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Autore: Wellesandra    10/12/2014    6 recensioni
“Tutti hanno la possibilità di scegliere. Alcuni, però, hanno bisogno di un piccolo aiuto.
E come potrebbe il Destino non approfittarne e tendere la mano ai sentimenti più puri?”
E' questo il pensiero di Altea, dea del Destino, che, contro i voleri dei suoi fratelli, entra nel mondo terrestre per offrire direttamente il suo aiuto.
Quando individua Matt e Dom, due adolescenti migliori amici, non può evitare di mettere il suo zampino per accelerare i tempi. Come divinità, infatti, sa chi è destinato ad incontrarsi e ad avere un rapporto duraturo e, per questo, non può esentarsi dal dare una mano.
Attraverso una serie di incontri casuali, la dea arriverà al suo intento pagando, però, un caro prezzo...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Dominic Howard, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa è la terza ed ultima parte. Grazie infinite a chi ha letto e... beh, spero vi piaccia!




Nel corso degli anni il rapporto tra i due ragazzi divenne sempre più forte. Sentimentalmente parlando, si ritenevano quasi una persona sola. A volte, o forse anche fin troppo spesso, avevano rapporti occasionali con donne diverse, ma era d’obbligo dopo un’iniziale serata passata distanti, finire la notte insieme. Anche solo dormire uno accanto all’altro, era un rito a cui non potevano rinunciare.
Dom e Matt non avevano parlato più di quella notte, dell’invito, di Altea  e mai si erano scambiati promesse di amore eterno. Potevano definirsi una coppia aperta, ma entrambi gelosi. Una coppia che non lasciava indietro le proprie e differenti opportunità, perché quello che avevano imparato quando erano ragazzini era che “ciò che è lasciato, è perso”. Ogni opportunità sprecata era confrontabile con una goccia di acqua, caduta nel mare era persa per sempre. 
A Dom quella situazione andava bene perché era molto più di quello che aveva sperato.
Si dondolava sulla sua amaca, rilassandosi ai caldi raggi del sole per dimenticare le fredde giornate di Londra, sorseggiando un drink dal sapore dolciastro e guardando, protetto dai suoi occhiali scuri, Matt che solo due minuti prima aveva deciso di fare una nuotata.
«Già di ritorno?»
Prese il suo telo da bagno e se  lo gettò addosso, come se fosse una coperta di lana.
«Non so il motivo preciso, ma io e il mare non andiamo d’accordo. E neanche il sole sembra essere dalla mia parte.»
Dominic ridacchiò. «Sei tu che non sai prendere le cose nel verso giusto.»
«Dici? Secondo me, invece, mi odiano a prescindere.»
«Ma per piacere!»
«Allora spiegami com’è possibile che appena metto un piede in acqua e, giuro, lo giuro che a stento immergo i fianchi, mi ritrovo la sabbia nel costume! O perché il sole decide di abbrustolirmi, come se fossi una cazzo di aragosta!»
Il biondo scoppiò a ridere, prima di scendere dall’amaca. Posò il bicchiere sul tavolino per stringere il viso del suo ragazzo tra le mani e stampargli un bacio casto.
«Per il sole basta una buona protezione, per te che sei bianco come la neve. Non ci vuole un genio per capirlo.»
Per sottolineare la semplicità di quel gesto, si avvicinò alla sua sacca, prendendo il tubetto di crema.
«Guarda. C’è scritto “protezione alta”. Così continuerai ad avere le sembianze di un merluzzo, piuttosto che di una aragosta.-»
Il grugnito di risposta di Matt continuò a renderlo felice. Effettivamente, pensò che erano state poche le cose a renderlo veramente triste.
Tolto il telo, gli passò la crema sulla schiena, indugiando in basso. Poi gliela passò sulle spalle, delicatamente perché a Matt i gesti bruschi non piacevano, se era lui a riceverli. Lo fece voltare, guardando dall’alto il suo sguardo assorto, quelle labbra leggermente aperte e il corpo non più minuto come una volta. Gli passò la crema sui fianchi, girando l’indice nell’ombelico, cosa che al moro piaceva davvero tanto. Poi toccò al viso. Iniziò dalla fronte, fino ad arrivare al naso. Passò poi agli zigomi, strusciando le dita come se fossero dei cuscinetti morbidi e infine circondò le labbra con quella crema bianca. Gli piaceva senza barba: gli consentiva di osservare meglio i suoi lineamenti, come se fosse la prima volta che li vedeva.
