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Autore: Fatelfay    07/12/2014    2 recensioni
Felce vive con la sua numerosa famiglia in un villaggio vicino a una foresta, ma non è come tutte le altre ragazze. I capelli color fronda e la sua abilità nel prendersi cura dei raccolti hanno sempre fatto dubitare a tutti della sua completa umanità, sebbene tutti l’accettino. Ma quando il mostro della foresta palesa la sua esistenza, Felce potrebbe essere l’unica a poter proteggere il proprio villaggio.
[3° classificata al contest “Sangue di Drago – Fantasy Contest” indetto da ManuFury]
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Zwischen Wald und Dorf




1. Im Dorf



Non c’è nulla da temere nel varcare i confini della foresta. Felce ne è profondamente convinta, sebbene tutti al villaggio dicano il contrario. La osserva attentamente, dal piccolo posto appartato che ha scoperto solo qualche anno prima, mentre giocava a nascondino con le altre ragazze e gli altri ragazzi del villaggio. Seduta sull’erba, attenta a non sporcarsi troppo, contempla le prime file di alberi del bosco, resistendo alla forte tentazione di avvicinarsi di più e inoltrarsi oltre di esse. Sebbene si narri che un mostro governi la foresta e uccida tutti gli intrusi, Felce non ci crede e continua a rimirarla da lontano. Ogni tanto sente dei rumori provenire da essa e qualche uccello vola più in alto delle chiome. A seconda del modo e della velocità con cui essi emergono dal verde per tuffarsi nel cielo azzurro, Felce sa esattamente che volatile sia. Ciò che è connaturato al suo animo, però, è il riconoscere qualsiasi tipo di albero, fiore, pianta, arbusto cresca intorno al villaggio, senza alcuna esitazione e senza sbagliarsi mai. Le basta avere una foglia, un petalo, un gambo o un frammento di corteccia e riconosce senza dubbio da dove provengano. Nessuno al villaggio sa come lei ne sia capace ma, dopo aver constatato più volte la bravura della ragazza, tutti si fidano ciecamente di lei. Felce controlla ogni pianta con attenzione e dubita che, senza quell’abilità, sarebbe trattata allo stesso modo, eppure scorda tutto ciò mentre osserva la foresta stagliarsi contro il cielo. Felce non la teme e non crede nemmeno che il mostro esista. Pensa piuttosto che esso sia solo una favola raccontata ai bambini per non farli avvicinare troppo al bosco e rischiare di perdersi, ferirsi o incontrare animali poco amichevoli.
Quando il sole, scendendo nel cielo, raggiunge la sommità verdeggiante degli alberi, Felce si alza e corre, senza fretta, a casa. Sale i tre gradini che innalzano la porta da terra, apre l’uscio e sente il profumo della cena pronta. Scivola in casa, si richiude la porta alle spalle e va in cucina. Sua madre ha già apparecchiato la tavola e le sorride gentilmente.
- Vai a chiamare i tuoi fratelli e le tue sorelle. Fra poco ceniamo.- Le dice sua madre, mentre gira con un mestolo di legno la minestra nel pentolone appeso sopra il fuoco del camino. Felce esce dalla cucina e sale le scale che portano al piano superiore dove ci sono tutte le camere da notte. Entra in quella dei due gemelli Kira e Sean e li trova intenti a rotolarsi per terra, nel tentativo di bloccare ognuno il proprio fratello al suolo. Nessuno dei due sembra poter avere la meglio. Hanno sedici anni ed è da quando hanno imparato a gattonare che provano a stabilire chi dei due sia il migliore. Felce sorride, pensando che molto probabilmente nessuno dei due riuscirà mai ad avere la meglio sull’altro.
- Kira, Sean è pronto. La mamma vi aspetta di sotto.- Li avvisa lei e cerca di non ridere quando i due ragazzi alzano i volti scuri su di lei. Hanno i capelli neri e arruffati, uguali a quelli di mamma; gli occhi sono invece marroni, più chiari di quelli della donna. Sean ha un labbro rotto e Kira un graffio sulla guancia. Quest’ultimo non ha ancora lasciato la presa sulla maglia del fratello, steso in parte sotto di lui. Dal canto suo, Sean ha ancora un piede conficcato nell’anca dell’altro.
- Dovreste smetterla: sapete quanto mamma non gradisca che facciate a botte.- I due ragazzi sbuffano allo stesso modo e si lasciando finalmente andare. Kira rotola sul fianco e guarda il gemello, entrambi con il respiro affannato. Poi si alzano in contemporanea e si rassettano allo stesso modo i vestiti.
- Sistematevi e scendete. Forza.- Li incoraggia Felce e sparisce oltre l’uscio. La ragazza bussa alla porta successiva ed entra. Trova Micol intenta a pettinare i capelli scuri di Ilenia.
- La cena è pronta.- Felce avvisa anche loro e il volto di bambina di Ilenia si volta verso di lei.
- Scendiamo subito!- Dice, poi trattiene a stento un gridolino. La maggiore le ha tirato leggermente i capelli per farla tornare a guardare il piccolo specchio sul tavolino, proprio davanti a lei.
- Dì a mamma che arriviamo fra cinque minuti. E tu sta’ ferma che altrimenti non riesco ad appuntarti bene la treccia.- Dice la maggiore, prendendo una molletta dalle labbra e mettendola fra i capelli della minore per tenerle ferma una ciocca ribelle.
- Va bene.- Dice Felce ed esce dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Micol ha già diciannove anni eppure nessun ragazzo le si è ancora avvicinato. Felce sa esattamente perché e le dispiace molto, anche se non può aiutarla. Almeno Ilenia, che ne ha solo dodici, ha un’ottima sorella maggiore che si preoccupa e si occupa costantemente di lei. Felce non prova nemmeno ad entrare in camera propria per chiamare Dennis. Sa già che è con papà e che ritornerà solo al tramonto. Felce spera che stiano entrambi bene e scende le scale per andare in cucina.
Trova i gemelli già seduti a tavola, i cucchiai stretti nei pugni, impazienti di iniziare a cenare. Felce si accomoda alla destra di Kira e lancia uno sguardo ammonitore a Sean, seduto dirimpetto al fratello. Quest’ultimo fa una smorfia seccata e lancia un’occhiata complice al gemello. Ha un ghigno particolare e una strana luce gli attraversa gli occhi. Felce fa un lento segno di diniego per ammonirli dal commettere qualsiasi follia abbiano in mente. Sa già che si vogliono mettere nei guai ma non riesce ad immaginare nei dettagli quali siano le loro intenzioni. Poco dopo si sentono i passi di Ilenia e Micol scendere le scale e, qualche secondo più tardi, le due sorelle appaiono in cucina. La madre sorride vedendo la maggiore tenere le mani sulle spalle della minore, come a volerne esibire la bellezza infantile. Felce ammira l’acconciatura semplice ma ricercata della sorellina. È semplicemente magnifica e rende la piccola un vero incanto: i capelli sono raccolti in una coroncina che le cinge il capo e le scendono dietro l’orecchio destro, fino a riposarsi sul petto, in una finissima treccia. L’acconciatura è impreziosita dai fiorellini bianchi infilati ad opera d’arte fra di essi.
- Mamma! Guarda come mi ha sistemato i capelli, Micol! Sono bellissimi!- Grida la piccola, piena d’orgoglio. La madre le sorride.
- Sono davvero bellissimi. Micol ha delle mani incantevoli. L’hai ringraziata?- La più piccola annuisce e Micol conferma:- Sì. Mi ha anche abbracciato.- Le due sorelle si siedono a tavola, alla sinistra di Sean, la maggiore in mezzo. La madre serve la minestra nei piatti dei figli e si accomoda a un capo della tavola, in modo da avere Ilenia alla propria destra e il posto vuoto del figlio più grande alla propria sinistra. Distende le braccia sulla tavola e i figli fanno altrettanto. Si stringono tutti le mani, formando un cerchio.
- Ringraziamo di essere tutti qui seduti a tavola, pronti a cenare in allegria, riscaldati dall’affetto della nostra famiglia. Siamo grati di avere un’ottima minestra questa sera e di avere una casa calda e accogliente.- Dice la madre e tutti si lasciano le mani.
- Buon appetito!- Esclama tutta la famiglia in coro e finalmente si avventano sulla cena.
Dopo aver finito la zuppa, la famiglia si divide e la madre va a mettere a letto i figli, mentre Micol e Felce lavano i piatti e sistemano la cucina. La maggiore non degna di uno sguardo la minore e cerca in ogni modo di non sfiorarla mentre le passa i piatti da lavare. È sempre stato così: Felce lava e asciuga, la maggiore sparecchia la tavola.
