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Autore: Nat_Matryoshka    09/12/2014    4 recensioni
Per quanto possa averla allontanata, Frigga è pur sempre la donna che lo ha cresciuto. E sarà la sua mancanza a far riflettere Loki sul loro rapporto.
Dal testo;
La sua colpa era stata una sola: come Odino, aveva creduto di poter proteggere meglio il figlio nascondendogli la vera natura… anche se nel suo gesto Thor aveva sempre visto l’amore della donna che lo aveva cresciuto, la convinzione che, Jothun o meno, Loki fosse pur sempre il bambino che aveva accolto al seno quando era ancora un neonato, un orfano piccolo e denutrito. Il suo bambino.
[Loki/Frigga || ambientata durante Thor: The Dark World || bromance!Thorki]
- Quinta classificata e vincitrice del Premio "Angst for everyone" al contest "Brace yourselves: Angst is coming" indetto da Starhunter -
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Frigga, Loki, Thor
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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|| Quinta classificata e vincitrice del Premio "Angst for everyone" al contest “Brace yourselves: angst is coming” indetto da Starhunter sul forum di EFP ||

Disclaimer: il titolo e la citazione iniziale sono ripresi dalla canzone di Passenger, Let Her Go. La citazione “ogni cattivo è un eroe nella sua mente” dovrebbe essere di Tom Hiddleston.
Note dell’autrice:
I. in questa storia Loki assiste al funerale di Frigga, al contrario di quanto avviene nel film, per questo viene avvertito della sua morte prima del funerale.
II. I flashback e i soliloqui sono segnati in corsivo, la narrazione al presente è in stampatello.
III. Sigyn è un personaggio presente nella mitologia e nei fumetti, ma non (ancora?) nel film. Considerate la sua presenza un piccolo Easter Egg per chi la apprezza come personaggio e ama il suo rapporto con Loki.
IV. Era da tanto che avevo in mente di scrivere qualcosa che si concentrasse sul legame tra Loki e Frigga, tra il presente e il passato, e finalmente il contest di Starhunter mi ha dato quell’input che cercavo. Spero che la storia risulti piacevole da leggere e che la mia caratterizzazione di Loki non risulti OOC!
Come sempre, pareri e critiche sono sempre benaccetti. Buona lettura!








And you let her go.





“You see her when you close your eyes,
maybe one day you'll understand why
everything you touch surely dies
.”

[Passenger – Let Her Go]








“Madre, madre! Guarda cosa ho imparato a fare!”
Frigga, Regina di Asgard e moglie del Padre di tutti gli Déi, amava riposare al sole nei giardini della reggia, sia da sola che accompagnata dalle sua dame di compagnia. Circondata dagli alberi e dai fiori, sfiorata appena dai raggi gentili che facevano brillare i suoi capelli, sorrideva e pensava che non sarebbe mai potuto esistere posto migliore di quello per essere Regina: Asgard era stato il suo passato, era il suo presente e sarebbe stato il suo futuro, con ogni probabilità. Una vita di responsabilità da governante, ma anche di gioie sottili e meravigliose, come quella di ascoltare uno dei suoi figli correrle incontro, la vocina così piena di entusiasmo da riempirle il cuore.
“Guardami, madre! Riesco a sdoppiarmi!”
L’incantesimo era rudimentale, ma notevole per la sua età: Loki era riuscito a creare un doppio, un altro bambino dagli occhi verdi che ricambiava il suo sguardo, un guizzo vivace di compiacimento che scomparve quasi subito in un filo di fumo assieme alla sua figura esile. Il figlio sbuffò, indispettito, fino a che Frigga non gli accarezzò la testa con dolcezza, come a volerlo premiare comunque per lo sforzo.
“Sei stato bravissimo, Loki. Hai imparato proprio bene, tra poco potresti addirittura superarmi!”
“Dici davvero, madre? Sto diventando bravo?” era raggiante.
“Bravissimo” confermò lei, sorridendo. “Stai migliorando di giorno in giorno… se continui così, sarai versato con la magia quanto lo è Thor con le armi”terminò con una pausa ad effetto, sicura che Loki la stesse ascoltando. E infatti era tutto orecchie.
Sul viso del figlio ricomparve il sorriso brillante e furbo con cui aveva salutato la madre adottiva. Lasciò che Frigga si abbassasse per stampargli un bacio sui capelli scuri e scappò via di nuovo, allegro come solo un bambino di dieci anni poteva esserlo, incurante delle voci delle ancelle che gli gridavano dietro di non fare chiasso, senza nient’altro nella mente se non la dolcezza della madre e quei complimenti che ancora lo riempivano di orgoglio.
Avrebbe ricordato quella mattina per lungo tempo a venire.