Quando posò la crema, Matt era ancora lì che attendeva, immobile ed in piedi, intento a non muoversi affatto. Dom si chinò, leccandogli le labbra.
Avere una spiaggia privata possedeva i suoi vantaggi, considerò nel momento stesso in cui Matt schiuse le sue labbra e rispondeva ai leggeri baci che gli dava.
«Contro al mare che rimedi mi puoi dare?» Mormorò Matt.
«Fai il bagno nudo e la sabbia sarà l’ultimo dei tuoi pensieri.»


In casa Matt si strofinava i capelli con l’asciugamano mentre Dom si preparava a scegliere cosa indossare quella sera.
«Dom?»
«Mmmh?»
«Sei impegnato?»
«Mmmh.»
La scelta scrupolosa e meticolosa che operava ogni sera per i suoi vestiti era irrinunciabile. Alla fine gli abbinamenti erano sempre quelli, ma lui aveva bisogno di pensare e ragionarci su lo stesso.
«Questa sera esco con una.»
«Ah sì?»
«Sì. Mi andava di dirtelo.»
Decidendo per un pantalone nero e camicia leopardata, si voltò a guardarlo.
«Non è che devi dirmi per forza dove vai e con chi. Pensavo che dopo tutti questi anni fosse chiaro.»
«Mi andava solo di dirtelo e di informarti. Così sai che non devi chiamarmi.»
«Non l’avrei fatto a prescindere.»
«No?»
«No.»
Si guardavano in cagnesco, pronti a sfidarsi e vedere chi la spuntava.  Bastava un nulla per farli scatenare. Quel fattore era una caratteristica fondamentale nella loro unione perché nessuno dei due amava un rapporto tutto rose e fiori. Fatto sta che Dom paragonava Matt ad un fuoco scoppiettante, che mai e poi mai avrebbe potuto spegnersi, e lui doveva essere il carburante che lo alimentava.
«Non ti chiamerò perché anche io avrò da fare.»
«Allora non ci chiameremo a vicenda.»
«Esatto.»
«Amen.»
Vestendosi, il fastidio iniziale cominciò a dissolversi, lasciando spazio alla consapevolezza che lo attanagliava da più di quindici anni.
«Come si chiama?»
«Kate. La tua?»
«Non ricordo.»
Matt rise e scosse il capo.
«Ti dimenticherai anche di me?» Gli chiese alle spalle, abbracciandolo all’altezza della vita e subito dopo appoggiò la testa sulla spalla nuda del biondo.
«Piuttosto andrei a vivere in Groenlandia.»
Matt tirò il viso del compagno verso di sé per baciarlo delicatamente.
«Se torni per primo, non aspettarmi in piedi.»

Dom aveva sopportato tanto: Gaia era un esempio di come la sua pazienza potesse resistere molto, ma davvero molto a lungo. L’italiana era stata un punto fisso nella vita di Matt, nel bene o nel male. Gli anni passati con lei lo avevano migliorato: erano riusciti a far combaciare la vita privata con il lavoro di lui e lo studio di lei, e non rimanevano mai distanti per più di due settimane. Chi ci andava a perdere, del resto, era soltanto Dom, che si era ritrovato spesso solo o in compagnia di donne con le quali non aveva nulla in comune. Ciò che più lo spaventava e lo faceva rimanere sulla difensiva era proprio il non sentirsi male per quello.   Sapeva che Matt lo amava, ma al contempo era anche consapevole che l’amico non riusciva a non avere relazioni con l’altro sesso.
D’altronde, Dominic non considerava né se stesso, né tantomeno Matt gay. Le sue storie, per lo più di breve durata, gli dimostrarono come non fosse immune al fascino femminile. Di sicuro poteva ritenersi più risoluto del compagno: se non voleva avere rapporti, semplicemente si asteneva.
Alla fine, il pantalone nero e la camicia leopardata rimasero dov’erano, mentre lui si recò in boxer verso la sua dolce amaca, compagna di molti pensieri. Una piccola radio, birra e un cuscino era tutto ciò che gli serviva per sentirsi in pace. Quando si sdraiò, si sentì subito meglio.
Matt poteva fare quel che voleva. Chi era lui per impedirlo?
Da quella sera della festa erano passati all’incirca quindici anni e non aveva mai avuto motivo di preoccuparsi tanto, quindi cosa gli stava succedendo?
Dondolandosi con la faccia rivolta verso le stelle, Dominic voleva soltanto piangere. Piangere per la situazione involontaria che si era creata, quel miscuglio di amore e consapevolezza di non possederlo del tutto che lo uccideva ma che, allo stesso tempo, lo rendeva più forte.