- Puliscili bene. Non voglio essere rimproverata da mamma perché non riesci a fare una cosa così semplice.- Le dice Micol con voce aspra. Felce annuisce e non risponde. Sono le solite frasi ogni sera e la minore sa bene che non c’è modo di far sì che la situazione migliori. Micol sale silenziosamente le scale e va in bagno a cambiarsi, mentre Felce finisce di sistemare la cucina.
Fuori dalla finestra, il cielo è tinto di rosso, mentre il sole scompare oltre l’orizzonte, nascosto alla vista della ragazza dalle case del villaggio. Felce ha appena finito di sistemare tutto, quando la porta di casa si apre e si sentono i passi pesanti di due uomini entrare. La ragazza li ha riconosciuti prima ancora che salissero i tre gradini fuori dall’entrata. Sono suo padre e Dennis, appena tornati dalla caccia. La ragazza accende due candele e le posa in centro alla tavola per illuminare maggiormente la stanza. Versa la zuppa tiepida nei piatti e li mette in tavola, uno ad un capo, quello opposto a dove si siede la mamma, e l’altro al posto che rimane vuoto tra quest’ultima e lei, ogni volta che si siedono per la cena. I due uomini giungono in cucina e si accomodano.
- Hai passato una buona giornata?- Chiede il padre e Felce annuisce.
- Sì. Voi?-
- Abbastanza. Dennis ha preso uno scoiattolo.- La ragazza si volta e vede il sorriso compiaciuto sul volto del fratello maggiore.
- L’ho centrato in un occhio.- Afferma orgoglioso e Felce non può fare a meno di sorridere.
- Complimenti. L’avete già venduto al macellaio?- Il padre annuisce, mentre mischia la zuppa con il cucchiaio. Aspetta, come al solito, che la sua consorte scenda a fargli compagnia. Anche Dennis aspetta, non osa nemmeno assaggiare la zuppa prima di suo padre. La madre arriva dopo un paio di minuti; fuori il cielo inizia a scurirsi. La donna si siede accanto al marito, i capelli scuri raccolti in una crocchia stretta e il viso sorridente. Sovrappone la propria mano destra a quella del marito, incrociando tra di loro le dita. Solo allora, l’uomo assaggia la minestra.
- È davvero ottima.- Si congratula con la moglie, il cui sorriso si allarga maggiormente. Le brillano gli occhi di amore e i due figli allontanano lo sguardo da loro. Felce si siede al posto solitamente della madre e guarda Dennis mangiare velocemente. Sanno entrambi benissimo che prima si allontanano dalla cucina, meglio è. Appena il fratello maggiore finisce di mangiare, si schiarisce leggermente la voce per richiamare l’attenzione dei genitori. Il padre gli fa un cenno con il capo, dandogli il permesso di alzarsi da tavola. Dennis sparecchia e mette i piatti nel lavandino. Sarà poi sua madre a lavarli, per condividere quell’azione quotidiana con il marito. Felce intanto si è alzata anche lei e, mentre il fratello dà loro le spalle, si avvicina al padre e si lascia abbracciare, scoccandogli un tenero bacio sulla guancia. Sciolgono l’abbraccio immediatamente e, quando Dennis si volta, la sorellina è in piedi accanto al suo posto.
- Buona notte.- Augurano i figli ai genitori, che contraccambiano, e salgono insieme le scale. Felce apre la porta della loro camera e la richiude alle spalle del fratello maggiore. Accende un paio di candele per rischiarare la stanza e le dissemina sul tavolino e sui comodini accanto ai letti. Nessuno al di fuori della famiglia sa che condividono la stanza. Per loro non è mai stato un problema, anche quando hanno iniziato, prima Dennis e poi Felce, ad affacciarsi alla pubertà e all’età adulta. Il loro legame di fratellanza è forte e particolare, quasi quanto quello dei gemelli.
Dennis si lascia cadere seduto sul letto e Felce si siede ai suoi piedi per slacciargli gli stivali. Ne osserva la suola per qualche secondo, ne respira l’odore e li appoggia nell’angolo. Dennis sospira e muove lentamente le dita dei piedi, ancora strette nei calzini vecchi del padre.
- Allora, com'è andata?- Chiede la ragazza mentre gli sfila i calzini. Un altro sospiro esce dalle labbra del ragazzo mentre le sue dita dei piedi si muovono con più libertà.
- Massacrante.- Dice soltanto e Felce prova a trattenere una risata.
- Papà mi ha fatto rimanere appostato in un buco tra due alberi per un’intera ora, prima di tornare a prendermi. E l’unica cosa che ha detto è stata: “Dieci quaglie, tre scoiattoli e sei lepri? Potevi prenderne qualcuna in più.” Ho fatto un’ottima caccia e mi ha detto che potevo fare di meglio. Non si accontenta mai.- Borbotta Dennis, passandosi una mano fra i capelli. Anche lui ha la pelle scura tipica della loro famiglia e Felce si perde per l’ennesima volta a fissarla. Dennis se ne accorge subito e si tira leggermente su con il busto. I suoi occhi neri, come quelli della madre incontrano quelli verdi di Felce. La ragazza distoglie lo sguardo e si sfrega le mani tra di loro. La sua pelle è leggermente più chiara degli altri suoi parenti, ma non abbastanza da passare inosservata.
- Smettila di pensarci. Tu fai parte della nostra famiglia a tutti gli effetti. Quante volte dovrò ancora ripetertelo?- Felce si alza e si dirige verso il proprio letto. Dennis si alza e fa per raggiungerla, ma lei ha già preso il pigiama da sotto il proprio cuscino e si sta spogliando, guardando il muro. Il fratello maggiore si volta, dandole le spalle, e si prepara per andare a dormire. Appena sente Felce sistemare il letto, si volta e la raggiunge. La ferma mentre è ancora seduta, le coperte aperte che le scoprono le gambe avvolte nella camicia da notte. Le afferra una mano, inizia ad accarezzarle il dorso con il pollice, mentre con l’altra mano le accarezza i capelli. La osserva attentamente in viso e sospira.
- Sono serio quando dico che sei mia sorella oltre ogni dubbio e anche gli altri ti ritengono tale. Per mamma e papà sei figlia loro come tutti gli altri. Non devi mai pensare che non sia così.- Ripete il giovane uomo, mentre le accarezza la guancia. Lei si appoggia a quel palmo grande, caldo e gentile, su cui prendono già forma i primi calli.
- Per Micol non è così.- Gli fa notare lei e lui alza gli occhi scuri al soffitto, sbuffando.
- E lasciala perdere. Lei ti vuole bene, solo che ha i suoi problemi. Sai com’è: è quasi irraggiungibile e nessuno osa avvicinarsi a lei, anche se è in età da matrimonio. È così esigente da spaventare tutti i ragazzi, nonostante abbia l’ammirazione di ognuno di loro, ma non ce l’ha con te.- Prova a rassicurarla di nuovo lui, come fa ogni sera.
- Lo so, ma lo sai che non è proprio così.- Dennis allontana le proprie mani da lei e si stropiccia il volto, cercando di mantenere la pazienza.
- Hai la stessa testardaggine di papà.- Dice e torna a guardarla sorridendo. Non gli importa se lei ha i capelli e gli occhi verdi come le chiome degli alberi e la pelle di una tonalità più chiara della sua: quella è e sarà sempre la sua sorellina Felce. Le dà un bacio sulla fronte e la abbraccia a lungo. Poi lascia che ella si sdrai e le rimbocca le coperte. Si infila nel proprio letto e rabbrividisce: le coperte sono gelide.
- Buona notte.- Sussurra.
- Buona notte.- Si sente rispondere, mentre spegne la candela e la stanza piomba nell’oscurità.

La mattina seguente, Felce si sveglia con i primi raggi dell’alba, ancor prima che il gallo canti. Dennis si sveglia poco dopo, premendosi il cuscino sulle orecchie appena sente l’animale mattiniero annunciare il sorgere del sole. Il giovane uomo mugugna e sbuffa ma alla fine si alza. Felce si è già lavata il viso e vestita. Si assicura che il fratello non si riaddormenti, poi esce dalla camera, scende le scale e va in cucina, dove aiuta sua madre a preparare la tavola e la colazione. Il resto della famiglia arriva quando ormai è già tutto pronto, Ilenia e Micol per ultime come al solito.
