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Autore: Saratrix    06/12/2014    2 recensioni
Hurricane. Parola inglese che può essere tradotta come bufera, ciclone, uragano.
I sentimenti quando ci colpiscono, potenti, sono come un uragano: prendono il nostro cuore e lo sbattono da tutte le parti, senza nessun riguardo. A volte ci fanno piangere, ridere, urlare. Altre ci stravolgono la vita, cambiandocela radicalmente e dandoci la possibilità di rinascere e ricominciare da capo.
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Si fermarono e si fissarono negli occhi. Quello che successe quel giorno i quel salotto di quella casa fu una cosa che, anche nel Mondo della Magia, si fa fatica a spiegare perché non si riesce bene a capirla appieno; alcuni dicono che quando due persone riescono a leggersi l’anima reciprocamente solo specchiandosi l’uno negli occhi dell’altro è grazie a una sorta di intesa speciale, i più realisti dicono che è colpa del Caso, quelli che vedono complotti e minacce anche dietro al più indifeso dei bambini tirano in gioco maledizioni oscure, i maghi romantici buttano sul tavolo la carta dell’Amore.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Arthur Weasley, Harry Potter
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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HURRICANE


Mancavano solo un paio di settimane alla partenza per il nuovo anno scolastico – il quinto per Harry, Ron ed Hermione – e il caldo tipico del mese di Agosto si stava facendo sentire incredibilmente tanto. Moody, Kingsley e Ninfadora erano al Ministero – quel giorno avevano un’importantissima riunione con tutto il resto del reparto Auror – Sirius era uscito sotto forma di Animagus in compagnia di Remus per sgranchirsi le gambe e respirare un po’ d’aria fresca, mentre la Signora Weasley era uscita con i figli ed Hermione a fare un giro per le vie di Londra. In definitiva quel giorno nel numero 12 di Grimmuld Palace si trovavano solo Fierobecco, Kretcher – ma questi due era come se non ci fossero -, Harry Potter e Arthur Weasley.

Harry era coricato sul suo letto, nella stanza che condivideva con il suo migliore amico, le braccia incrociate dietro la testa e con la mente lontana, chissà dove. Sospirò pesantemente e gli occhi iniziarono a pizzicargli terribilmente. Avrebbe voluto morire. Sì, per lui in quel momento la Morte non sarebbe stato altro che il premio più ambito al quale avesse potuto aspirare, l’unico in grado di farlo sentire in pace come non lo era da mesi e impedirgli di soffrire. Ma sapeva bene che quella era una gara persa in partenza: lui era il Prescelto e avrebbe dovuto soffrire molto di più prima che la sua anima finisse nell’Ade. Serrò ferreamente gli occhi. Una fascio verde, l’Avada Kedavra, e degli occhi grigi che fissavano vitrei il cielo scuro comparvero dal nulla nella sua mente. Spalancò le palpebre e si tirò su a sedere, le ginocchia contro il petto, i gomiti appoggiati su di esse e le mani seppellite nella folta chioma corvina, mentre calde e amare lacrime gli scendevano ai lati degli occhi, tracciando delle umide scie sulle sue guance.

Cedric era morto. Ma lui non poteva accettarlo, non voleva accettarlo. Tutte le volte che chiudeva gli occhi – sia di giorno che di notte – il ricordo della Sua morte lo assaliva e vedeva come la Dama Nera si portasse via anche una parte di lui oltre che l’anima di Cedric. Già perché lui, Harry James Potter, era gay ed era follemente innamorato di Cedric Diggory, avrebbe dato qualsiasi cosa per essere morto al posto suo, per fare in modo che non fosse il corpo del suo amante a terra e senza vita quel giorno. Avrebbe voluto poter riviver i dolci momenti che l’anno scorso avevano passato insieme – che erano nettamente maggiori di quelli che trascorrevano da soli – in un letto nella Stanza delle Necessità – stupefacente luogo che avevano scoperto una mattina di Dicembre quando si erano ritrovati al settimo piano e la voglia di appartenersi era troppa anche solo per pensare di trovare un posto adeguato – o nella grande vasca del bagno dei Prefetti a fare l’amore.

Un singhiozzo salì dalla sua gola, riempendo il silenzio della stanza. Harry si alzò di scatto e uscì dalla stanza, percorse a grandi e veloci falcate il ballatoio ed entrò nel bagno. Si chiuse la porte alle spalle e strinse saldamente il bordo del lavandino bianco tra le mani, facendo diventare le nocchie chiarissime, mentre le lacrime continuavano a scendergli fino al mento, per poi tuffarsi nel lavabo. Non avrebbe più potuto sentire le braccia di Cedric cingergli la vita, non avrebbe più fatto passare le dita tra i suoi morbidi capelli, non si sarebbe mai più specchiato nei suoi occhi, non lo avrebbe baciato un’altra volta e non avrebbe mai più potuto fare l’amore con lui. Ed era tutta colpa sua: lui era il Prescelto, la gente moriva a causa sua – cosa che accadeva in particolar modo alle persone che gli stavano più a cuore.