Prese un sorso di birra e, con i capelli che ballavano al ritmo della dolce brezza, si lasciò trasportare dai ricordi, assaporandoli uno ad uno. Per ogni immagine che attraversava la sua memoria ridacchiava, si inteneriva, si arrabbiava e sbuffava.
Riaprì le palpebre con un sorriso amaro sulle labbra e una certezza intramontabile: il passato sarebbe stato sempre più sensazionale del presente. Ma fin quando gli restavano i ricordi la sua vita avrebbe continuato ad essere sempre fantastica.

«È incinta.»
Dom rimase impassibile.
«Di chi?»
«Di me.»
Il biondo chiuse gli occhi, sospirando. Quando li riaprì, uno sguardo ammonitivo gli decorava il volto. Matt non l’aveva mai visto in quel modo.
«Lo sai che non può essere vero. Ci sei uscito solo questa sera, no?»
Vedendo che l’altro non rispondeva, il biondo incalzò la domanda. «Giusto, Matt?»
Il compagno scosse il capo, pizzicandosi la punta del naso come era solito fare nei momenti di nervosismo.
«In realtà sono circa due mesi.»
«Che cazzo…»
Dominic non ce la faceva più. Si sentiva come l’ultima ruota del carro. L’ultimo a sapere sempre le cose. L’ultimo ad essere considerato. Come se avesse potuto impedirgli di non farlo. Si accomodò sulla sedia di legno, dando le spalle a Matt, che lo raggiunse subito.
«Oggi mi è venuto in mente di quella volta, quando parlavo di scarafaggi, divinità e ragni. Ti ricordi? La mia paura era di diventare ciò che odiavo di più al mondo. Di te, invece, non avevo la più pallida idea di cosa pensare. Mi dicesti che non ti conoscevo bene.»
Dom ebbe un moto di malinconia e provò a fermarlo prima che potesse rivangare i ricordi, ma inutilmente. Non era la giusta reazione: avrebbe dovuto spaccare tutto, mandarlo a quel paese, rompere definitivamente il loro rapporto amoroso. Ma come farlo?
«Stavi scherzando, lo so. O almeno spero. Però avevi ragione.» Matt aveva uno sguardo serio, come non lo aveva visto mai. Il biondo tremava al solo pensiero di ciò che poteva dirgli.
«L’ho capito tempo fa. La tua anima non può odiare niente. Forse, da oggi, solo me.»
Il biondo sgranò gli occhi, come se qualcuno gli avesse dato un pugno in pieno stomaco.
Bliss.
Ripercorse mentalmente le parole senza cantarle, ma recitandole con intonazione diversa rispetto al normale. Ogni singola frase si congiungeva con un avvenimento accaduto tra di loro o strettamente suo, personale. Nel corso della sua vita fu la seconda volta che le immagini della sua esistenza gli volarono davanti agli occhi, veloci e inafferrabili.
 Matt senza volerlo aveva trovato una risposta al loro amore: checché ne pensasse, il destino era stato generoso e cospicuo con loro, eppure mancava l’ingrediente principale. Semplicemente non erano fatti per stare insieme. I dubbi e i problemi che li affliggevano, le risposte mai trovate, le situazioni vissute per dovere trovarono causa in una sola ed unica persona.
Si erano ritrovati in un universo non loro, basato sull’amore non corrisposto che avrebbe tanto voluto non fosse tale. All’improvviso, la vera consapevolezza di aver sbagliato dall’inizio, di non essersi tirato indietro quando Matt aveva detto di volerci provare, gli si piazzò davanti agli occhi. Aveva logorato per anni l’animo del suo compagno, così come il proprio, ed era arrivato il momento di rimediare e di mettere fine all’intera situazione sacrificando se stesso.
«Non ti conosco affatto Dom.» Continuava il moro, senza guardarlo negli occhi e con un tono che rasentava la malinconia. «Come posso averti fatto questo? Senza neanche accorgermene…» Scosse il capo. «Ora è tardi, per tutto. Kate è incinta e io sono impotente.»
«Matt… non c’è bisogno che continui.» Soffiò Dom, senza pensare. Le parole gli uscirono come un fiume in piena. «A parte Kate e il bambino, era inevitabile che io e te… passassimo momenti di quel genere insieme.»
«Tu credi?»
Dominic annuì. «L’ho sempre saputo e in un certo senso ho sempre sperato che ciò avvenisse.» Gli si avvicinò di più, costringendolo a guardarlo negli occhi. Prese un bel respiro, perché le parole che stava per dire erano ben pensate. Lo scrutò più a fondo, assumendo un’aria convinta e veritiera.