Si siedono tutti intorno al tavolo, i genitori ai capi della tavola. Kira prende posto alla destra del padre e accanto a lui si accomodano Felce e Dennis, mentre davanti a lui c’è il suo gemello, alla cui sinistra seguono Micol e Ilenia. Si stringono nuovamente le mani, formando il cerchio completo e la madre parla.
- Ringraziamo di essere tutti qui seduti a tavola, pronti a fare colazione in allegria, riscaldati dall’affetto della nostra famiglia. Siamo grati di iniziare presto questa giornata e con il cielo sereno e che ognuno di noi possa svolgere serenamente i propri compiti.- Detto ciò, tutti si lasciano le mani e osservano i genitori. Appena questi iniziano a mangiare il pane, i figli si avventano sulla colazione.
È una mattina come tante altre; i gemelli litigano e si lanciano pezzi di pane, facendo canestro nella bocca aperta dell’altro. Il padre prova a richiamarli all’ordine, ma lo fa senza molta convinzione. Ilenia ride e Micol sospira, scuotendo la testa contrariata. Dennis e Felce sorridono e finiscono in tranquillità la loro ciotola di latte caldo, la loro fetta di pane e la loro metà di mela. Dopo aver ricevuto il cenno d’assenso dalla madre, si alzano e ripongono le loro scodelle nel lavandino, poi salgono in camera. Ciascuno finisce di prepararsi, poi si voltano per controllarsi a vicenda di essere in ordine. Felce sistema la maglia al fratello maggiore e gli passa le dita nei capelli. Glieli scompiglia e sorride contenta del risultato. Lui sbuffa contrariato, ma non fa niente per riordinarli.
- Devo proprio averli che puntano in tutte le direzioni, vero?- Borbotta e lei annuisce vigorosamente. Si siede a gambe incrociate sul letto appena rifatto e dà le spalle al fratello. Lui le si avvicina con in mano la spazzola e borbotta ancora:- Non imparerai mai a farti la treccia, vero? Li hai almeno pettinati?-
- Sì, ho tolto tutti i nodi.- Risponde lei e chiude gli occhi mentre il fratello inizia a spazzolarle delicatamente i capelli delle mille tonalità di verde. Li divide in tre piccole ciocche e parte a intrecciarli da un punto poco sopra l’orecchio sinistro della sorella. Scende, raccogliendo man mano i capelli, e la treccia avvolge delicatamente la base della nuca della sorella, fino a raggiungere la spalla destra e continua normalmente. Assomiglia molto a quella che aveva Ilenia la sera precedente e, appena Dennis termina la treccia, la ragazza si accarezza delicatamente i capelli con le dita sottili, per sentire l’acconciatura. Si alza e si guarda allo specchio, rimirando l’opera del fratello. Poi si volta sorridente e lo abbraccia.
- È bellissima.- Lo ringrazia e gli dà un bacio sulla guancia. Si assicura un’ultima volta che Dennis non abbia niente fuori posto, poi lo saluta ed esce dalla stanza augurandogli buona giornata.
- Non fare tardi!- Sente il fratello gridarle dietro.
- E tu stai attento al mostro!- Ribatte lei e sa di averlo fatto sorridere.
Felce esce di casa, salutando i parenti che incontra. Prende il suo solito cestino, appeso al gancio accanto alla porta, mezzo coperto dalle giacche di suo padre e suo fratello maggiore. Esce di casa e si guarda attorno: la strada è larga, le casette di legno hanno i tetti spioventi e più piani, le finestre hanno le imposte e le porte sono rialzate dal suolo. Il terreno è battuto, leggermente secco, e si possono vedere i segni delle ruote dei carretti. Il cielo è ancora rosato, mentre il sole, invisibile dietro le abitazioni, sorge. Felce chiude gli occhi e si riempie i polmoni dell’aria frizzante di metà primavera. Sente la vita, gli animali correre, le piante crescere, i fiori germogliare e sbocciare, il bosco chiamarla. È una tentazione a cui è difficile resistere, ma Felce stringe le labbra e spalanca gli occhi sul suo villaggio. Sorride, pensando che è un nuovo splendido giorno ricco di vitalità e comincia a svolgere i suoi compiti.
Per prima cosa, va ad assistere Rebecca, la signora più anziana del villaggio, che aveva già cinquant’anni quando Felce è arrivata. Sebbene la veneranda età e i numerosi nipotini, la signora continua la sua solita vita: va al mercato, si prepara da mangiare, rammenda i vestiti e dispensa utili e saggi consigli a tutti i compaesani che le chiedono aiuto. Felce raggiunge la casa dell’anziana in un quarto d’ora di camminata. Sale i soliti tre gradini e bussa alla porta scura. Aspetta qualche minuto, poi l’uscio si socchiude e si intravvede il volto della padrona di casa. La ragazza non ha il tempo di salutarla né di dire niente, che la donna ha già chiuso la porta, rimosso la catena e riaperto l’uscio. Le lascia lo spazio per entrare e Felce si accomoda in casa. Come tutti i giorni si dirige in cucina e appoggia la propria cesta sul tavolo, prende da essa il proprio grembiule e lo indossa.
- Cosa cuciniamo oggi, Rebecca?- Chiede con un sorriso radioso. La donna stringe le labbra in una linea dura, di quelle che di solito preannunciano una lunga e severa sgridata e alte urla. Poi il suo volto si rilassa, gli occhi piccoli e neri si colmano di bontà e sorride. Le infinite rughe di saggezza, che le corrono lungo il viso, si distendono mentre le si avvicina con passo spedito.
- Pensavo di fare dei biscotti all’anice. Ne ho conservato un po’ dal raccolto dell’anno scorso. Spero che me ne porterai un po’ anche quest’anno.- Dice strofinando tra di loro i palmi delle mani rugose. Gira per la cucina con sicurezza, aprendo armadietti, prendendo vasetti, scegliendo le posate, chiudendo i cassetti. Appoggia tutto con cura e attenzione sul tavolo, già nell’ordine in cui li utilizzerà. Felce la osserva catturando ogni dettaglio, senza perdere nemmeno una sfumatura di movimento. La luce che entra dalla finestra alla sua destra illumina delicatamente il tavolo di noce; la porta chiusa di fronte a lei conduce al resto della casa, quella piccola alle sue spalle si apre sull’orto e ha una finestrella rotonda, da cui entrano i raggi delicati che le accarezzano le spalle. La parete destra è coperta di scaffali e credenze. Felce può leggere i titoli di una dozzina di libri di cucina, tutti vergati con una scrittura delicata e curata. Non ha mai visto così tanti libri tutti in una stanza e, ogni volta che cucina con l’anziana Rebecca, si perde qualche minuto ad ammirarli, chiedendosi cosa ci sia scritto su quelle pagine.
- Ragazza, mi stai ascoltando?- La voce leggermente seccata dell’anziana donna richiama la sua attenzione. Annuisce immediatamente e si mette subito all’opera. Osserva attentamente le mani rugose di Rebecca misurare con precisione gli ingredienti, versarli nella propria ciotola, quasi accompagnandoli delicatamente nel loro viaggio con un leggero movimento delle dita, prima di passarli a lei. Felce imita ogni gesto al meglio delle sue possibilità, sforzandosi di ricordare ogni parola crepitante e morbida che esce dalle labbra secche dell’anziana donna. Accoglie con insaziabilità ogni consiglio, ogni critica, ogni correzione, ogni raccomandazione. Sa che quello che sta imparando è qualcosa di più dell’imparare a cucinare, sa che c’è qualcosa di più prezioso oltre alle parole e ai gesti dell’anziana Rebecca dai capelli neri raccolti in una crocchia. Sa che è importante, ma non sa ancora che è un’intera vita colma di esperienze, ricca di colori, intessuta a gioie e dolori, avvolta in antica saggezza e cultura, curata da dolcezza e gentilezza e disciplinata da gesti decisi e veloci, perfettamente controllati grazie ad anni di pratica. È così che passano le prime ore di quella giornata, mentre il sole sempre più luminoso scala il cielo sempre più chiaro, illuminando la cucina con gentilezza, risvegliando i fiori, l’erba, gli arbusti, le piante, il mondo e avvolgendolo, ancora una volta, nel suo abbraccio caldo di affetto. E così le prime ore trascorrono, l’impasto si forma, l’anice viene amalgamato in esso, i biscotti assumono la loro forma piatta e rotonda sotto le dita attente e sapienti delle due donne. La teglia entra nel piccolo forno, uno dei pochi del villaggio, il fuoco costante cuoce delicatamente i dolci, fino a renderli fuori croccanti e dentro morbidi, la cucina si riempie dell’odore di anice. La donna prende due biscotti, uno dei suoi e uno fatto dalla ragazza, li spezza entrambi a metà e li assaggia.
