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Autore: MaCk_a    09/12/2014    19 recensioni
Nel 1910, Virginia Gaetani ha diciassette anni. Fanciulla dalla natura vivace e allegra, si ritrova a dover reprimere le proprie esigenze a causa dei genitori, nobili che tengono all'onore e al rispetto più che all'amore.
La storia ha inizio quando a Virginia viene annunciato che un uomo ha chiesto la sua mano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Virginia alzò gli occhi verso sua madre.

“Un fidanzato?”

“Ma certo, mia cara”, spiegò sorridendo la signora Gaetani, con una dolcezza che non aveva mai usato prima. “Non sei forse contenta?”.

La ragazza sbatté le palpebre, chiedendosi se fosse umanamente possibile gioire per un matrimonio combinato.
“È un ottimo partito, uno dei migliori sulla piazza”, proseguì giuliva sua madre, camminando avanti e indietro tra le quattro mura, “ed è ovviamente un onore ch’egli voglia unirsi a te”.

La giovane poggiò il libro che stringeva tra le mani sul tavolino in legno accanto alla poltrona e si alzò, turbata. I capelli raccolti in un austero chignon la facevano apparire ancora più alta di quanto già fosse, e l’espressione perplessa che aveva sul viso lo rendeva più magro e pallido dell’usuale.

“E perché mai desidera unirsi a me, se neanche mi conosce?”.

La donna guardò la figlia; sapeva già che avrebbe obiettato. Quella ragazza aveva creato sempre problemi, in ogni circostanza, sin dalla sua nascita; averla era stata una vera maledizione, e sopportarla un’opera di estremo martirio.

“Se leggessi meno sciocchezze, mia cara Virginia, sapresti che un’intima conoscenza non è indispensabile in un matrimonio” disse riacquistando l’abituale freddezza, “ e gioiresti della fortuna che ti sta capitando. Non essere ingrata, bambina! Non hai sempre desiderato lasciarci? Oh, non fare quella faccia, so bene che è così! Ecco, ora ti si offre la concreta occasione di abbandonare questa famiglia che odi tanto; una volta sposata seguirai tuo marito e inizierai una nuova vita, lontano da qui”.

Virginia abbassò gli occhi, imbarazzata da tanta schiettezza. Volse una rapida occhiata alla porta-finestra: attraverso i vetri vedeva il Sole splendere sul loro giardino.

“Non è detto che nel matrimonio io trovi la felicità”.

La baronessa Gaetani sospirò profondamente e ammise, assumendo un’espressione severa, che non aveva davvero idea di cosa potesse rendere felice una persona tanto pretenziosa, cocciuta ed evidentemente viziata.

Degli uccellini si poggiarono sulle lastre in marmo del balcone; nonostante le imposte fossero chiuse, il loro cinguettio era perfettamente udibile. Cosa avrebbe dato quella bella fanciulla per unire il proprio canto al loro! Cosa avrebbe fatto per ottenere la loro libertà!

“Fossi in te non farei tanti capricci, signorina” riprese con calma la baronessa, andando verso il divano, “anche perché tuo padre ha già accettato la proposta, e questa sera stessa incontrerai il tuo futuro marito”.

La ragazza rimaneva immobile. Andrà tutto bene, continuava a ripetersi. Andrà tutto bene, Virginia: stasera lo vedrai e scoprirai che il destino ha voluto farti un regalo; troverai libertà, felicità e amore. Dirai addio al passato e non penserai più alle sofferenze patite. Non ti sentirai più sbagliata. Sarai amata per quello che sei. Sarai amata come meriti.

Parzialmente consolata dalle proprie fantasie tornò ad alzare lo sguardo, e vide che la madre le faceva segno di raggiungerla. Obbedì e le si sedette accanto.

“Ora, bambina, bisogna che il tuo fidanzato ti trovi all’altezza delle sue aspettative; ha detto a tuo padre di aver sentito parlar benissimo di te! Gli hanno riferito che non esiste nella nobiltà locale fanciulla più aggraziata, seria e silenziosa; nessuno ha mai visto creatura più pacata; nessuno potrebbe immaginare persona più compita”.

Virginia deglutì, terrorizzata da quell’infedele ritratto e dalla tranquillità che la madre ostentava nel dipingerlo. Qualsiasi domestico avrebbe potuto garantire che la signorina Gaetani fosse una gran chiacchierona; quando i padroni di casa erano fuori, Virginia correva nelle cucine e raccontava alle cuoche dell’ultimo romanzo che aveva letto; chiedeva con insistenza che le insegnassero a preparare i suoi piatti preferiti e rideva sonoramente alle battute a volte un po’ volgari delle sue “maestre”. Se i genitori non erano in casa, lasciava sciolti i lunghi capelli ricci, si alzava la gonna e correva, scalza, tra i corridoi o, quando possibile, in giardino: lì rincorreva farfalle, cercava di attirare uccellini col canto e danzava con ballerini invisibili. Quando poi Anna, la donna che l’aveva allattata ed era poi rimasta presso la sua famiglia come cuoca, andava a richiamarla, ricordandole che presto i signori sarebbero rientrati, Virginia sospirava; controvoglia andava a lavarsi, si vestiva, imprigionava i riccioli castani, e attendeva i genitori a tavola, assieme ai fratelli maggiori, sperando che un nuovo giorno di libertà potesse arrivare al più presto.