«Io non ti amo, Matt. Quindi non dispiacerti.»
Il cambiamento in Matt fu percepibile: quando lo trafisse con il suo sguardo zaffiro, Dom si sentì morire.
«Credo di non averlo mai fatto, mai. Ho avuto un’infatuazione per te, ma il sentimento non si è mai sviluppato.»
Più rincarava la dose, più aveva voglia di buttarsi in acqua e affondare; legarsi una palla di ferro ad un piede così da non poter tornare più in superficie.
«Perché mi dici questo?» Mormorò il moro, afono e tremante.
«Perché è la verità. Non lo farò mai. Non potrò mai amarti, se non come amico. È… impensabile.»
Matt annuì, scandendo ogni singola parola nel suo cervello. «Okay.»
Quasi spinto dal rimorso, Dom gli portò le mani sulle spalle, per fermarlo prima che se ne andasse.
«Dovevo specificarlo, capisci? Altrimenti ogni giorno mi avresti guardato sempre in quel modo che potrei morirne. Sai quante anime gemelle abbiamo al mondo? Non crederai di certo che per ogni singolo essere umano ce ne sia solo una.»
«Io… veramente sì.» Vacillando, Matthew lo guardò malinconico. Dominic continuò il suo discorso più per se stesso che per il suo compagno.
«Se tu andassi in Africa, troveresti la tua bella Venere Nera. In Asia, invece, la tua bella bambola con gli occhi a mandorla. In Europa hai già sperimentato per lunghi anni cosa significhi avere al proprio fianco una donna sorprendente.»
«Se Gaia fosse stata la donna della mia vita, non pensi che ora … non so, che magari, in questo momento invece di essere qui a discutere con te, starei riscaldando un letto?»
Il gelo che si alzò sorprese entrambi. La loro separazione era un punto di arrivo che non poteva essere ignorato, soprattutto per Matt e per la felicità della sua futura famiglia. Ma lui non capiva. Proprio non percepiva le sue menzogne, il tremolio della voce e gli occhi che vagavano per la stanza, per non soffermarsi troppo su di lui?
A quanto pare il moro era deciso ad offenderlo, e se questo lo portava ad una rottura più veloce e meno dolorosa, allora Dominic lo accettava.
«Credi davvero che io sia fatto per qualcuno? Che sia tu o Kate per me non ha importanza. Non sono come te.»
«Per fortuna!» Esplose Dom, che si era mosso per afferrarlo per i capelli e sbatterlo per l’aria. Ma non lo fece. In realtà avrebbe così tanto voluto disperarsi…
«Già, per fortuna. Essere come te, così dipendente da una persona, sarebbe stato il mio fallimento personale.»
I toni erano tanto calmi da sembrare un discorso normale. Un discorso, ad esempio, su cosa aveva mangiato la sera prima. Invece il cuore di Dom andò in mille pezzi, in modo tanto sonoro da assordarlo. Non riusciva a rispondergli; sentiva la lingua addormentata e la gola ardere per le parole che mai avrebbe detto e le urla che nessuno avrebbe mai sentito.
Prese un bel respiro, prima di guardare Matt negli occhi: non c’era traccia di odio in quei due zaffiri che aveva imparato a conoscere in tutte le loro sfumature. Dominic era certo che il suo ormai ex amante si era pentito di ciò che aveva detto e ciò era testimoniato dal rossore delle sue guance. Non voleva che Matthew si sentisse in colpa, né tantomeno, in imbarazzo.
Finse di controllare l’ora dall’orologio che portava al polso sinistro.
«Beh!» Esclamò, con un sorriso aperto sulle labbra. «Saresti stato fortunato! Il mio fallimento personale arriva tra un po’, se non mi muovo a comprare le scarpe che abbiamo visto l’altro giorno, ricordi?»
Matthew annuì.
«La commessa ha detto che ne arrivano solo due del mio numero e non vorrei rischiare di non trovarle.»
Gli sorrise ancora, facendogli addirittura l’occhiolino.
Dio, si odiava come non mai. Simulare di stare alla grande a colui che lo conosceva meglio di chiunque altro e che, volendo, avrebbe potuto mandarlo a quel paese e dirgli di iscriversi ad una scuola di recitazione.
«Sì, ho capito. Allora… ci vediamo domani per le prove?» domandò l’amico, con un’espressione molto più rilassata. Era così facile per Matt togliersi dai guai, a non pensare a ciò che gli gravitava intorno.
Dom ricambiò con un sorriso sbilenco.
