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Autore: Kiki87    05/12/2014    5 recensioni
Sebastian e Kurt sono coinquilini da quasi un anno e la loro quotidianità è una piacevole routine a cui il primo non è tanto disposto a rinunciare. Soprattutto quando Kurt annuncia il suo inaspettato fidanzamento con Blaine.
Tra machiavellici tentativi di sabotaggio e sporadiche sbronze al solito pub, Sebastian si lascia andare ai ricordi della loro convivenza. Ma sarà disposto ad ammettere che i sentimenti di Kurt non siano i soli in gioco, prima che sia troppo tardi?
“Kurt si sposa”, si sentì dire, dopo aver rilasciato il respiro.
Non era stato volontario, ma bastò pronunciare quelle parole perché fluttuassero tra loro così perentorie. Dannatamente reali. E definitive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non sono una persona perfetta.
Ci sono molte cose che vorrei non aver fatto.
Ma continuo ad imparare.
Non avrei mai voluto farti questo.
E quindi devo dirti qualcosa prima di andare via:

Quello che voglio che tu sappia è che
ho trovato una ragione,
per cambiare quello che ero solito essere.
Una ragione per ricominciare di nuovo,
e la ragione sei tu.

Mi dispiace di averti ferito,
è qualcosa con cui dovrò convivere ogni giorno.
E tutto quel dolore che ti ho inflitto,
vorrei poterlo portare via tutto,
ed essere quello che caccia via tutte le tue lacrime.

E' per questo che ho bisogno che tu senta:
ho trovato una ragione,
per cambiare tutto quello che ero solito essere.
Una ragione per ricominciare di nuovo.
La ragione sei tu.

Ho trovato una ragione per mostrare
una parte di me che non conoscevi.
Una ragione per tutto quello che faccio.
E la ragione sei tu.
    Reason – Hoobastank1



(Marzo).
Giorno del matrimonio.



Capitolo 12

Le stelle si riflettevano sul fiume esattamente come quella notte, seppur sembrasse passata un'intera vita, quella passata nascondendosi da se stesso. Eppure, al contempo, era come se nulla fosse cambiato nel frattempo. Una crudele illusione che il mondo esterno non avrebbe intaccato quei momenti. Che avrebbero potuto crogiolarsi in quel rifugio e lasciar andare tutto il resto.
O forse bastava osservarlo negli occhi per avere la netta certezza che, ormai, tutta la propria serenità ruotasse attorno a quel viso e che la propria quotidianità fosse ormai forgiata di quel bisogno innegabile. Ma non loro realmente concesso.
Sebastian aveva, infatti, la segreta intuizione che non avrebbe dovuto trovarsi lì con lui, non in quel momento. Che tutto sarebbe finito, lasciandolo nell'amaro disincanto di una perdita irreparabile.
Ed era quello l'istante risolutivo: doveva lasciare che le parole fluissero per dare voce e suono a quel rimescolio di stati d'animo e di pensieri. Era il momento di sentirsi suo e, soprattutto, scongiurare che Kurt diventasse proprio.
"Non puoi sposare Blaine, non te lo permetterò", si sentì dire e mai la sua voce parve più sicura, i suoi pensieri formulati con simile lucidità, mai la sua speranza più sincera.
"Sebastian", fu la stentata replica di Kurt che, in confronto, sembrava divenire più evanescente, il fantasma di sé stesso e il ritratto dell'angoscia. Parve dolorosamente ritrarsi, come se quelle parole lo avessero ferito nel profondo, penetrando e squarciando le sue sicurezze, insozzando una favola dalla quale ancora si lasciava sedurre.
"So che non ti fidi di Blaine e-".
Sebastian gli appoggiò le dita sulle labbra a frenare le parole che già era pronto a pronunciare in difesa del fidanzato. O in difesa di quell'amore che avrebbe voluto fosse proprio.
Scosse il capo e lo osservò con la tranquillità che non aveva mai sentito così intensamente, riflesso di quella nuova linfa di certezza a cui aggrapparsi. Era tale che persino Kurt parve percepirne un'impronta, a giudicare da come sgranò gli occhi in un'espressione di muta sorpresa.
"Non si tratta di Blaine, non ha mai riguardato lui”, ammise con un sospiro e inclinò il viso di un lato e gli occhi di smeraldo parvero scintillare nell'abbracciarne la figura con sincera devozione. “Siamo soltanto io e te", aggiunse in un sussurro più tremulo.
"Sebastian", sussurrò con voce pregna della supplica di lasciarlo andare.
Premette con più decisione le dita sulle sue labbra. "Non puoi sposarlo perché io ti amo”, pronunciò con aria decisa, perché quelle parole potessero fare breccia nell'ultima muraglia frapposta tra loro. A costo di spezzare dolorosamente quel giogo che ancora legava Kurt alla speranza di un amore che non era più quello di cui aveva reale bisogno.
“Non permetterò che tu esca facilmente dalla mia vita”, continuò, ma la sua voce si affievolì e la certezza lasciò spazio ad un margine di comprensiva amarezza nell'osservarlo nuovamente. “A meno che tu non mi dica espressamente che è ciò che desideri per la tua felicità”.
Kurt sembrava vicino alle lacrime, consapevole che, nonostante tutto, sarebbe stata la sua decisione a forgiare le loro vite. Sua l'ultima parola. Se era stato l'amore di Sebastian a compromettere la loro amicizia, soltanto sua la scelta di accettarlo o di perdere tutto.
Il respiro di Sebastian si spezzò: in qualche modo era certo che quella commozione non avesse origine nella gioia, ma dal dubbio e dall'incertezza di affidarsi completamente a lui.
"Ti amo", pronunciò Kurt con voce rauca, come se quella verità lo stesse dilaniando nel profondo, facendo nuovamente sanguinare una ferita aperta.
Sentì il cuore implodere: qual era, allora, la ragione che ancora si frapponeva tra loro? Qual era il reale ostacolo?
"Ma non credo che tu possa davvero amarmi ogni giorno e per sempre", continuò Kurt con il viso lucido delle lacrime che scivolavano sulla pelle diafana, rilucendo alla luce argentea della luna. Eteree gocce di un dolore da cui non avrebbe potuto proteggerlo, se non gli avesse concesso il suo cuore.
Si sentì trafiggere lentamente, nel profondo, squarciare sempre più in profondità. Completamente abbandonato a se stesso, ad un amore non desiderato e non accettato.
"Kurt", lo supplicò con voce strozzata, ma si mosse in avanti, sfidando quella pressione esterna che parve inchiodarlo al pavimento. Cercò di cingerne i fianchi e trattenerlo, ma l'esile figura parve divenire evanescente, perdere consistenza e spessore, mentre i suoi sentimenti divenivano più limpidi.
"Kurt", ripeté con angoscia e lo trasse a sé con cieca disperazione, fin quando, con un sordo frastuono di cocci infranti, si spezzò in mille frammenti.
Annaspò, senza fiato, il cuore in gola e il viso esangue in quel silenzio, infranto soltanto da un sommesso motivetto nella sua lingua madre.
Soltanto allora la vide: la splendida giovane dai fluenti capelli rossi, una spruzzata di lentiggini sugli zigomi, gli occhi di un verde intenso che sembravano ammiccare, da sotto le lunghe ciglia ricurve. Sorrideva. Malignamente divertita. Fu quel gesto a dargli la certezza che avesse assistito all'intera scena con crudele appagamento.
Ne pronunciò il nome con voce incredula e sgomenta, come se non riuscisse realmente a credere che lei fosse davvero innanzi a lui. Come se la sua paura più grande si fosse incarnata in quel volto che aveva riposto in un angolo remoto della sua mente, desiderando soltanto che sbiadisse. E così la sua vita precedente.
Lei si drizzò soltanto a quel richiamo, come se non avesse atteso altro. Piroettò con grazia su se stessa, come la ballerina di un carillon e gli sorrise. Sarebbe apparsa eterea, se il suo sguardo non fosse sembrato bramoso di vederlo soffrire. Si avvicinò con le mani dietro la schiena e un'aria infantile che stonava con quella femminea sicurezza.
"Mon petit Sébastien", sussurrò con voce stucchevole che, tuttavia, fece formicolare la pelle di Sebastian sulla nuca. Quasi come se il suono lo costringesse a guardarsi dentro e sentire l'antico disprezzo di se stesso.
La gola si contrasse dolorosamente, ma strinse i pugni lungo i fianchi e scosse il capo: "Tu non sei reale".
Non parve udirlo, sorrideva con quel malsano appagamento di fronte alla sua angoscia. "Te lo avevo detto", lo ammonì e il sorriso scomparse dalle sue labbra che assunsero una piega dura che rese spaventoso quel viso da bambola. "Tu n'a pas oublié, n'est-ce pas?”, domandò con finta stucchevolezza.
“Che cosa non ho dimenticato?”, le chiese in risposta, aggrottando le sopracciglia e simulando una compostezza che la sua visione aveva infranto.
Lo sguardo verde parve trafiggerlo, ma sorrise nuovamente, quasi soddisfatta nell'aver occasione di rispondere, il viso inclinato di un lato. “Chi non sa amare, non ha diritto di farsi amare”, scandì lentamente, con voce melliflua.
Sebastian si sentì trafiggere nuovamente da una spada invisibile che parve risucchiare tutto il sollievo che aveva provato nell'illusione di forgiarsi una nuova esistenza, lontano da quel fantasma passato.
“Forse potrai di nuovo essere amato”, gli concesse, ma dal sorriso sembrava schernirlo o comprendere che ciò non avrebbe fatto la differenza. Indicò il punto in cui il giovane che aveva stretto tra le braccia, era scomparso. “ Ma tu non porterai che distruzione e dolore", spiegò con una scrollata di spalle.
E rise, uno scampanellio gradevole al suono che parve echeggiare in quel silenzio circostante.

