colpo.
Ci girammo anche noi e vedemmo l’orrore dipinto sul volto della nostra amica che pian piano scivolava a terra, tenendosi il braccio destro. Aveva la bocca aperta e sembrava volerci dire qualcosa, ma ad un tratto si afflosciò e cadde a terra. Ci avvicinammo, la chiamammo col suo nome, ma ormai l’infarto aveva già colpito e il suo cuore era fermo. Sui nostri volti non c’era più la disperazione. Vi si leggeva solo la monotonia della morte. 
Eravamo rimasti in quattro.

Nonostante ci fossero solo morte e desolazione, noi volevamo sapere di più. Credo che ormai ci rimanesse solo quello e la speranza a cui aggrapparci per sopravvivere.
"Ci spieghi cosa sono esattamente?" Gli chiese un ragazzo.
Ci guardò uno ad uno, come faceva quando doveva dirci verità scomode.
"Sono umani alterati geneticamente. "
"Cosa?" Urlai.
"Vi avevo detto che gli umani non avevano il permesso di passare"
"Ma questo significa che, in un modo o nell’altro, ci trasformeremo anche noi!" Disse una mia compagna.
" Se li toccate, siete morti. Se non vi porto via entro quarantott’ore, vi trasformerete lentamente. Potreste metterci anche anni."
Ci guardammo sgomenti. Eravamo convinti di non poter essere più stupiti o più spaventati. Ci eravamo sbagliati.

L’erba aveva lasciato spazio al terriccio e il terriccio alla pietra e dopo pozzi profondi e neri e crepe enormi che ci ostacolavano e – posso giurare – si spostavano per seguirci, finalmente arrivammo a destinazione. Sporchi e assetati, ma ci arrivammo.
C’era poca luce, come se fosse scesa la sera, ma lì non esisteva la luna. Di fronte a noi c’era un edificio malconcio circondato da ombre che sgusciavano in tutti i lati e una strana nebbiolina viaggiava sinuosa tra l’erba alta. 
Vi entrammo senza alcun intoppo e notammo subito che c’erano molta calma e molto silenzio. Non c’erano stanze o alcun tipo di mobile o oggetto, come fosse una fabbrica abbandonata, e c’era sporcizia dappertutto.

Trovammo la sua amica a terra, insanguinata e lui le si accasciò accanto cercando di farle aprire gli occhi. Non le sentì il polso, ma appoggiò la fronte alla sua, chiudendo gli occhi. Quando fu certo che c’era ancora speranza, la prese in braccio e fece per correre via, ma la porta si chiuse di colpo e tutto intorno a noi si ammassarono delle ombre. 
Lui capì subito che non c’era scampo, così adagiò la sua amica in terra e con fare spavaldo ci sorpassò e cominciò a parlare alle ombre come se già le conoscesse, come se le ombre si potessero conoscere.

"Avanti, fatevi vedere. Voglio guardare negli occhi chi l’ha rapita… e strapparglieli."
Vedevo una luce nuova nei suoi occhi e la sua voce era più adulta. 
Una alla volta le ombre si dissiparono e lasciarono al loro posto altri abomini.
Io e i miei due compagni lasciammo che indagassero sul nostro aspetto, ma io ero sicura che stessero setacciando anche le nostre anime. Dopodiché con uno scatto ci attaccarono e per la prima volta vidi l’uomo pazzo sorpreso e spaventato.

Pietre e rami abbastanza robusti erano disseminati per il pavimento e tentammo di lottare con quelli, ce la mettemmo tutta e stavamo attenti a sgusciare via per non farci neanche sfiorare. Ma non durammo a lungo: non sapevamo come ucciderli e non eravamo abbastanza forti, così gli amici che mi erano rimasti diventarono i miei peggior nemici, trasformandosi e cancellando ogni traccia delle persone che erano.
Lui fece di tutto per salvarci e quando rimasi solo io, si infuriò. La mano di una creatura stava per sfiorarmi quando vidi un bagliore accecante che si propagò per tutta la stanza e mi coprii gli occhi.