Aprì il rubinetto dell’acqua fredda, facendola scendere gelata, si sollevò gli occhiali tondi sulla testa e si sciacquò il viso una, due, tre volte sfregandosi la pelle come se così facendo potesse scacciare anche tutto il dolore e il rancore che, lentamente, gli stavano divorando il cuore e l’anima rendendolo l’ombra di se stesso. Si riappoggiò gli occhiali sul naso e strinse di nuovo convulsamente il lavandino tra le mani, alzò lo sguardo sulla sua immagine riflessa nello specchio; alcune ciocche corvine bagnate gli aderivano alla fronte, il viso pieno di goccioline d’acqua che scendevano fino al mento per poi cadere nel lavandino, la pelle del volto arrossata dall’attrito che fino a poco prima le sue mani avevano provocato, gli occhi smeraldini arrossati dal pianto. Serrò la mascella. Fu un attimo e con un potente grido di rabbia la sua mano destra, chiusa a pugno, saettò verso l’altro per finire a colpire lo specchio, rompendolo. Un numero indefinito di schegge gli si impiantarono nella mano, provocandogli innumerevoli ferite – alcune anche molto profonde – che presero fin da subito a sanguinare copiosamente, tingendo il lavandino di una sfumatura rossastra. Lentamente allontanò la mano dallo specchio, l’aprì e la scollò lievemente per far staccare le schegge. Se la fisso per lunghi minuti, il sangue che continuava a sgorgare dalle ferite gli provocava un dolore allucinante, ma non lo sentiva: la sua mente era lontana, persa in dolorosi pensieri e ricordi. In quel momento voleva farsi male, solo per vedere se esisteva un dolore fisico più forte di quello che gli colpiva di continuo il cuore come milioni di coltelli. Ma ancora non si stava facendo abbastanza male. Ristrinse la mano a pugno e caricò un altro colpo, ma una mano, leggera, gli si posò sulla spalla sinistra, stringendogliela appena – ma quel tanto che bastava per farlo fermare.

Harry sgranò gli occhi, voltandosi e trovandosi faccia a faccia con Arthur Weasley che lo guardava con un misto di dolcezza e preoccupazione negli occhi che lo lasciarono spiazzato. Potter piegò la testa verso il basso, ricominciando a piangere e a singhiozzare, fregandosene della presenza del Signor Weasley davanti a lui. L’uomo gli prese delicatamente il polso della mano ferita e lo avvolse piano in un asciugamano, esercitò una lieve pressione per cercare di fermare l’emorragia e lo condusse al piano di sotto, in salotto, per poi farlo accomodare sul grande divano di pelle nera. Tutto in religioso silenzio.

Il più anziano uscì dalla stanca, lasciando solo il ragazzo che iniziò a fissare un punto tra la libreria in legno scuro e il comò in ossidiana lì vicino, perdendosi subito nei suoi pensieri. Gli mancava Cedric, gli mancava tutto di lui e non riusciva ad accettare che fosse morto. Per lui Diggory era il Mondo, un mondo che iniziava con i suoi occhi – dolci quando lo guardavano – e finiva con le sue mani, grandi, che adoravano accarezzargli la nuca. A cui ricordi iniziò a piangere – per l’ennesima volta in quella dannatissima giornata – strinse forte le mani a pugno, anche quella ferita che ricominciò a sanguinare copiosamente. La stanza si riempì in un attimo di singhiozzi carichi di dolore, che uscivano rocchi dalla sua gola. Harry non si accorse che Arthur era tornato nella stanza – con una bottiglia di vino e garze al seguito – e si era seduto al suo fianco. Il Signor Weasley prese la mano di Potter, delicatamente, e se la appoggiò sulle ginocchia, la liberò dal tessuto dell’asciugamano e iniziò a disinfettare le ferite con il vino. Il ragazzo, sentendo la man andare a fuoco, si riscosse dai suoi pensieri, placò i singhiozzi e istintivamente tirò la mano, subito bloccata dalla stretta salda ma dolce delle dita dell’altro sul suo polso. Alzò lo sguardo e vide l’uomo al suo fianco che, senza chiedere o dire una parola, lo stava curando con attenzione che, quando ebbe finito, avvolse il palmo nelle garze e le fermò con un colpo di bacchetta.

Rimasero in silenzio per quelli che parvero anni. Ad un certo punto Arthur abbozzò un lieve sorriso e disse: «Mi dispiace se ti ha bruciato il vino, ma non sono molto bravo con li incantesimi curativi e non so dove Molly tenga le pozioni.» fece una piccola pausa, scoccando di nascosto un’occhiata all’alto – che continuava a fissare il Nulla - «I Babbani per disinfettare le ferite usano il disinfestante – o una cosa del genere -, ma credo che tu questo lo sappia già. Un po’ di giorni fa passeggiavo per le strade di Londra con Molly e l’ho visto nella vetrine di un negozio, le ho proposto di prenderlo per le occasioni speciali, ma lei mi ha detto che non ne avevamo bisogno…»

«Disinfettante…» lo corregge il ragazzo.

«Sì, quello. I Babbani usano anche un metodo strano per curare le ferite molto profonde ed estese: ago e filo. Ma sicuramente lo saprai già.»

Harry annuì piano. Era grato al Signor Weasley in quel momento: si stava comportando come se non fosse successo niente e per lui questo significava veramente molto. Aveva adorato fin dal primo momento Arthur Weasley, la sua pacatezza e la sua strabiliante capacità di riuscire a capirlo subito – come nemmeno Ron ed Hermione, i suoi due migliori amici, riuscivano a fare – e accettava sempre le sue scelte e le sue decisione – o al massimo si prendeva un po’ di tempo per spiegargli che stava commettendo una stupidata e cercare di farlo ragionare –, non come facevano gli altri, capaci solo di giudicarlo e di obbligarlo a fare quello che volevano loro. Lui era l’unico che non ha mai provato a fargli pesare il fatto che non sapesse proprio nulla sul Mondo Magico, nonostante entrambi i suoi genitori fossero maghi, e riusciva a farlo sentire un re anche quando aveva dodici anni e gli chiedeva come funzionavano le papere di gomma.

Rimasero in silenzio, ognuno perso tra i suoi pensieri, con il solo rumore dei loro respiri e delle dita del Signor Weasley che rimbalzavano sulle sue ginocchia seguendo un ritmo tutto suo. L’uomo sospirò e prese la mano di Harry, quella ferita, fra le sue e se l’appoggiò sulle cosce. «Senti Harry…» iniziò con lo sguardo basso e tracciando le linee della mano del ragazzo con i polpastrelli – che socchiuse automaticamente le palpebre a quel tocco lieve e delicato – «Secondo gli altri in questo periodo sei… distante per il ritorno di Tu- di Voldemort. Ma ho capito che non è solo per quello. Io non posso obbligarti a parlarne, Harry, ma l’unica cosa che posso dirti è che devi aprirti. Io e gli altri ti vogliamo bene e ci fa star male vederti così. Se solo tu parlassi con noi…»

Potter si alzò di scatto. «E che cosa vuole che vi dica? Eh?» iniziò urlando «Che appena due mesi fa la persona più importante per me è morta? Vuole sentirsi dire che io e Cedric Diggory ci amavamo e che non riesco a passare un singolo giorno senza pensare a quanto mi manca?» Si fermò per qualche secondo, con il fiatone e gli occhi che iniziavano a pizzicare, ma per la rabbia questa volta, per poi riprendere: «La verità è che lui è morto a causa mia…» terminò, la voce che gli si riabbassò di colpo e le lacrime che ripresero a bagnargli il volto.