Schiuse gli occhi e si drizzò con il busto, il respiro affannato e gli occhi lucidi mentre le immagini del sogno svanivano lentamente di fronte a lui. Si aggrappò alle lenzuola con forza spasmodica, il capo chinato e il respiro affannato, come se fosse reduce di una corsa folle e insensata.
Si lasciò nuovamente cadere sul materasso, quasi tremante, gli occhi sbarrati nel contemplare le prime luci dell'alba, come un beffardo monito che il mondo esterno non si sarebbe mai fermato, per quanto lo avesse desiderato.
Persino quell'alone di vaniglia sembrava soltanto prodotto del suo ricordo, una traccia di Kurt che era più distante che mai. Il giorno del suo matrimonio.

~

Riusciva a percepire il suo sorriso, anche se ancora non aveva schiuso gli occhi: era come se quella sua serenità emanasse delle vibrazioni impossibili da ignorare. Erano avvolti in un piacevole torpore, persino il picchiettare della pioggia contro i vetri appariva un elemento scenico voluto. Il silenzio era interrotto soltanto dai loro respiri rilassati.
Sentiva la carezza dei suoi lunghi capelli sulla pelle nuda mentre, la risatina soffusa e complice, prendeva a baciarne la gota con tocco umido e vezzoso, scivolando languidamente verso il collo. Sebastian sospirò, senza neppure schiudere gli occhi, le sopracciglia inarcate e il sorriso beffardo ad increspargli le labbra.
"Che stai facendo?", le chiese senza scomporsi.
"Lo sai", sussurrò in risposta.
Si costrinse ad aprire gli occhi, e ne intrecciò lo sguardo suadente ed allusivo, mentre simulava un'espressione innocente che stonava incredibilmente con quella sicurezza femminea che traboccava anche da un sorriso di saluto.
Ma qualcosa nel suo sguardo mutò repentinamente e un piccolo cipiglio apparve sulla fronte liscia.
Séline restò in attesa, osservandolo dritto negli occhi, come se ancora qualcosa mancasse a suggellare quei momenti. A dare loro una fisionomia ben precisa e desiderata.
Era in quelle occasioni che Sebastian era solito drizzarsi e rivestirsi per allontanarsi e tornare alla propria abitazione. Porre nuovamente le distanze, per non sentirsi più compresso e imprigionato. Era nella consapevolezza che tutti già immaginavano la sua vita futura con la giovane, che si sentiva opprimere da un peso indicibile all'altezza del petto. Una vita già scritta, alla quale credeva di aver aderito, ma che non sembrava essere realmente propria.
La sua amica d'infanzia, il suo primo bacio, il suo primo approdo all'amore. Bellissima, sensuale e provocante, intelligente e scaltra, non c'era bisogno che lei parlasse per capire ciò che provava. O come aveva vissuto l'evolversi del loro rapporto, fino ad approdare all'intimità di coppia.
Ma, nel profondo di se stesso, vi era quella verità sopita che Sebastian non riusciva a confutare, tanto meno accettare. Seppur la giovane ne intuisse la distanza, non sembrava realmente mettere in dubbio che le loro aspettative future potessero non convergere.
Più volte Sebastian si sorprendeva a domandarsi che cosa ci fosse di sbagliato: perché a quel calore corporeo non corrispondesse un turbamento interiore che andasse oltre lo spasmo di piacere.
Lo percepiva ancora più intensamente, quando la giovane lo guardava in quel modo, consapevole che quelle parole non gli avrebbero mai sfiorato le labbra per darle la certezza di cui disperava. Ciononostante lei non demordeva dall'esplicitare il suo stato d'animo, guardandolo dritto negli occhi. Quasi sperando che la sua dichiarazione potesse scalfirlo e cambiare le cose. Quasi arrogandosi la pretesa di poter esercitare una terapeutica pressione che rinsaldasse il loro rapporto.
Una vana speranza a cui lo stesso Sebastian si era aggrappato, quasi con bisogno spasmodico di assicurarsi di non essere manchevole in qualcosa.
Séline si era scostata dal suo petto, inclinando il viso di un lato e parve volerlo nuovamente legare a sé, evidentemente incapace di fare breccia tra i suoi pensieri.
"Sébastien", lo richiamò a mo' di monito.
Scosse il capo, ma lei non si arrese: parve volerlo trafiggere con lo sguardo, anziché vezzeggiarlo. "Je t'aime", sussurrò con un impeto di orgoglio nel volere che quel sentimento potesse realmente intaccarlo ed essere sufficiente ad entrambi.
"Lo so", sussurrò in risposta, ma si drizzò come se quelle parole, anziché avvicinarli, creassero un ulteriore divario tra loro. Come se quel desiderio, che ben intuiva, di legarlo a sé, fosse la prigione da cui liberarsi.
Raccolse frettolosamente i jeans e cominciò a rivestirsi, sentendone lo sguardo sulla pelle nuda, ma la ignorò. Si voltò soltanto quando fu completamente vestito.
Séline non aveva smesso di guardarlo, giocherellando coi capelli lasciati sciolti sulle spalle. "Oui, tu le sais", ripeté tra sé e sé.
Non vi era sorpresa, né recriminazione, soltanto quieta consapevolezza, ma Sebastian la conosceva abbastanza da sapere che non avrebbe mai pianto in sua presenza. E che avrebbe lottato con tutta se stessa perché quel dolore restasse taciuto e seppellito, come quell'insoddisfazione che lui custodiva gelosamente, cercando un modo di colmare un vuoto di origine incomprensibile.
"Devo andare”, disse in tono spiccio, indossando la giacca e cercando le chiavi dell'auto. Schiuse l'uscio della camera, ma le concesse un ultimo sguardo, il viso inclinato di un lato.
Ti chiamerò dopo".
"Oui", rispose senza guardarlo e soltanto in quel momento, con placida lentezza, si rivestì.
Ma sapevano entrambi che non lo avrebbe fatto, che sarebbero tornati ad una quotidianità che talvolta avrebbe incluso risvolti più sensuali. Ma nulla di più.
Il pensiero non gli risparmiò il senso di colpa, mentre scendeva rapidamente le scale, pur certo che la giovane non si sarebbe scostata da lui, non fin quando non fosse stata pronta a farlo.
"Salut, Sébastien".
Nonostante non lo stesse guardando, perché era seduto di spalle sulla poltrona del soggiorno, Sebastian riuscì facilmente ad immaginarne il sorriso all'averne riconosciuto i passi. O all'aver intuito facilmente che Séline non fosse sola in casa.
Sebastian si fermò, le mani conficcate nelle tasche dei jeans, in attesa che Pierre si voltasse per incrociarne lo sguardo. Soltanto allora gli rivolge un breve cenno del mento.
I capelli biondi, lievemente ondulati, lo stesso sorriso suadente della sorella, ma lo scintillio quasi ipnotico degli occhi grigi. Giacca e cravatta, l'aria da viziato figlio di papà e tracotante e futuro magnate dell'industria. Sorrideva mellifluo, mentre allacciava l'ultimo bottone della giacca.
Inclinò il viso di un lato, dopo aver gettato un'occhiata ironica alla rampa di scale che conduceva alle camere da letto.
Posso offrirti un drink?”, indicò il mobile bar lussuoso.
Me ne stavo andando”, rispose con una scrollata di spalle.
Pierre annuì, ma indicò l'uscio con il bicchiere che si era appena riempito.
"Puoi uscire dall'ingresso", gli disse con aria composta, ma una piega beffarda delle labbra.
Sebastian ne ricambiò il sorriso, per nulla intimidito. Scrollò le spalle: "L'auto è più vicina", alluse all'altra uscita.
Pierre ridacchiò, ma si avvicinò abbastanza per osservarlo in viso, umettandosi le labbra dopo aver sorseggiato dal proprio bicchiere. Inarcò le sopracciglia ed indicò con il mento uno sbafo sulla sua guancia.
"Hai una macchia di rossetto", lo informò come se la constatazione lo divertisse. In un modo che Sebastian non riusciva a comprendere, ma che gli parve insopportabile.
Esibiva una sicurezza, guardandolo, che lo irritava enormemente: quasi si dilettasse nel cogliere la sua confusione e ciò gli fosse fonte d’indicibile piacere. Quasi avesse compreso qualcosa sul suo conto, ma non ritenesse opportuno renderglielo noto.
"Lo so", rispose secco, come a voler ribadire la propria indifferenza all'alone di superiorità con cui lo scrutava.
Pierre sollevò le mani, profondendosi in una breve risatina compiaciuta. Si strinse nelle spalle, ma lo studiò attentamente, da sopra il proprio drink.
"Come preferisci", gli concesse con sussiego. Un'ultima occhiate beffarda e si voltò, come se la sua presenza gli fosse divenuta indifferente.
Sebastian s’impose di ignorarlo e superò rapidamente il soggiorno, imboccando la portafinestra.
Sentì il suo sguardo addosso fin quando non uscì dal cancello e fu certo di essere scomparso dalla sua vista. Si lasciò affondare sul sellino della propria auto e richiuse la portiera con un gesto secco, affrettandosi a girare le chiavi nel motore.
Soltanto quando fu fermo di fronte al semaforo, con un gesto secco, si sfregò via la macchia colorata.
Avrebbe voluto poter estinguere altrettanto facilmente la sensazione di essere stato marchiato ben più in profondità. E non da Séline .