- Provali.- Dice e la ragazza la imita subito. Sente il tepore diffondersi nel suo corpo, l’anice accarezzarle la lingua, il biscotto donarle dolcezza. La donna continua a masticare il primo assaggio che ha dato al biscotto della giovane. Ne coglie ogni sfumatura, lo deglutisce e sente che effetto le fa. Le sue labbra si stringono nuovamente in una linea dura, le rughe del suo viso si accentuano. Felce non si aspetta alcun complimento, non ne ha mai ricevuti e sa che non è per cattiveria, ma perché la sua tecnica non è ancora perfetta, la sua conoscenza non ancora totale. L’anziana Rebecca si volta, dandole le spalle. Tiene ancora fra le dita il biscotto della ragazza, mentre si avvicina al forno, lo sfiora con la mano libera, poi gira attorno al tavolo e accosta una sedia alla credenza. Dà un altro morso al biscotto e sale su di essa. Non è alta, anzi, è fra le persone più basse del villaggio, complice sicuramente l’anzianità. Felce rimane immobile, osserva la donna e sa che deve stare esattamente dov’è e non muoversi. La donna allunga le braccia scure e le sue dita sfiorano i libri ben riposti sullo scaffale più alto. Ne afferra uno e lo appoggia sul ripiano della credenza, poi ne prende un altro e lo posa delicatamente sul primo, agguanta il terzo e lo ripone sui primi due. Continua così finché tutti e tredici i libri sono sulla credenza. Felce non ha idea di cosa stia accadendo, ma sa che è qualcosa di speciale di cui dovrà serbare memoria e conservarla gelosamente. La donna rimette la sedia a posto e dà il terzo morso al mezzo biscotto della ragazza. Poi le fa cenno con una mano di avvicinarsi. Felce ubbidisce e si ritrova accanto all’anziana donna a fissare la calligrafia delicata e arzigogolata dei libri.
- Questi ricettari racchiudono tutte le ricette del nostro villaggio, da quelle della zuppa a quelle della carne, da quelle della colazione ai dolci. Qui è stata raccolta negli anni la nostra memoria. È passata di mano in mano, di donna in donna, di abitante in abitante, fino a giungere nelle mie mani. E ora nelle tue. Ti ho già insegnato tutto quello che è scritto qui dentro. Ora devi solo imparare a riconoscerlo.- Dice la donna, afferrandole una mano e stringendola in una stretta forte ma gentile. Felce la guarda con occhi nuovi, quasi non capendo il senso delle parole dell’anziana donna che le sta sorridendo dolcemente.
La ragazza balbetta domande inconcluse, non riesce a dare forma ai propri dubbi, non riesce a capire la portata di quello che sta succedendo, sebbene senta che sia enorme.
- I biscotti che hai fatto oggi mi ricordano quelli di colei che mi ha insegnato a cucinare. Eppure sono completamente diversi da quelli di lei. Sono speciali, unici. Quindi, ora è finalmente giunto il momento di passarti le memorie del nostro villaggio.- Le spiega la donna, che mangia l’ultimo pezzo di biscotto, chiude gli occhi e sorride estasiata. Schiusi i piccoli occhi neri colmi di affetto, allunga una delle sue mani rugose e accarezza la guancia della ragazza. Felce rimane immobile per tutto il tempo e solo quando la mano torna lungo il fianco della donna, riesce finalmente ad aprire bocca e a parlare.
- Grazie.- È una sola piccola e breve parola, appena sussurrata, ma contiene tutto un mondo dentro che l’anziana Rebecca coglie e sente e, per un attimo, diventa suo e fa compagnia a quel cuore che ha battuto a lungo e ha conosciuto molto.
- Aiutami a sistemare la cucina, prima di dare un’occhiata all’orto.- Dice la donna, rimettendosi al lavoro e la ragazza la raggiunge subito. In pochi minuti hanno già lavato e asciugato gli utensili, la teglia si raffredda ad una estremità dal tavolo, mentre i biscotti diffondono il proprio profumo in tutta la cucina. I barattoli tornano ai propri posti, il grembiule di Rebecca viene appeso al gancio accanto alla porta, quello di Felce torna nella cesta. Poi, entrambe le donne escono dalla porta sul retro e controllano l’orto. Nonostante l’età, i ruoli si invertono: Felce osserva con attenzione ogni foglia, ogni gambo, ogni petalo, ogni germoglio, ogni insetto, con attenta cura e Rebecca la insegue, osservandola. Prova a capire cosa veda la ragazza dai capelli verdi ma, come tutti al villaggio, non riesce a capirlo. Sa solo che è una dote di Felce, connaturata al suo animo e che rimarrà con lei per sempre. Appena la giovane finisce l’ispezione, dopo aver tolto alcune foglie con delicatezza, spostato alcuni insetti e invitato altri ad andarsene, sembra rendersi conto che l’anziana donna l’abbia seguita e osservata per tutto il tempo.
- Stanno tutte bene e cresceranno alla perfezione. Non c’è niente di cui preoccuparsi.- La rassicura e rientra in casa con la donna al seguito. La cucina è invasa di luce, sebbene il sole non abbia ancora raggiunto lo zenit e Rebecca congeda in anticipo la giovane. Quest’ultima rimane un attimo perplessa, mentre appoggia delicatamente i ricettari nella propria cesta ed esce in strada, ma ogni sua obbiezione viene messa a tacere nel momento in cui la mano rugosa della donna le accarezza di nuovo la guancia, prima di chiudere la porta di casa. Felce sente i passi della donna allontanarsi e dirigersi in soggiorno, dove Rebecca si siede sul divano e si mette a ricamare. Felce non si accorge di star piangendo, finché le lacrime non le rigano le guance. Si asciuga gli occhi velocemente con il dorso della mano, mentre il battito del cuore dell’anziana Rebecca suona ancora nelle sue orecchie. Lo sente ancora battere gli ultimi giorni della sua vita.
Felce svolge le solite commissioni della giornata, saluta le donne che incontra, raccomanda ai bambini di stare attenti, si ferma a controllare gli orti e dà consigli su come prendersi cura dei fiori. Accetta i piccoli regali che le offrono. Sono quasi sempre qualche cosa da mangiare, o materiale da costruzione o pezzi di stoffa.
Infine giunge ai campi coltivati del villaggio ed è lì che, mentre il sole raggiunge il punto più alto di quella giornata, Felce lavora davvero. Osserva tutto, controlla, analizza, sposta, toglie, aggiunge, annaffia, scava, copre, talvolta sembra persino parlare silenziosamente con gli insetti e gli animali che girano per i campi. Sembra capire persino le stesse piante in un modo che ha qualcosa di straordinario. Tutti la osservano perplessi e curiosi, in parte quasi timorosi da ciò che quella ragazza dai capelli verdi sa fare. Nessuno parla, nessuno dice niente, tutti consapevoli che, dopo anni di ottimi raccolti nonostante alcune giornate dal tempo disastroso, Felce li stia davvero aiutando, senza nemmeno chiedere nulla in cambio. Mentre è immersa nelle spighe di grano, la treccia verde che dondola mentre lei si china ad osservare uno stelo, gli occhi che scintillano come smeraldi preziosi, per un attimo sembra una dea delle messi che accudisce le sue care creature, come una madre cura i propri figli. Il villaggio non ha idea se quella ragazza sia davvero completamente umana e, quando la vede immersa nel suo ambiente, non può non credere che sia davvero un dono sacro, una guardiana dei raccolti, leggendaria, unica e temuta come il mostro della foresta, sebbene molto più ben accetta.
Felce finisce il suo lavoro qualche ora prima del tramonto. Rassicura coloro che si occupano del raccolto e rifiuta i ringraziamenti che le vengono offerti. Riesce a farli desistere, chiedendo parte del raccolto quando sarà pronto. Poi si incammina per la sua strada e fugge via. Raggiunge la sua solita nicchia, il suo rifugio sicuro e segreto da cui può osservare la foresta da più vicino e ancora resistere al suo richiamo incantato. Appoggia la cesta al proprio fianco e ne estrae una pietra grande quanto il suo pugno. È a forma di goccia, ha mille sfaccettature e sotto al sole brilla di infinite sfumature di verde. Suo padre le ha spiegato dettagliatamente cos’è e come funziona e lei la osserva ogni giorno, la porta con sé, come una fedele compagna sempre disposta a rassicurarla. La sfiora e guarda la foresta dinnanzi a sé. Il desiderio di avvicinarsi ed oltrepassare le prime file di alberi è così bruciante nel suo corpo da essere quasi doloroso.