«Certo. Salutami Kate.»
Con un ultimo cenno, Matt lasciò la casa che li aveva ospitati per mesi. Era il momento di tornare alla realtà, di fare le valigie e tornare a casa. Chissà se a Londra avrebbe avuto le giuste distrazioni…
Prima, però, si sarebbe goduto l’ultimo giorno delle sue vacanze estive.

La dea del Destino amava essere un'umana. Non credeva che i suoi simili potessero essere così spaventati da persone che vivevano di emozioni e sentimenti. I ricordi che le erano rimasti della sua Terra erano stati utili: tramite essi, infatti, percepì l'enorme differenza che divideva gli uomini dalle divinità. Aveva imparato, osservando a distanza, che Dom e Matt, così come gli altri umani, camminavano su un filo di sentimenti talmente sottile che avrebbe potuto rompersi da un momento all'altro, per poi farli catapultare sul filo successivo e vivere emozioni completamente differenti.
Altea era affascinata dall'ira, dalla sensibilità, dalla felicità, dall'ottimismo, dalla vivacità e da tutto ciò che poteva contraddistinguere un uomo dall'altro e rendere ognuno di loro talmente interessante che l'unica pecca, per lei, era l’essere mortale e il non avere il tempo di conoscerne tutte le sfumature necessarie. 
In un modo o nell'altro, i ricordi di ciò che era stata erano fissi nella sua mente. Per lei era un bene: le reminiscenze erano fondamentali per le sue ricerche e, in più, con la memoria le era rimasta anche la capacità di prevedere. Aveva quello che gli umani chiamavano “sesto senso”. Essere stato il Destino in persona aveva i suoi vantaggi, del resto.
Si divertiva a nascondersi agli occhi dei due innamorati per tutto il tempo senza l’ausilio dell’invisibilità, di cui possedeva ancora il dono. Ma d’altro canto, la palpitazione di essere scoperta era una sensazione troppo grande per essere rimandata ad un altro momento della sua breve vita.
Matthew e Dominic erano un duo perfetto. Si amavano e lei poteva cogliere l’amore che li univa da lontano. Le vibrazioni che sprigionavano erano energiche, difficili da spezzare. Tuttavia, ciò che non apprezzava in loro due era la poligamia: che motiva c’era di passare del tempo in compagnia di altri?
No, di questo Altea non riusciva a capacitarsene, e diede colpa al suo non essere del tutto umana. Molto probabilmente loro sentivano delle pulsazioni diverse dalle sue. Eppure…
Non riusciva a starsene con le mani in mano e decise di avvicinarsi a Dom, per fargli capire che stavano sbagliando.
Il suo diletto era rilassato sull’amaca, con una bottiglia di birra in una mano, mentre l’altra era messa sotto alla testa a mo’ di cuscino. Dondolava debolmente e i capelli svolazzavano liberi grazie al venticello piacevole in una serata d’estate.
Si avvicinò a lui senza far rumore: teneva gli occhi chiusi e un debole sorriso stampato sul volto. Quando Altea si schiarì la voce, Dominic sobbalzò, voltandosi velocemente con gli occhi sbarrati. Quando la vide, si rilassò osservandola, però, con un cipiglio.
«Bella serata, non è vero?» Chiese la ragazza, avvicinandosi di più e sedendosi sulla sabbia.
Sprofondò le mani nella rena, prendendo una manciata di sabbia: quanti granelli poteva imprigionare in un pugno? Una miriade, si rispose, spostandone uno ad uno e osservandone i diversi colori.
«Come hai fatto ad entrare qui? È una spiaggia privata.»
«Ah, non per me.» Rispose Altea, continuando ad osservare quella meraviglia.
«Io ti conosco.»
«Lo so.»
«Altea.»
Al suo nome, la ragazza si voltò a guardarlo, con un sorriso incerto.  Era da molto, molto tempo che nessuno la chiamava così e risentire di nuovo quel suo appellativo… la faceva rabbrividire.
Notando i suoi brividi, Dom si alzò, prese la coperta che aveva messo come lenzuolo e gliel’appoggiò sulle spalle.
Altea abbassò il capo, sentendosi inadatta a tale attenzioni.
«Non ti ho vista più.» Continuò Dom, sedendosi accanto a lei.
«Non mi sono più fatta vedere, in effetti, ma non vi ho mai persi d’occhio.»
Dominic la scrutò, incurante di essere mezzo nudo. Per lui, quella ragazza era la chiave di molte cose rimaste nascoste e inesplorate. Più la osservava e più era convinto che gli nascondesse qualcosa di serio, di fondamentale.