* * *



Cocci. Una sedia rivoltata. Un gruppo di libri rovesciati, sparsi ovunque come cadaveri dopo una battaglia, le pagine strappate e distese in giro per il pavimento.
Fogli stracciati, frammenti di ceramica, brandelli del suo mantello: la stanza ne era piena.
Quanto ancora avrebbe dovuto distruggere prima che il suo dolore si fosse placato, prima che il mostro che gli dilaniava il cuore smettesse di esigere un tributo così alto per le malefatte che lui aveva compiuto?
Il messaggero era arrivato quella mattina, ma Loki non era riuscito a vedere il suo viso prima che iniziasse a parlare: avrebbe capito sicuramente che qualcosa non andava. Stava leggendo un libro com’era sua abitudine, seduto a terra in un angolo della cella che era stata allestita con tanta cura per lui e incurante di qualsiasi cosa che non fossero i personaggi dell’opera che teneva tra le mani, quando l’uomo aveva attirato la sua attenzione spalancando la porta. Il Padre di Tutti gli Déi vorrà parlarmi, aveva pensato tra sé e sé, seccato per quell’interruzione della sua tranquillità… fino a che le parole uscite da quelle labbra non lo avevano colpito con la forza di una martellata, più forte ancora di un colpo di Mjolnir in pieno petto.
“Principe Loki… la Regina Frigga è morta. Il suo funerale si terrà domani, vostro padre vi ha invitato a presenziarlo.”
Loki non aveva detto nulla: non esistevano parole per commentare quanto aveva appena sentito. Cosa avrebbe potuto rispondere a quell’uomo che nemmeno lo conosceva e che sicuramente non provava compassione per lui? Nei suoi occhi vedeva il disagio, forse anche la paura…. tutti sentimenti che gli erano familiari e lo avevano accompagnato per tanto, troppo tempo. Poteva forse aspettarsi qualcosa di diverso?
Traditore, hai lasciato andare le persone sbagliate: qualcuno alla fine ci ha rimesso la pelle. Sei soddisfatto? gli sembrava quasi di sentir sogghignare la sua parte più crudele, quella che si compiaceva nel vedere Asgard che cadeva in ginocchio. La ignorò: congedò l’uomo con un semplice cenno del capo e uno della mano, mostrandogli di aver ricevuto il suo messaggio, per poi voltarsi verso il muro, la mente vuota come la parete che aveva di fronte e altrettanto candida, quasi accecante.
Te ne sei andata anche tu, madre?
Un attimo dopo, la coppa che si trovava sul tavolo a poca distanza da lui era finita a terra in una sinfonia di vetri infranti, seguita dai libri. Aveva rovesciato la sedia, lanciato il libro che stava leggendo, le pagine che svolazzavano e frusciavano come se sussurrassero, offese per il suo comportamento. Aveva continuato a prendere a calci quei frammenti miserabili, tremando, sfogando il suo dolore come se quello fosse l’unico modo per dimenticare, per non trovarsi davanti agli occhi lo sguardo dolce di Frigga o quello severo di suo padre. Si era inginocchiato e aveva gridato, certo di essere solo. Gridato fino a perdere la voce, protetto dalle mura di vetro e pietra e oro della sua prigione, coi capelli in disordine e le mani ferite dai cocci, il sangue che colava in piccole gocce rosso brillante giù per i polsi esili.
Chissà se Frigga, dovunque si trovasse, poteva sentirlo: le sembrava di vederla davanti a sé, seria ma dolce come quando lo rimproverava, la tristezza che le illuminava gli occhi. Sua madre non aveva mai voluto vederlo soffrire, eppure non era lì per aiutarlo. Come tutti gli altri.