Sa di non poterlo fare, eppure il richiamo, percepibile solo dalle sue orecchie, è così forte da tentarla. Sfiora ancora la pietra a forma di goccia e, sotto le sue dita, la sente scaldarsi. Abbassa lo sguardo su di essa e vede delle immagini sgranate in bianco, nero e grigio. Intravvede uno spaccato di cielo, uno spruzzo di erba, fronde rigogliose e tronchi maestosi. Poi l’immagine si stabilizza e Felce riesce a distinguere i particolari di un grande occhio dalla pupilla verticale e le infinite scaglie che lo circondano. La ragazza sorride e mentalmente chiede che le immagini siano a colori. Come se la pietra la sentisse, l’occhio si tinge di giallo pulcino e le scaglie tutto attorno prendono la loro solita tonalità verde scura. Il sorriso della ragazza si apre ulteriormente, luminoso alla vista delle meravigliose scaglie che la pietra le mostra. Vorrebbe parlare alla proprietaria di quell’occhio incantevole e dopo un paio di secondi può già sentirne la voce.
- Tesoro, mi senti?- La voce è dolce e musicale, piena d’affetto materno.
- Sì, mamma. Da voi va tutto bene?- Chiede la figlia.
- Sì. I ragazzi stanno scalando maldestramente un albero e chiedono sempre di te. Tuo padre si sta prendendo cura di te come deve?- La voce della donna è molto apprensiva riguardo tale domanda.
- Sì. Davvero, non c’è bisogno che continui a preoccuparti. Al villaggio va tutto bene, in casa non ho problemi. Forse non tutti mi adorano, ma è normale.- L’occhio giallo pulcino si socchiude, la pupilla si restringe.
- Mamma…- Prova la figlia a tranquillizzarla. L’occhio perde la propria aria minacciosa ma la voce sbotta comunque in un acuto:- Dovrebbe proteggerti di più.- Felce alza gli occhi al cielo e sospira.
- Mamma… è lo stesso discorso ogni volta.- Esclama stancamente per l’ennesima volta. Ogni volta che si vedono mediante la pietra, la scaglia lasciatale alla nascita dalla madre, si ripetono sempre gli stessi saluti e si calmano sempre gli stessi timori. Solo dopo si chiacchiera su come si è passata la giornata. Felce vorrebbe davvero saltare buona parte delle prime battute e passare direttamente a curiosare nella vita della madre.
- Il tuo fratellastro non è lì con te?- Chiede la voce con curiosità. La ragazza scuote la testa in segno di diniego.
- Non sono a casa. Sono vicina alla foresta.- La ragazza alza la scaglia per mostrare alla madre lo spettacolo che ha dinnanzi agli occhi. Appena torna a guardare la pietra, nota che l’occhio è leggermente diverso e sa che la madre sta sorridendo.
- È magnifica. Ci sei mai entrata?- Chiede la voce e l’occhio cambia di nuovo in maniera impercettibile. Ha visto il viso della figlia rattristarsi e le si è stretto il cuore.
- Non posso. Si dice che sia abitata da un mostro. Solo i cacciatori ne oltrepassano i confini ma non si inoltrano più di molto.- Le spiega la figlia, forzando un sorriso che finge allegria.
- A proposito!- Esclama poco dopo, mentre il suo volto si accende di vera gioia:- Dennis ha cacciato molti animali ieri! Papà non gli ha fatto nemmeno un complimento ma so che è contento d lui. Sai com’è papà, non è mai troppo espansivo.- Il suono dello sfiorarsi di mille fronde giunge alle orecchie della ragazza che ride a sua volta: le è sempre piaciuta la risata della madre.
- Lo so. Ho dovuto aspettare mesi prima che mi dicesse che provava qualcosa per me. Ama così tanto sua moglie.- Dice la voce dolce di donna e Felce distoglie lo sguardo cupo. Non ha mai capito come comportarsi nei confronti di quella donna. Entrambe sanno di non essere vere parenti, ma c’è una parte della storia che non è mai stata raccontata ad alta voce. Felce lo sa e non sa ancora cosa farsene di tutte quelle parole non dette. Prova a dimenticare, ad ignorarle, ma loro rimangono lì, ferme, silenziose, ma presenti.
- Tesoro, c’è qualcosa che non va?- Chiede la madre preoccupata.
- No.- La figlia scuote la testa e sorride, fingendo al meglio. Accarezza la pietra, come se potesse davvero sfiorare il volto di sua madre.
- Un giorno ti incontrerò?- Chiede la ragazza e la donna ride di nuovo.
- Certo! Non devi mai dubitare di ciò. Quando sarai adulta e abbastanza forte, ti porterò qui e conoscerai tutti i tuoi parenti. Sai, non vedono l’ora di conoscerti ed io continuo a sognare il giorno in cui ti abbraccerò di nuovo.-
- Perché non vieni adesso?- Chiede la ragazza e l’occhio giallo pulcino si spalanca allontanandosi. È un’espressione nuova che la ragazza non ha mai visto sul volto della madre. Non ha il tempo di chiedere cosa c’è che non vada, che sente un ramo spezzarsi. Il viso si volta e Felce può vedere solo le squame verdi sul collo della donna.
- Adevan, Yelis! Cosa vi avevo detto?- Urla la donna, con una voce che sembra più un ruggito:- Filate subito a casa e guai a voi se vi trovo in giro, che vi lamentate o che devo intervenire nelle vostre solite liti!- La risposta dei due figli arriva sommessa alle orecchie di Felce, che può solo immaginarla affermativa e remissiva.
- Appena li incontrerai, capirai quanti guai possano combinare.- Dice la madre sospirando.
- Se sono come Kira e Sean, posso immaginarmelo già.-
- Sono i due gemelli?- Chiede la donna e lei annuisce. Poi si rattrista nuovamente e accarezza delicatamente la superficie della pietra.
- Tesoro, cosa c’è? Oggi continui ad essere triste.- Osserva la donna.
- Ti ricordi l’anziana Rebecca? La donna che mi insegna a cucinare?-
- Sì, tesoro. Le è successo qualcosa?- La ragazza non risponde subito, alza gli occhi e sbatte più volte le palpebre per impedire alle lacrime di rigarle le guance.
- Tesoro?- La chiama nuovamente la madre, preoccupata.
- Credo stia morendo. L’ho sentito dal suo cuore. Ma non è possibile, vero mamma?- Chiede conferma la ragazza anche se sa già che la risposta sarà negativa.
- Mi dispiace così tanto.- Felce può sentire nel tono della madre quanto lei voglia abbracciarla e, in quel momento, desidera ancora di più averla lì accanto almeno per qualche minuto.
- Mi dispiace davvero tanto.- Ripete la voce dolce della donna, come una nenia che possa lenire il dolore della figlia. La ragazza annuisce e si strofina gli occhi umidi.
- Che cosa devo fare?- La madre non risponde subito, mentre la sua iride si restringe fino a diventare un sottile anello giallo pulcino. Sembra quasi luccicare nella pietra, come se il mare nero che contiene esaltasse il suo colore particolare.
- Niente, tesoro. Non c’è niente che tu possa fare. Potresti, forse, parlarne con tuo padre; lui capirebbe. Ma non puoi fare nient’altro.- Risponde infine la madre, la voce dolce colma di mestizia. La ragazza si riprende dopo poco e scrolla la testa. Osserva la foresta che si stende qualche metro dinnanzi a lei, le sue fronde verdeggianti e rigogliose, i tronchi via via più scuri, il sole che tinge ogni foglia di una sfumatura di verde diverso. È così magnifico e sente di nuovo il richiamo farsi prepotente.
- Se ci vuoi andare, vai. Sei una discendente dei Draghi Silvani, nessuno ti può impedire di tornare al luogo che ti ricorda maggiormente casa.- Le dice la madre, dandole il suo muto permesso. La figlia posa gli occhi verdi sull’immagine mostrata dalla scaglia, poi li riporta sulla foresta.
- Tesoro, io devo andare, adesso. Ci vediamo domani?- Chiede la donna e la figlia annuisce regalandole un ultimo sorriso. L’audio svanisce, le immagini tornano in bianco, grigio e nero, si fanno frammentate, confuse. Infine la scaglia torna verde. Felce la ripone nella propria cesta e si mette comoda per ammirare la sua tentazione.
