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Autore: Bookmaker    05/12/2014    4 recensioni
"Ciò che non sopporto, nelle persone, è quando non sanno cosa fare. Non parlo delle decisioni quotidiane, quelle piccole cose di cui non importa a nessuno. Parlo della propria vita, e del senso che le si vuole dare.
Io l’ho fatta, la mia scelta: ho scelto di fuggire il dolore, di combattere la solitudine che mi avvolgeva quando ero circondata da una folla di sconosciuti. Ho scelto di essere perfetta."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ami Kawashima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia maschera
 
Ciò che non sopporto, nelle persone, è quando non sanno cosa fare. Non parlo delle decisioni quotidiane, quelle piccole cose di cui non importa a nessuno. Parlo della propria vita, e del senso che le si vuole dare.
 
Io l’ho fatta, la mia scelta: ho scelto di fuggire il dolore, di combattere la solitudine che mi avvolgeva quando ero circondata da una folla di sconosciuti. Ho scelto di essere perfetta.
 
Contro tutto ciò che si potrebbe imputare alla mia età – la mutevolezza, l’ingenuità, l’ardore eccessivo – ho manomesso il mio pensiero.
 
È stato più facile di quanto possa credere la maggior parte delle persone. Si comincia spezzando l’idillica, fanciullesca illusione che il mondo sia perfetto. È un processo lento, come l’instaurarsi di una cancrena, e richiede grande impegno e dedizione.
 
Ci vuole poco, veramente poco, una volta capito come si fa, ma ai primi tempi può risultare faticoso.
Si comincia coprendo i segni della mancanza di sonno, poi si trattengono le lacrime, si sorride e via, si apre la porta e ciao! Come stai? Io bene, ma che hai fatto ai capelli? Sono bellissimi! Ah, lui? No, non fa per me, ma l’hai visto? Ah, ah, ah! Sei proprio fuori strada!
 
Eccetera.
 
Con il tempo, il lento serrarsi di questa prigione di formalismi non concede più alcun passaggio alla luce del sole. Si comprende che è necessario essere protetti, che mostrarsi in volto è pericoloso.
 
Ed è così, che indossiamo la nostra maschera.
 
Ogni maschera va bene, ma bisogna stare attenti: chi la indossa troppo a lungo, può morire soffocato. Ogni tanto va dismessa, in modo da poter prendere una boccata d’aria. Si strepita al vento, si danno un po’ di testate contro il muro, si sprofonda nell’insospettabile malinconia (“Qualcuno ha visto Ami?”). Dopodiché ci si rimette la maschera, si ripulisce tutto il casino e si torna nel ventre della bestia.
 
Io, la maschera che indosso, l’ho creata di mia mano: me la sono calcata sul volto di mia volontà, quando ho capito che il mondo era un posto scuro. Molti non sono così fortunati, se la mia si può definire fortuna: vivono con la faccia di un altro cucita sotto la pelle, e prima o poi il loro organismo la rigetta come un organo trapiantato.
 
Ogni tanto fa un po’ paura, la maschera: ci si guarda allo specchio e non ci si riconosce, si vede solo l’Avversario.
 
Lui non la indossa, la maschera. Lui è la maschera. Sorride come lo stronzo che è, e cerca di allungare la mano attraverso lo specchio per trascinarti là dentro e venire fuori al posto tuo.
 
È in quei momenti che fuggi in camera e ti chiudi a chiave, la testa stretta tra le mani nella disperata speranza che lui se ne vada. Certe volte ho preso a tremare con tanta forza da spellarmi le ginocchia, e ho dovuto ghermirmi i polsi per essere certa di esistere ancora. Non era sempre bello, scoprire di esserci ancora.
 
Soffocare i sogni è la cosa più difficile, ma in fondo è per questo che si dorme con i cuscini. Le notti diventano solo un pretesto per perdere tempo, e la stanchezza si accumula e scava nel cranio. Per le occhiaie bastano le creme, ma il cervello non lo ignori. Se lo senti sanguinare, non ti resta che seppellirti sotto le coperte, e sperare che domani arrivi presto. O meglio ancora, che il domani non arrivi.
 
Capita di svegliarsi con le guance scavate, come se un rivolo d’acido le avesse ustionate fino alle ossa. Poi si capisce che sono state le lacrime. Dovevano pur uscire, prima o poi.
 
Però, da qualche tempo, ho riconsiderato la mia decisione.
 
Cominciò tutto quando quella ragazza lillipuziana mi attaccò. Non mi conosceva nemmeno, non era stata a sentire la mia presentazione: la sua era un’antipatia a pelle, e non aveva paura di mostrarla.
 
Taiga Aisaka non indossava alcuna maschera: sputava i suoi pensieri fuori dai denti, senza paura di alienarsi gli altri, e si vedeva. Era talmente presa dall’essere se stessa da pensare (questo è il colmo!) di indossare una maschera per nascondersi da quel tipo, Kitamura; quando era evidente che tra di loro non avrebbe mai potuto funzionare.
 