«Sei piuttosto piccola d’età per essere una nomade.»
Altea ridacchiò, stringendosi di più intorno alla coperta. «Sono più vecchia di quanto immagini.»
«Eppure sembri una ragazzina.»
«Che ci vuoi fare» gli rispose, facendo spallucce. «Chiamala fortuna.»
Rimasero in silenzio: Dom ritornò a guardare le stelle e lei ad osservare lui. Sembrava un circolo vizioso.
«Ti va di parlare?» gli domandò il ragazzo, curioso di sapere. Se mancava qualche tassello nella sua vita tanto complicata, era giunto il momento di trovarlo.
«Perché dovrei?»
«Perché sei qui?»
«Lo fai sempre.» Sbottò Altea, ignorando la sua domanda.
«Cosa?»
«Guardare il cielo. Perché?»
Dom le sorrise. «Dipende dalla situazione.»
Non gli dispiaceva stare al suo gioco: tutto purché lei non sparisse di nuovo.
Si era tramutato in una sorta di Matthew: in quell’istante, sentiva il desiderio incessante di scoprire cosa celasse il viso di quella ragazzina.
«Parla Dominic. Fammi un esempio.»
«Quando Matt mi fa incazzare alzo gli occhi al cielo per non prenderlo a bastonate. Ma in questo caso ha un valore diverso.»
«Cioè?»
«Punto sempre a qualcosa di migliore. Punto sempre a raggiungere il traguardo.»
«E in questa situazione che traguardo vuoi raggiungere?»
Altea non voleva mostrarsi robotica ma per lei ogni sua parola era un’informazione nuova. Rimaneva stregata di fronte al ragazzo, al suo tono calmo e triste, a quella voce profonda e meravigliosamente maschile, e scaricò la colpa ancora una volta alla mancanza di esperienza nel settore umano.
«Assolutamente nessuno.» Le rispose, sorridendo sbilenco.
Che strano modo di fare!
«Ti va di parlare di Matt?»
«No.»
«Perché?»
«La mia mente non resisterebbe di nuovo.»
«A cosa?»
«Alla distruzione.»
Altea allungò le gambe che iniziavano a formicolarle. Guardò di fronte a sé, pesando su una bilancia mentale le parole di Dominic. Era successo qualcosa che le era sfuggito.
«Ti va di parlare di Matt?» Ripeté.
Dom sospirò, annuendo con il capo.
«Sì, ma solo se poi parli tu.»
«Ti ascolto.»
«Io e Matt siamo… cioè, eravamo  una coppia… strana.» Iniziò il biondo, soffermandosi sull’ultima parola. «Tutto è iniziato per caso e non sono neanche veramente convinto se siamo stati un qualcosa. È tutto troppo complicato. Ora come ora ci sono troppe distanze, troppe donne, troppe domande lasciate senza una risposta.»
Lentamente si voltò verso di lei, con la curiosità riflessa nei suoi occhi. Altea immaginava di dover dare una spiegazione, di renderlo partecipe del fatto che era lei la causa della loro rovina. Il fatto che, a quanto pareva, non ricordasse bene il loro vero e primo incontro importante, non facilitava le cose. Nonostante questo, però, era sicura che c’era un modo per rimediare, un modo per permetterli di essere… semplicemente quello che erano.
«È colpa mia.» Sfiatò, mantenendo lo sguardo fisso nel suo. «Quel giorno, quando sono venuta a casa di Matt…» scosse il capo, come se potesse dimenticare l’accaduto. «A mia discolpa posso dire che ero, e sono, motivata da buone intenzioni.»
«Chi sei?» Sussurrò Dominic, incapace di comprendere le cose più semplici. Poco alla volta, si ritrovava risucchiato in un vortice di emozioni e sensazioni non estranee ma che pensava di aver superato quella notte.
«Prima ero la dea del Destino.» Notando che il suo pupillo batteva velocemente le palpebre, continuò. «Pensi davvero che voi umani siate gli unici esseri al mondo?» Altea rise, prima di tornare alla realtà. «Mi dispiace contraddirti.»
Da quel momento il muro invisibile che li separava si ruppe, lasciando che i loro discorsi si alternassero.
 Dom riuscì a sfogarsi: sembrava una cascata, implacabile e veloce. Spazzava via gli anni passati raccontandole dei suoi dolori, delle scelte fatte ma non condivise, della sottomissione a Matthew, per compiacerlo in tutto e per tutto.  Vedeva il suo amore come una redenzione, come la strada giusta per se stesso. Non esistevano paura, timore e nervosismo quando Matt era con lui.