Se qualcuno l’aveva definita pacata, silenziosa e seria, era perché costrizioni e ricatti l’avevano obbligata a mostrarsi così in pubblico. I coniugi Gaetani non avevano mai apprezzato quell’ indole “impudica e selvaggia” che sempre aveva caratterizzato la figlia e, nel tentativo di reprimerla, avevano redatto una serie di regole che Virginia avrebbe dovuto rispettare: i capelli andavano legati, e il corpo coperto: non volevano peccasse di vanità; coltivare la passione della lettura era giusto, ma i libri dovevano essere approvati da loro e cinque ore al giorno sarebbero state dedicate ai testi sacri; correre all’aria aperta come una campagnola era assolutamente vietato; parlare senza essere interrogata, inammissibile; se la danza e la musica le piacevano, com’era evidente, avrebbe avuto dei maestri pronti a indirizzarla in maniera sana verso tale discipline, e le lezioni sarebbero state sorvegliate da un membro della famiglia.

Virginia non avrebbe voluto contrariare i genitori, ma non poteva certo cambiare la sua natura vivace e curiosa, e non era riuscita a obbedire perfettamente: a ogni infrazione, era seguita una severa punizione. A ogni punizione, l’amore di Virginia per i genitori era diminuito, fino a scomparire del tutto.

Aveva quindici anni quando la famiglia aveva deciso di presentarla alla società, e non erano mancate delle calde raccomandazioni: le regole che doveva rispettare in casa valevano il doppio quando era tra la gente, e un’infrazione avrebbe causato una doppia punizione; e poiché Virginia era stata condannata a dieci ore di preghiera ininterrotta per esser stata sorpresa a capelli sciolti dalla madre, a cinque giorni di digiuno dopo esser stata scoperta scalza in giardino, e a una settimana di reclusione nella propria stanza (in assoluta solitudine, senza libri e con poco cibo) per aver osato rimproverare Elio, il maggiore dei suoi fratelli, non fu difficile convincere la ragazza a obbedire.

Per questa ragione, la nobiltà locale la riteneva una specie di suora mancata. E se all’inizio Virginia aveva sperato di trovare consolazione nelle sue uscite, si accorse ben presto che l’ambiente frequentato dalla sua famiglia era falso e malato. Gli uomini guardavano le fanciulle come se fossero merce: sembravano valutarne il valore, che si esprimeva unicamente in dote e bellezza; non interessava loro conoscerle: sarebbe bastato averle. E mentre eseguivano i perversi calcoli, si fingevano candidi, innocenti e disinteressati. Le sue coetanee, poi, erano sciocche, pettegole e cattive, e pensavano unicamente ad arricchirsi, o a mantenere le proprie ricchezze.

Proprio durante uno di questi ricevimenti, a quanto pareva, il suo fidanzato l’aveva notata.

“Madre”, sussurrò la ragazza, tentando di contenere le proprie emozioni, “che senso ha mostrare a quest’uomo una persona che non esiste? Sapete bene che non sono come mi avete descritta; fargli credere il contrario sarebbe un inganno”.

“Cosa dici, Virginia?”, esclamò la madre con finto stupore, “non ti capisco; in mia presenza sei silenziosa e docile, non sempre, è vero, ma solitamente lo sei”

“Lo sono perché voi mi obbligate a esserlo, madre!” sbottò, contrariata. “Conoscete la mia vera natura, sapete che quanto vedete è frutto dei vostri ricatti e non della mia indole; non sarebbe onesto lasciare che quest’uomo mi conosca – che mi conosca davvero - , e capisca così se davvero sia giusto sposarsi?”

La signora Gaetani sorrise. Non si somigliavano, lei e la figlia, in nulla. Non si erano mai somigliate.

“E cosa intendi dire al tuo futuro sposo? Lo inviterai a giocare a nascondino? Gli chiederai di rotolarsi con te nella terra? Gli racconterai di tutte le porcate che fai quando i tuoi genitori sono lontani? Ah, piccola ingenua!”, scoppiò a ridere, “credi che nessuno mi venga a riferire come passi le giornate quando siamo lontani? Credi che i tuoi fratelli non ti sentano quando, di notte, passi le ore a chiacchierare con la tua amica sguattera? Non voglia il cielo che tuo marito scopra le tue stranezze, non ti vorrebbe più! Tu continui a credere che la tua famiglia ti odi, Virginia, ma non è così: la tua famiglia ti ama, e vuole proteggerti: qualunque uomo, una volta scoperta quella che definisci la tua vera indole, ti abbandonerebbe. Vuoi restar sola per tutta la vita? Vuoi che, alla nostra morte, la tua tutela passi a Elio?”.

Virginia rabbrividì. Tutto, ma non dipendere da Elio.

“No, madre. Voglio sposarmi. Voglio dei bambini”.

“Bene”, sorrise lei, e si alzò. “Mi aspetto che ti comporti bene, questa sera”.

La ragazza annuì, e dopo qualche secondo sentì la porta chiudersi. Rimase qualche istante ferma, a riflettere, poi si mosse verso il balcone: gli uccellini erano volati via.

Tornò alla poltrona dove era seduta prima che la madre giungesse, e riprese in mano la sua copia del Romeo e Giulietta di Shakespeare. La guardò, e la gettò contro una parete; ma dopo neanche un minuto si pentì e, piangendo, corse a riprenderla: la strinse tra le braccia, la cullò.

Oh, se avessi anch’io modo di procurarmi un veleno.  

  
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