Un rumore improvviso la mette in allerta e gli uccelli, che fuggono agitati dalle fronde degli alberi, le fanno acuire maggiormente i sensi. Non vede niente di nuovo, ma c’è un silenzio particolare che sa di sbagliato. Felce scatta in piedi senza nemmeno rendersene conto e si avvicina di qualche passo alla foresta. Non si accorge nemmeno di aver sfilato le scarpe e del dolce solletico che l’erba rigogliosa le fa alla pianta dei piedi. Un suono irriconoscibile e inudibile raggiunge le sue orecchie e la mette ulteriormente all’erta. Non sa cosa sta succedendo ma sa che non è niente di buono. La cesta e le scarpe sono abbandonate nella nicchia segreta di Felce e guardano la loro proprietaria giungere al limitare della foresta, sfiorare uno dei tronchi e oltrepassare le prime file di alberi, svanendo oltre di essi.

- Che cosa succede?- Grida una voce maschile, mentre il suo proprietario si guarda attorno preoccupato. Sente i peli e i capelli rizzarsi sulla sua cute per la paura, eppure l’unica cosa a cui riesce a pensare è dove sia e come stia suo figlio. Non gli giunge risposta e il suo cuore inizia a battere con più forza.
- Dennis!- Chiama con tutto il fiato che ha in gola. Sente un nuovo assordante tonfo provenire da qualche parte alla sua destra. Prova a guardare in quella direzione, ma non riesce a scorgere nulla. I rami sono intricati, i tronchi si protendono verso l’alto lasciando solo stretti passaggi, le fronde sono rigogliose e lasciano passare solo sporadici raggi di sole. L’uomo non riceve nuovamente risposta e inizia a maledire l’idea di spingersi un po’ più all’interno del bosco. Sapeva che avrebbe dovuto opporsi, ma tutti sembravano così sicuri che non ci fosse pericolo e che, nel caso ci fosse stato, sarebbero comunque stati abbastanza vicini al margine da scappare in tempo per non essere feriti.
- Dennis!- Chiama di nuovo e spera che stia bene. Un altro tonfo assordante, questa volta molto più vicino a lui, fa tremare il suolo e lo fa cadere. Perde la presa sul piccolo pugnale che tiene in mano, ma non ci pensa e si rifugia ai piedi dell’albero più vicino, pregando che non gli cada addosso. Può sentire il cuore galoppargli in petto a una velocità che riteneva impossibile, mentre si rannicchia e si copre le orecchie, nell’attesa che il terreno smetta di tremare. Non può permettersi di aspettare tanto, che l’odore di fumo inizia ad avvicinarsi. L’uomo scatta in piedi, sebbene il suolo tremi ancora sotto di lui e corre verso casa, nella direzione opposta a quella da dove sta arrivando un fumo denso e nero, oltre il quale non si può vedere alcun ché.

Dennis cade a terra all’ennesimo boato che scuote la foresta. Gli fischiano le orecchie, si è scorticato i palmi delle mani e gli fa male il mento, dopo l’urto disastroso che ha avuto con il terreno. Prova a rialzarsi, ma perde nuovamente l’equilibrio e rotola a terra.
- Papà!- Chiama ma non sente la propria voce. Si immobilizza nella posizione fatale in cui è, con gli occhi spalancati dal terrore. Chiama di nuovo il padre usando tutta l’aria che ha nei polmoni, ma di nuovo non sente nient’altro oltre alla vibrazione della cassa toracica, della gola e del cranio. Le orecchie continuano a fischiare. Sente il proprio battito cardiaco correre impazzito e il respiro farsi affannoso per l’agghiacciante terrore che gli morde le membra. Si obbliga a mantenere la calma, senza riuscirci completamente, mentre sente il proprio respiro diventare sempre più veloce e isterico. I suoi polmoni si muovono troppo rapidamente, la bocca aperta sembra incapace di incamerare abbastanza aria. Dennis è bloccato a terra, incapace di reagire, sebbene una piccola voce nella sua testa gli dica di alzarsi e di non arrendersi all’attacco di panico di cui è vittima. Dennis prova ad ascoltare l’unica cosa sensata che potrebbe salvarlo da quella situazione incomprensibile, ma il respiro è troppo rapido, l’aria non basta e la paura lo tiene bloccato a terra in posizione fetale, le gambe piegate contro il petto e le mani schiacciate sui timpani. Prova ad urlare, il giovane uomo, ma non ha abbastanza aria nei polmoni e la sua voce è ridotta a un sussurro. Fa un altro tentativo ma non ha davvero più voce e si ferma. Rimane immobile a respirare affannosamente, mentre le orecchie continuano a fischiargli. Quando inizia a sentire l’odore di fumo e a vedere una densa cortina nera avvicinarsi, sa che dovrebbe scappare, ma il suo corpo non gli risponde mentre il panico aumenta. Dennis sa benissimo di non avere speranze di uscire vivo da lì.

Il terreno trema nella foresta ma, dopo qualche tentennamento, Felce riesce a camminare tranquillamente sul suolo insicuro. Si sente a casa, mentre osserva ogni singola foglia, venatura, fiore, ramo e riconosce istintivamente ogni specie. Per un attimo pensa che potrebbe perfino parlare con loro, poi sorride e accantona il pensiero. Si addentra nella foresta senza alcuna esitazione, si arrampica su una pianta senza alcuna difficoltà, come se non avesse fatto altro per anni. Passa di fronda in fronda, scivola giù dai tronchi, scivola nei passaggi stretti senza inghippo, dirigendosi sempre più nel folto della foresta. Le fronde sono via via più folte e rigogliose, intrecciate le une alle altre fino a diventare un unico cielo di foglie verdeggianti. Sono rari i raggi che riescono ad attraversare quella volta, eppure Felce non ha alcun dubbio su dove andare, su dove mettere i piedi o su quale ramo appartenga a quale albero. È tutto estremamente chiaro per lei, come se frequentasse quella foresta da quando è nata. Si inoltra sempre più nel fitto del luogo e man mano le fronde diventano più folte, la luce solare svanisce, gli alberi si ricoprono di muschio, lo spazio in cui passare è sempre più stretto, i tronchi sono sempre più annodati, il terreno trema sempre più forte. Un rumore cupo esplode lontano dalla ragazza, che si rannicchia ai piedi di un albero. Migliaia di uccelli terrorizzati volano via e, appena il suono si dissolve nell’aria, Felce scatta in piedi e corre. È come se potesse sentire la paura della foresta e l’origine di essa. Per questo sfreccia a perdifiato, evitando qualsiasi ostacolo, per spingersi là dove ha origine tutto.
Felce sa di essere vicina alla meta, quando una voce ferma la sua corsa. Quello che lei sente è solo un sussurro lontano, ma le sue orecchie si sono già tese a coglierlo. È una voce familiare e la ragazza non ha il tempo di pensare, che già i suoi piedi la portano a quel suono, lontano dal centro della foresta, sempre più vicino al villaggio. Ruzzola quasi a terra per lo slancio, quando salta oltre un tronco caduto e si ritrova avvolta da del denso fumo nero. Gli occhi iniziano a lacrimarle e il respiro le si mozza in gola, sebbene lei stia cercando di obbligarsi a respirare. Striscia, cerca a tentoni il tronco di un albero e si issa su di esso, fino a raggiungere la fronda. Scosta le foglie e sbuca all’aria aperta, fresca; il sole chiaro le illumina il volto, i suoi capelli sembrano parte della fronda da cui è emersa. Felce sa che il fumo ben presto salirà, privandola di qualsiasi aria respirabile, (è una delle prime cose che l’anziana Rebecca le ha insegnato), eppure c’è qualcosa che la spinge a rimanere lassù. Abbassa lo sguardo dal cielo sereno con piccole nuvole di ovatta e dal sole splendente e, per la prima volta, rimane davvero senza fiato. Ciò che si stende ai suoi piedi, è un prato infinito di tutte le tonalità di verde, che si innalza e si abbassa in dolci colline, avvallamenti e pianure, brilla sotto ai raggi del sole e si muove dolcemente sotto la brezza primaverile. La contemplazione di quel gioiello della natura si interrompe appena le orecchie della ragazza colgono di nuovo il sussurro incomprensibile. Salta, Felce, e scivola agilmente di fronda in fronda mentre, sotto di sé, il fumo gareggia per riempire completamente tutta la foresta ed avvolgere fra le sue spire la ragazza, appena ella scenderà. Ciò che il fumo non sa è che la ragazza non è come tutti gli altri umani già divenute sue vittime. Lei è diversa e in poco tempo, raggiunge il luogo da dove proviene il suono di un battito impazzito e un respiro affannoso, intervallato raramente da piccoli sussurri di richieste d’aiuto. Felce prende una boccata d’aria fresca e scende nella foresta. Il fumo non è ancora molto denso in quel punto ma limita fortemente la sua visuale. Guidata dall’udito, la ragazza si china ai piedi di un albero e riconosce, ancor prima di vederne la figura, la persona rannicchiata in posizione fetale.
