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Autore: Snow_Elk    07/12/2014    7 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
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A Black Lotus as Night

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Episodio I- Animanera

Continuava a far scivolare le dita sul bordo del bicchiere vuoto, con estrema delicatezza, osservandone i riflessi ambrati generati dalle candele che ardevano silenziose poco più in là.
Candele che, sparse in tutta la sala tra candelabri ed enormi lampadari, creavano un gioco di luce ed oscurità che si dilettava con le ombre di tutti i clienti del “Picchiere Nero”: aristocratici decaduti che brindavano ai tempi andati, viaggiatori che si scaldavano con bottiglie di distillati dalla dubbia provenienza e guardie fuori servizio che affogavano la stanchezza della giornata tra vino e chissà cos’altro.

C’era davvero gente di ogni genere, aveva adocchiato perfino dei mercenari, alcuni ragazzini che per dimostrarsi forti tiravano giù bicchieri di un liquore che avrebbe fatto bruciare la gola perfino a quel paladino egocentrico di un Vargas, e poi c’era lei:
se ne stava seduta lì da sola, a sfiorare con la punta delle dita i bicchieri vuoti, una, due, dieci, cento volte, senza un motivo preciso e ad amor del vero non si ricordava nemmeno qual’era quello per cui aveva iniziato a bere.

Era sola, e il suo tavolo era isolato, poiché nessuno aveva il coraggio di sederle accanto né tantomeno ne aveva voglia, ma di certo non poteva biasimarli: ormai tutti sapevano che ogniqualvolta lei andava lì a bere non voleva essere disturbata in alcun modo, da niente e da nessuno, e l’ultimo malcapitato che ci aveva provato era finito “appeso” alla parete con la lama della sua falce conficcata nel torace. La stessa falce che giaceva accanto a lei come una compagna silenziosa  e che attirava lo sguardo inquietato di chi ancora non conosceva la sua storia.
Nessuno le aveva mai rinfacciato quell’episodio, tutti temevano le reazioni della “Dea Falce”, e semplicemente si limitavano ad evitarla come la peste o a tacere quando il suo sguardo calava su di loro come una cupa sentenza. Patetici.
L’oste non l’aveva ancora sbattuta fuori a vita dal locale per il semplice fatto che aveva paura o, ancor meglio, perché con quello che spendeva in alcolici lo aveva praticamente reso ricco da fare schifo.

Sospirò, per poi inspirare con gusto quell’insieme particolare di odori e fragranze: l’odore della cera bruciata, l’aroma intenso delle pietanze appena sfornate, i profumi variopinti dei fiori raccolti nei vasi e delle colonie all’ultima moda in cui le nobildonne sembravano farsi letteralmente il bagno.
Le note acri del legno che ardeva nel camino in pietra la riscossero da quel torpore in cui era caduta mentre osservava l’ambiente circostante. Scosse la testa, si passò una mano nei capelli corvini e chiese a Jev, uno dei pochi camerieri che aveva il coraggio di rivolgerle la parola, di raggiungerlo al tavolo. Aveva abbassato un attimo la testa e già la figura snella del ragazzo la oscurava mentre sfiorava con la guancia la superficie ruvida del tavolo.