~


Si strofinò il viso con energia, quasi sperando che con l'acqua potesse far scivolare via anche i residui di stanchezza e i pensieri che gli martellavano le tempie. O, meglio ancora, annullare del tutto le sue capacità di formulare pensieri e rievocare il volto del giovane o quell'unico bacio la cui impronta sulle proprie labbra sembrava indelebile.
Aggrottò le sopracciglia, quando percepì i tonfi energici alla porta d'ingresso e si affrettò a percorrere il corridoio, il cuore in gola, malgrado fosse certo che non avrebbe incontrato lo sguardo di Kurt, quando avrebbe schiuso l'uscio. Se si fosse trattato di Clarington (e sperava che la bionda scervellata lo tenesse impegnato, anche se platonicamente) si sarebbe limitato a sbattergli la porta in faccia, magari dopo avergli gettato addosso un vaso.
Inarcò le sopracciglia e schiuse le labbra in una smorfia di autentica sorpresa, alla vista dell'uomo.
Seppur fosse la prima volta che Burt Hummel si trovava di fronte a quell'appartamento, non si sembrava affatto a disagio: le mani conficcate nelle tasche del panciotto (immaginò che fosse la "divisa" da meccanico, nonostante il suo recente impiego al Congresso), lo guardò con aria grave. Borbottò un secco: "Allora, mi fai entrare?".
Si scostò, ancora con espressione palesemente sorpresa: il fatto che non fosse munito di fucile e che non lo avesse già attaccato al muro, sembrava promettere una conversazione civile. Ma qualcosa gli diceva che quell'unico bacio non sarebbe rimasto un segreto tra lui e Kurt.
"Gradirei qualcosa di forte da bere", gli fece presente Burt che, senza attendere invito, si sedette sulla poltrona e Sebastian osservò come vi fosse sprofondato con naturalezza, quasi vi fosse stata persino una sua impronta ad attenderne l'arrivo.
Inarcò le sopracciglia, un vago sorriso divertito, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni: "Sono le nove del mattino", commentò in risposta.
Burt si accigliò, distendendo le braccia sui braccioli, occhieggiandolo con aria spazientita: "Sarà una giornata lunga e sarò costretto infilarmi in uno smoking”. Aggiunse, come se quel dettaglio fosse una giustificazione più che plausibile a quel bisogno di distendersi.
Il sorriso di Sebastian si estese: malgrado la circostanza, doveva constatare di apprezzare il carattere dell'uomo. Il modo in cui non si slanciava in parole accorate o formule di cortesia, ma senza troppi fronzoli esprimeva la sua opinione, anche quando essa fosse stata poco gradita al proprio interlocutore. Dall'aspetto rude, come un orso selvatico, ma dal cuore tenero, pur con degli ideali saldi per i quali era irremovibile, ma non per questo cieco alle esigenze del figlio e al suo bisogno di essere protetto.
"Il mio barista di fiducia ha la giornata libera", rispose con un lieve accenno di ironia.
"Dammi il whisky che cerchi inutilmente di nascondere a mio figlio e siediti, ragazzo”, lo apostrofò con una nota di impazienza al suo indugiare, indicandogli il divano con un gesto eloquente, malgrado lui fosse l'ospite a sorpresa. “Il tempo stringe e non sono venuto qui per niente".
Sebastian sospirò, ma si affrettò a riempirgli un bicchiere pulito (si era irrigidito alla menzione a Kurt e ad una quotidianità così vissuta da conoscere i suoi nascondigli) tuttavia storse il naso all'aroma familiare e si limitò a porgerlo all'uomo, prima di sedersi e incrociare le braccia al petto.
Burt sorseggiò il liquido tutto di un sorso e si sporse verso di lui, affondando i gomiti sulle ginocchia e sostenendosi il mento con le mani. "Ho delle domande da farti e voglio che tu mi risponda sinceramente", inchiodò il suo sguardo al proprio, somigliando vagamente ad un mastino.
Sebastian sbatté le palpebre, ma si strinse nelle spalle. "Non deve preoccuparsi: non ho intenzione a venire al matrimonio e tanto meno di creare caos", commentò come se ciò fosse sufficiente a porre fine a quella visita.
Burt parve ignorarlo e iniziò la sua esamina: “Eri contrario alle nozze, da quando Kurt ti ha annunciato il fidanzamento”, esordì, ma non parve essere una domanda.
Sebastian inarcò le sopracciglia, ma non si scompose: "Sì", rispose e, suo malgrado, dovette ammettere che sembrava qualcosa di liberatorio poter parlare senza doversi censurare. Senza alcun bisogno di cercare di compiacere il padre del ragazzo amato, consapevole che non avrebbe fatto la differenza.
"Non ti piace Blaine", continuò l'adulto con la stessa intonazione indagatrice, ma niente affatto oltraggiata.
Increspò le labbra in un sorriso quasi ironico: "No, mai piaciuto", asserì con la medesima tranquillità.
L'uomo si tolse il cappello, quasi cominciasse a sentire la tensione di quel dialogo e il crescendo della gravità della situazione. Sospirò, ma ne sostenne lo sguardo e parve persino sporgersi in sua direzione: "Tu non credi che lui sia l'uomo adatto a mio figlio".
Sebastian storse le labbra: suo malgrado, quel pensiero non era consolatorio. “Per niente”, ammise per poi scuotere il capo. “Ma la cosa più grave è che non credo che Kurt lo sposi per il motivo giusto e, in fondo, credo che lo sappia anche lui".
Burt mosse bruscamente il capo, una parte di Sebastian ebbe persino l'impressione che condividesse il suo stesso dubbio, ma non ritenesse opportuno esprimere un'opinione personale.
Si ritrasse sulla poltrona, quasi avesse necessità di rilassarsi un breve istante, prima di continuare a sondare il suo stato d'animo con quelle domande dirette. Si puntellò con un gomito sulla poltrona, guardandolo di traverso.
"Hai baciato mio figlio la vigilia del suo matrimonio".
Per la prima volta da che il dialogo era iniziato, Sebastian distolse lo sguardo e deglutì a fatica. Non riuscì a guadarlo negli occhi, nel rispondere, con voce più flebile: "Me ne pento".
Ancora una volta Burt parve ignorare le implicazioni personali, ma lo guardò con aria più seria che mai, nel pronunciare l'ennesima domanda: "L'hai fatto per mandarlo in confusione?".
Era evidente dal suo tono e, dal modo in cui lo stava guardando, che non avrebbe ammesso una risposta diversa dalla verità, tanto meno un accenno d’ironia o un tentativo di sminuire l'importanza del gesto o i sentimenti che lo avevano animato.
"No”, asserì Sebastian con decisione, guardandolo con le sopracciglia aggrottate. “L'ho fatto perché lo desideravo”, ammise e la sua voce ne tradì il tremore al ricordo di quel contatto appassionato e quel bisogno di cui era intriso. Una parte di sé ancora desiderava poter essere morto in quell'istante. “E da molto più tempo di quanto penso che suo figlio abbia mai sospettato”, parve aggiungere, più a beneficio di se stesso che dell'uomo che aveva di fronte.
Il cipiglio di Burt parve attenuarsi, ma sembrava confuso. "Ma ti sei tirato indietro". Di fronte al sopracciglio inarcato di Sebastian, annuì. "Kurt mi ha raccontato tutto", disse senza palesare un personale giudizio su tutta la questione.
Sebastian sospirò, con la stessa esasperazione a cui era giunto nelle conversazioni più sfibranti con Clarington. Eppure non riusciva a cacciare l'uomo o sfuggire al suo evidente bisogno di risposte sincere. Ciò che li univa era l'amore per la stessa persona e la preoccupazione per la sua felicità. “Sì”, rispose storcendo le labbra.
Per la prima volta, l'espressione di Burt Hummel palesò una sorta di rimprovero: "Non avevi le palle di andare fino in fondo?”, parve volerlo provocare in tono spiccio e senza particolare remora a ricorrere ad un linguaggio più colorito.
Sebastian lo guardo quasi irritato dall'accusa: "Perché lo deluderei prima o poi”, commentò in tono secco, a testimonianza che la scelta fosse soprattutto per il bene di Kurt. “E so che allora rimpiangerebbe di non aver sposato il cosiddetto amore della sua vita”, sottolineò ironicamente quelle parole. “ E io non potrei vivere con questo suo rimpianto”.
Burt lo guardò a lungo, prima di esporre l'ennesima domanda, quasi si ritenesse abbastanza soddisfatto dalla prima parte di quell'interrogatorio. Ma c'erano evidentemente ancora dei punti chiave da affrontare per capire la complessità di quel rapporto.
"Non credi che mio figlio potrebbe amarti come desideri?”.
Sebastian cercò di scacciare quel molesto il pensiero, quella segreta domanda che talvolta si era posto, in quelle rare occasioni in cui si era permesso di crogiolarsi dell'idea che Kurt potesse sceglierlo.
"Non credo che possa neppure pensare d’amare qualcuno diverso da Blaine", ammise con un sorriso amaro. “Non come ha creduto di amare lui almeno”.
“Stronzate”, borbottò Burt in risposta, questa volta probabilmente ritenendo opportuno condividere la sua impressione al riguardo. Si sporse di nuovo in sua direzione: "Non ti avrebbe permesso di baciarlo, se così fosse e non avrebbe pianto su questa spalla”, la indicò con un cenno del mento. “Parlando di te, solo e soltanto di te. Si sentirebbe molto più in colpa e credo che ne sarebbe pentito".
Suo malgrado, Sebastian non poté controllare quel brivido lungo la spina dorsale e quell'aritmia improvvisa. Seppur non avessero mai parlato così intensamente come in quel frangente, non esitava affatto a fidarsi del giudizio di Burt che non aveva alcun motivo per mentire, ma tutte le ragioni per desiderare il meglio per Kurt. Persino più di lui. In modo meno egoistico e più puro.
E per un istante, distolse lo sguardo e cercò di ignorare quel prurito al bordo degli occhi, ma riuscì a sorridere al ricordo di come il giovane stesso si fosse aggrappato a quel bacio, con altrettanto slancio e bisogno, con la stessa disperazione.
Ma non poteva ignorare quella verità sopita nel profondo di se stesso.
Scosse il capo, come a voler cacciare le parole di Burt, di certo l'ultimo da cui si sarebbe mai potuto aspettare di essere spronato ad un intervento in extremis nella vita sentimentale del figlio.
"E' la cosa migliore e lo sappiamo tutti: sposerà Blaine e io sparirò dalla sua vita".
Burt continuò a scrutarlo e Sebastian riconobbe nel suo sguardo la stessa arsura di Kurt, la stessa testardaggine nel voler sondare nella profondità dei suoi pensieri, la stessa decisione nel voler conoscere la verità, piuttosto che continuare a cozzare nell'incertezza e nel dubbio.
L'uomo sospirò, ma parve giungere a qualche silenziosa conclusione.
"Ho un'ultima domanda e poi me ne andrò e tu potrai decidere di fingere che questo dialogo non sia mai avvenuto”, gli annunciò e Sebastian annuì, come a prestare il proprio consenso a quelle condizioni pattuite.
“Ami mio figlio? Più di ogni altra cosa al mondo? Più di te stesso e delle tue certezze?".
Non esitò: si era aspettato quella domanda e la risposta che gli avrebbe fornito era l'unica ragione valida per quella conversazione. Perché a poche ore dal matrimonio, quando soltanto gli ultimi dettagli dovessero essere definiti, tutto sembrava tutt'altro che certo.
L'unica verità che non avrebbe disconosciuto, a discapito di se stesso. L'unica capace di distruggerlo nel profondo e nel disprezzo di se stesso.
"Sì".
Burt non parve dubitare di quella risposta, ma lo sguardo non gli risparmiò il rimprovero che ci si sarebbe potuti attendere da una persona avvezza ad esprimere i propri pensieri, senza troppi giri di parole. "Se lo ami come dici, dovresti cominciare ad agire come un uomo", sottolineò.
Sebastian si concesse un sorriso amaro, per nulla irritato da quell'osservazione pungente, quasi una rea confessione. "Non ho mai detto di essere l'uomo adatto a lui”, confessò e la voce ne tradì il suo reale sconforto. “Non credo di essere l'uomo adatto a nessuno".
"Qualcuno non sarebbe d'accordo", fu la secca risposta.
Burt Hummel si alzò, dopo aver appoggiato il bicchiere vuoto sul tavolino: evidentemente avendo raccolto le informazioni che riteneva necessarie, parve in procinto di allontanarsi e, come aveva annunciato, con la risoluzione a fingere che quell'incontro non fosse mai avvenuto.
Tuttavia si volse di nuovo a guardarlo, come il padre dello sposo, evidentemente preoccupato della sua futura serenità. "Se credi di poterlo rendere felice come merita, o almeno provarci, mi aspetto che tu agisca di conseguenza, tanto più se credi che questo matrimonio gli causerà dei rimpianti”.
Sospirò e scosse il capo e, mentre indossava di nuovo il suo berretto, parve realmente spossato da quella conversazione e da tutte le sue implicazioni. “Diavolo, non ho mai visto un matrimonio con così tanti problemi, ancora prima di essere celebrato".
Sebastian si alzò, il viso inclinato di un lato e l'aria genuinamente sorpresa per lo sprono indiretto che era riuscito a cogliere nelle domande che si erano succedute e nel tentativo di palesargli i sentimenti di Kurt. "Non pensa a suo figlio?".
Burt lo guardò quasi risentito della domanda e, al contempo, con quell'implicito incoraggiamento che non avrebbe pronunciato a voce alta: "Perché sarei venuto fin qui, altrimenti?", domandò in tono secco.
Sebastian scosse il capo: "Lei non mi conosce", parve voler protestare perché non dovesse deludere le aspettative di qualcun altro. Perché non dovesse, ancora una volta, smentire il suo stato d'animo ed essere punito da un altro sguardo di biasimo.
"Conosco mio figlio e conosco la paura di non essere abbastanza per chi si ama”, la sua mano sfiorò impercettibilmente l'anulare su cui ancora spiccava il segno di una fede che aveva indossato per molto tempo. E Sebastian ricordò le parole di Kurt e quanto lui stesso si fosse sorpreso per l'abbinamento così apparentemente insolito tra Elizabeth e Burt Hummel.
L'uomo si schiarì la gola e si volse bruscamente, camminando verso l'uscita.
“Sto uscendo, Sebastian: questa conversazione non c'è mai stata”.
Soltanto quando si chiuse la porta alle spalle, Sebastian si lasciò nuovamente cadere sul divano e socchiuse gli occhi, portandosi le mani al viso.