Arthur si alzò e si avvicinò a lui, appoggiandogli le mani sulle spalle. «Quello che è successo nell’ultima prova del Torneo Harry non è colpa tua. Non avresti potuto fare…»

Il ragazzo si scostò, livido di rabbia «NO!» urlò «Cedric è morto a causa mia! Perché se io non gli avessi proposto di prendere la Coppa insieme, lui me l’avrebbe lasciata! La passaporta così avrebbe portato al cimitero dei Riddle solo me e lui non sarebbe stato ucciso!» Si fermò di colpo, come se avesse appena avuto la rivelazione più grande, e scoppiò in un pianto e in una risata isterici. «È morto per colpa mia! Se non fosse stato per la mia idea, a quest’ora potremmo essere insieme a fare l’amore

Il Signor Weasley aspettò che Potter si fosse calmato, prima di riprendere a parlare con un grande sospiro. «Harry, so come ti senti, ma…»

«NO!» lo interruppe, nuovamente l’altro «Lei non sa cosa si prova a vedere la persona che si ama mentre muore davanti ai tuoi occhi, per un tuo errore e senza la possibilità di intervenire!»

«Hai ragione. Non so cosa si prova a vedere morire la persona di cui si è innamorati. Ma so cosa si prova nel vedere quella persona che si distrugge con le sue mani, perdendosi nel Nulla, e senza darti la possibilità di aiutarla.» replica l’uomo fissando il ragazzo negli occhi.

Molly? Cosa le sta succedendo?, pensò subito Potter. Per lui la Signora Weasley aveva rappresentato la figura tanto più vicina a una madre – quella a cui è stato tolto il diritto di avere da piccolo – che avesse mai avuto. Fin da subito si era presa cura di lui, gli aveva inviato un regalo di Natale solo perché era il migliore amico di suo figlio anche se con lei aveva scambiato appena due battute, lo aveva accolto nella sua famiglia come un altro figlio. Riusciva a farlo sentire protetto e amato come poche persone erano in grado di fare. Non riusciva a concepire che lei stesse così male. Come ho fatto a non accorgermene?, si chiese e pensò che fosse preso troppo dai suoi problemi – egoisticamente aggiunse – per rendersi conto di quanto stavano male le persone che amava e che gli rimanevano. Ma perché, anche? Cosa le era successo per ridurla in quello stato, una donna forte come lei?

Arthur scosse la testa e si avvicinò a Harry, prendendogli i polsi nelle sue mani «No, non sto parlando di Molly.»

Accadde tutto in un millesimo di secondo. Il Signor Weasley lasciò i polsi di Potter per poter posare le mani sui suoi fianchi e si avvicinò al suo viso finché le loro labbra non si sfiorarono, baciandosi. Potter sgranò gli occhi per la sorpresa e, per non perdere l’equilibrio, appoggiò le mani sul petto dell’uomo ma quello fu un errore enorme: istintivamente strinse nelle sue mani la stoffa della camicia bordò e si pere in quel bacio, chiudendo gli occhi e socchiudendo le labbra, dando così la possibilità all’altro di approfondire il bacio.

Continuarono a baciarsi, come se fosse la cosa più normale e non importava a nessuno dei due se fino a un minuto prima si stavano urlando contro – anche se in realtà quello lo stava facendo solo Harry. Per la prima volta Harry si sentì in pace, come non gli succedeva da molto tempo: sembrava che un peso di una tonnellata aveva finalmente deciso di sollevarsi dal suo cuore. Dopo quelli che a entrambi sembrarono anni si allontanarono appena, quanto bastava per permettere ai loro polmoni di riempirsi d’aria. Si guardarono negli occhi e Arthur fece saettare velocemente il suo dagli occhi smeraldini del ragazzo, alle sue labbra e di nuovo verso i suoi occhi, passandosi velocemente la lingua sul labbro superiore per umettarselo appena – gesto che non sfuggì a Potter.

«Harry… ti prego, permettimi di aiutarti. Non ce la faccio a vederti così.»

Il ragazzo si morsicò un labbro e fece passare le mani sulla nuca dell’uomo, avvicinandolo a sé e baciandolo con passione. Il Signor Weasley strinse i fianchi dell’altro, tirandolo più verso di lui e perdendosi in quel giovane uomo.

Harry non aveva idea di cosa stesse facendo. Non era giusto nei confronti di Ron, dei suoi fratelli, di Molly e di Cedric. Ma, anche se avesse voluto, sapeva con certezza che non sarebbe riuscito ad allontanarsi da Arthur, non ora, non in quel momento, non quando per lui stava rappresentando la possibilità di ricominciare a vivere. All’ora Arthur Weasley era la luce infondo a un tunnel in cui Potter era entrato tempo fa, senza nessun’altra possibilità, e si era fermato a metà strada, sedendosi sul ciglio della strada e aspettando che qualcuno lo vedesse come Harry – e non come Il Prescelto – e decidesse di aiutarlo. Per un secondo dei sensi di colpa verso la famiglia di Arthur – sì perché lui era sposato, e Potter lo sapeva bene – e Cedric, che non si meritavano per niente quello che stava facendo a tutti. Ma i polpastrelli dell’uomo che aveva di fronte gli stavano accarezzando dolcemente i fianchi, convincendolo a segregare la sua coscienza in un recondito e oscuro angolo della sua mente. In quel momento se qualcuno fosse entrato in quella stanza – anche se fosse stato Lord Voldemort in persona – avrebbe dovuto fare l’impossibile per allontanarlo dall’altro.