- Bevuto troppo, signorina?- chiese, trattenendo una mezza risata che gli sarebbe costata  cara.
- Quante volte ti ho detto di non chiamarmi signorina? Chiamami semplicemente Alice, ci vuole così tanto?– lo fulminò con lo sguardo e quello deglutì, sorpreso da quella freddezza improvvisa.
- Beh con questa direi che siamo arrivati a 163 volte, se arriviamo a 200 ti prometto che il prossimo giro lo offro io- il giovane scoppiò a ridere, tornando serio poco dopo vedendo che lei era rimasta impassibile.
- Per gli deì, le hai contate?- scosse la testa, stupita.
-Già, è un passatempo come un altro. Comunque, non pensi di aver bevuto troppo?-
- Non abbastanza, non riesco ancora a vedere tutti e 12 i Guardiani Celesti che mi guardano male, ti pare? Quindi portami un altro bicchiere – questa volta il cameriere rise di gusto e anche lei sorrise, pensando a quanto fosse stata stupida quell’affermazione.
- Un altro Animanera? Sarebbe il settimo- sembrava perplesso.
- Sì, quel liquore è l’unica cosa che non mi fa pensare e poi è dannatamente buono –
- Puoi giurarci, se ti reggerai ancora in piedi quando finisco il turno ci facciamo un altro giro anche io e te. E’ tutta la sera che servo bottiglie di questo cose e non ne ho provato nemmeno un goccio. Ci stai? – ammiccò sorridendo, lei ricambiò.
- D’accordo, ma lo sa tutto il locale che tu reggi come una ragazzina. Ora portami quel benedetto sesto bicchiere – tornò a poggiare la testa sul tavolo.
- Settimo, Alice, settimo –  Jev sghignazzò nel pronunciare quelle parole.
- Quello che è, portami quel bicchiere e falla finita, o giuro che ti appendo alla parete. Chiaro?-
- Sissignora!- un altro mezzo sorriso e lo vide scomparire in mezzo alla moltitudine di frequentatori, occasionali e non, che affollavano la sala principale del Picchiere Nero.

Lo vide riapparire pochi minuti dopo, sempre con quel suo sorriso spavaldo e con la classica faccia da schiaffi che si ritrovava, ma sul vassoio argentato non portava solo il suo ennesimo bicchiere, ma un’intera bottiglia di animanera, nuova di zecca. La guardò incuriosita, mentre la poggiava con garbo accanto alla sfilza di bicchieri vuoti e al candelabro agghindato di cera sciolta.
- E questa? – chiese, indicando la bottiglia.
- Mi sa che hai fatto colpo, sai?-
- Che cosa stai blaterando? –
- Dico che il signore là in fondo, quello coi capelli bianchi e la maschera nera, lo vedi? Bene, quel tipo lì mi ha avvicinato e mi ha detto che offre lui, sia il giro che la bottiglia. Ora non so se hai fatto colpo tu o la falce – le sue risate la investirono come una folata di vento gelido. Per un attimo incrociò lo sguardo del misterioso benefattore  e sentì un brivido correrle lungo la schiena.
- Sparisci! – esclamò, ma poco dopo ci ripensò – Anzi, aspetta, va da quel gentiluomo tanto cortese e invitalo a venire a bere qui con me. Se mi scolo questa da solo rischio davvero di vedere Cardes che balla il can can – per un attimo risero entrambi e Jev, annuendo, si gettò di nuovo nella folla di persone che beveva e ballava.

Lei posò la testa sulle braccia e rimase a fissare il liquido scuro dai riflessi violacei che sembrava inghiottire la luce stessa: come diavolo le era passato per la testa di invitare uno sconosciuto a bere con lei? D’accordo, era stato gentile a offrirle un’intera bottiglia di Animanera, ma non era abbastanza per spingerla a quel gesto così fuori dalla sua personalità.
Imprecò a bassa voce, auto maledicendosi per il semplice fatto di non aver ragionato un attimo in più, lasciando il via libera alla lingua malfamata e subdola dell’alcol. Sospirò, ormai era troppo tardi per tornare indietro, aveva fatto il danno e ne avrebbe pagato le conseguenze, pezzo dopo pezzo. Nel pensare a tutto ciò si scolò in un colpo solo il settimo bicchiere e sentì la gola e i polmoni andarle in fiamme, mentre il sapore dolciastro e tetro dell’animanera le scivolava in gola, lentamente, tirandosi dietro ogni pensiero.