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Riuscì abbastanza abilmente ad ignorare il senso di colpa per aver mentito a Séline : una parte di sé aveva sperato che, continuando a disdire gli appuntamenti con sempre maggiore frequenza, avrebbe potuto indurla a prendere le distanze o suggerire una pausa di riflessione. Ma più intensamente cercava di sfuggirle e più lei sembrava avvincerlo a sé.
Scosse il capo ed entrò nel pub con la sola intenzione di non pensare più a nulla e lasciarsi andare.
Non erano mancate occhiate languide in sua direzione, qualche flirt senza significato che non si era spinto oltre un ballo su note più sensuali. Non era Séline il problema ed era una verità che continuava a macerare in sordina, ma che non riusciva completamente ad accettare.
Si sedette al bancone del bar, rimirando la sua birra con sguardo assorto; era fin troppo consapevole che divenire un habitué dei pub avrebbe soltanto alleviato temporaneamente quel fremito interiore. Ma reso, poi, il senso di colpa persino più gravoso, soprattutto se, sotto l'influenza dell'alcol, non fosse riuscito a trattenersi.
"Credevo che fossi indisposto", gli giunse il fiotto caldo del suo respiro sulla pelle sensibile del collo e fremette involontariamente.
Si volse per scorgere Pierre che, l'ennesimo completo elegante, sembrava quasi fuori posto, ma rivolse alla barista un ammiccamento e le disse soltanto “Il solito”, prima di sedere al proprio fianco. Soltanto allora gli rivolse il suo sorriso più mordace e lo sguardo parve scintillare in un modo che costrinse Sebastian a distogliere lo sguardo e ingollare la bibita fresca, pulendosi poi le labbra con il dorso della mano.
Non vi era stata un'incrinatura di biasimo nella voce, neppure di sospetto. Non che si fosse mai dimostrato particolarmente protettivo nei confronti della sorella e della sua vita sentimentale.
Sentendone ancora lo sguardo addosso, e non volendo dargli alcuna soddisfazione di saperlo a disagio, si strinse nelle spalle. "Ora non più", fu la sfacciata risposta.
Lo sguardo dell'altro parve persino dardeggiare più intensamente e, sorseggiando il suo drink, gli sfiorò il gomito con il proprio, in una maniera che a Sebastian parve davvero poco casuale, mentre emetteva la sua risatina roca. Lo stava ancora guardando, mentre assaporava lentamente il suo drink, prima di umettarsi le labbra. Le pupille parvero ingrandirsi in quella penombra aromatizzata al luppolo.
"Mi piaci, Sebastian", commentò dopo un lungo istante di silenzio, le labbra presto increspate in un sorriso beffardo, ma lo sguardo che non ne lasciava il profilo, quasi potesse sfiorare ogni singolo neo che ne punteggiava la gota. Quasi potesse sondare in profondità, dandogli la netta sensazione di essere denudato.
Sebastian cercò di ignorare quel piacevole brivido all'idea d’essere oggetto di simile contemplazione (qualcosa che andava oltre il mero narcisismo), e la gola parve seccarsi, ma il suo viso parve una maschera a dissimulare il reale nervosismo.
Era come se quelle sue provocazioni non fossero più soltanto inferte con lo scopo di metterlo a disagio, come se lo stendardo potesse essere tolto. Era certo che quelle parole avessero quel significato. Ma, a differenza dell'altro, non riuscì a sorriderne o sentirne un sollievo.
Al contrario, parvero accrescere quell'inquietudine e, se non fosse stato il proprio orgoglio a rimetterci, avrebbe desiderato allontanarsi e il più rapidamente possibile.
Il sorriso non scemò neppure di fronte al prolungato silenzio di Sebastian, ma Pierre non parve dispiacersene o biasimarlo per ciò. Distolse lo sguardo, finì di bere e restò silenzioso per un lungo istante, soltanto il lieve cipiglio sulla fronte parve tradirne la concentrazione. Volse, infine, uno sguardo annoiato al locale, come a studiarne gli avventori. Sorrise nuovamente a Sebastian, come se lo scorgesse soltanto in quel momento, il viso inclinato di un lato: "Trovato quello che cercavi?", gli chiese con intonazione più vellutata, realmente incuriosita.
Chiunque avrebbe potuto pensare che si riferisse alle giovani che stavano ancora ballando in pista, ma non Sebastian. Se una parte di sé avrebbe voluto ancora allontanarsi dal giovane e dal suo sguardo pressante, l'altra parve incapace di realizzare quel proposito. Una parte di sé, per quanto gli fosse difficile ammetterlo, desiderava comprendere dove quel gioco di provocazioni li avrebbe condotti. Che cosa desiderasse davvero e se ciò, soprattutto, potesse confutare i suoi dubbi.
Vi era inoltre lo scintillio suadente nello sguardo dell'altro, la cocente umiliazione all'idea che Pierre avesse capito, persino prima di lui e non si facesse alcuna remora a riguardo. Ma non vi era neppure giudizio o ironia. Mera e semplice curiosità e un'intesa che Sebastian avrebbe voluto ignorare.
Scrollò il capo, si rimise in piedi ed indossò la giacca di pelle.
L’altro lo imitò, lasciando sul bancone una banconota sufficiente a pagare le bibite di entrambi.
Si lasciò il lungo cappotto elegante, giocherellando con le chiavi e inclinando il viso di un lato nello scrutarlo. Indugiò un solo istante, prima di parlare nuovamente: "Ti accompagno a casa", gli propose.
Un brusco cenno d'assenso da parte di Sebastian: non gli avrebbe mostrato quanto fosse insicuro di sé, quanto sentisse quel rimescolio interiore, non gli avrebbe dato la soddisfazione di percepirne il celato timore. Neppure quel brivido del tutto nuovo a cui si stava spasmodicamente aggrappando alla ricerca di quel qualcosa che sembrava sempre mancare nella sua vita.
Non avrebbe chinato il capo di fronte a lui e forse, dopotutto, era pronto ad affrontare l'eventualità ignorata a fatica per troppo tempo.