Dal canto suo, Arthur era al settimo cielo: finalmente stava baciando Harry e lui stava ricambiando. Era da sempre stato omosessuale, fin dai tempi di Hogwarts dove preferiva guardare i suoi compagni di dormitorio mentre si allenavano per le partite di Quiddich che stare a fissare le ragazze che camminavano per i corridoi del castello. Poi, presi i M.A.G.O., suo padre gli aveva imposto di sposare Molly. Aveva provato, con tutte le sue forze, di innamorarsi di lei, ma fin da subito capì che non ci sarebbe mai riuscito: le avrebbe per sempre voluto un bene enorme, però non sarebbe mai riuscito a cambiare quello che era. Gli passò anche per un secondo per la mente la possibile reazione che avrebbe potuto avere suo figlio Ron – il migliore amico del ragazzo che stava tenendo tra le braccia – se in quel momento li avessi visti e non poté evitare di sentirsi anche un po’ in colpa. Ma quando sentì le dita di Harry che si stavano dirigendo verso il colletto della sua camicia per slacciargli i bottoni bianchi, perse anche quel barlume di ragione che gli rimaneva e infilò le sue mani sotto la maglietta dell’altro per sentire la sua pelle calda e morbida sotto i suoi polpastrelli.

«Harry…» sospirò rocamente all’orecchio del ragazzo «Se vuoi fermarti, devi dirmelo adesso perché ho paura di non riuscire a resistere per altro tempo. In ogni caso, possiamo fare quello che vuoi tu: possiamo semplicemente stare in silenzio, parlare – anche di quanto sia caldo oggi se vuoi – , baciarci, abbracciarci. La scelta è tua per una volta.» lo guardò negli occhi, pieni di cocente passione e profondo desiderio, e sollevo l’angolo destro della bocca per abbozzare un timido sorriso: voleva fargli capire che, qualunque cosa avesse deciso, lui l’avrebbe accettata.

Harry non ragionò, non pensò e si buttò sulle labbra dell’altro per perdersi in un nuovo bacio. Per una volta voleva fare quello che voleva, senza preoccuparsi delle altre persone ma solo di se stesso. Febbrilmente sbottonò e tolse la camicia all’uomo che, nel frattempo, aveva iniziato a lasciargli dolci baci e lievi morsi sulla pelle candida del collo e gli stava accarezzando l’addome e il ventre. Un secondo e anche la maglietta di Potter si trovava abbandonata sul pavimento, mentre i due cadevano sul divano poco distante. Baci infuocati, carezze impertinenti, sussurri rochi, morsi audaci e si ritrovarono entrambi nudi, sudati e con il fiatone. Si fermarono e si fissarono negli occhi. Quello che successe quel giorno i quel salotto di quella casa fu una cosa che, anche nel Mondo della Magia, si fa fatica a spiegare perché non si riesce bene a capirla appieno; alcuni dicono che quando due persone riescono a leggersi l’anima reciprocamente solo specchiandosi l’uno negli occhi dell’altro è grazie a una sorta di intesa speciale, i più realisti dicono che è colpa del Caso, quelli che vedono complotti e minacce anche dietro al più indifeso dei bambini tirano in gioco maledizioni oscure, i maghi romantici buttano sul tavolo la carta dell’Amore. Adesso la spiegazione che c’è dietro ha scarsa importanza, l’importante è che, in una manciata di secondi, Arthur conosceva ogni segreto, ogni piccola paura di Harry e viceversa, facendo sentire entrambi nudi – interiormente – e disarmati. Ma ne erano felici perché mai una debolezza fu tanto bella e in grado di farli sentire nel posto giusto e con la persona giusta.

Potter circondò il collo del Signor Weasley con le braccia, gli sorrise timidamente – arrossendo anche un po’ – e lo baciò, mentre l’altro lo faceva lentamente suo. Fecero l’amore per quelli che ad entrambi parvero anni e alla fine si ritrovarono ad abbracciarsi, coricati e stremati, sul divano. Arthur si allungò vero il tavolino alla loro destra, prese i suoi occhiali e se li appoggiò sul naso sotto il morbido sguardo di Harry che accompagnava ogni suo più piccolo movimento. L’uomo posò un piccolo bacio tra i capelli corvini del ragazzo, che sorrise timidamente e gli si avvicinò di più, chiudendo gli occhi e appoggiando il viso nell’incavo del suo collo, lasciandosi stringere. Rimasero lì, in silenzio e senza accennare a muoversi – per non rovinare quella strana magia che si era andata a creare –; si sentivano entrambi protetti, come se niente e nessuno potesse toccarli mentre erano protetti dal quel piccolo e fragile abbraccio, e volevano riposarsi e sentirsi in pace il più possibile prima dell’arrivo dei sensi di colpa che, presto o tardi, sarebbero arrivati, forti e devastati come un Bombarda Maxima.

Quando sentì il respiro di Harry diventare regolare sul suo collo, il Signor Weasley capì che si era addormentato e si lasci sfuggire dalle labbra un sospiro. Accarezzò la morbida pelle della schiena del ragazzo, per poi posargli un lieve bacio sulla tempia e chiudere gli occhi.


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«A Harry Potter, senza il quale oggi non sarei qui.»

«A Harry!»

Sentitosi tirato in causa, il ragazzo alzò gli occhi dal pezzo di pudding che aveva sul piatto oramai da una trentina di minuti – e che continuava a torturare con la forchetta – sugli altri occupanti della cucina che in quel momento gli stavano rivolgendo degli enormi sorrisi allegri. Si lasciò scappare un piccolo sorriso timido alzando appena verso l’alto gli angoli della bocca; il classico sorriso di cortesia che si fa per non risultare scortese, anche se proprio è l’ultima cosa che si avrebbe voglia di fare in quel momento. Ron ed Hermione diedero una pacca sula spalla al lor migliore amico e Fred e George si liberarono nelle loro battute che, come sempre, erano in rado di far ridere tutti. Sirius alzò il suo calice di vino i direzione del figlioccio e gli regalò un piccolo sorriso malandrino mentre Remus addentava una fetta di torta di cioccolato.