* * *



Ancora non sapeva chi, o che cosa, gli avesse dato la forza per assistere a quella cerimonia.
Il grande ingresso al palazzo di Odino – casa sua, si era sorpreso a pensare per una frazione di secondo, prima che la mente scacciasse quell’idea – era buia ma gremita di persone, asgardiani e non, che fissavano lo sguardo davanti a loro, solenni. Le guardie di suo padre indossavano le loro armature migliori, le ancelle della Regina erano parate a lutto, cupe, qualcuna si asciugava il viso coperto di lacrime. Perfino il Padre degli Déi, sempre distante e imperturbabile, appariva turbato, lo sguardo velato da un dolore più grande di lui. La mancanza della Regina si faceva sentire… e avrebbe continuato così per anni, per secoli. Forse per l’eternità.
Lo avevano scortato fuori dalla prigione ancora ammanettato per condurlo tra i membri della corte, accanto a Thor e a Odino, entrambi troppo prostrati dal dolore per riservargli parole fredde di risentimento. Neppure Lady Sif lo aveva degnato di un’occhiata: in piedi non lontana da lui, teneva lo sguardo fisso verso la barca che trasportava le spoglie della donna che aveva considerato una sorta di seconda madre per tanto tempo, troppo per poterne fare una stima precisa. Una guerriera come lei non piangeva mai, ma le lacrime che gli aveva visto scivolare giù dagli occhi di ghiaccio dovevano essere un’eccezione dedicata solo a quel momento, una specie di omaggio riservato alla Regina.
E lui, perché non piangeva come gli altri? Come avrebbe fatto a liberarsi di quel blocco gelido che gli stringeva il cuore, bloccato tra la gola e i polmoni, una morsa che lo faceva sentire vulnerabile come non mai?
Si chiese se avrebbe mai trovato una risposta a quelle domande.
La nave su cui era stato posato il corpo di sua madre veleggiava placida, accompagnata dal fluttuare delle torce nell’aria, simili a stelle vagabonde che la osservavano in silenzio. La Regina Frigga sembrava serena: nessuno ancora gli aveva riferito le modalità del suo omicidio – perché di omicidio si era trattato, di questo era sicuro – ma, qualunque cosa le fosse accaduta, il suo viso non ne conservava i segni. Loki in cuor suo poteva solo sperare che non avesse sofferto.