Aveva appena poggiato il bicchiere vuoto quando l’uomo mascherato si accomodò di fronte a lei: indossava un abito elegante nero, con tanto di camicia bianca e cravatta rosso sangue, la giaccia leggermente più scura era abbinata con eleganza alla maschera che gli copriva parte del viso, lasciando però intravedere due profondi occhi rossi che la squadrarono dalla testa ai piedi. I capelli bianchi portati all’indietro incorniciavano un viso dai tratti ben delineati e un sorriso che poteva avere mille significati gli smosse le labbra, quando i loro sguardi si incrociarono.
- Vedo che hai iniziato senza di me – esordì, alludendo al bicchiere vuoto che fino a pochi attimi prima traboccava di liquore scuro. Alice, nonostante la sua natura, si sentì in imbarazzo, senza sapere il perché.
- Avevo la gola secca- si giustificò, distogliendo lo sguardo – Piuttosto, perché mi hai offerto questa bottiglia di punto in bianco? Nemmeno ci conosciamo – in una situazione classica l’avrebbe già appeso alla parete con la sua falce, come da routine, ma c’era qualcosa che la teneva inchiodata a quella sedia, a parlare con quello sconosciuto, a scacciare qualsiasi pensiero violento che avrebbe trasformato la sala in una bolgia di gente che urlava e scappava in tutte le direzioni.
- Bere da soli è triste, dannatamente triste, non trovi? E poi è raro vedere una ragazza bere l’animanera come se fosse acqua, hai fegato, non c’è che dire. Diciamo che ho voluto sfidare la sorte, hai qualcosa in contrario, Alice? – sentendosi chiamare per nome alzò di nuovo lo sguardo e i suoi occhi color ametista incrociarono quelli rossi del gentiluomo. Si sentì mancare, come d’un tratto non fosse più capace di reggere quel liquore infernale: c’era qualcosa in quegli occhi, qualcosa di particolare, il suo sguardo era intenso, penetrante e doveva ammetterlo, ammaliante, come se potesse leggerle dentro l’anima e tutto ciò la metteva a disagio, ma d’altro canto la incuriosiva, e non sapeva spiegarsi il perché.

- Come fai a sapere come mi chiamo? – chiese, usando la scusa di versare da bere ad entrambi per non reggere il confronto con quei due rubini infuocati.
- Credo lo sappiano tutti da queste parti, com’è che ti chiamano? La Dea Falce? – l’uomo afferrò il bicchiere, ringraziando con un sorriso accattivante, e sorseggiò con gusto l’animanera, come se fosse stato il più classico dei liquori.
- Mi hanno dato tanti nomi, diciamo che questo ormai è diventato quello “ufficiale” e che molti altri non sono esattamente dei complimenti-  bevve anche lei, lanciando occhiate qua e là per capire se qualcuno li stesse osservando o meno.
- Lasciali parlare, la gente ama criticare gli altri per non guardarsi allo specchio e vedere gli spettri che si trascina dietro- trasmetteva un senso di sicurezza e quasi di onniscienza a cui non riusciva a dare una spiegazione che si reggesse in piedi da sola, voleva approfondire la questione, scoprire qualcosa in più su quell’uomo.

- Parole molto profonde, non c’è che dire. Ma dimmi, questo filosofo ce l’ha un nome o preferisce continuare a giocare all’uomo mascherato?- non sapeva più se era lei a parlare o l’alcol, eppure continuava a bere, così come continuava a fissare di sottecchi il suo interlocutore.
- Cinica, eh? Mi piace, hai carattere, comunque sì, ho un nome…- si sfilò con delicatezza la maschera, mostrando un volto dalla bellezza senza tempo, dal fascino straziante e levando quel frammento di stoffa che li incorniciava con malizia i suoi occhi sembrarono farsi ancora più profondi e suadenti. Scosse la testa quasi a volersi riprendere da uno stato di trance.
- Puoi chiamarmi Debran – nel pronunciare quella frase le baciò la mano come facevano i galantuomini di una volta e lanciò uno sguardo tagliente e terribilmente profondo che le squarciò il cuore: in quel momento si sentì avvampare le guance e sapeva che non era dovuto al fatto che stava bevendo come una pezza.
- Piac…ehm… piacere di conoscerti, Debran. Com’è che non ti ho mai visto da queste parti? Sei nuovo?- ormai non sapeva più nemmeno lei che cosa stava dicendo, si sentiva accaldata, invasa da emozioni contrastanti e feroci, c’era qualcosa che non andava, ma non riusciva a staccarsi da quegli occhi rossi che continuavano a fissarla senza tregua, quasi in attesa che cedesse, da un momento all’altro.
- Sono stato lontano da Randall per molto tempo, diciamo così, e ora sono finalmente tornato . E tu?– il mondo intorno a lei si era fatto più confuso e oscuro, la sua voce era diventata qualcosa di prepotente, un miscuglio di seduzione e sicurezza, un principio di desiderio. No, non era l’effetto di animanera, no, era qualcos’altro, ma non riusciva a farne a meno, era piacevole, era unica come sensazione.