Era Natale ed erano tutti riuniti nella cucina di Grimmuld Palace a festeggiare. Avevano tutti bisogno di staccare la spina del cervello e di impacchettare i problemi, quelli li avrebbero scartati il giorno dopo. Tra la Umbridge a Hogwarts e Voldemort chissà dove, le missioni dell’Ordine e le riunioni dell’Esercito di Silente, gli attacchi dei Mangiamorte e le nuove regole della nuova professoressa di Difesa contro le Arti Oscure, chiunque avrebbe avuto bisogno di riposarsi.

Giocarono, festeggiarono, risero, mangiarono e tutti passarono una giornata stupenda, in famiglia, come non riuscivano a fare da tempo. Solo Harry sembrava non essere felice: era sempre distante, perso nei suoi pensieri e triste. Dopo cena si ritirarono tutti in sala e lui e Ron iniziarono a giocare a scacchi su quel divano.

«Hey, Harry tutto bene? Non sei molto in forma oggi!»

«Sì, scusa Ron, ma sono un po’ stanco oggi. Vado a riposarmi.» si congedò e salì in camera da letto.

Potter andò vicino alla finestra e appoggiò una tempia sul vetro freddo, mentre guardava la neve che cadeva dal cielo bianco e si andava a depositare sull’asfalto della strada, il legno dei rami degli alberi, le tegole dei tetti e sui tettucci delle macchine. Il Signor Weasley – Arthur – aveva rischiato di morire e, cosa peggiore, era quasi come se fosse stato lui ad attaccarlo; anche in quel momento si rivedeva sotto forma di serpente mentre chiudeva le fauci sul suo volto, mordendo e dilaniando la sua carne senza volersi fermare. Stava per perdere anche lui e, lo sapeva, se fosse successo non sarebbe riuscito a rialzarsi ancora. Quando gli dissero che lo avevano trovato, che stava bene – più o meno –, che al San Mungo erano riusciti a curarlo, che era vivo un enorme peso lo lasciò respirare nuovamente. Però non poteva fare a meno di sentirsi responsabile per quello che poteva accadergli perché, di nuovo, qualcuno rischiava di morire per colpa sue e, ovviamente, era una delle persone a cui teneva di più, come nei libri dove muoiono sempre gli amici dell’eroe – solo che quella era la realtà.

«Harry…» Sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla e scattò quando riconobbe la voce che aveva parlato, prese un profondo respiro e si voltò, trovandosi davanti il Signor Weasley che gli rivolgeva un sorriso appena abbozzato.

Il ragazzo inspirò rumorosamente e sposto lo sguardo altrove, fuori dalla finestra e sopra i tetti delle case. «Cosa ci fai qui?»

Arthur corrugò la fronte e semplicemente gli rispose: «Voglio solo parlarti Harry. Da quando sei arrivati che cerchi di evitarmi in tutti i modi.» fece una piccola pausa e poi riprese «Quello che mi è successo non è colpa tua. Mi hai sentito? Non è colpa tua.»

Potter si girò di scatto, facendo arretrare di un passo l’altro per la sorpresa, e disse: «Quel serpente ero io, riuscivo a vedere e sentire quello che faceva quell’animale!» voltò lo sguardo verso il suo letto e si toccò con fare nervoso un gomito «Silente è convinto che tra me e Voldemort ci sia una specie di legame che ci permetta di comunicare e di sentire quello che prova l’altro quando entrano in gioco emozioni molto forti. Lui potrebbe anche prendere il controllo della mia mente, Arthur.»

L’uomo si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò forte, stringendolo a sé e ignorando le fitte che le ferite non ancora del tutto guarite gli stavano procurando. Posò un bacio fra la chioma corvina dell’altro e si riempì i profumi del suo profumo, olive e miele. Si spostò da lui quel tanto che bastava per guardarlo in quei due smeraldi che aveva al posto degli occhi e gli sorrise dolcemente, un sorriso rassicurante che fece crollare Harry e lo fece iniziare a piangere.

«Harry conosco i rischi che comporta il mio posto nell’Ordine e so anche quanto è brutta e dolorosa la guerra, ma è per questo motivo che dobbiamo combattere: per dare alle altre persone, ai deboli una possibilità di continuare a vivere. Dobbiamo farlo per tutti quelli che sono morti credendo nei nostri ideali e nel Bene.»

Il ragazzo si sporse verso l’altro e lo baciò d’impulso. Si baciarono dolcemente, senza fretta e fu come se tutto si fosse fermato e fossero stati trasportati in un posto tutto loro, lontani da tutto e da tutti.
«Non me ne andrò, Harry.»


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Sirius era morto. Silente anche. Piton aveva tradito l’Ordine. Malocchio non c’era più. Erano sempre di più le persone che abbandonavano la vita a causa sua, dopotutto era lui il Prescelto, quello che doveva proteggere gli altri? Invece la lista dei morti che si trovava sulla coscienza cresceva a vista d’occhio. Prima di abbandonare questo mondo il Preside gli aveva detto l’unico modo per uccidere Voldemort: distruggere gli Horcrux che aveva creato e renderlo nuovamente mortale. La missione era – ovviamente – era pericolosa, la percentuale di morte si aggirava intorno a quanto? Novanta, novantacinque percento? La Gran Bretagna era piena di Mangiamorte e Ghermitori e, si sapeva, mancava ben poco all’Oscuro Signore per poter mettere uno dei suoi uomini come Ministro della Magia. Ron ed Hermione sapevano della sua missione e, nonostante la sua presa di posizione, gli avevano detto chiaramente che lo avrebbero seguito in quell’impresa perché erano migliori amici e gli amici si aiutano a vicenda.