All’improvviso, una freccia partì sibilando, scoccata da un arco che non riusciva a vedere, subito seguita da altre dieci, cinquanta, cento frecce sorelle, un tributo di luce e calore che pioveva dal cielo e cadeva nell’acqua, facendola risplendere come una gemella della volta stellata. La prima freccia aveva colpito la barca, incendiandola: il fuoco si propagava sibilando piano, abbracciando il legno e scortandolo nel suo viaggio verso i confini del mare… fino a che il Padre degli Déi non colpì il pavimento col suo scettro d’oro, facendo scomparire l’imbarcazione in un turbinio di luce argentea, lieve come polvere di stelle e altrettanto luminosa, dolorosamente impalpabile e lontana. Loki si portò una mano agli occhi e si accorse che si stavano lentamente riempiendo di lacrime.
Non devo…
Cercare di ricacciarle indietro non serviva a nulla: un’altra lacrima si aggiunse alla prima e scivolò giù lungo i contorni affilati del suo viso, seguita da un’altra e poi un’altra ancora, come se non volessero mai fermarsi. Ora che l’oscurità li avvolgeva e che nessuno poteva vederlo era solo col suo dolore, con la frustrazione di non aver potuto fare nulla, con la rabbia che iniziava a divorarlo piano piano, partendo dal cuore. Perché se Frigga era morta, in fondo, era anche colpa sua… era stato lui a lasciar andare quei prigionieri, a farsi da parte perché raggiungessero Malekith e seminassero il caos ad Asgard. Era stao lui il primo a desiderare il caos e la vendetta, ma proprio ciò su cui avrebbe dovuto esercitare il potere lo aveva tradito, rivoltandosi contro il suo creatore, portando a risultati che mai avrebbe immaginato…
Alzò la testa e la rivolse verso il Padre degli Déi, ma Odino non lo degnò di uno sguardo: continuava ad essere imperturbabile, lontano, quasi quanto sua moglie era stata dolce e premurosa nei confronti del figlio adottivo. La fuga di Loki da Asgard avrebbe potuto iniziare un riavvicinamento, ma la successiva invasione della Terra aveva distrutto qualunque legame potesse essere rinato tra loro, anche il più piccolo, portando Odino a comportarsi come un estraneo nei confronti del figlio adottivo. Non l’avrebbe perdonato, né tantomeno consolato, come se il ragazzo davanti a lui non fosse altro che uno sconosciuto, un membro della corte che omaggiava la Regina come tanti altri. Loki scosse la testa e si avviò, la folla che lo precedeva e iniziava a diradarsi, seguita dalla luce fredda e immutabile delle stelle.
Dopotutto, anche il Dio delle Malefatte poteva stancarsi di lasciare terra bruciata attorno a sé. Ma non tutti sembravano capirlo. D’altronde, chi poteva provare empatia per un mostro?
Neanche io la proverei per me stesso.