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Era una visione dolorosamente meravigliosa a cui, suo malgrado, non avrebbe voluto apporre alcuna resistenza mentre, ancora ignaro della sua presenza, Kurt si rimirava nell'ampio specchio della suite del Plaza Hotel.
Il cuore si era contratto dolorosamente alla visione del magistrale allestimento che aveva trasformato Central Park in una location da cerimonia.
Poteva soltanto immaginare quanto l'altro potesse dirsi orgoglioso del vedere realizzato il frutto della sua creatività, dei suoi sogni romantici e di un progetto in cui aveva fantasticato fin da quando era soltanto un bambino.
Rachel Berry appariva raggiante, quasi fosse stata lei la protagonista del giorno (e non dubitava che avrebbe dominato il palco, contendendoselo solo con la Mezza SegAnderson), mentre gli svolazzava attorno, apparentemente incapace di contenere la sua gioia. Sembrava che Kurt Hummel, dopotutto, non sarebbe stato l'unico a coronare le sue idilliache fantasie.
"Dieci minuti", le sentì dire con uno squittio eccitato, mentre lisciava la camicia dell'amico che sembrava vittima di un mutismo e di una calma davvero irreali per il momento che stava vivendo.
Sebastian sentì il respiro venir meno. Fu allora che Rachel catturò il suo sguardo: se anche dubitava che qualcuno al di fuori di Burt Hummel fosse a conoscenza degli ultimi avvenimenti, lesse biasimo e sospetto nella sua espressione risentita.
La ignorò, si volse per uscire, nello stesso momento in cui i genitori dello sposo apparvero, evidentemente per gli ultimi accorgimenti. L'uomo non disse nulla, ma con voce eloquente si rivolse a Rachel per informarla che il celebrante avrebbe gradito rivolgerle qualche parola, prima dell'inizio della funzione. Rivolse un cenno a Sebastian e si chiuse la porta alle spalle, quasi in ulteriore ed implicito invito a non perdere l'occasione.
Kurt non parve accorgersi di nulla, ancora impegnato a rassettare la cravatta e le maniche della giacca, probabilmente espedienti quotidiani per non farsi (troppo) sopraffare dal panico. Ma sembrava a malapena consapevole di ciò che lo circondava e Sebastian strinse i pugni e avanzò in sua direzione. Arrivò alle sue spalle e ne osservò la figura lentamente, quasi a voler fermare quel momento.
"Sei bellissimo", sussurrò al suo orecchio e non provò neppure a controllare il lieve tremore della sua voce. Lo sentì sussultare e Sebastian si prese un lungo istante ad inspirarne il profumo alla vaniglia e dirsi che Kurt era realmente lì, ancora vicino e che avrebbe potuto ancora cambiare le cose.
"Sebastian!", esclamò Kurt che si voltò, gli occhi sgranati come se non riuscisse a credere di trovarselo davvero di fronte. La sorpresa non sembrava averlo turbato, ma continuava ad osservarlo, quasi fosse timoroso che potesse scomparire da un momento all'altro: aveva allungato le braccia, come se avesse desiderato cingerlo. Anche se non compì quel gesto, la consapevolezza che non lo odiasse davvero, fu più di quanto Sebastian potesse sperare. "Non credevo che-".
"Neppure io", ribatté, sforzandosi di mantenere la calma. "Ancora non so davvero perché sono qui", ammise e la sua voce ancora una volta ne tradì l'esitazione e il bisogno di trovare proprio in Kurt quella sicurezza di cui sembrava disperatamente mancare.
Kurt scosse il capo e ricoprì la distanza: lo sguardo azzurro parve volerlo inchiodare sul posto, nonostante la sua voce apparve come un flebile sussurro: "Ho bisogno che tu lo dica".
Sebastian lo guardò con un misto d’amore e di puro e semplice terrore: di confutare quanto ormai le loro vite fossero intrecciate l'una all'altra, quanto sarebbe stato semplice pretendere egoisticamente di farlo proprio ed impedirgli di vivere la vita che aveva sognato fino a quel momento.
"Non posso", ma pareva lui stesso supplicarlo di non indurlo a cedere, ma permettergli di lasciarlo andare.
"Sebastian, si suppone che tra dieci minuti io sia all'altare”, gli fece presente con un fremito nello sguardo. Di impazienza e di esasperazione. “Non c'è più tempo".
Sebastian distolse lo sguardo, un sorriso amaro, mentre scuoteva il capo, cercando di liberarsi da quelle parole che continuavano a vorticare nella sua mente, come una condanna senza fine.
"Dirtelo non cambierebbe le cose".
Lo sguardo azzurro lampeggiò e si fece più lucido, le sue labbra tremarono, ma scosse il capo: "No, non se non lo vuoi davvero", parve supplicarlo di dare voce a quelle parole per il bene di entrambi, di marchiare quella realtà in modo indelebile.
Con devozione ed amore, lo carezzò con lo sguardo, indugiando sulla pelle diafana, quelle efelidi nascoste al mondo, come fossero difetti estetici. Ogni sfumatura di quello sguardo limpido in cui era tanto semplice scorgere lo stato d'animo ed inclinò il viso di un lato. "L'hai sempre saputo", sussurrò Sebastian senza fiato.
Kurt distolse lo sguardo, come se ciò gli fosse fonte di indicibile dolore, ma lo guardò con quell'aria di rimprovero che gli aveva rivolto il primo giorno: "Dimmelo, Sebastian, dimmi perché non dovrei andare avanti con tutto questo”, si tolse il cappello con un gesto quasi irritato.
Ma Sebastian lo prese delicatamente, lo carezzò tra le dita con un sorriso insieme tenero ed accorato, prima di apporlo nuovamente sul suo capo, ben attento a non sfiorarne la pelle, probabilmente timoroso che allora non sarebbe più stato in grado di lasciarlo andare.
"Dovresti sposarlo”, sussurrò, tuttavia incapace di guardarlo in viso. “ Potrà non essere perfetto, ma ti resterà accanto e questa volta non ti ferirà".
Kurt scosse il capo, con evidente stizza, ma si voltò, come se non ne sopportasse più la vista, guardandolo attraverso il riflesso mentre, con dita tremanti, si fingeva concentrato nel lisciare la giacca da pieghe invisibili. Un gesto così quotidiano che ironicamente gli avrebbe ricordato l'inizio della fine.
"Perché sei qui?”, gli chiese con voce stizzita. “A ripetere cose che chiunque direbbe contro di te?”.
Sebastian sospirò, ma si avvicinò abbastanza per inspirarne il profumo, pur timoroso di allungare le braccia e cingerlo un'ultima volta.
"Voglio che mi prometti che sarai felice".
Una lacrima scivolò lungo la gota di Kurt, ma si voltò bruscamente, senza guardarlo, muovendosi verso l'uscita, come se non riuscisse neppure più a respirare in sua presenza.
"Questo eroismo è francamente fuori luogo”, commentò freddamente. “E ora, se vuoi scusarmi, devo andare a sposarmi”.
Sebastian deglutì a fatica, incapace persino di sussurrarne il nome, contò i passi necessari perché uscisse da quella porta. Perché le parole mai pronunciate riecheggiassero nel profondo di se stesso.