La gente scambiava la sua schiettezza per violenza, la sua foga per asocialità. Si era creata una bolla intorno.
 
Tuttavia, non era una bolla vuota: c’era Kushieda, che accanto a lei riusciva a dismettere la propria maschera e a respirare a pieni polmoni, e c’era anche Takasu.
 
Takasu…
 
Forse lui era l’unica persona che induceva Taiga a indossare una maschera, e lei faceva altrettanto con lui. Solo che nessuno dei due se ne rendeva conto.
 
Quando Takasu parlò con me, quel giorno in palestra, avrei potuto facilmente farlo mio. Mi sarebbe bastato mantenere la mia maschera, consolarlo, dirgli qualche parolina dolce e un paio di frasi fatte. I giri di parole sono il modo più facile per spezzare le persone: sono così ovvi da troncare sul nascere qualunque tentativo di opposizione.
 
E invece, non lo feci.
 
Taiga, quella mocciosa impertinente e ridicola, non indossava alcuna maschera. Eppure, era felice. Che ingiustizia, eh? Io, la bellissima e perfetta Ami Kawashima, ero costretta a sigillarmi dietro una faccia che, semplicemente, non era la mia; per di più, non ero nemmeno felice di vivere in quel modo. O meglio, della non-vita che quella maschera mi concedeva.
 
E così, decisi di far cadere la maschera. Mi comportai come Ami si sarebbe veramente comportata, come con quel maledetto maniaco che mi aveva perseguitato fino a pochi mesi prima. Fui acida. Cattiva, forse, ma era necessario. Per quello stupido di Takasu le mie parole furono uno schiaffo in faccia, una sveglia dal torpore in cui si stava crogiolando. Si illudeva di poter passare la vita a giocare alla famiglia felice con Taiga, quando era chiaro che loro sarebbero potuti diventare una vera famiglia.
 
Oggi, Takasu è scappato verso la nostra vecchia classe. Non è ancora tornato. Intorno a me c’è il solito assembramento di ragazze che mi adorano. O meglio, che adorano la mia maschera.
 
– Ami, Ami!
 
Mi volto. Una ragazza che non ho mai visto, avrà sì e no tredici anni, mi sta fissando con uno sguardo assorto, da imbecille. Dev’essere la sorellina di una delle diplomate di quest’anno. Le rivolgo il mio solito sorriso benevolo, e lei comincia a parlare.
 
– Mia sorella mi parla sempre di te! – esclama portandosi le mani giunte al petto. – Sei davvero bellissima, da grande voglio essere proprio come te!
 
Eh, no.
 
Adesso basta.
 
Il mio sopracciglio si contrae rapidamente, schiocco la lingua, mi metto in posizione. Ostento la mia regalità, altro che le cretinate da quattro soldi che tutti vogliono sentirmi dire. Per la prima volta, Ami Kawashima farà vedere chi è lei.
 
– Ma chi diavolo credi che sia, io? – sbotto. Lo so, non è la mia battuta, ma avevo voglia di dirla, prima o poi.
 
La piccoletta arretra, e io faccio un passo verso di lei. Intorno a me, le altre ragazze strabuzzano gli occhi. – Io non sono un modello da seguire! – urlo battendomi una mano sul petto. – Puoi diventare una persona molto migliore di me.
 
Lo spavento iniziale è passato, e ora la ragazzina mi guarda con un’espressione perplessa. Cerco di calmarmi, prendo una bella boccata d’ossigeno e soffio via lo scoppio d’ira.
 
– Ahhh… phewww…
Adesso va meglio.
 
Mi avvicino un po’, e lei non si allontana. Le poggio una mano sulla testa, scompigliandole i capelli castani chiarissimi. Le sorrido.
 
– I tuoi capelli sono bellissimi, anche più dei miei, – dico, e lei arrossisce. – Curali sempre, mi raccomando.
 
Mi allontano sorridendo, senza dire una parola, e nessuno parla. È piacevole, il silenzio. Quella ragazzina mi ricorda qualcuno. Bassa, capelli lunghi e castani, fisico da bambina… speriamo che non sia irascibile come quell’altra.
Certo, però, che è un po’ ingenua. I miei capelli sono molto più belli dei suoi!
***
L’angolo dell’autore:
Parlando di Toradora!, Ami è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti. Dietro alla sua facciata di insofferenza, si legge in diverse occasioni un velo di malinconia. Per tanto tempo è stata da sola, e solo l’incontro con la stralunata compagnia del suo nuovo liceo ha portato in lei la fiducia di non esserlo più.
In questa fanfiction ho cercato di immaginare il suo cambiamento, ma soprattutto la scelta che l’ha portata a diventare quello che era quando l’abbiamo conosciuta, e spero di aver fatto un buon lavoro.
Se la storia vi è piaciuta, se volete fare una critica, o anche se volete chiedermi l’indirizzo di un buon kebabbaro, lasciatemi una recensione. Sarò lieto di leggere la vostra opinione!
 
Bookmaker
   
 
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