* * *



“Potrei gentilmente sapere la ragione per la quale mi hai trascinato qui, Thor? Ho una cella ad attendermi e non mi piace arrivare in ritardo.”
Il sarcasmo era una delle armi preferite del fratello, ma il dio del Tuono non voleva lasciarsi intimidire: doveva conoscere le sue intenzioni per comportarsi di conseguenza. L’attacco che avevano subito da parte di Malekith e delle sue armate era un’azione troppo grave per essere passata sotto silenzio, troppo eclatante per liquidarla semplicemente come un atto violento: chiamava guerra, sangue. Suo padre avrebbe voluto riprendersi l’Aether anche a costo di sterminare la specie degli Elfi Oscuri, Thor sentiva che una guerra avrebbe portato più dolore inutile e distruzione che altro… come se avessero avuto bisogno ancora di sofferenza, in una situazione come quella. Forse, collaborando con suo fratello e offrendogli qualcosa in cambio, avrebbero potuto risanare la situazione in qualche modo.
“La ragione la conosci anche tu, Loki: sai benissimo cosa ha ucciso nostra madre. E immagino che anche tu voglia prenderti la tua vendetta, così come io voglio farla pagare a Malekith per quello che ha fatto a lei, e Jane, al nostro…”
“Hai colto il punto, Thor: Jane. La tua preziosa umana non ne ha combinata una giusta da quando è qui, o sbaglio?” il sorriso era tagliente e velenoso, lo stesso di un serpente che rischia di venire schiacciato sotto ad una pietra e tenta di difendersi con le uniche armi che gli restano, pur sempre letali. “Non pensi che, se non fosse mai arrivata qui, tutto questo non sarebbe successo? Ma certo… tu la ami, vero? Quindi non hai più bisogno di una madre che ti stia vicino e ti faccia capire quanto tu sia il suo principino perfetto, il nuovo piccolo re di Asgard… hai sempre avuto ciò che volevi, sei stato baciato dalla sorte, cosa desiderare di più?”
Aveva appena terminato la frase, quando il fratello lo afferrò per il tessuto elegante della tunica che indossava, sollevandolo a qualche centimetro dal suolo. Gli occhi verdi di Loki trafiggevano l’azzurro dei suoi ed erano pieni di sarcasmo, trionfo, crudeltà, tutti annegati in un sentimento che li distorceva e li rendeva più forti, il dolore. Dolore purissimo, stille di disperazione che lo ferivano ma che ancora non placavano la sua furia.
“Credi che non amassi nostra madre, Loki? Credi veramente che non la considerassi importante? Allora perché starei cercando giustizia, secondo te?” lo scuoteva con rabbia, più rabbia di quanta ne avrebbe desiderata mostrare. Voleva provocare il fratello, fargli capire che non aveva mai posseduto l’esclusiva dell’amore di Frigga, che la madre aveva dato ad entrambi fiducia e attenzioni allo stesso modo, ma la forza stava esaurendosi: era stanco anche lui, come se quella giornata fosse durata un milione di anni e nonostante tutto la morte della Madre degli Déi fosse ancora una ferita fresca, coperta di sale.
“Pensi davvero che facesse delle preferenze? Allora non la conoscevi, perché lei ha sempre detestato tenerti da parte, Loki. Come l’ho detestato anche io! Ma tu preferisci non vederlo e ti ammanti di bugie… per quanto riuscirai a tenerle in piedi prima di venirne schiacciato, fratello? Non sei stanco di piegare il mondo ai tuoi voleri con la rabbia e l’odio?”
Gridava, sperando che qualcosa in lui si sciogliesse. Loki restava immobile, lo sguardo si era fatto duro ed inespressivo, come se il ghiaccio di Jotunheim si fosse impadronito del suo cuore.
“Mi comporto secondo la mia natura, Thor. Del resto, non è quello che fai anche tu?”
Il fratello lo lasciò andare, sconfitto. Loki sistemava la tunica spiegazzata, Thor si appoggiò alla balconata dalla quale dominavano Asgard, sospirando e lanciando uno sguardo verso il basso, lasciando che i suoi pensieri prendessero la direzione che preferivano. Poco dopo anche il fratello gli si avvicinò, ma nessuno dei due sembrava voler guardare l’altro.
Fu Thor a rompere il silenzio carico di disagio che si stendeva tra loro.
“Nostra madre non vorrebbe vederci litigare, lo sai anche tu.”