~


Non era stato romantico, nulla di lontanamente simile a ciò che si sarebbe potuto definire tale. Ma aveva da tempo superato l'illusione delle favole e delle farfalle nello stomaco.
Ma non aveva mai provato nulla di simile per la giovane che gli era stata accanto da che era nato. Era come se quella parte di sé più latente fosse finalmente sgorgata in superficie, come se finalmente Sebastian Smythe si fosse sentito totalmente se stesso. Ma a quella constatazione, non era seguito un senso d’appagamento che andasse oltre il mero piacere carnale.
Aveva cominciato, quindi, a dubitare di essere capace di sentirsi intimamente coinvolto con qualcuno, incapace di giungere ad una sintonia emotiva e mentale.
Si era detto che una volta fosse solo un esperimento, una ragazzata da fine liceo, la seconda una mera verifica, ma la terza non poteva più dirsi coincidenza.
Aveva evitato Séline , trincerandosi nel silenzio che lei aveva imparato a sopportare, anche quando aveva sperato di poterla allontanare con uno strappo che non fosse troppo brusco e doloroso. Una decisione che lei avrebbe dovuto trovare in se stessa, perché non potesse lasciarsi illudere o dissuadere, perché sapesse che non avrebbe mai fatto ritorno e che non avrebbe potuto darle ciò di cui disperava.
"Non c'era bisogno che mi accompagnassi", disse al ragazzo alla guida della Porsche.
Lo infastidiva con la sua tracotante sicurezza, con il suo apparire dannatamente composto e pacato, apparentemente egoistico al punto da preservare il proprio benessere a quello della sorella.
Ciò non faceva che rendere tutto ancora più squallido, ma era parsa l'unica situazione che potesse proteggerlo perché tutto restasse celato. E, nel profondo di se stesso, invidiava quell'abilità nel dissimulare i suoi reali sentimenti, la mancanza di una qualsivoglia remora o sprezzo di se stesso. Quasi totalmente incapace di provare empatia e, tanto meno, di salvaguardare un interesse diverso dal proprio.
Pierre sorrise: "No c'è bisogno che tu lo ripeta ogni volta", rispose con la solita baldanza, dopo aver spento il motore di fronte a casa Smythe.
Sebastian sollevò gli occhi al cielo ed uscì dall'auto, senza guardarlo: stare in sua compagnia, oltre alla mera attività fisica, gli procurava un senso innato di nausea e il desiderio di trincerarsi in se stesso e nei propri dubbi.
Lo sentì chiudere la portiera e si rese conto che lo stava seguendo verso il portico: le luci del piano terra erano ancora accese, probabilmente l'ultimo drink della serata, prima che i genitori andassero a coricarsi. Estrasse le chiavi di casa, ma fu ai passi alle sue spalle che si irrigidì.
"Che stai facendo?", gli domandò tra i denti, quando si accorse che lo stava seguendo con la stessa aria divertita, quasi fosse perfettamente naturale per lui accompagnarlo fino alla porta. Come fossero reduci di qualcosa di vagamente ufficiale.
Pierre non si scompose alla sua espressione interdetta, sfoderò il migliore dei suoi sorrisi, ammiccò in sua direzione.
"Non mi saluti?", sussurrò con intonazione più rauca ed osservandolo in evidente attesa.
Sebastian strinse i pugni lungo i fianchi e, per l'ennesima volta, si disse che avrebbe cominciato a mantenere le distanze da quell'essere presuntuoso, viscido e privo di qualsivoglia moralità che non faceva che acuire quel malessere interiore, dopo un fugace sollievo nel far tacere il proprio senso di colpa.
"E' finita”, gli disse guardandolo dritto negli occhi. “Qualunque cosa fosse, è finita!", lo ripeté come se avesse bisogno di sentirlo lui stesso, per confutare la possibilità di cadere nuovamente in quel malsano tira e molla.
L’altro non abbandonò il sorriso, inarcò l'elegante sopracciglio con aria di educata confusione, ma la sua voce restò un sussurro quasi lascivo: "E' perché ho cambiato dopobarba?", domandò.
Era un altro degli aspetti per i quali Sebastian non poteva che biasimarsi: era evidente che Pierre non lo prendesse sul serio, che fosse soltanto un giocattolo abilmente manipolato tra le sue mani. Che avesse tratto giovamento dalla sua debolezza e dalla difficoltà di accettare la sua vera natura.
L'altro gli cinse il braccio e fu naturale cercare di allontanarlo, uno sguardo di puro odio: "Non sono la tua puttana".
Pierre non smise di sorridergli con una certa superiorità, ma non scostò la presa e gli sfiorò il braccio con un movimento lento, piacevole, guardandolo dritto negli occhi con sguardo famelico quasi. Lo sguardo grigio scintillò in un modo che fece scorrere un brivido lungo la spina dorsale di Sebastian.
Avrebbe voluto poter controllare quelle scariche elettriche, avrebbe voluto illudersi di poter essere più forte del suo corpo e di quel sentore di vita, mai forte come in quel momento. Avrebbe voluto che la repulsione non fosse pari soltanto all'attrazione malsana che esercitava su di lui.
Sapeva che l'altro lo intuiva: si entusiasmava di quella lotta interiore, all'idea di disporre di lui a proprio piacimento. "Lo sai che non puoi combattermi", sussurrò al suo orecchio con la stessa compostezza.
Sebastian non parlò, consapevole che la sua voce avrebbe tremato, ma gli rivolse uno sguardo di puro disgusto, solo in parte destinato davvero al ragazzo che aveva di fronte.
Il bacio di Pierre fu arrogante, deciso, quasi un pugno nello stomaco e Sebastian si odiò per quel tremore che lo attraversò.
La porta alle loro spalle si schiuse improvvisamente e Sebastian lo scostò con tutta la forza che aveva in corpo, consapevole di essere stato colto sul fatto, mentre un rivolo di sudore freddo scivolava lungo la tempia.
Attimi quasi infiniti in cui attese la voce del padre o della madre, in cui gli parve che il suo cuore rimbalzasse in petto e la sua mente si svuotasse, troppo spaventato per agire.
Pierre sorrise disinvolto, passandosi una mano tra i capelli, come nulla fosse accaduto: "Ciao sorellina”, persino quel nomignolo confidenziale e vezzoso sembrava veleno se pronunciato dalle sue labbra e con quel sorriso crudelmente divertito.
Sebastian boccheggiò: non dovette voltarsi per capire che non si trattava di uno scherzo, ma non riuscì neppure a muoversi.
Il tempo parve protrarsi e contò i battiti del suo cuore: quelli che scandirono l'esatto momento in cui la sua vita parve fermarsi.
Si riscosse da quel torpore soltanto quando sentì i passi della ragazza, l'andatura decisa, malgrado i tacchi alti.
"Séline ", la sua voce era un sussurro strozzato e ne artigliò il braccio, costringendola a voltarsi.
Si impose di fissarne gli occhi intrisi di lacrime e le labbra tremanti: si costrinse a realizzare quanto dolore le stesse arrecando e quanto la sua colpa fosse imperdonabile e profondo l'odio per se stesso.
Ma lo sguardo della giovane dardeggiò d'orgoglio quasi felino: si scostò da lui, quasi disgustata, le mani sollevate nel guardare dall'uno all'altro con il medesimo odio.
"State lontani da me... tutti e due", pronunciò quelle parole con notevole sforzo. Seppur fosse evidente che stesse trattenendo a stento le lacrime, dimostrò una risoluzione e una forza che Sebastian non le aveva mai visto fino a quel momento.
Non attese risposta e si allontanò.
Bel caratterino”, fu il commento quasi divertito di Pierre, l'unico a non essersi scomposto.
Avrebbe voluto che il pugno che gli aveva inferto avesse scaturito una minima soddisfazione.
-