- Dennis! Sono io, Felce. Dobbiamo andare, alzati!- Gli dice, respirando l’aria malsana. Capisce che c’è qualcosa che non va quando il respiro e il battito cardiaco dell’altro non si acquietano e il fratello non accenna a muoversi.
- Dennis!- Lo chiama nuovamente lei e, delicatamente, gli afferra le spalle per aiutarlo ad alzarsi. Un suono acuto e ferito sfugge dalle labbra del ragazzo, quasi il tocco della sorella gli avesse fatto male. Lei si ferma e tossisce, mentre si obbliga a respirare l’aria densa di fumo.
- Dennis, dobbiamo andare. Ora ti metto in piedi e ti porto via. Tu muovi le gambe e lasciati guidare.- Aspetta qualche secondo, per essere sicura che l’altro abbia capito, poi lo obbliga ad alzarsi e lo conduce verso l’uscita più vicina del bosco. Dennis si stringe a lei e si morde le labbra. Il suolo ha smesso di tremare, sebbene il fumo insegua i due fratelli cercando di ghermirli. Non riesce a catturarli e, quando loro finalmente escono dalla foresta, fanno solo pochi passi prima di cadere a terra stremati dalla stanchezza. Tossiscono entrambi e Dennis stringe un lembo del vestito della sorella come se avesse paura di perderla. Il giovane uomo è ancora spaventato dal caos a cui è appena sopravvissuto e sa solo di voler stare immobile per un po’ a respirare finché non si sarà completamente calmato. Aver smesso di tossire gli facilita notevolmente il compito, eppure sente ancora la tosse della sorella che sembra incapace di fermarsi. Dennis si volta immediatamente a guardarla e trova Felce seduta, una mano conficcata nell’erba verde, l’altra premuta contro il petto, il corpo sconquassato dai colpi di tosse. Il giovane uomo capisce subito che non c’è niente di normale nella reazione della sorella. Si mette a sedere e accarezza delicatamente la schiena curva e scossa dalla tosse di Felce.
- Calma. Va tutto bene, respira.- Sussurra con voce incerta. Una mano tremante slaccia la fiaschetta che ha al fianco non senza qualche difficoltà e la porge alla sorella.
- Bevi, ti aiuterà.- Le dice, ricordando qualche consiglio confuso del padre. La sorella non sembra capace di afferrare la fiaschetta, allora lui la stappa e l’accosta alle labbra della sorella aiutandola a bere lentamente.
- Piano, piano.- Ripete, mentre con la mano libera le carezza le spalle. Lei scosta il viso dalla fiaschetta e ricomincia a tossire, sebbene meno convulsamente di prima. Dopo qualche altro sorso d’acqua, finalmente la tosse si placa, sebbene la gola della ragazza dolga ancora e il respiro di lei sia ancora un po’ veloce. Dennis continua ad accarezzarle la schiena e non smette nemmeno quando sa che stanno entrambi bene.
- Papà dov’è?- Chiede Felce e sente che il battito del fratello ricomincia a correre.
- Non lo so. Ci siamo persi di vista dopo il primo scoppio. Potrebbe essere già uscito o potrebbe essere ancora là dentro. Con il mostro.- Risponde il fratello. Si mette in piedi e si pulisce le mani sudate e sporche di fumo nei pantaloni.
- Tu torna a casa, io vado a cercarlo.- Aggiunge ma la sorella gli serra un polso con le sue dita lunghe e forti.
- No. Non sai nemmeno dove cercarlo. Prima dobbiamo capire dove sia.- Lo contraddice la ragazza che infila immediatamente una mano in tasca per prendere la propria scaglia. Che non è lì. Felce sbianca e sente la paura correrle nelle vene, sostituendosi al suo sangue. Quella non è esattamente una buona notizia. Felce inizia a ripensare dove possa aver lasciato o perso la scaglia di sua madre, da cui non si separa mai. Poi le sovviene che l’ha riposta nella cesta prima di entrare nella foresta.
- Perché sei a piedi nudi?- Le chiede intanto il fratello che la sta osservando con meticolosa attenzione. Lei si dà un’occhiata veloce e sa già che sua madre la sgriderà per essere completamente coperta di fuliggine. Poi, forse, dopo essersi presa un infarto sapendo che la figlia è entrata nel bosco da sola, la rimprovererà anche per aver camminato scalza.
- Sono più veloce a piedi nudi. Ho lasciato la mia scaglia poco lontano da qui. Se mi aspetti, vado a prenderla e torno.- Lei lo lascia andare, ma le dita di lui si serrano intorno al polso di lei, ribaltando la situazione.
- Promettimi che non entrerai nel bosco da sola.- Lui la guarda con i suoi occhi neri, fermi e decisi, colmi di preoccupazione e affetto.
- Sì, te lo prometto. Ma non osare nemmeno tu entrare là dentro.- Lo minaccia lei. Lui annuisce e la lascia andare.
- Fai in fretta.- Le raccomanda e lei scatta, veloce come un fulmine, nella pianura erbosa. Dennis ha di nuovo la conferma che la sorella, che tanto ama, non sia del tutto umana.

Felce torna dopo pochi minuti, che a Dennis sono sembrati un’eternità. Arriva, lei, senza alcun affanno, stringendo vittoriosa in una mano la scaglia verde della madre. Sorride orgogliosa e si ferma accanto al fratello, mettendo la pietra tra di loro. Pensa al padre con intensità e lentamente la pietra si scalda e cambia colore. Appaiono parti sgranate e confuse in bianco, nero e grigio. Dopo un paio di secondi, Felce riesce a capire cosa rappresentino. Sono pezzi di bosco, piante, foglie, rami che loro padre vede nella sua corsa fuori dal bosco. C’è anche del fumo in avvicinamento, che di tanto in tanto confonde la visuale dell’uomo. Felce chiede un po’ di suoni e viene subito accontentata. Sente il rumore delle foglie calpestate, il respiro affannoso del padre, i rami che lo colpiscono e un crepitio inquietante.
- Dennis!- Urla l’uomo ed entrambi i figli si guardano allarmati.
- Non riusciremo mai a trovarlo così.- Evidenzia il fratello maggiore. La ragazza stringe la scaglia fra le dita e l’immagine, seguendo il suo volere, svanisce.
- Un essere umano no. Io sì.- Lo contraddice la sorella. Lui le manda un’occhiata ammonitrice e fa per afferrarle nuovamente il braccio e trattenerla lì, ma lei scatta all’indietro così velocemente, da diventare sfuocata alla vista del fratello.
- Tu torna a casa e assicurati che stiano tutti bene. Proteggili da qualsiasi cosa possa succedere. Io mi occuperò di papà. Lo riporterò a casa sano e salvo e staremo tutti quanti bene. Non mi succederà niente, te lo prometto.- Gli occhi verdi della sorella sono decisi e irremovibili. Dennis si arrende, consapevole che lottare con lei in quel momento sarebbe solo uno spreco di tempo e di energie senza, tra l’altro, cambiare la scelta di lei. Così sospira sconfitto e le si avvicina. Le posa le mani sulle spalle e la osserva attentamente, come a volersi imprimere nella mente ogni più piccolo particolare di quel volto scuro, pur sempre più chiaro del suo, gli occhi puri, il naso dritto e sottile con la punta all’insù, le labbra morbide a forma di cuore, i lineamenti fini, i capelli color fronda ancora perfettamente acconciati nella treccia. Abbraccia di slancio la sorellina e ne inspira il profumo di erba e fiori estivi.
- Devi tornare a casa. Non pensare nemmeno per un secondo di non farcela.- La sua voce è decisa e non ammette altri scenari. Dennis la lascia andare e le dà un bacio sulla fronte come protezione.
- Corri. E riportaci papà.- Aggiunge. Lei annuisce e sorride, poi si volta verso il bosco e, mentre il fratello corre verso casa, la ragazza si inoltra nuovamente nel bosco pieno di fumo.

Corre a perdifiato nella foresta, senza sapere esattamente dove andare. Il fumo denso e nero lo insegue come se avesse vita propria e avesse deciso che lui sarà la sua preda e non lo lascerà mai andare.