Dominic amava litigare con il moro; amava pazzamente istigarlo… e non solo per mantenere la loro relazione viva. Se avesse cambiato il suo modo di fare, se avesse dato spazio ad altre relazioni durature, lo avrebbe messo da parte e questo proprio non gli andava. Ad un certo punto, non contavano più  le esperienze condivise e facilmente rinnegava, nella sua mente, ciò che pensava più spesso: lui amava Matt, Matt amava lui, ma c’era un oceano a dividerli, sebbene ogni sera, o almeno prima e dopo il rapporto che l’amato condivideva con Gaia, dovevano passarla insieme. Era come un giuramento non detto, una dipendenza che non volevano abbandonare.
Altea si sentiva in difetto. Percepiva lo stomaco attorcigliarsi su se stesso e non sapeva che nome dare a quel tipo di sensazione. La tristezza la invase: sentirsi in colpa era il minimo. Si rendeva conto di aver rovinato due essere viventi; pensava che forse suo fratello e suo cugino avevano ragione; che non tutto è destinato ad essere perfetto. Ma quei due ragazzi, si diceva, erano più di una coppia, più di esseri umani in grado di intendere e di volere: lei li vedeva come un unico individuo, divisi per uno scherzo, guarda caso, del destino. E che male c’era riunire due metà di una stessa mela? Capitava che, tra di esse, un sottile varco poteva trasformarsi in una voragine, in grado di inghiottirle e divorarle. Allora Altea gli rammentò del loro incontro più importante, quello in cui lui si era ritrovato nel suo limbo personale, formato da pareti bianche, cielo bianco e sfondo infinito. Gli aveva ricordato come si erano seduti ai confini del proprio universo e di quelle poche battute scambiate, prima di rigettarlo nella sua vita. E prima che la propria natura divina diventasse… finita.
Nacque uno strano feeling tra di loro. Dominic non la riteneva responsabile di nulla: avrebbe potuto rompere il rapporto con Matt quando voleva, anche dopo che la sua influenza era svanita. Altea, a quelle parole, non si sentiva di certo meglio, ma era un inizio. Gli offrì tutta la sua esistenza; Dominic scoppiò a ridere scuotendo il capo e stringendola in un abbraccio.
«Sapevo a cosa andavo incontro e non me ne pento.» Le sussurrò all’orecchio. «Non sentirti mai in colpa per questo.»
Ad Altea batteva forte il cuore e ricambiò l’abbraccio, circondandolo con la coperta e aderendo di più a lui. Sospirando, chiuse gli occhi: aveva capito il significato dell’essere perdonata.

«Dovevamo fermarla.» Disse Nick, osservando la scena dall’alto. «Non mi piace che una di noi sia circondata da quegli esseri inferiori.»
Con le braccia incrociate al petto, Indra guardò nella stessa direzione del cugino. Avrebbero potuto fermarla con la forza, certo, ma questo andava contro ogni loro logica e legge e non gli andava di violare i principi della loro specie.
«Ha fatto la sua scelta. Noi non potevamo fare altro che consigliarla al meglio.»
Nick fece schioccare la lingua. «Guardala. Essere diventata una materia che tanto apprezzava, ora, come la fa sentire?»
Senza scomporsi, Indra osservò l’intera scena. «Non dovrebbero interessarti i suoi sentimenti. Quelli possiamo lasciarli a loro.»
Il Dio dell’Amore annuì.
«Lasciatela vivere.» Si intromise Cassass, la Dea della Compassione. «Se è felice, perché non dovrebbe portare avanti le sue idee?»
«Primo, perché le emozioni non dovrebbero entrare nel nostro dominio. Ricordo anche a te che siamo degli esseri superiori e faresti meglio a badare a come parli. Secondo, perché le sue idee e le sue scelte hanno sempre portato a situazioni avverse. C’è solo una cosa buona in tutto questo.»
Cassass e Nick si scambiarono un’occhiata interrogativa.
«Che ha abbandonato questo mondo.»

Qualche tempo dopo
Non ricordava che la soffitta era, in realtà, una discarica in piena regola. Scatoloni enormi e polverosi erano impalati uno sopra l’altro per lasciare quanto più spazio possibile al resto delle cianfrusaglie che vivevano abbandonate lì da molto, molto tempo.