Era certo, dall'accoglienza imbarazzata ma gentile dei genitori, che la giovane non avesse fatto parola delle circostanze della loro separazione. Le due famiglie erano state entrambe scosse dalla notizia (il che confermava quante speranze avessero riposto in un loro romantico matrimonio, all'indomani dell'università) ma nessuno era a conoscenza del reale motivo. Non erano mancati i tentativi persino dei vegliardi nonni di intervenire per l'amicizia antica e preziosa che legava i due clan. Nulla che Sebastian volesse anche solo considerare, nulla che lo avesse mai sfiorato nel profondo.
La sua shockante rivelazione personale, invece, aveva lasciato i genitori in uno stato di incredula sorpresa, ma, oltre ogni sua più rosea previsione, non tardiva fu la loro accettazione. Ma ciò non fece che accrescere l'idea di non meritare le persone che gli erano state poste accanto, da che era venuto al mondo.
Non avrebbe sofferto, tuttavia, della lontananza e del ripudio schifato dei nonni.
Seppur suo padre non lo avrebbe mai ammesso, sapeva che l'imminente partenza per gli Stati Uniti non fosse soltanto una fortunata coincidenza lavorativa.
Poco male, si era detto: avrebbe accettato le gentili concessioni, ma giunto in America, avrebbe vissuto alle proprie condizioni, a partire dalla vendita della propria auto e dal racimolare denaro e risparmi per vivere da solo.
Aveva accettato con sollievo l'idea di cambiare città e nazione: Parigi era ormai divenuta il simbolo della colpa più grande di cui non si sarebbe mai liberato. A quell'oppressione al petto, sperava di poter presto sostituire una nuova libertà e una nuova consapevolezza di sé.
Ma non se ne sarebbe mai andato, senza avere occasione di rivederla un'ultima volta, se glielo avesse concesso.
"Avanti", lo invitò ad entrare, dopo che ebbe bussato. Con un sorriso amaro constatò che era forse la prima volta che quell'uscio gli era precluso o che non facesse ingresso in quella camera in compagnia della giovane stessa, se non dalla finestra.
Un solo attimo di esitazione, cercò di placare il tremore delle dita e abbassò la maniglia per entrare nella camera da letto.
Seduta sulla cassapanca sotto la finestra, Séline gli rivolse una breve occhiata e tornò alla sua lettura con il cipiglio corrugato, appena più pallida.
Sebastian sospirò e la osservò a lungo, ma seppe che non ci sarebbero state parole sufficienti, forse per tutta una vita. Non attese un ulteriore invito e si chiuse l'uscio alle spalle, prima di avanzare in sua direzione.
Prese un profondo respiro, abbracciando con lo sguardo quegli oggetti e quell'ambiente che avrebbero dovuto costituire per lui una seconda casa, prima di riuscire a pronunciare motto.
"Mi dispiace", sussurrò e la voce ne tradì il tremore e l'angoscia della propria colpa.
Séline inarcò le sopracciglia, ancora guardando il proprio libro, con evidente insofferenza, prima di chiuderlo e fissare un punto nel vuoto.
Volevo lo sapessi, prima della mia partenza”, aggiunse dopo un lungo istante di silenzio.
Non aggiunse altro, domandandosi se non fosse il caso di allontanarsi, consapevole che non avrebbe mai potuto placarne il dolore e l'umiliazione con parole di circostanza. Ma avrebbe dovuto, almeno, concederle l'occasione di scagliarsi contro di lui. Una parte di sé quasi sperò che lo facesse: che esplodesse con tanto di grida, lacrime rabbiose e persino percuotendolo.
Séline si alzò, le braccia serrate al petto e lo osservò per un lungo istante, quasi a voler appurare se le sue parole fossero sincere. Non sembrò dubitarlo, ma ciò non avrebbe giovato a nessuno dei due. Appariva stanca, quasi svuotata di tutto, persino di una legittima rabbia.
"Almeno adesso so che il muro che avevi posto tra noi, non era una mia responsabilità". La sua voce era composta, ma lo sguardo ne lasciò intravedere il dolore intenso e tutt'altro che liberato.
Sospirò, ma si impose di continuare ad osservarla: "No, è stata una mia responsabilità", confermò con voce afona.
"Mi hai mai davvero amato?", gli chiese e, suo malgrado la voce ne tradì un tremore e una segreta speranza che, probabilmente, avrebbe potuto minimamente compensare il dolore che stava vivendo a causa propria.
Sebastian serrò la mascella e distolse lo sguardo: trasse un lungo respiro, ma si impose di affrontarla fino alla fine. Con la sincerità che le era dovuta, per quanto l'ammissione l'avrebbe ulteriormente mortificata e reso il suo atto persino più spregevole.
"No", ammise con reale angoscia nel ricordare quanto spesso avesse disperato che la sua vita e i suoi sentimenti fossero limpidi. "Avrei voluto".
La giovane sorrise amaramente, ma annuì con aria consapevole. Il fatto che non gliene facesse una colpa, che non fosse disgustata alla rivelazione più intima della sua personalità, rese tutto persino più struggente.
"Sei innamorato di mio fratello?", gli chiese e sembrò disperare in una risposta affermativa che desse un nuovo significato a quella separazione, dandole una forma di legittimazione.
Il silenzio parve persino più intenso, prima che Sebastian ritrovasse parola. Ma non ci fu esitazione, seppur mai più grande fu il disgusto di se stesso. "No".
Sapeva che una risposta affermativa non avrebbe cancellato le sue colpe, ma ciò non parve che sminuire in modo persino più impietoso ciò che era accaduto e il modo in cui la loro relazione era giunta ad una brusca fine.
Lasciò che il silenzio si prolungasse e che gli occhi della giovane continuassero ad osservarlo, come se non riuscisse a credere che egli era davvero la persona che aveva così a lungo amato e creduto di conoscere fino in fondo.
"Non sono delusa per aver capito chi sei davvero", gli disse con una sincerità tale che Sebastian pregò quasi che non continuasse, consapevole che sarebbe stato persino più difficile accettarne le parole successive. "Ma non credevo che avresti mai potuto-". La voce si ruppe e si lasciò sfuggire un singhiozzo. Scosse il capo e cercò di asciugarsi il viso il più rapidamente possibile, come ad ammonirsi a mantenere un certo riserbo.
Il cuore stretto in una morsa e il respiro flebile, Sebastian avrebbe accorciato le distanze per cingerla un'ultima volta, ma sapeva che sarebbe stato un gesto egoistico, così come chiederle di non versare altre lacrime.
Vide di nuovo scintillare la fermezza nel suo sguardo, osservandolo ancora una volta, come se volesse cogliere i suoi pensieri celati.
"Sai cosa è davvero triste, più di ogni altra cosa?”, gli chiese con un sorriso amaro, ma la ferma intenzione di pronunciare quelle ultime parole, come la giusta conclusione di quell'amaro epilogo. “Non credo che tu sarai mai davvero capace di amare qualcuno, chiunque sia, senza distruggerlo”.
Sebastian sgranò gli occhi: stava dando voce alla sua paura più grande. Non era questione di sessualità, soltanto della sua incapacità di provare un reale sentimento.
Se ne avesse anche colto la supplica silenziosa di non proseguire oltre, Séline continuò con la stessa calma quasi glaciale: “Ti manca qualcosa, Sebastian, tu porti solo dolore in chi ti ama".
Si voltò bruscamente, come se non sopportasse più la sua vista o il pensiero della farsa che avevano vissuto fino a quel momento.
Sebastian non rispose, se anche lo avesse voluto, non avrebbe trovato parole per difendersi o confutare i suoi stessi dubbi. Ignorò quel prurito al bordo degli occhi.
Si voltò, percorrendo la camera in ampie falcate, gettandole un'ultima occhiata, prima di valicare la soglia. "Non avrei mai voluto ferirti”, sussurrò con voce più rauca. “Non mi perdonerò mai per questo".
La vide stringersi le braccia al petto e mai come allora gli parve così esile e tremante, mai come allora si sentì incapace di proteggerla. Continuò, tuttavia, a guardare caparbiamente la finestra di fronte a sé.
Le ultime parole che Sebastian le sentì dire, lo avrebbero tormentato ancora a lungo, ne era consapevole.
"Chi non sa amare, non ha diritto di farsi amare”.