Continuarono a parlare e a bere per un tempo imprecisato, tempo che lei non sentì minimamente scivolarle addosso, poiché tutti i suoi sensi erano impegnati in quel conflitto interiore che la stava dilaniando, erano tutti presi da quello sguardo rosso rubino, che ardeva come le fiamme dell’inferno. Solo le candele ormai consumate sul candelabro in ottone e la bottiglia di animanera ormai vuota confermavano alla sua mente scossa e confusa che aveva passato almeno due ore seduta a quel tavolo con Debran, ore che le erano sembrate semplicemente minuti.
Non riusciva minimamente a capacitarsi di ciò che stava accadendo, ma il suo corpo e la sua mente sembravano propense a proseguire su quella strada anche se lei si fosse opposta in qualche modo, nonostante l’intera situazione non avesse alcun senso.

- Stai bene? – le chiese il giovane, agitando il bicchiere con quel poco di animanera che era rimasto: a differenza sua lui non sembrava minimamente turbato, confuso, o intaccato da uno dei liquori più distruttivi mai concepiti a GrandGaia. No, anzi, dava la netta impressione di avere tutto dannatamente sotto controllo, con le redini della situazione in mano e quello sguardo calmo, deciso e senza tempo.
- Più o meno- rispose lei, socchiudendo leggermente gli occhi, più sincera del solito, a metà dall’esser lucida o completamente ubriaca, in bilico su quell’oceano di emozioni che era diventata la sua anima. Stava bruciando dentro, senza nemmeno accorgersene.

- Hai bisogno di riposare e non sei nelle condizioni di tornartene a casa, fuori sta diluviando da almeno mezz’ora- quelle parole le giunsero distanti, l’eco distorto di un tempo a cui sembrava non appartenere più, il sussurro di un peccatore che affida la propria anima alla luna e alle ombre della notte – Hai bisogno di riposare, mia piccola Alice…- quell’ultima frase, un altro sussurro che sembrava provenire dalla sua stessa anima aveva lo stesso sapore del sangue, lo stesso profumo di petali di rose calpestate sotto la pioggia.
Non poteva rinunciare, non avrebbe rinunciato, la bottiglia ormai era vuota, i bicchieri anche, così come la sala, e il suo ultimo sospiro spense la fiamma della candela, gettando il tavolo e la sua stessa anima nell’oscurità, mentre i suoi passi leggiadri si dileguavano nel buio, seguendo quelle fiamme che la stavano consumando dentro.
 
 
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. L’aria fredda le sfiorò le spalle nude facendola rabbrividire leggermente e solo in quel momento si accorse che non aveva addosso il lungo copri spalle, abbandonato chissà dove, chissà come. L’oscurità che la circondava non le permetteva di capire quasi niente, le era entrata in testa, nell’anima, la avvolgeva come nebbia, l’abbracciava come un angelo caduto. Era poggiata contro qualcosa o forse contro qualcuno e quando sentì due mani forti esplorarle il corpo con avidità si sentì mancare. Che cosa stava succedendo?

Due labbra fredde come la morte e calde come il sole le sfiorarono il collo e sussultò, ansimando leggermente mentre una delle mani le accarezzava il seno sopra il corsetto. Socchiuse gli occhi assaporando quella sensazione di piacere che si insinuava nella sua pelle come veleno, un peccato blasfemo che avrebbe macchiato anche il più candido dei cuori. Quando li riaprì trovò  nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel’avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
   
 
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