Harry sospirò e si sistemò meglio davanti allo specchio la giacca del suo completo. Tra poche ore ci sarebbe stato il matrimonio di Bill e Fleur, per lui non era una buona idea sposarsi in quel periodo, ma forse loro avevano ragione a farlo: in quei tempi bisognava vivere giorno per giorno, senza fare progetti e credere in un futuro costellato più che mai da dubbi e incertezze. Prese la sua bacchetta sul comodino e fece per infilarsela nella tasca posteriore dei calzoni, quando una voce lo fermò.

«Non farlo, Harry. Ti potrebbe partire un incantesimo per sbaglio e potresti perdere una chiappa, come diceva sempre Alastor.»

Arthur si avvicinò al ragazzo, arrivandogli di fronte, e si fissarono per un tempo indefinito prima di baciarsi con passione. Le loro lingue si intrecciarono, senza gentilezza, senza dolcezza ma con foga e passione, consci che quella sarebbe potuta essere l’ultima volta. Non avevano molto tempo a loro disposizione, tra poco i primi invitati sarebbero arrivati, ma non avevano intenzione di sprecare un solo secondo che gli era stato donato. Velocemente camminarono verso uno dei letti presenti nella stanza e ci si buttarono sopra, subito avvolti dalle lenzuola. Il Signor Weasley si puntellò sui gomiti e guardò Harry, sotto di lui.

«Dove dovete andare tu, Ron ed Hermione?»

«Non posso dirtelo.» il più giovane guardò l’altro, gli occhi erano diventati due smeraldi liquidi, fusi dal fuoco della brama e del desiderio che gli scorreva potente nelle vene.

«Perché?»

«Non voglio metterti in pericolo.»

I bottoni delle loro camicie volarono, strappati, e si ritrovarono entrambi a petto nudo, la loro pelle che si sfiorava e diventava sempre più bollente. Non c’era dolcezza nei loro gesti – come invece capitava nelle altre rare volte che riuscivano a restare soli – ma solo un’irrefrenabile passione e voglia di appartenersi l’un l’altro, perché era quello che avevano bisogno in quel momento per non cadere e continuare ad andare avanti: sapere di non essere soli e che c’era qualcuno al loro fianco. Finirono di spogliarsi, rimanendo nudi e celati al resto del mondo dal tessuto delle lenzuola, le loro mani toccavano, le loro labbra baciavano, e le loro lingue lambivano ogni pezzo di pelle – donando e ricevendo allo stesso tempo.

Fecero l’amore, con la consapevolezza nel cuore che quella sarebbero potuta essere la loro ultima volta. Non si dissero più nient’altro e quando si ritrovarono coricati sul letto, stremati dal potente orgasmo appena provato, si fissarono negli occhi, si lessero l’anima a vicenda, comunicandosi parole mai dette ma che riuscivano a far trasparire dai gesti – dalle delicate tracce che i loro polpastrelli disegnavano sulla pelle dell’altro al tremore che scuoteva le loro membra quando si baciavano.

Si alzarono e si rivestirono, lentamente e in silenzio, aiutandosi a vicenda e ritornando impeccabili come lo erano poco prima. Potter ritornò dove era prima che Arthur entrasse, e tornò a fissare la sua immagine riflessa nello specchio. Non voleva voltarsi a guardare l’altro perché sapeva che sarebbe ceduto, non avrebbe sopportato di vedere il dolore nei suoi occhi sapendo che tra poco se ne sarebbe andato chissà dove per tentare l’impossibile in una missione suicida, non sarebbe riuscito a resistere dal corrergli incontro, tuffarglisi tra le braccia in lacrime e supplicarlo di scappare insieme e fregarsene di tutto e tutti. Il Signor Weasley si avviò verso la porta e posò la mano sulla maniglia, si voltò verso l’altro e aprì la bocca per parlare. Voleva dirgli che non era solo, che voleva essere al suo fianco in quell’avventura per proteggerlo perché se fosse, morto il rimorso per non essergli stato vicino in quel momento gli avrebbe mangiato l’anima per l’eternità. Non disse niente, limitandosi ad uscire.

Harry sentì la porta chiudersi alle sue spalle. La rabbia, lo stress e la frustrazione repressi in quei giorni presero il sopravvento e, con un pugno, ruppe lo specchio davanti a sé.


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La Battaglia di Hogwarts si stava consumando. Da una parte l’esercito di Voldemort: i Mangiamorte e creature Oscure di ogni tipo – da i Dissennatori ai Troll, dalle Acromantule ai Mannari. Dall’altra c’era l’esercito di Hogwarts: Harry, Ron ed Hermione, l’ES, gli insegnanti e i fantasmi della scuola, i pochi Auror e i membri dell’Ordine della Fenice. Non c’è bisogno di specificare che erano i cattivi a essere in maggioranza. La battaglia si era interrotta, per dare l’opportunità ad ambe le parti di contare e recuperare le vittime che avevano tutte combattuto in difese dei loro ideali.

Harry e i suoi due migliori amici entrarono in Sala Grande, dopo essere ritornati dalla Stamberga Strillante dove aveva visto il professor Piton – Severus – morire e prima di passar a miglior vita lui gli aveva donato dei suoi ricordi. Il ragazzo si guardò intorno e non vide altro che sangue, dolore e morte ovunque. Spostò lo sguardo a terra e vide il corpo inerme di Colin Canon, vicino a lui c’era Lavanda Brown, anche lei senza vita. La sua attenzione venne catturata da due cadaveri, in un angolo della sala, l’uno di fianco all’altro, c’erano Remus e Tonks. Gli occhi di Potter iniziarono a bruciare terribilmente, si alzò gli occhiali e si asciugò le prime lacrime che avevano iniziato a bagnargli le gote.

«Vuoi essere il suo padrino?»
«I-io»
«Tu, sì, certo… Dora è d’accordo, nessuno può essere meglio…»
«Io… sì… accidenti….»

Teddy aveva perso i genitori – proprio come lui – e non aveva mai avuto l’opportunità di conoscerli, nessuno loro ricordo, solo i racconti di colore che li avevano conosciuti. In quel momento Harry promise a se stesso che, se sarebbe riuscito a vincere la guerra e a sopravvivere, si sarebbe preso cura di loro figlio, sarebbe stato per lui il padre che non ha mai potuto avere.