Facendosi un po’ di spazio, riuscì a spostare un bel po’ di cose. Il suo obiettivo era nascosto in fondo, ne era certo. Di tutte le scatole appartenenti a Kelly o ai suoi figli, una era riservata a lui. Il suo baule chiuso a chiave era una prova di forza per chiunque. L’aveva trovato anni e anni fa in sconto e nonostante la sua bruttezza si era dimostrato un ottimo complice. Lì aveva riposto ogni regalo fatto a sua moglie o ai suoi figli, ogni sorpresa possibile ed inimmaginabile. Chi avrebbe mai cercato in soffitta e, per di più, nell’angolo più angusto e polveroso? Senza contare che c’era bisogno delle chiavi per aprire quelle robuste serrature di ottone. Chiavi che, logicamente, aveva sempre con sé. E senza contare, oltretutto, che ai suoi figli era negato l’accesso “per paura che possa accadere loro qualcosa di male”, aveva detto sua moglie. Quello era stato il motivo principale per cui si era offerto volontario- anche se non aveva poi molta scelta- per recuperare un testo scolastico che serviva ad Ava, la sua piccola e meravigliosa figlia. Lo studio era importante e lui ci teneva che ognuno di loro possedesse capacità intellettive adatte per la società.
Bugiardo.
In realtà, il suo obiettivo era quello di fare una sorpresa a sua moglie per il loro anniversario e recuperare dal proprio baule quella misteriosa pergamena che li aveva fatti conoscere.
Chissà se Kelly la ricordava ancora…
Grazie alla complicità dei suoi figli stava organizzando una cena romantica per due, a lume di candela. Una serata soli, senza pensieri e, soprattutto, senza uno dei loro sei bambini presenti. Aveva pianificato tutto nei minimi dettagli: ad Alfie e Ava-Jo, i suoi figli più grandi, aspettava il compito di fare la spesa e portare i fratelli da Matt e Dom, che si erano dimostrati più di una volta due zii eccezionali. Soprattutto ora che Matt era padre e che Dom… aveva praticamente in casa una ragazza adolescente a cui badare. I dettagli gli erano ancora nascosti ma contava di scoprirli di lì a poco.
Tra un pensiero e l’altro riuscì ad infilare le chiavi nelle due serrature e ad aprire il baule.
Dio… quanti ricordi. Le sue prime corde usate, le sue prime bacchette, fogli e spartiti che mai aveva utilizzato… Ed eccole lì, le lettere d’amore che aveva scambiato costantemente con Kelly. Erano fogli ingialliti e a tratti macchiati, ma l’emozione che provò nel rivederle fu enorme. Cercò, trovò e afferrò velocemente quella che gli interessava, scartando qualche felpa regalata dai ragazzi e un costume di piume rosa e bianco.
Si accigliò. Cosa diavolo era quell’orrore?
Lo tirò fuori, scrutandolo attentamente. Per un istante pensò che qualcuno avesse potuto violare la sua privacy e inserire quell’obbrobrio nel suo porta-tesori personale.
Imprecando, chiuse la cassa e scese di sotto, dopo aver nascosto il biglietto nella tasta posteriore dei pantaloni.
Chiamò a gran voce sua moglie, cercando una spiegazione per quel capo pieno di polvere.
«Cosa c’è?»
«Sai dirmi perché questo coso era infilato nel mio baule personale?» Le domandò, con uno sguardo corrucciato.
Kelly batté le palpebre più volte, guardando prima quell’ammasso di piume e poi suo marito. Poi ricambiò lo sguardo irritato, puntandogli contro un dito.
«Si può sapere cosa stavi facendo di sopra? Ti avevo chiesto semplicemente di prendere un libro per Ava!»
Preso alla sprovvista, il ragazzo distolse lo sguardo. «Beh… sì, ero solo curioso.»
«Curioso di cosa? Mi sa che dovrò dare un’occhiata a quel tuo baule! Chissà che ricordi fantastici dei tuoi momenti di gioventù hai nascosto, eh? Sappi che se troverò qualcosa che non deve esserci, dormirai sul divano per il resto della tua vita!»
Con questo, sua moglie si scomparve in cucina.
Ricordi fantastici di cosa?, pensò ancora Chris, scuotendo il capo. Poi capì e imprecò contro se stesso. Kelly si riferiva ai suoi giorni passati in tour…
Maledicendo lui e il suo essere avventato, risalì in soffitta, aprì il baule e buttò dentro quello strano vestito. Poi recuperò il libro che in realtà non serviva a sua figlia e scese di sotto.
E pensare che lui era andato lì per cercare di fare qualcosa di buono. Ora, invece, gli toccava fare pace con sua moglie e non nel modo che più gli piaceva.
Bah, il destino era proprio strano.



 
  
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