“Da quando sei così perspicace da indovinare i pensieri di qualcuno che non c’è più, Thor?”
Freddo, come sempre. Se anche Loki soffriva, non voleva darlo a vedere. Era difficile capire cosa si nascondesse davvero dietro ai suoi occhi verdi come gli alberi della foresta che circondava il parco del palazzo, cosa covasse nella mente e trasformasse in bugie e inganni per nutrirsi continuamente, quasi non ne avesse mai abbastanza. Frigga era stata l’unica a penetrare quel suo guscio di malinconia, la madre che con un sorriso gli aveva insegnato la magia e la possibilità di guardare il mondo con occhi diversi. La sua colpa era stata una sola: come Odino, aveva creduto di poter proteggere meglio il figlio nascondendogli la vera natura… anche se nel suo gesto Thor aveva sempre visto l’amore della donna che lo aveva cresciuto, la convinzione che, Jothun o meno, Loki fosse pur sempre il bambino che aveva accolto al seno quando era ancora un neonato, un orfano piccolo e denutrito. Il suo bambino.
Non aveva senso continuare a litigare come due ragazzini. Non in una situazione come quella.
“Dico sul serio, Loki. Vuoi la vendetta, giusto? Il mio piano te la farà ottenere: voglio riprendere l’Aether e fare in modo che non danneggi più Jane, e per questo mi serve anche il tuo aiuto. Non ho intenzione di iniziare una guerra contro Malekith, finirebbe per ritorcersi contro di noi, il suo popolo non mi interessa minimamente: voglio soltanto lui. Se collaborerai con me, avrai ciò che vuoi e intercederò presso nostro padre perché ti faccia lasciare la tua cella una volta per tutte… ma se proverai a tradirmi, beh, ti ucciderò.”
Suo fratello aveva alzato un sopracciglio, come se quella minaccia non l’avesse neppure sfiorato. In un’altra situazione Thor gli avrebbe affibbiato un bel pugno nello stomaco per fargli sparire l’espressione divertita dal viso, ma sentiva di non averne la minima voglia.
“Davvero? Mi uccideresti? Oh beh, sono lusingato da tante attenzioni! Questo mi riporta ai bei tempi in cui eravamo ragazzini, quando tu e Fandral sentivate il bisogno irresistibile di invitarmi alle vostre prove di forza e di umiliarmi perché non ero vigoroso come voi. Sei carino a riservarmi un posto tanto importante nel tuo piano, Thor, davvero molto carino.”
“È successo una volta sola, lo sai benissimo anche tu… ed è stato dopo la storia delle rane nel letto, quella la ricordi? Non so quanto ci hanno messo le ancelle di nostra madre a catturarle tutte e a chiamare lei perché le facesse sparire e ricomparire altrove!”
Sul viso magro di Loki comparve l’accenno di un sorriso. Una stella che si accendeva.
“Nostra madre aveva un senso dell’umorismo molto particolare nell’insegnarmi le sue magie… ma non mi ha mai fatto sentire solo, nemmeno quando la mia diversità mi appariva sempre più schiacciante. Quando ho… scoperto di essere ciò che sono, c’era lei qui accanto a me. Mi ha consolato, mi ha rassicurato sul fatto che ero pur sempre suo figlio, che tra noi non sarebbe cambiato nulla… e io l’ho lasciata andare. Non ho saputo far altro, dallo stupido, piccolo inetto bugiardo che non sono altro. Riesci a capire, ora, quanto mi manchi?”
Thor non aggiunse nulla. Si girò ancora ad osservare Asgard e le sue strade d’oro, la meravigliosa città degli Déi che continuava a splendere nonostante il suo Re dormisse solo, tormentato dalla nostalgia e dal dolore. L’acqua fluiva dalle fontane, la risacca suonava la sua sinfonia di fruscii e sciabordii, Loki respirava piano accanto a lui, gli occhi socchiusi.
Fu proprio Loki a spezzare quel silenzio innaturale tirandosi indietro: il dio degli Inganni fissava quello del Tuono, la tristezza che si raccoglieva agli angoli degli occhi, lasciando trapelare un po’ di quella fierezza che Thor aveva intravisto in precedenza. Lo superò e si voltò ancora indietro, e questa volta era il Loki Laufeyson che aveva affrontato sulla Terra: compiaciuto, sicuro, pronto a prendersi ciò che gli spettava di diritto.
“E sia: avrai il mio aiuto, fratello. Ma prima dovrai lasciarmi riflettere per un po’ nelle mie stanze.”