A un certo punto si rese conto di non avere più Ron ed Hermione e fece vagare lo sguardo per tutta la Sala. Li vide, insieme al resto della famiglia Weasley, che piangevano intorno a due corpi stesi sul pavimento. Fred e Molly. Un nodo gli strinse la gola e nuove lacrime – questa volta senza dargli tempo di fermarle – gli scavarono lo guance. Cerò – senza trovarlo – lo sguardo di Arthur, in piedi che singhiozzava, accanto a George che gli teneva le braccia strette intorno al collo e si sfogava contro il suo petto.

Strinse la provetta contenente i ricordi di Piton e corse verso l’ufficio di Silente, entrò, versò le memorie nel Pensatoio e ci si buttò dentro.

Svariati minuti dopo venne rigettato fuori, di nuovo a contatto con la realtà. Quello che aveva appreso gli lasciò l’amaro in bocca perché, alla fine, anche lui contribuiva a mantenere in vita Voldemort. Capì che l’unico modo per porre fine a tutto quello era consegnarsi e lasciarsi uccidere. Pensò subito ad Arthur, a quanto lo amasse e a quanto volesse dirglielo, ma sapeva che non poteva farlo: avrebbe solamente complicato le cose e reso tutto ancora più difficile di quanto non lo fosse già.

Uscì dall’ufficio e si diresse verso il portone del castello; sulla strada incontro Ron ed Hermione, disse loro cosa aveva appena scoperto e si raccomandò di uccidere Nagini, l’unico ostacolo – dopo lui – per rendere nuovamente Voldemort mortale.

Uscì in giardino, l’aria fresca che gli sferzava la pelle del viso e le primi luci dell’alba che lo illuminavano, dandogli un aspetto quasi angelico. Si sentì tirare per una spalla e sbattere contro un muro. Davanti a lui c’era Arthur le mani strette alle sue spalle e gli occhi ancora rossi e lucidi, era sconvolto.

«Dove stai andando?» sussurrò rabbioso.

Harry non rispose, limitandosi a spostare lo sguardo verso la Foresta Proibita, dove l’Oscuro Signore gli aveva detto di recarsi nel caso avesse deciso di arrendersi.

Il Signor Weasley sgranò gli occhi «No! Non puoi andare, non puoi consegnarti, così facendo non farai altro che rendere vani i sacrifici di tutti quelli che sono morti oggi per non permettere a TuSa- a Voldemort di vincere! E ora tu vorresti farti uccidere? Tu sei il barlume di speranza che anima l’animo di tutti quelli che sono dentro!»

Harry si scansò, dandogli le spalle. «Voldemort ha creato degli Horcrux, inizialmente pensavamo fossero solo sette, ma ho appena scoperto che in realtà sono otto.»

Si fermò e Arthur capì, fu come se uno Stupeficium lo colpì in pieno petto, buttandolo a terra e senza dargli alcuna possibilità di rialzarsi. «Harry…»

Potter si voltò verso di lui, stava piangendo, e annuì «Esatto. Io sono l’ottavo Horcrux, quello che ci impedisce di uccidere Voldemort e vincere la guerra. Finché io vivo lui farà lo stesso.» e senza dire nient’altro si avviò verso la Foresta Proibita, verso il suo destino.

Arthur rimase a guardare la schiena di Harry che si allontanava come se fosse trasparente, ancora scosso da quello che aveva appena appreso. No, non poteva essere vero: lui non poteva morire, non poteva lasciarlo solo. Si stava sacrificando, stava donando la sua vita al Mondo Magico per permettergli di salvarsi. Il Signor Weasley strinse i pugni, talmente tanto che le nocche sbiancarono e alcune ferite che si era procurato durante lo scontro si riaprirono, ricominciando a sanguinare. Le lacrime scesero, tante e impetuose come un torrente in piena, mentre il suo corpo veniva scosso da forti tremori. Non l’ha fermato? Ma lui voleva fermarlo. Perché non l’ha fatto? Cosa l’ha trattenuto?

«Papà…» lo raggiunse la voce di suo figlio George alle spalle.

Ti amo Harry. Ti amerò per sempre, pensò e poi alzò lo sguardo verso il cielo, colorato di viola dalle prime luci del sole, e gli sembrò di vedere tra le nubi il profilo di Harry.



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«Harry Potter, il ragazzo che è sopravvissuto venuto a morire.»

Silenzio, Harry si godeva quegli ultimi, brevi secondi di vita che gli rimanevano.

«Avada Kedavra!»

Ti amo Arthur. Ti amerò per sempre, fu il suo ultimo pensiero. Poi solo il buio.


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La battaglia era ricominciata, più cruenta di prima. Harry era morto, si era sacrificato per dare a tutti i suoi amici una possibilità di vincere la guerra. Arthur si sentiva perso, come se avesse seguito lo stesso identico destino del ragazzo. Rimase vicino alla sua famiglia – a quello che ne restava – e combatté al loro fianco. Corse ad aiutare Hermione e Ginny che stavano combattendo contro Bellatrix Lestrange, la quale stava vincendo. L’uomo si mise davanti alle due ragazze, proteggendole e iniziando a duellare con la Mangiamorte; gli incantesimi, sempre potenti e letali, fuoriuscivano dalle punte delle loro bacchette. Fu un secondo, un incantesimo andato a segno, e della donna non rimase altro che il ricordo. Era morta.

In quel momento l’urlo di rabbia di Voldemort invase la sala, come un uragano, spedì lontano la professoressa McGranitt e Kingsley che stavano combattendo contro di lui, e lanciò l’Anatema che uccide contro Arthur. L’uomo chiuse gli occhi, preparandosi a morire e con il sollievo che, a breve, si sarebbe potuto ricongiungere ad Harry e passare con lui l’eternità.

«Protego!»