- Dennis!- Chiama ancora l’uomo, senza più sapere se aspettarsi una risposta o meno. Entrambe le prospettive appaiono egualmente terrificanti nella sua mente. Se troverà suo figlio, gli sarà quasi impossibile portarlo fuori dalla foresta al sicuro; se non lo troverà, non saprà se sarà sopravvissuto o meno, fino a sera. Se solo l’uomo potesse sapere che suo figlio sta bene, riuscirebbe a non essere così tanto spaventato in quella maledetta foresta.
L’uomo continua a correre, ansimando, chiamando il figlio, ignorando le radici che lo fanno inciampare e i rami che gli frustano viso, braccia, gambe e petto. Sa di essersi perso, ma smettere di correre gli sembra comunque una pessima idea, visto che il fumo nero e denso continua a diffondersi. Almeno la terra ha smesso di tremare e i boati assordanti non si sentono più. Poi all’improvviso, qualcosa cade dalle fronde e lo afferra per il collo della maglia. Si blocca, quasi strozzandosi e si volta per liberarsi di chiunque l’abbia fermato. Colpisce senza nemmeno provare a capire chi l’ha afferrato.
- No papà!- Urla una voce femminile, scansandosi di quei pochi centimetri, per evitare la lama che punta alla sua spalla. L’uomo devia leggermente il colpo per non ferire la figlia e la guarda con occhi increduli.
- Cosa ci fai qui?- Chiede e le afferra un braccio provando a trascinarla nella sua fuga.
- Sono venuta a salvarti. Ho già portato via Dennis, ora tocca a te. Seguimi.- Risponde lei e afferra a sua volta il polso del padre.
- Non dovresti essere qui.-
- Ti dispiace se ne riparliamo dopo?- Chiede la ragazza, cercando di condurre il padre verso un albero che lui possa scalare.
- Come hai fatto a trovarmi?- Il padre la insegue attentamente, cercando di mettere i piedi esattamente dove li mette lei.
- Ho usato la scaglia di mamma per vedere dove eri. Poi è stata la foresta a portarmi da te.-
- E ora come torniamo a casa?- Chiede il padre, sbucando dalle fronde accanto alla figlia. Tutto intorno a loro c’è un mare di foglie verdi mosse dalla brezza che si staglia contro il cielo azzurro. Non c’è traccia di fumo nero, né di fuoco. La ragazza trova il fatto strano ma accantona il pensiero, troppo concentrata sul trovare una via sicura e semplice per tornare a casa. Deve tenere conto di suo padre, che pesa più di lei ed è meno agile. Osserva attentamente il bosco e scarta man mano gli alberi su cui non possono passare, i percorsi troppo difficili e quelli troppo lunghi. Trova infine una via, afferra la mano del padre e inizia a percorrere la strada che ha in mente.
- Per di qua.-
La strada si rivela più complicata da percorrere di quando avesse immaginato la ragazza. Sebbene per lei sia estremamente facile saltare da una fronda all’altra, correre leggera sui rami, districarsi tra le foglie senza problemi, suo padre ha molte più difficoltà. Tuttavia, dopo quasi mezz’ora di camminata e senza che il fumo si sia innalzato fino a loro, padre e figlia giungono al margine del bosco e possono finalmente vedere i tetti spioventi di legno delle prime case del villaggio, a pochi metri di distanza. Felce aiuta il padre a scendere dall’albero su cui sono, ma non lo segue. Si volta, invece, indietro a guardare il mare di fronde verdeggianti da cui non sale nemmeno un filo di fumo.
- Tesoro, scendi.- Le ordina il padre con tono dolce ma voce ferma. Lei non risponde subito, continuando ad osservare il bosco.
- Felce, scendi da quest’albero e seguimi a casa.- La voce del padre è più dura questa volta e riesce finalmente a far voltare la figlia. Il padre si immobilizza al suo posto e qualsiasi sentimento stesse provando e qualunque pensiero attraversasse la sua mente svaniscono davanti al volto distante della figlia. Gli occhi verdi brillano eppure sono colmi di una malinconica responsabilità, la treccia di capelli verdi le scende sulla spalla destra incorniciando in parte il viso scuro, uguale a quello della madre. Sua figlia è in piedi, su un albero, e sorge dalla fronda verde da metà polpaccio in su, con naturalezza, come se fosse fatta d’aria e non pesasse sui rami sottili. Una leggera brezza le muove le vesti, ma lei rimane immobile, il suo perfetto equilibrio imperturbato. Ed è quella la prima volta in cui il padre se ne accorge: quella non è la sua adorata figlia, la sua piccola bambina avuta in una notte di passione dopo mesi di strenua e disperata negazione. Quella che ha dinnanzi a sé, la giovane donna che sembra umana anche se non lo è completamente, colei che l’ha trovato grazie a una scaglia di drago, lei non è solo sua figlia. Lei è la figlia di sua madre.
Non ha possibilità di ribattere, lui. Lo capisce appena Felce si volta e il proprio sguardo incontra quello di lei. C’è un mondo a dividerli, qualcosa che non riguarda il tempo passato insieme, le esperienze fatte, la vita al loro villaggio, gli abbracci segreti, il vivere sotto lo stesso tetto. C’è un’esistenza intera a dividerli, un infinito che riguarda il sangue che scorre nelle vene di lei, il colore unico dei suoi capelli, la pelle leggermente più chiara, il legame palpabile che la unisce alla natura, le ore passate a parlare a una scaglia di drago, il richiamo che solo lei può udire invitarla a varcare la soglia della foresta. È la prima volta che l’uomo si accorge di ciò che è veramente colei che chiamava sua figlia, dal giorno in cui la madre di lei gliel’ha consegnata sulla soglia di casa, con le vecchie raccomandazioni e promesse da mantenere.
- Tua madre ti ha dato il permesso?- Chiede l’uomo ed entrambi sanno che non si sta riferendo alla donna che li aspetta a casa, ignara delle vere origini della trovatella che ha adottato da una gitana senza volto. L’uomo conosce già la risposta e un battito di ciglia di Felce conferma la sua idea.
- E allora vai, Flemmare.- Dice l’uomo e sa che sua figlia sta per andarsene e, forse, non tornare mai più. A quelle parole, la giovane si volta e corre via, leggera, sulle fronde degli alberi, diretta al cuore della foresta, dove sente che sono nascoste tutte le risposte.
Corre, Felce, senza mai fermarsi, senza guardare dove mettere i piedi, perfettamente conscia di dove sia ogni ramo, di dove finisca e inizi ogni fronda, di come non calpestare nemmeno un fiore, un petalo o una foglia. Ad ogni passo, Felce sa dove andare, in quale direzione proseguire, come se fossero le stesse piante a indicarle la strada. Giunge al centro della foresta, dopo un tempo indeterminato. Il cielo si è leggermente scurito, il sole è poco più in alto della linea verdeggiante del mare di fronde. Mancano poche ore al tramonto, ma alla ragazza non importa. Sa solo che sotto di sé, del fumo nero avvolge i tronchi degli alberi, colma ogni angolo di spazio presente, impedendo a chiunque di respirare. Scendere in quel buio assoluto e mortifero significa morire; Felce ne è perfettamente consapevole, ma la prospettiva non desta alcuna reazione in lei, come se fosse perfettamente trascurabile. Alza gli occhi verdi al cielo, ne memorizza il colore sfumato, meraviglioso come ogni essere vivente, contempla il mare verdeggiante da cui lei stessa emerge, come creatura eletta dalle fronde a loro vessillo e messaggera. Non ha altra scelta, Felce, e quella che ha dinnanzi a sé è l’unica che vuole abbracciare, senza riserva alcuna. Sente il calore dei raggi del sole sulle spalle, stringe la scaglia verde della madre, sorride e si lascia scivolare giù, nella fronda, tra le foglie, lungo i rami e il tronco dell’albero.











Angolo del Delirio:

Qualcuno mi disse: "Buttati! E' morbido!" Non l'ho fatto, visto che l'atterraggio sarebbe stato su un bel pezzo di cemento.
Allora mi butto qui, ove l'atterragio dovrebbe fare meno male.
Tralasciando le informazioni che non interessano a nessuno, ho una domanda per qualsiasi lettore sia giunto fin qui: che te ne pare? Sei curioso di seguire Felce dentro al bosco, per scoprire che cosa sia il mostro? O pensi che non aprirai mai più questa storia?
Mi rimetto a voi per ogni giudizio.
Grazie per aver letto.
Ciao! 

 
  
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