* * *

Era di nuovo nella sua cella: qualcuno doveva aver sistemato il disastro che aveva combinato, perché tutto sembrava in ordine. Gli ci volle un po’ per ricordarsi che aveva gettato un’illusione su ciò che vedeva, e che in realtà lo spettacolo era sempre lo stesso, fatto di pagine strappate, cocci e desolazione ovunque.
Scosse la testa, impedendosi di cadere di nuovo nel suo stesso inganno. Sedette a terra e prese una pagina qualunque, strappata ai bordi ma ancora ben disegnata, un libro di fiabe che, chissà come, era finito lì. Il primo pensiero che gli colpì la mente fu un ricordo, uno di quei flash dispettosi che ogni tanto lo aggredivano e lo costringevano a tornare con la mente al passato, ai bei tempi in cui era un bambino ingenuo che credeva, un giorno, di poter diventare un principe… in questo Frigga lo teneva sulle ginocchia mentre gli raccontava una fiaba che parlava di draghi, di animali parlanti e di vecchie sagge, mentre fuori cadeva la pioggia e Thor era altrove con Odino, impegnato in chissà quale attività. In quello successivo, sua madre lo prendeva in giro affettuosamente, dicendogli che poteva non essere alto e biondo come suo fratello, ma aveva lo stesso fascino e un discreto successo con le donne: la figlia di una delle sue dame di compagnia, la bella Sigyn dalla voce dolce come il canto di un usignolo, sembrava essere interessata a lui. In quello dopo ancora era un giovane tormentato da un passato scoperto all’ultimo momento, le mani tremanti che si appoggiavano alle spalle della donna che cercava di consolarlo, che gli diceva che, qualunque cosa fosse successa, lei sarebbe sempre rimasta sua madre, che non l’avrebbe mai abbandonato, che…
Basta con gli inganni. Sono stanco.
Tese la mano, un grido che esplodeva nella sua mente per tenere a distanza quei fantasmi fatti di dolcezza, di cose che mai avrebbe voluto dimenticare ma che ricordare gli faceva male, fin troppo male. Si distese sul letto nell’angolo della cella, abbassò la testa sul cuscino dorato e fissò gli occhi sul soffitto, cercando di svuotare la mente come avrebbe fatto con una stanza da rimettere in ordine con pazienza, un oggetto alla volta, ogni piccolo frammento di tranquillità al suo posto. Eppure, in quella calma apparentemente perfetta, costruita con la stessa cura maniacale con cui confezionava i suoi inganni, un piccolo spiraglio restava aperto per le illusioni dolci e amare che la mente continuava a proporgli.

Loki… non ti abbandonare. Se davvero mi hai amata, se ancora ami tua madre, non buttarti via nel dolore, non inseguire più quei sogni che ti hanno fatto soffrire… e fidati di Thor, se puoi. Sai che lui non ha mai desiderato la tua rovina.
Puoi aspirare alla grandezza anche senza avere un trono solo per te.
Osservava quella figura di fumo attraverso le palpebre socchiuse, incerto se crederle o no. Ma se anche quella conversazione fosse stata tutta nella sua testa, cosa aveva da perdere nel restare ancora un po’ con lei?
Se combattere può farti stare meglio, allora prendi quella strada. E non dimenticare mai quello che ti ho dato, Loki… né quello che sei diventato. Sei cresciuto, sei cambiato, ma per me sei sempre lo stesso bambino. Mio figlio Loki.
“Sai benissimo di non esistere, vero? E che, non appena lo deciderò io, sparirai come tutte le altre illusioni?”
Tese le dita per sfiorare il sorriso di Frigga, prima che la donna tornasse nella sua mente, svanendo in un pulviscolo dorato che diventava sempre più impalpabile: un po’ di calore rimase sulla mano, ma non avrebbe saputo dire se lo sentiva davvero o se lo stava solo immaginando, come tutto il resto. Frigga non era lì con lui, eppure i suoi insegnamenti, la sua magia, la sua dolcezza ancora impregnavano ogni angolo, lo definivano, lo avevano reso quello che era, nel bene e nel male.
Avrebbe seguito la sua strada, in qualunque direzione lo avesse condotto, con Thor o senza Thor. In fondo, anche quella missione faceva parte di ciò che gli spettava di diritto: ricambiare l’amore di sua madre, far si che il suo sacrificio per Asgard non fosse stato vano. Diventare un eroe? No, non era un termine che gli si addiceva… piuttosto, avrebbe portato il caos dove ce n’era bisogno: tra gli Elfi Oscuri di Malekith. Ma forse, ogni portatore di caos era un eroe, nella sua mente…
Sorrise, forse al ricordo di Frigga, forse semplicemente a sé stesso, complimentandosi per quella decisione. Guardando a terra distrattamente, lo sguardo si spostò di nuovo sul libro di fiabe, anche se non lo vedeva davvero: il bambino che era stato e Frigga stavano condividendo una storia davanti ai suoi occhi, due ricordi leggeri come un sospiro ma incredibilmente presenti, come appena evocati da una mente distratta e sognatrice.
   
 
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