Harry. Il Signor Weasley spalancò gli occhi, riconoscendo la voce che urlò l’incanto scudo. Davanti a lui c’era Harry – il suo Harry – con la bacchetta sguainata in mano. Respirava. Batteva le palpebre. Parlava. Si muoveva. Era vivo. Sentì le lacrime – di gioia – bagnargli il viso.

Non era morto.

Si scambiarono un veloce sguardo, pieno di sottointesi e il ragazzo si concentrò pienamente su Voldemort che lo fissava sconcertato, prima che una rabbia cieca lo dominasse.

Il duello finale era cominciato.


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La Battaglia era finita. Voldemort era morto. Il Bene aveva trionfato.

Harry camminava per i corridoi di Hogwarts, pieni di macerie e di detriti, ci sarebbe voluto tempo – magari anni – per potersi riprendere dalla guerra, ma il Mondo Magico sarebbe risorto dalle ceneri, come una fenice, più forte e unito che mai e nessuno avrebbe più permesso che si compisse ancora quello accaduto in quegli anni. Nessuno avrebbe più permesso la nascita di un nuovo Signore Oscuro.

Potter si appoggiò al parapetto della Torre d’Astronomia, uno dei pochi luoghi ad essere rimasto più o meno intatto, e lasciò che lo sguardo vagasse sul panorama. In quel momento un grande senso di calma gli inondò il corpo, facendolo sospirare e sorridere tranquillamente come non faceva da troppo tempo.

Qualcuno si mise al suo fianco e il ragazzo non ebbe bisogno di voltarsi per capire di chi si trattasse.

«Sei vivo.» disse quello e non poté fare a meno di sentirsi stupido mentre pronunciava quelle parole.

«Esatto. Ti dà fastidio, Arthur?» Harry si voltò verso l’altro che in quel momento lo stava fissando come se fosse un fantasma.

L’uomo si riscosse e gli si avvicinò velocemente, prendendogli il viso tra le mani «Neanche lontanamente.» gli rispose prima di baciarlo. Per Merlino, aveva temuto di non poterlo più fare. Si persero in quel bacio per moltissimo tempo, consci solamente del fatto che erano lì e che avevano ancora davanti a loro tutta una vita da passare insieme.

Quando si allontanarono avevano il fiato corto, ancora travolti dalle enormi emozioni che avevano provato, e si guardarono negli occhi, lasciandosi cullare da quegli attimi di dolce pace. Harry cinse il collo di Arthur con le braccia e appoggiò la testa sul suo petto, mentre l’altro gli abbracciava i fianchi. Tornarono a guardare il paesaggio; Hogwarts era distrutta, come il resto del Mondo Magico, ma ci sarebbe stato tempo per pensarci: in quel momento a Harry Potter e Arthur Weasley importava solamente di essere sopravvissuti entrambi.

E mentre una nuova Era iniziava per tutti i maghi e per tutte le streghe del mondo, c’era chi si faceva forza a vicenda per continuare.





NOTE FINALI:
Okay, la coppia è molto insolita, lo so, ma le lezioni di Greco sono molto noiose e io e la mia compagna di banco abbiamo deciso di scrivere i nomi dei personaggi di Harry Potter su dei foglietti, mischiarli, estrarre delle coppie e poi scrivere delle fanfiction su ciascuna di loro. Questa è una delle tante uscite e che mi ha fin da subito affascinata, portandomi a scrivere questa one-shot che reputo, senza modestia alcuna, la migliore che io abbia mai scritto.
Il titolo mi è venuto in mente mentre ascoltavo Hurricane dei Thirty seconds to Mars e ho pensato che fosse appropriato perché, come già detto nell'introduzione, i sentimenti sono talmente potenti da sconvolgere completamente il nostro cuore e noi stessi, proprio come un ciclone.
Inizialmente avevo deciso di concludere la storia quando Harry e Arthur finiscono di fare l'amore per la prima volta, ma poi ho pensato che sarebbe stato meglio narrare anche di come sono riusciti a superare la guerra facendosi anche forza a vicenda e di come il loro rapporto sia mutato per sempre da quel momento.
Ho deciso di far morire Molly non perché mi sta antipatica, ma perché ho visto la sua morte come l'abbattimento dell'ultimo ostacolo che avrebbe potuto separeare Harry e Arthur dal stare definitivamente insieme. Ho pensato che, finché ci fosse stata lei, non avrebbero mai potuto portare la loro relazione alla luce del sole visto che il Signor Weasley sarebbe dovuto divorziare e non è bello. Mmm... ma orache ci penso anche tradire la moglie e mentirle per tutta una vita non è molto bello. Okay, ho le idee un po' confuse su questa parte, ma secondo me è la soluzione migliore: qualcosa me lo dice dentro. Comunque fatemi sapere che ne pensate attraverso una recensione.
Per quanto riguarda i finale, ammetto di non essere mai molto brava a scriverli, ma credo che qui mi sia venuto bene e penso che faccia intendere per bene che Harry e Arthur passeranno il resto della loro vita insieme.
Ovviamente ci sarebbero anche state da scrivere le reazioni di Ron, Hermione, Ginny e tutti gli altri alla scoperta di questa notizia molto scioccante per loro, ma ho deciso di non metterle per due motivi:
A) La storia alla fine sarebbe risultata molto lunga.
B) Avrei stravolto completamente i generi che fino a quel momento avevano dominato la storia, andando a scrivere in un finale comico - sotto il mio punto di vista - e inadatto.

Ottimo, questo è tutto quello che avevo da aggiungere sulla storia.
Ringrazio tutti quelli che hanno deciso di leggerla e quelli che poi la inseriranno - se ce ne saranno - tra le preferite o ricordate. Un grazie speciale anche a tutti quelli che decideranno di recensirla per farmi sapere cosa ne pensano; accetto qualsiasi tipo di recensione, magari ditemi anche qualche vostra idea su come passeranno il resto della loro vita, su come prederanno la notizia i figli di Arthur e i loro amici e fatemi anche qualche domanda se volete inerente alla storia.

angel_and_demons
   
 
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