Quando fu di nuovo silenzio, vidi lui che trafficava col suo bracciale, accanto alla sua amica, e delle piccole montagne di cenere sul pavimento.
"Avrei usato il teletrasporto per catapultarci qui, ma dovevo risparmiare batteria per i casi estremi. E quello di prima era un caso estremo. Solo che adesso ho abbastanza energia per un solo teletrasporto e mi dispiace, ma la mia amica è più importante" Mi rivolse un’occhiata dispiaciuta, ma io mi arrabbiai lo stesso.

"Ma che dici? Possiamo andarcene insieme!"
"Giada, io non sono umano. Dovrei teletrasportare te nel tuo mondo ed io e la mia amica nel nostro, ma non posso, te l’ho detto. Ho energia solo per noi due."
"Allora portami con te! Visiterò il tuo mondo e quando avrai caricato il bracciale, mi porterai a casa!"
"No, Giada. Gli umani non hanno il permesso di passeggiare allegramente tra i mondi per caso, figurati con il mio consenso. Ci ucciderebbero entrambi appena varcata la soglia del mio mondo, è la legge."
Cominciai a piangere disperata e mi gettai tra le sue braccia. Mi diede un lungo bacio sulla fronte, ma quando io detti segno di non voler cedere, mi spinse via facendomi cadere e digitò di nuovo sul suo bracciale. Mi rialzai per andare da lui, ma fui fermata da una parete invisibile.
"Sei in una bolla. Niente può entrare, niente può uscire. Sei al sicuro."
Fece un grande sospiro e sono ancora sicura che quella sulla guancia fosse una lacrima.
"Sei coraggiosa, piccola. Tornerò, lo prometto."
Poi scomparve assieme alla sua amica come se non fossero mai esistiti, ma io sapevo che tutto quello era vero e mostruoso. E soprattutto sapevo che ero completamente sola e piansi lacrime amarissime e patii la fame e la sete in quella bolla che sembrava fatta di vetro ed era un dolore che non ho mai provato. Ma un giorno non troppo distante, lui tornò e mi salvò, portandomi a casa.

Gli anni successivi furono vuoti. Ho avuto una vita che vista da occhi estranei sembrava noiosa, ma io non la chiamo nemmeno vita. Era come se stessi aspettando qualcosa, ma non ho mai saputo cosa ed era come se il mio cuore già sapesse. Il mio corpo già sapeva cosa sarebbe successo.
Ho passato anni a rimuginare sul mio passato e non mi capacitavo. Non riuscivo a spiegarmi il perché di questo mio rifiuto alla felicità vera e propria e sapevo profondamente che non dovevo incolpare il trauma, la mia debolezza, perché di quelle non ne avevo neanche una; non a caso, gli piacevo.
Oggi la mia incertezza e l’ignoto che portavo dentro hanno preso forma, una molto ben definita.
E non è più incertezza o ignoto: è la verità, quella cattiva, quella che fa male, quella che ti fa gelare il sangue e ti fa saltare il cuore nel petto.
Una lettera mi ha aperto gli occhi, una lettera dall’uomo pazzo.
L’ho trovata poche ore fa, sotto la porta d’ingresso del mio appartamento, metà dentro e metà fuori. Non so come ci é arrivata lì e non so chi ce l’ha messa, non sapevo neanche che fosse sua, ma quando l’ho vista i miei polmoni hanno avuto un sussulto. Ancora una volta il mio corpo sapeva. L’ho presa delicatamente e mi sono seduta su una sedia; l’ho tenuta tra le mani come se fosse un foglio d’oro e non un semplice foglio di carta sgualcito.
Quando l’ho girata e ho visto il mio nome scritto sul retro, ho capito. 
L’ho guardata, posata sul tavolo, immobile, per parecchi minuti.
Sapevo che qualsiasi cosa ci fosse lì dentro sarebbe stato importante, definitivo, mi avrebbe cambiato. Io, Giada, forte e coraggiosa, avevo paura di una semplice lettera.
In quegli attimi ho riflettuto molto sui fatidici giorni che hanno portato la morte dentro di me, la solitudine, la disperazione. Ho pensato ai miei amici che morirono e ad altri che insieme alla mia famiglia non mi riconobbero nei giorni successivi al mio compleanno. Soprattutto ho pensato a Ryan e a quanto tempo abbiamo passato insieme: decisamente troppo. Ci disse che se non avessimo trascorso più di quarantott’ore in quel posto saremmo stati salvi, ma io adesso ricordo che abbiamo trascorso molto più tempo a girovagare in quelle pianure. Come ho potuto dimenticare una cosa del genere? Forse il destino ha voluto che me ne dimenticassi per divertirsi con me. Scampata al pericolo ero così sollevata che l’ho rimosso dalla mia mente. E’ stato quel ricordo a risvegliarmi dalla paura, in quel momento mi ha assalito una consapevolezza così forte da fare male al petto e ho avuto il coraggio di aprire la busta.
Quasi l’ho strappata dalla foga, dalla fame di sapere. All’interno ho trovato una fotografia che immortalava una figura ossuta e deforme, dal colore pallido. Era molto simile alle creature che incontrai, ma poi il mio sguardo é stato catturato dal bracciale attaccato al suo polso destro, anzi, sembrava fuso alla carne. E’ quello di Ryan, ne sono certa.
Ho girato la fotografia e sul retro ho visto una sola parola, con lettere poco precise, come se fosse stata scritta di fretta o in preda alla disperazione:

DEVI MORIRE

Adesso sono qui e non so cosa fare, mi lascio cullare dall’ignoto che governa la mia morte. 

E’ buffo pensare a come morire, mi sembra una cosa stupida perché dovrebbe essere naturale. Eppure, ancora una volta, la mia condizione mi costringe a non essere libera, neanche di scegliere come morire. Devo trovare un modo che non danneggi gli altri, toccando me o il mio sangue. Ma come si può essere meticolosi in momenti come questi? Vorrei rimanere seduta qui per sempre a pensare a Ryan, a rimuginare sulle poche cose belle del mio passato, non pensare a nient’altro e lasciarmi trasportare dalla mia esistenza dannata, ma non posso!

Con un impeto di rabbia, do un calcio a un mobile facendo cadere per terra alcune bottiglie di alcolici che si frantumano allo schianto. Per un momento resto vigile, riesco a sentire rumori e suoni che prima non percepivo, riesco persino ad ascoltare il silenzio e mi accorgo che il mio viso é umido di lacrime e ho il loro sapore sulla lingua.
Mi precipito a prendere una scatola di fiammiferi e prima di accenderne uno, lo bacio, poi lo lascio cadere in fiamme sulla pozzanghera di alcool.
Si accende una piccola fiammella che poi velocemente si espande e s’ingrandisce fino ad arrivare al muro e alla credenza e poi alla tenda. Tutto attorno a me rallenta e s’illumina di una luce strana che brucia gli occhi e riscalda. Io mi rannicchio sul divano, coprendomi le orecchie dal rumore assordante che cresce sempre di più e comincio a piangere disperata, urlante; urlo  talmente forte che mi fa male la gola. Sono dannata e non posso fare altro che spezzare la catena di questa maledizione e faccio un favore al mio mondo, lasciandolo per sempre.

Quanto vorrei rivederlo, quanto vorrei riabbracciarlo, quanto vorrei che piantasse i suoi occhi dritto nei miei come faceva allora, un’ultima volta. 
Ti ho sognato, uomo pazzo. Ti ho sognato e ti ho aspettato. Alla fine non sono poi così coraggiosa se ho davanti ai miei occhi la fine di tutto, finalmente, e oso disperare. 
Quando smetto di tossire, mi assopisco tenendo  poggiata la testa al mio cuscino, ormai fradicio di lacrime. Il rumore che prima era assordante, ora é di sottofondo e il calore che prima era soffocante, adesso brucia, ma non ci faccio caso. Ho così sonno, sono così stanca che mi addormento. Sogno Ryan che mi prende la mano, mi guarda negli occhi e sorride, col suo sorriso sghembo di chi é affascinante ma non ne é consapevole.

Poi.
Buio.
   
 
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