~


Era come assistere ad un sogno del quale aveva conoscenza, ma la beffarda consapevolezza rese persino più insopportabili quelle immagini e quell'incapacità di muoversi.
Aveva volutamente evitato di incrociare lo sguardo di Burt Hummel e l'immagine di Blaine all'altare già in trepidante attesa, mentre scambiava sorrisi e saluti coi parenti, gli fece stringere lo stomaco.
I loro sguardi si incrociarono, ma Sebastian si limitò ad un cenno del capo e distogliere rapidamente il proprio, consapevole di non avere neppure la forza di fingersi baldanzoso o di raggiungerlo per guastargli l'umore con qualche frecciatina ironica, per dissimulare il suo reale stato d'animo. Paradossalmente il suo acerrimo rivale aveva saputo fin dall'inizio che cosa ne motivasse l'agire, che cosa lo scuotesse nel profondo.
Sentì il suo stesso respiro farsi più pesante, la dolorosa contrazione del cuore, ma affondò le mani nelle tasche per nascondere il tremore da cui erano percosse.
Un centinaio di invitati, tutti in attesa che una sola persona facesse la sua apparizione, ma Sebastian si sentì più solo che mai ed isolato dal resto del mondo.
"Allora?", quasi sussultò, quando scorse Hunter Clarington al suo fianco. Guardava dritto innanzi a sé, come un agente segreto che debba confondersi tra la folla con abilità da ventriloquo nel muovere a malapena le labbra, quasi timoroso che qualcuno ne carpisse il labiale.
"Ho il furgone di mio padre parcheggiato poco lontano da qui, puoi ancora rapirlo", gli fece presente.
Sebastian serrò le labbra che quasi si distesero in un sorriso, malgrado tutto, ma scosse il capo, senza guardarlo. "Non hai paura che ti riconosca?", alluse allo sposo che stava abbracciando Rachel Berry la quale, con premura degna di una moglie devota, gli stava acconciando il papillon. Doveva avergli rivolto un complimento, a giudicare dal biancheggiare dei denti per il sorriso che le rivolse.
"Credo di essere l'ultimo dei suoi pensieri", replicò distrattamente, guardandolo con le sopracciglia inarcate. "Allora?", lo incalzò.
"Va' a sederti con la tua ballerina", e per la prima volta la sua parve una supplica, più che un ordine.
Hunter scosse il capo, ma lo guardò incredulo ed esasperato, appoggiandogli una mano sulla spalla, come a volerlo riscuotere dal suo turbamento.
"Non è il momento di auto-punirsi, Sebastian, un « lo voglio » è per sempre o fino al divorzio”, continuò con voce strozzata per l'agitazione. “Certo, se sei fortunato magari per allora sarai laureato e potrai difenderlo", aggiunse ironicamente.
"Hunter", lo richiamò senza guardarlo.
Forse fu il tono o il fatto che, per la prima volta a memoria d'uomo, ne avesse pronunciato il nome di battesimo, ma il barista parve capire che sarebbe stato inutile continuare ad insistere. Sospirò ma raggiunse la biondina, cercando di nascondersi tra gli altri invitati.
Sebastian indugiò in piedi, ignorando i posti vuoti e i saluti dei conoscenti, l'aria compiaciuta della Ciabatta di Broadway nell'angolo dei testimoni e il cenno educato dell'amica caffeinomane di Kurt.
Fu il primo a sussultare al risuonare della marcia nuziale, altro elemento spettacolare cui Kurt non avrebbe mai potuto rinunciare, e si voltò lentamente.
Avrebbe voluto trattenerlo in quello sguardo, nelle scuse che morivano in gola, nelle parole d'amore mai pronunciate, nei baci sospirati.
Lo sposo sembrava a stento capace di camminare, era piuttosto pallido in verità, ma si premunì di evitare il suo sguardo, sorridendo radioso alla matrigna che lo accompagnava, da tradizione, e rivolgendosi agli invitati e alle loro esclamazioni di sorpresa. Camminò con incedere fluido, prima di incontrare lo sguardo di Blaine. E Sebastian seppe di averlo già perso.
"Siamo qui riuniti quest'oggi per unire questi due giovani al sacro vincolo del matrimonio2", iniziò il celebrante con voce cadenzata e tutto parve ancora incredibilmente surreale e distante.
"Se c'è qualcuno contrario a queste nozze, parli ora o taccia per sempre". Sentì gli sguardi su di sé e sorrise ironicamente, affondando le mani nelle tasche, simulando tranquillità ed indifferenza, mentre uno sconfortato Hunter Clarington affondava nella sua poltrona, passandosi una mano sul viso, come chi sta per assistere ad un disastro epocale, ma non ha la possibilità di fermarlo.
"Vuoi tu, Blaine Anderson, prendere il qui presente, Kurt Hummel, per amarlo, onorarlo, rispettarlo, sostenerlo e confortarlo per tutti i giorni della tua vita?”
La risposta fu concisa e certa, dopo che Blaine lo ebbe guardato e gli ebbe rivolto un sorriso emozionato: “Lo voglio”.
"Vuoi tu, Kurt Hummel-".
Sebastian non riuscì a sentire il celebrante ripetere la stessa formula, tutto il suo corpo sembrava schiacciato da una pressione quasi soffocante.
Fin troppo presto la domanda fu posta e tutto il suo corpo si tese nell'attesa della seconda risposta che avrebbe sancito la fine di tutto.
Serrò la mascella, strinse i pugni: una parte di sé attese di sentirlo pronunciare quelle due parole fatidiche.
Più pallido che mai, Kurt Hummel si agitò sul posto.
“Signor Hummel?”, lo incalzò l'ufficiante, in evidente attesa.
Dal silenzio assoluto e partecipe, sorse un nuovo brusio agitato che percosse gli invitati degli sposi e Rachel Berry boccheggiò, trattenendo a stento il cofanetto con la fede nuziale.
“Mi scusi”, sussurrò Kurt, con aria mortificata, ma senza guardarlo: gli occhi azzurri cercarono Sebastian e ne colsero il movimento con cui, più pallido che mai, si era fatto avanti.
Parve ritrovare coraggio, malgrado gli occhi lucidi e il nervo a farne vibrare la guancia.
Così si volse verso Blaine, lo sguardo mortificato, ma dardeggiante di una nuova risoluzione.
“Non posso”.



To be continued...

Spero proprio che non assisterò, domani, ad una simile scena ma, altrettanto intensamente, che questo finale abbia potuto compensare tutto l'angst di questo capitolo :)
Mi auguro inoltre che non siate rimasti troppo shockati/sconvolti/delusi del leggere i flashback di questo capitolo, mi rendo conto che posti agli sgoccioli della fanfiction siano stati tra i più intensi, ma confido che siano stati in grado di rispondere alle domande in sospeso circa il comportamento di Sebastian. La contraddizione nel porsi come ostacolo ad ogni fase del matrimonio, ma non giungere mai ad una risoluzione finale, proprio in virtù di quel fantasma del passato e della sua paura di portare solo dolore in chiunque lo ami. Un ricordo che ha cercato lui stesso di rimuovere e mettere a tacere e che, attraverso il sogno, si è nuovamente manifestato a livello consapevole.
In ogni caso, per qualsiasi dubbio o curiosità, sono a vostra disposizione :)

Un’occhiatina al prossimo capitolo:


Anche se ti sto ferendo, non posso iniziare una vita con te, sapendo che non mi sento più tuo”.
Mi avresti lasciato dire di sì?” “Non mi fido di me stesso, l’idea di farti soffrire-” “Sebastian, mi ami?”.
Mi piaci, vuoi stare con me: sì o no?”.


Come sempre, vi ringrazio di cuore per avermi accompagnato in questo lungo percorso che sta giungendo alle battute finali. In modo particolare chiunque mi dedichi qualche pensiero o mi renda note le sue emozioni, dubbi, o frustrazione :)
Buon weekend a tutti,
un abbracciane,

Kiki87


1 Per sentire la canzone e leggerne il testo originale: Reason
2 Neanche a farlo apposta questo aggiornamento giunge alla vigilia di un matrimonio in famiglia :D Non ho mai assistito ad una cerimonia di questo tipo, quindi mi sono rifatta al formulario impiegato in una cerimonia civile italiana. Spero che non differisca troppo dalle celebrazioni tra coppie dello stesso sesso in America.
   
 
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